Dedico questa storia a moni93, per ringraziarla delle sue
numerose recensioni e delle piacevoli chiacchierate via mail. Enjoy the story, enjoy the rain!
***
Enjoy the Rain
La donna percorreva il corridoio con aria affannata,
tenendo sollevati due lembi del gonfio abito in pizzo che
contraddistingueva la servitù di casa Rainsworth. Ansiosa e preoccupata, scese di fretta la
scalinata principale della magione, cercando disperatamente la nipote della
duchessa, Lady Sharon.
Convinta di trovarla lì, fece ingresso nel salone, gridando
il suo nome.
“Lady Sharon! Lady Sharon!”
Ma l’unica persona che vi trovò fu qualcuno di totalmente
inaspettato.
Reim Lunettes
se ne stava seduto su una poltrona con le gambe accavallate a leggere un
giornale. Non appena vide la donna chiamare con urgenza la nobile ragazza,
aggrottò le sopracciglia, domandandosi il motivo di tanto affanno.
Nel frattempo, la serva portò imbarazzata una mano alle
labbra: era entrata all’improvviso nel salone e l’ultima cosa che poteva
immaginarsi era vedere un nobile di un’altra casata sedere proprio lì,
probabilmente in attesa che qualcuno lo ricevesse.
Immediatamente, la donna divenne rossa in volto,
sentendosi umilmente in colpa per non averlo accolto a dovere.
“S-signor Lunettes!
Perdonate la mia maleducazione, non credevo di trovarvi qui!”
Reim chiuse il giornale e lo
ripose sul tavolino davanti a lui. Non riuscì a trattenere un sorriso ironico
nel sentire come la serva si scusava imbarazzata per la sua mancanza: gli
sembrava di vedere se stesso.
“Non preoccuparti, sono qui da poco. Comunque, anch’io
cerco Lady Sharon.”
Nell’udire quel nome, la donna si ricordò del motivo per
cui si era recata lì. Mise da parte ogni altro pensiero e ritenne giusto
avvertire anche il signor Lunettes di ciò che tanto
l’aveva scossa.
“Sapete, ora che ci penso la signorina voleva recarsi a
Pandora questo pomeriggio… Ma il punto è un altro:
non trovo più il suo servo! E’ sparito, non è da nessuna parte!”
Reim sgranò gli occhi stupito
dalle sue parole.
“Parli di Xerxes?”
La serva annuì, riassumendo lo sguardo ansioso e agitato
di quando era entrata.
“Esatto! Ho il compito di badare a lui. Mi sono assentata
due minuti e poi… Poi…
Quando sono tornata non c’era più!”
Nel sentire quelle parole, il servo di casa Barma fu ancora più scosso. Non era normale che un uomo
malato, per di più cieco, lasciasse la sua stanza e si allontanasse da solo
dalla magione. Era vero: normalità e Xerxes Break non
erano mai andati tanto a braccetto, ma nelle condizioni in cui si trovava, neanche
il più matto dei matti avrebbe potuto percorrere più di dieci metri.
Mentre Reim meditava sulla
situazione, la donna scaricava la tensione passeggiando avanti e indietro per
la stanza.
“Non va bene… Non va bene! La
signorina Sharon sarà furiosa! Se gli succedesse qualcosa potrei…
Potrei… Aaahh! Non voglio
pensarci!”
Volendo tranquillizzare entrambi, il servo di casa Barma cercò di mitigare la situazione.
“Un momento, non agitarti. Non può essere andato lontano.
Hai controllato tutte le stanze della villa?”
La donna annuì in preda all’agitazione.
“Sì, dappertutto! L’ho cercato ovunque, ma di lui non ho
trovato alcuna traccia! Sono disperata! Non credevo che se ne andasse, non
pensavo avesse la forza di farlo! Oh, è tutta colpa mia! Non avrei dovuto
allontanarmi, sono un disastro!”
A quel punto, Reim s’alzò dalla
poltrona e s’avvicinò a lei, tenendo ferme le sue mani tremanti.
“Non preoccuparti, ti aiuterò nelle ricerche. Hai
avvertito gli altri membri della servitù?”
“S-Sì…”
La serva rimase pietrificata dallo sguardo sicuro che
vedeva attraverso le lenti dei suoi occhiali da vista.
Non era molto tempo che prestava servizio nella magione
dei Rainsworth. Erano trascorsi appena pochi mesi da
quando Lady Sharon l’aveva assunta come badante del suo servo, ma di storie
riguardanti i nobili del posto ne aveva sentite eccome. Di Reim
Lunettes si diceva che fosse un giovane timido e
sbadato, che soleva starsene nel suo studio a lavorare come un matto per
soddisfare le richieste del suo duca. Ma a vederlo da vicino, tutto ciò che le
avevano raccontato sembrava non avere senso: nei suoi occhi splendeva una luce
calda e confortante, che non aveva niente a che vedere con il freddo tremolio
delle pupille di chi è timido e insicuro. Probabilmente, qualcosa doveva averlo
cambiato… Forse, era accaduto qualcosa nella sua vita
che lo aveva spinto a reagire in modo diverso di fronte ai problemi.
“Bene. Visto che non sembra essere da nessuna parte
all’interno della villa, controllerò in giardino…”
Riprese il servo di casa Barma,
spostando lo sguardo sull’ampia finestra del salotto. Le sue sopracciglia
s’inclinarono timorose nel vedere il cielo ricoperto da scuri nuvoloni che
sembravano minacciar pioggia da un momento all’altro.
“… Sperando che non sia andato troppo lontano.”
Si congedò, indossando il soprabito scuro con cui era
venuto.
“Speriamo che non
si metta a piovere…”
Pensò fra sé e sé, mentre camminava a passo svelto lungo
il portico che incorniciava la magione.
Si guardava intorno, cercando con lo sguardo il suo caro,
incosciente amico, che da sempre non faceva altro che riempirlo di
preoccupazioni. I suoi occhi malinconici si spostavano da una parte all’altra,
mentre nella mente riaffioravano i ricordi di tutte quelle volte che lo aveva
cercato per fargli firmare quei documenti che costantemente abbandonava sulla
sua scrivania, lasciando sopra di essi qualche caramella in segno di
ringraziamento.
Era fatto così, Xerxes Break:
scansava il dovere perché amava godersi la vita, senza buttar via quel poco
tempo che aveva e che gli rimaneva. Sebbene cercasse di negarlo in tutti i
modi, Reim aveva capito che la vita, Xerxes Break, l’amava come pochi.
Rimaneva tuttavia un dilemma il rapporto che quell’uomo
aveva con la vita e con la morte. Si poteva dire che fosse al contempo
innamorato della vita e ossessionato dalla morte, oppure che, al contrario,
fosse la morte ad attirare il suo interesse, e la vita a ossessionarlo. Sì,
perché spesso e volentieri Xerxes Break, più che
cercare la vita, sembrava volersi procurare la morte. Anche quel giorno, che
senza dir nulla era sparito dal suo letto per recarsi chissà dove, le sue
deboli forze lo avevano condotto verso un luogo gelido e pieno di insidie trasparenti,
che il suo occhio vacuo e sanguigno non vedeva.
“Xerxes!”
Reim continuava a chiamare il
suo nome, sentendo la preoccupazione crescergli sempre di più nel cuore.
Percorreva l’area rettangolare e inalberata dell’immenso giardino, sentendo le
prime gocce di pioggia picchiettare sul suo viso.
“Oh no…”
In breve tempo, quel lieve e innocuo pizzichio
si trasformò in una cascata di enormi gocce lapidanti, che s’intrisero nel
tessuto del suo cappotto.
“Dannazione!”
Non aveva nemmeno l’ombrello, Reim.
Nonostante l’apparente calma che aveva mostrato poc’anzi, in realtà la fretta
di trovare l’amico era forte più di ogni altra cosa, e gli aveva persino fatto
dimenticare di prendere le dovute precauzioni in caso di pioggia.
Si strinse nelle braccia, continuando a gridare.
“Xerxes!”
Urlava, cercando d’individuare nell’atmosfera appannata
una sagoma bianca, possibilmente viva o in movimento.
“Xerxes!”
E un istante dopo, quando ogni speranza sembrava vana,
ecco che vide qualcosa interferire con la natura circostante.
Ai piedi di un monumento marmoreo se ne stava seduto un
uomo completamente vestito di bianco.
Reim si avvicinò, rendendo più
nitida quell’immagine sbiadita.
Xerxes Break aveva gli occhi
chiusi e lo sguardo puntato verso l’alto, e lasciava che la pioggia carezzasse
il pallore del suo viso. Era accovacciato sull’erba e s’avvinghiava le
ginocchia con le braccia. La sua espressione era serena.
“Xerxes…”
Reim emise un profondo sospiro,
felice di vedere che l’amico stesse bene, ma comunque un po’ arrabbiato per ciò
che aveva fatto.
Quando sentì la voce dell’amico chiamare il suo nome, Xerxes non ripose subito, ma il sorriso che aveva sulle
labbra si allargò: era contento di avere compagnia.
La pioggia continuava a cadere incessante. Break era
zuppo dalla testa ai piedi. Il suo pigiama bianco gli si appiccicava aderente
alla pelle, formando grandi solchi di pieghe sulla stoffa.
Reim sospirò ancora, scuotendo
la testa e guardando l’amico.
“Che ti è saltato in mente… Come
hai fatto a venire fin qui?”
Xerxes sorrise ancora, e questa
volta rispose.
“Con le gambe!”
Esclamò con tono divertito.
Reim socchiuse le palpebre,
sentendo un brivido triste e malinconico invadergli il cuore.
Break sorrideva. Sorrideva e sembrava felice. Ma allora
perché? Perché di fronte all’immagine così tranquilla dell’amico, Reim provava quell’immensa sensazione di tristezza e di
dolore?
Sentì un groppo alla gola, ma non permise che dai suoi
occhi uscisse nemmeno una lacrima.
“Xerxes…”
Il tempo non sembrava decidersi a migliorare, e il servo
di casa Barma era sempre più preoccupato.
“Sei un matto… Lo sai?”
Disse, scuotendo la testa con aria rassegnata.
Break si concesse una risata alquanto divertita, e
rispose ironico.
“Ah, davvero? E’ la prima volta che qualcuno me lo dice!”
Reim si portò una mano alla
fronte, chiedendosi come facesse a scherzare in un momento come quello.
“Sta piovendo a dirotto, sarebbe meglio rientrare adesso
o ci prenderemo una polmonite…”
Break sorrise, affatto stupito dalla premura che l’amico
gli riservava. Non si smentiva mai, Reim: ovunque
fosse andato, in qualunque guaio si fosse cacciato, lui sarebbe venuto a
salvarlo senza esitazioni. Ormai, Xerxes lo conosceva
bene e non gli servivano ulteriori conferme per essere certo che Reim fosse, indubbiamente, il migliore amico che avesse mai
avuto.
“Perché, invece di parlare tanto, non ti accomodi qui,
accanto a me. Ho da raccontarti una storia molto interessante…”
Aveva detto con tono tranquillo il servo di Lady Sharon.
Per un attimo, Reim fu indeciso
se insistere e riportarlo in camera sua, oppure lasciare che volgesse lo
sguardo al cielo ancora un po’, per sentire su di sé il tocco di quella natura
che gli era tanto mancata.
Sospirò e, prediligendo la seconda opzione, si sedette
sul fango vicino all’amico.
“Dunque…”
Dopo un po’, Xerxes riprese a
parlare.
“Ero uscito per prendere una boccata d’aria, ma non mi
ero accorto che il cielo fosse nuvoloso…”
Nell’ironia delle sue parole, si manteneva costante quel
sorriso calmo e sereno.
“… Mentre camminavo, a un certo punto sono caduto.”
Dopo quell’affermazione, Reim
sgranò gli occhi allarmato. Ma non fece in tempo a pronunciare una sola parola,
perché l’altro proseguì nella sua narrazione.
“Sono rimasto per un po’ sdraiato a terra cercando di
rialzarmi, ma poi mi sono detto: ehi!
Perché non approfittare della situazione per scrutare un po’ il cielo?”
Il suo tono divertito capovolgeva la trama di una storia
tragica in qualcosa di comico. Era incredibile la semplicità con cui Xerxes Break riusciva a camuffare qualcosa di brutto in
qualcosa di bello: il suo talento nel fuggire alla realtà delle cose era unico
e inimitabile.
“Così, mi sono appoggiato qui e ho alzato lo sguardo
verso l’alto, proprio così; proprio come sto facendo ora!”
Il tono vivo delle sue parole metteva in rilievo la felicità
che provava anche solo per la consapevolezza che, seppur cieco, il suo sguardo
era ora volto all’etere, e non a un insignificante soffitto bianco, cielo
fasullo delle sue giornate.
Le sue palpebre ancora chiuse si beavano del vento che dolcemente
carezzava il suo corpo, pungendolo di un brivido freddo, ma non fastidioso. Era
bellissima la sensazione dell’aria leggera che invadeva il suo viso; il profumo
dell’erba bagnata e dell’acqua piovana andava ad espandersi nei suoi polmoni
come una cura, purificando il suo petto malato e facendogli dimenticare ogni
brutto pensiero.
Reim lo osservava, accorgendosi
del suo profondo e rilassato inspirare ed espirare. Sembrava sereno, e per
niente turbato dal pensiero della pioggia.
Ah, giusto: la pioggia. Il servo di casa Barma si era perso così tanto nel contemplare la sua
immagine, che aveva dimenticato quanto fosse importante portarlo via di lì il
prima possibile.
“Xerxes…”
Sussurrò il suo nome con aria dispiaciuta. Aveva capito
che Break desiderava essere lì più di ogni altra cosa e che, evidentemente, non
sopportava l’idea di starsene chiuso nella sua stanza. Tuttavia, il rischio che
correva nel lasciarsi colpire da quelle gocce sempre più fitte e veloci era
troppo grande.
“Xerxes, dovremmo…”
“Ascolta, Reim.”
Reim voleva convincerlo a
rientrare, ma le sue intenzioni furono bloccate dalle parole di Break.
“Volgi lo sguardo al cielo e chiudi gli occhi.”
Fu quello che Xerxes gli intimò
di fare, rimanendo immobile nella sua posizione.
Inizialmente, Reim rimase
fermo. Ma non passò molto tempo prima che riuscisse a capire quanto fosse
importante assecondare il suo amico. Sì, perché anche se la pioggia continuava
a cadere su di loro, bagnando i loro capelli e intridendo i loro corpi come
spugne, una sola cosa rimaneva certa: in quel momento, nei pochi minuti di
quella scena che poteva sembrare tanto banale quanto effimera, quello che
avvolgeva l’animo di entrambi era un incredibile, incomparabile senso di libertà.
E Xerxes quella libertà l’aveva
cercata per due vite intere. Non era bastata una sola esistenza per raggiungere
quel senso di pace e ora, l’ultima cosa che Reim
voleva fare era privarlo di quella meta tanto agognata, costringendolo a tornare
in un posto che lui detestava.
Già, perché se il calore di un letto è davvero il posto
più sicuro che ci sia, allora non si sentirebbe alcun bisogno di evadere, ma si
rimarrebbe lì, ad attendere pazienti il termine dei giorni. Se da una parte una
stanza calda offre la possibilità di riparo dalle intemperie dell’inverno, dall’altra
non vi è alcuna chance di respirare i sapori della natura, e ci si sente
chiusi, e abbandonati, e soli.
Invece, malgrado la pioggia fosse nemica dei deboli come
lui, essa rimaneva, per Xerxes , l’unica vera prova
di trovarsi sotto a un cielo vero che, anche se non poteva vedere, riusciva a
godersi senza il bisogno di guardare.
“Lo stai facendo, Reim?”
Break volle accertarsi che l’amico avesse accolto la sua
proposta.
Così, Reim eseguì e, puntato lo
sguardo al cielo, chiuse gli occhi e si tolse gli occhiali.
“Sì.”
Rispose, sentendo il suo viso riempirsi di fitte gocce di
pioggia.
“Sai, Reim…”
Dopo un po’, Xerxes riprese a
parlare.
“A me piace tanto la pioggia.”
Disse, con un tono allo stesso tempo sereno e
malinconico.
“Sì… Lo so.”
Rispose Reim, avvertendo anche
lui un certo senso di malinconia nel cuore.
Nel frattempo, Break emise un sospiro più profondo e andò
avanti nel suo discorso.
“Mi sento… Così pulito quando mi cade addosso.”
Il servo di casa Barma lo
ascoltava attentamente, sentendo le sue parole mischiarsi con il fruscio
incessante della pioggia.
Xerxes smise di parlare per un
po’, poi entrò più nello specifico del suo pensiero.
“La pioggia… Ha un effetto
particolare su di me.”
Fece una pausa, poi proseguì.
“Quest’acqua non viene dalla terra, viene dal cielo.”
In quel momento, Reim schiuse
lievemente gli occhi, per poi serrarli ancora un attimo dopo. Dove voleva
arrivare con quelle parole?
“L’acqua che viene dalla terra non è come quella che
viene dal cielo.”
Spiegò ancora Break.
“L’acqua che viene dalla terra è sporca e contaminata, e
non può purificarti come fa l’acqua del cielo.”
Sorrise, schiudendo l’occhio vacuo all’etere grigio.
“E’ per questo che il cielo è azzurro e la terra è
marrone, sai?”
Disse, con un tono dal sapore divertito, ma non ironico.
Reim si domandò quale fosse il vero
significato di quel discorso, ma si limitò a rimanere in silenzio, lasciando
che fosse l’altro a dire la prossima.
“Quello che mi domando… E’ se allo
sporco della terra sia concessa la purezza del cielo, un giorno.”
Il servo di casa Barma sentì un brivido colpirlo al petto. Aveva ottenuto la
sua risposta, e ora, si ritrovava a dover lottare contro le lacrime che
insistenti spingevano nei suoi occhi, bisognose di percorrere la pelle giovane
del suo viso.
Era stato anche fin troppo bravo fino ad ora, Reim. Si era imposto di non agitarsi troppo nel momento in
cui aveva scoperto che l’amico era sparito dalla sua stanza, ed era riuscito a
non perdersi d’animo quando lo aveva cercato in mezzo alla pioggia, concedendosi
solo il lecito timore che le sue condizioni potessero aggravarsi. Ma ora, ora
che la speranza di una vita ultraterrena era uscita dalle labbra di Break, il
servo di casa Barma non ci riusciva proprio a
trattenersi dal versare le lacrime.
Non aveva mai sentito Xerxes
parlare di concetti di carattere religioso come la possibilità che ci fosse qualcosa
dopo la morte o che comunque non si smetta di vivere del tutto una volta
abbandonato il proprio corpo. Tutto quel discorso lo aveva completamente
sconvolto: mai nel corso di quella forte amicizia aveva visto in Xerxes Break uno spiraglio di speranza. Solitamente, Break
era una persona estremamente negativa. Rideva e scherzava sui problemi perché
non aveva altri mezzi per allontanare il dolore. Non li aveva, perché l’ottimismo
era per lui la creatura più estranea. Così, per non destare la preoccupazione
di chi gli voleva bene, la tattica che preferiva adottare era una pungente e
lacerante autoironia, che lo vedeva parlare serenamente del suo destino, come
se l’idea di morire non lo toccasse minimamente.
Ora che ci pensava, Reim s’accorse
che era da parecchio tempo che Break non scherzava più. C’era stato un periodo
in cui Lady Sharon lo rimproverava sempre perché, sebbene fosse conscio di
avere anche il diabete, insisteva nel mangiare dolci e caramelle, quasi come in
segno di provocazione nei confronti della morte che voleva prenderlo con sé;
quasi come se stesse dicendo: hai visto,
morte? Tu vuoi intimorirmi, ma io sono più forte!.
Però, negli ultimi tempi, quando la malattia lo aveva
costretto a letto, la voglia di giocare sembrava essere svanita: nessuna
battuta ironica, nessun gesto d’indifferenza; nessun dolcetto sul comò. Alla
fine, Xerxes Break, stava davvero cadendo vittima
della morte? Stava davvero cedendo a quella stessa morte di cui si era preso
gioco per anni?
Improvvisamente, mentre tratteneva i singhiozzi di un
pianto silenzioso e soffocato, Reim sentì la mano di Xerxes stringere la sua.
Schiuse gli occhi, voltando lo sguardo verso l’amico,
anch’egli girato verso di lui, a puntarlo con la sua vacua pupilla.
“Non piangere, Reim.”
Il servo di casa Barma rimase
basito. Era vero, da quando era diventato cieco il suo udito si era sviluppato
molto, ma Reim era sicuro di non aver emesso neanche
un suono. Dunque, come aveva fatto a capire che stava piangendo?
“L’aria intorno a te è umida.”
Gli occhi di Reim si spalancarono.
Il sudore del forte senso di tristezza che lo aveva colpito un istante prima di
versare le lacrime aveva creato intorno a lui una barriera di vapore caldo, e Xerxes se n’era accorto.
Break strinse più forte la sua mano e lo intimò di
compiere una nuova azione.
“Metti da parte tutto… E goditi la pioggia.”
Dopo pochi secondi, Reim
ricambiò la stretta e tornò a volgere lo sguardo verso l’alto.
Si tenevano per mano, lasciandosi bagnare dal pianto del
cielo, in cerca di una pura sensazione di pace che servisse a scaldargli il
cuore.
Fu solo dopo un po’, che Reim
tornò a posare gli occhi sul volto dell’amico che, rimasto fermo nella sua
posizione, permetteva all’acqua piovana di cadere libera lungo il suo viso.
Era un’immagine colma allo stesso tempo di tristezza e di
speranza, di prigionia e di libertà; di vita e di morte.
Le gocce di pioggia grondavano rapide lungo il suo viso
come una valanga di lacrime lasciate cadere di proposito e senza alcuna
esitazione.
Nella candida visione di quell’immagine mai stata così
pura, Reim avvertì un fremito nel cuore, che lo
spinse in un istante a pronunciare parole prima dette che pensate.
“Tu sì.”
Affermò con una grande convinzione, nel tono e nello
sguardo.
Xerxes si girò verso di lui, non
avendo ben chiaro il significato della sua affermazione.
“Tu ci diventerai un giorno…
Come la pioggia.”
Quando il suo primo giorno di morte sarebbe arrivato, Xerxes sarebbe stato puro come la pioggia che cadeva dal
cielo, lavando via le colpe di chi rimaneva in terra. Era questo, il pensiero
di Reim.
Quando si rese conto delle parole dell’amico, Break
rimase per un attimo immobile con l’occhio puntato su di lui. Pian piano, sul suo
viso s’allargò un sorriso dolce e affettuoso.
“Grazie…”
Con le sopracciglia inclinate in un’espressione
malinconica, ma in realtà profondamente felice nel sentire quelle parole, Xerxes ringraziò l’amico a lui più caro, regalandogli l’emozione
di un occhio commosso, ma non prossimo al pianto.
Un istante dopo, s’avvicinò col volto allo sguardo di Reim e, guardandolo con un’espressione un po’ scherzosa che
l’uomo non vedeva da tempo, schiuse le labbra, sussurrando qualcos’altro.
“… Mi fido, eh.”
Il servo di casa Barma rise scuotendo
la testa di fronte a quella sua affermazione. Come spesso era accaduto negli
anni più vivi della loro amicizia, Xerxes lo aveva
ancora una volta caricato di un’importante responsabilità.
“Se non sarò lì… Saprò a chi
far piovere in testa.”
Aggiunse poi Break, concedendosi anche lui una lieve
risata.
Reim sorrise e, lentamente, le
nuvole che avevano sino ad allora ricoperto il cielo si dissiparono, lasciando
spazio alla luce del sole e al cessar della pioggia.
Il servo di casa Barma s’alzò
in piedi e aiutò il suo amico a fare lo stesso.
S’incamminarono pian piano verso la grande magione. Break
stringeva forte il tessuto dei vestiti di Reim, che
lo aiutava a tenersi in piedi tenendogli le spalle.
Xerxes sorrideva, rievocando
nella sua mente il bellissimo pensiero che Reim gli
aveva sussurrato. Adesso, era quasi felice di tornare a casa.
***
Angolo dell’autrice
Avete enjoyato la pioggia?
A parte
gli scherzi, è proprio vero che quando l’ispirazione coglie, non c’è niente da
fare. In questi giorni sono molto occupata, e l’ultima cosa che immaginavo di
fare era scrivere una nuova storia. Mi ci sono voluti due mesi per completare l’ultima,
che sono riuscita bene o male a portare a termine l’altro pomeriggio,
impuntandomi sul fatto che non potevo lasciarla incompiuta. Invece questa… Questa l’ho scritta tra ieri e oggi, partendo a
battere i tasti come una matta. Non ci ho messo moltissimo a scriverla, eppure
mi soddisfa più di tante altre che ho scritto. Strana la vita, eh?
Un bacio,
La vostra
Strato.