Ti sto osservando da qualche
minuto.
Sei davvero carina, sai
tesoro?
Hai qualcosa di speciale
mentre sfogli annoiata le pagine del libro di storia.
Hai una mano appoggiata al
mento, che sorregge la testa, che, ne sono sicuro, altrimenti cadrebbe sul
banco, in preda al sonno.
Hai sempre amato la storia,
eppure oggi non sei attenta.
Come mai?
C’entra forse lui?
No, non forse. C’entra
sicuramente lui.
E’ sempre nei tuoi pensieri
ultimamente.
Ieri, quando hai risposto al
telefono, mi hai chiamato col suo nome.
Forse speravi fossi lui. Mi
dispiace, piccola.
Ero solo io.
Un raggio di sole si posa su
di te, giocando con le sfumature dei tuoi capelli, rendendoli prima biondi e poi
rossi, in una infinita alternanza di toni di colore.
In realtà i tuoi capelli non
sono né biondi né rossi.
Sono castani, di un dolce
castano chiaro che non ho mai visto su un'altra testa prima d’ora.
Ma in quel castano ci sono
tutte le sfumature del rosso e del biondo.
Non è un colore ben definito,
ma è un colore che io adoro.
Mi ricorda tantissimo te,
piccola mia.
Non sei definita.
Non ti saprei descrivere in
una sola parola, come chiedono quei test sui giornali da adolescenti che leggi
tu quando sei giù, alla ricerca di una tecnica che ti permetta di conquistare il
tuo lui di turno.
So che poi non ne segui
nemmeno una. Non ne saresti capace.
Non hai tecniche
tu.
O meglio, le hai, ma sono
tue.
Sono le cose che
conquisterebbero te, i modi dai quali vorresti venir rapita.
E così scuoti leggermente la
testa, spettinandoti i lunghi capelli, giochi con le parole, sorridi leggermente
guardando il ragazzo che ti piace, ti preoccupi per lui se lo vedi anche in una
minima difficoltà, ci giochi innocentemente.
Ma non sembra funzionare,
almeno a quanto dici tu.
E per chi dovrebbe
funzionare, mi chiedo io.
Per lui, per l’ennesimo
stronzo che ti farà piangere?
O per quello che ti bacerà e
poi ti lascerà sola?
No, piccola, non ne vale la
pena.
Non vale la pena soffrire per
loro.
Loro che non ti vedranno mai
per come sei davvero, che non ti apprezzeranno mai fino in fondo.
Che non ti ameranno mai come
ti amo io.
Loro non noteranno mai quei
piccoli nei che hai ai lati del naso, quasi simmetrici, quella voglia di latte
che hai dietro la schiena, la dolce ondeggiatura dei tuoi capelli dopo che li
hai legati.
Lo stai guardando di
nuovo.
Lo guardo anche io, seguendo
il tuo sguardo.
Cosa ha di tanto speciale,
tesoro?
E’ solo un ragazzo come un
altro.
Alto, forte, col viso pieno
di foruncoli e la schiena sempre curva.
Non è particolarmente bello,
sei tu la prima ad ammetterlo.
E allora perché soffri così
tanto?
Sospiri piano, quasi
impercettibilmente, mentre la campanella suona e le pagine del tuo libro
terminano di essere girate.
Ti alzi e mi raggiungi vicino
la finestra.
" Mi annoio da morire " mi
dici.
Io no, piccola, io no.
Quando ti guardo non mi
annoio mai.
Sei uno spettacolo in
continuo movimento.
Mi dai un bacio sulla
guancia, mi abbracci e resti per un po’ stretta a me.
Mi piace il tuo
profumo.
Sa di fragola.
Ma non è dolce, quella
fragranza talmente dolce che a lungo da fastidio.
E’ solo un leggero aroma di
fragola che sale verso le mie narici, entrandomi in testa.
Torni a posto.
E’ entrata la professoressa
di matematica.
Tu odi la matematica, hai
scelto il liceo scientifico solo perché non volevi svegliarti tutte le mattine
alle sei per prendere l’autobus del liceo classico.
Lo sa questo lui?
Io non credo.
Eppure tu dici di
amarlo.
Ne sei sicura
tesoro?
So che stai soffrendo tanto
per lui.
Lui che non ti guarda, lui
che è sempre gentile con te, anche dolce a volte.
Lui che non vuole niente più
di una semplice e normale amicizia.
Lui che guarda la tua
amica.
Povera piccola
mia.
Lo stai di nuovo guardando.
Non piace nemmeno a lui la
matematica.
O si?
Non lo so, e non lo ricordi
nemmeno tu, sono sicuro.
E a me piace la matematica
tesoro?
Certo, e lo sai
benissimo.
"Cosa ha lei più di me?" mi
chiedi a volte.
Non lo so, piccola, non lo
so.
Forse è più bella di te,
forse è più simpatica o più intelligente.
Non lo so.
So solo che lei non sarà mai
come te.
Non avrà mai il tuo castano
mescolato col biondo e col rosso, il leggero aroma di fragola, i due nei ai lati
del naso.
So solo che ti sto guardando,
e che mi piace il modo con il quale scrivi le formule che tanto odi.
*
Ti sto aspettando fuori casa
tua.
E’ un bel sabato di maggio,
ti stai preparando per uscire.
Mi hai chiesto di fare una
passeggiata prima della mia partita.
La vieni a vedere, come al
solito.
Gioca anche lui nella mia
squadra.
E’ bravo.
Non capisci assolutamente
nulla di basket, lo so, ma il fatto che lui sia bravo ti è saltato subito
all’occhio.
Anche io sono bravo, e tu lo
sai.
Non capisco perché ti piaccia
tanto venir a vedere le mie partite.
Dici che ti
diverti.
Ma come?
Forse in realtà vieni solo
per vedere lui.
Esci dal portone, in ritardo
come al solito, bella come sempre.
Da quando ti piace lui hai
smesso di indossare quelle maglie particolarmente scollate che indossavi fino a
qualche tempo fa.
Sai che a lui piacciono le
ragazze semplici.
Hai fatto bene.
Piaci di più anche a me,
così.
Non capisco perché le
mettevi, prima.
D’accordo, erano belle e ti
stavano bene, e non scadevi mai nel volgare, ma non erano per te.
Non era il tuo stile, e si
notava.
Dici sempre che con o senza
scollatura non ti si nota lo stesso.
Poco importa, vorrei
risponderti.
Tanto a me piaci lo
stesso.
Hai un rossetto scuro oggi, a
metà tra il rosso sangue e il marrone.
E’ bello, ti sta
bene.
Vedo che hai messo la
maglietta che mi piace tanto.
Quella blu notte, di stoffa
leggera, che sembra seta.
Semplice.
Diversamente da te
.
Non sei una ragazza semplice,
per certi aspetti.
Sei complicata, complicata
come solo le donne sanno essere.
Insicura ma decisa, simpatica
ma acida, forte ma debole, calma ma irrequieta, permalosa ma col senso
dell’umorismo, bastarda eppure dolce.
Una contraddizione
vivente.
La mia contraddizione vivente.
Mi stai parlando di qualcosa
che non afferro molto.
Forse di nuovo di
lui.
No, non credo.
Annuisco, solo per darti
l’impressione di stare ad ascoltarti.
Mi sono perso nei tuoi
occhi.
Grandi, scuri, color caffè
con appena un accenno di cioccolata.
Belli.
Li hai sottolineati ancora di
più colla matita nera, rendendoli ancora più scuri e profondi di quel che sono
realmente.
La metti sempre la
matita.
Sono tra i pochi che ti hanno
visto senza matita.
Ora devo andare
piccola.
Ti saluto, dicendoti che ci
vedremo dopo.
" Ok, a dopo "
Poi mi chiami, mentre io ho
iniziato ad allontanarmi.
" Buona fortuna!"
urli.
Ne sono sicuro, lo hai fatto
apposta.
Sventoli una mano,
salutandomi ancora.
Che farai prima che inizi la
partita?
Uscirai con le altre,
forse.
Con le tue amiche.
Non potresti stare senza di
loro.
Hai molto più bisogno di loro
che di me.
Eppure so che spesso, troppo
spesso, le cose non vanno come dovrebbero.
Forse non hanno ancora capito
che sei fragile, tesoro mio.
Non sei come i giunchi, che
sotto il vento della tempesta si abbassano e poi si risollevano quando torna la
calma.
Tu sei la quercia.
Dura, forte,
impassibile.
Ma che prima o poi si
spezza.
Alla lunga ti spezzerai anche
tu.
Vedi?
Lungo il tuo tronco ci sono
già molte sottili incrinature.
Non reggerai ancora per
molto, piccola.
Sei già crollata altre volte,
ma poi in un modo o nell’altro sei tornata.
Ma forse la prossima volta
potresti non farcela.
Io me ne sono accorto, ma gli
altri?
Forse sarebbe ora che la
smettessero.
Non sei l’unica da poter
prendere in giro, da disapprovare.
E’ vero, spesso fai cosa che
persino io stento a capire, ma non per questo ti voglio meno bene.
Sei strana piccoletta.
Forte, forte, e ancora forte,
ma quando arrivi a un punto di rottura crolli come un misero castello di
carte.
E ultimamente lo vedo
piuttosto instabile il tuo castello.
E’ per colpa sua?
Per colpa loro?
Per colpa di chi?
Parlami, piccola, raccontami
cosa ti turba.
Poggia il capo sul mio petto,
come fai sempre quando cerchi conforto, e piangi, fin quando rimani senza
lacrime.
Piangi piccola.
Sfogati.
E dopo sorridimi, con quel
tuo sorriso lacrimoso che hai sempre dopo aver pianto.
Asciugati gli occhi,
controllando che la matita non sia sbavata.
So che lo fai solo per
lui.
Se dovessimo essere su un
isola deserta, io e te soli, sperduti in mezzo all’oceano, non ti preoccuperesti
della matita.
Ma lo merita tutto questo,
lui?
Merita il tuo
amore?
Spero di si.
Spero solo che le tue lacrime
valgano qualcosa.
Come valevano per l’altro, un
anno fa.
Ti sei incrinata di brutto,
quella volta.
E’ stato il tuo primo
amore.
Non ricambiato nemmeno di un
millesimo.
Ma non sei andata avanti, sei
rimasta ferma lì, nella tua sofferenza.
In un certo senso sei stata
coraggiosa.
Hai vissuto per un anno
intero fianco a fianco col tuo dolore.
Dolore che i tuoi amici non
hanno mai compreso del tutto.
Non eri stata insieme a quel
ragazzo, come potevi amarlo?
Non hanno capito che tu sei
capace di amare una persona, anche non conoscendone tutti i suoi
aspetti.
Amandone le piccole cose che
noti, che nessun altro nota.
Guardo il ragazzo di cui sei innamorata.
E’ qui, davanti a me, già con la divisa da basket.
E’ un bravo ragazzo.
Ma non ti ama.
Forse, tra qualche anno, potrebbe scoprirsi innamorato di
te.
Forse.
Ma, per ora, non lo è.
Lo è di quella tua amica sicura e determinata, col polso
fermo, che sembra compiere sempre la scelta migliore, o di quell’altra, che tu
non conosci, ma che sai essere bella, simpatica ed esplosiva.
E lo accetti, seppur soffrendo.
Tanto, mi dici, ormai ci sono abituata.
Sarai pure abituata, ma lo vedo che ci soffri.
Povera piccola.
Il mister chiama.
E’ ora di scendere in campo.
So già che ti troverò lì, seduta sugli spalti, in quella
posizione scomoda che odi, con le gambe accavallate e le braccia incrociate
davanti alla pancia.
E’ quasi rassicurante vederti sempre nello stesso
modo.
Eccomi. Sono in campo.
E tu sei lì.
Sorridi, non capisco se a me o a lui.
A entrambi credo.
Il tuo sorriso è gioioso, troppo per una semplice partita
di basket.
Lo devi amare proprio tanto, piccola mia.
*
Siamo sotto di dieci punti.
Sto correndo come un disperato da una parte all’altra del
campo, cercando di afferrare la palla, e con me tutti i miei compagni di
squadra.
A ogni nostro canestro loro ne fanno due.
Alzo lo sguardo, quel tanto che basta per non distrarmi ma
per poterti vedere lo stesso.
Eccoti lì.
Ti stai mangiucchiando le unghie delle mani, in preda al
nervoso.
Non sei preoccupata per la partita.
Onestamente, non te ne frega assolutamente nulla dei
playoffs.
Sei preoccupata per noi.
Non vuoi vederci stanchi e scoraggiati, stasera.
Vuoi vederci sereni e felici, pronti a ridere e a scherzare
come al solito.
Mi fa piacere questo, tesoro.
Anche io voglio essere felice.
Suona la fine del terzo tempo.
Il mister ci chiama, urlandoci addosso per i numerosi
errori fatti.
Non lo sto ascoltando.
Sono di fronte agli spalti, e ti sto ancora
guardando.
Parli con la tua amica, preoccupata dalle urla del mister,
o forse dallo sguardo che vedi sulle nostre facce.
Sulla sua faccia.
Non ti preoccupare, tesoro, lui non è un tipo che si
arrabbia facilmente.
Lotta fino alla fine, e se perde, pazienza.
Un po’ come fai tu.
Solo che tu non ti rassegni tanto facilmente a una
sconfitta.
Ritorniamo in campo.
Dieci minuti e potrò venire da te.
Farmi accarezzare sulla guancia e sentirti chiedermi come
sto.
E’ il momento che mi piace di più delle partite.
So che sarai contenta se vinciamo.
E allora facciamolo ragazzi.
La mia stella vuole vederci vincere.
Vinciamo per lei.
Conquisto la palla, finalmente andando a canestro.
Alzo lo sguardo verso di te.
Mi stai applaudendo insieme agli altri.
Ti sorrido.
I dieci minuti finiscono, e i dieci punti di distanza
anche.
Abbiamo vinto.
Mi precipito verso di te.
Scendi dagli spalti e sorridi piano.
Sei bella tesoro mio.
Il rossetto se ne è andato, la matita è leggermente
sbavata, i capelli appena arruffati.
E sorridi piano piano, senza scoprire i denti.
Mi accarezzi come fai sempre, e mi sussurri un "Bravo"
all’orecchio.
Poi ti rivolgi a lui.
Sorridi anche a lui, stavolta più allegramente, ma senza
carezzarlo.
Non lo tocchi mai, salvo qualche pacca sulla spalla o una
scompigliata di capelli, piccoli e taciti segni di ringraziamento.
Anche lui ti sorride, e poi si rivolge a lei.
Li guardi, mordendoti appena il labbro inferiore.
Stai male, eh, piccola?
Non li guardare. Girati verso di me.
Non soffrire così, te ne prego.
Gli occhi scuri ti si stanno riempiendo di lacrime.
No, tesoro, non piangere.
Non mi piace vederti piangere.
Ti prendo per un braccio e ti porto lontano da loro.
Appena spariamo dalla loro vista scoppi a piangere,
abbracciandomi all’improvviso, con tutte le tue forze, stringendoti alla mia
divisa ancora bagnata di sudore.
Forza, tesoro, forza…
" Non piangere…" riesco solo a sussurrarti, cullandoti
stretta nel mio abbraccio.
Non piangere…
" Meno male che ci sei tu…" bisbigli " Non
lasciarmi…"
" Sshh…" mormoro, continuando a stringerti nel mio
abbraccio.
Non che non ti lascio, piccola.
Non ti lascerei per niente al mondo.
Come potrei?
Sei la mia vita.
Sei l’unica cosa bella della mia vita.
E lo sarai sempre.
Mi lasci andare, staccandoti da me.
Ti asciughi gli occhi con la manica della tua felpa verde e
mi sorridi.
" Scusami "
" E di che? "
Ti allontani, dicendomi di andarmi a cambiare.
Torno subito, piccoletta.
Aspettami qui, non te ne andare.
Rimani lì, ferma vicino alla porta aperta dell’ entrata,
con i capelli appena mossi dal vento e gli occhi ancora rossi.
Non ti muovere.
*
Oggi non sei a scuola.
Cosa ti è successo?
Il tuo cellulare è spento, non rispondi al mio
messaggio.
Mi devo preoccupare, piccola?
Non salti mai la scuola, a meno che tu non stia proprio
male.
"In fondo- mi dici sempre- è l’unico luogo dove posso
vederlo tutti i giorni."
Lo capisco.
Anche io vengo a scuola solo per vedere te.
Per vedere il tuo dolce sorriso stanco della prima ora,
quando non riesci a star sveglia, per vedere l’aria fintamente partecipe della
seconda ora, per notare l’impazienza della terza, la tristezza della quarta, la
stanchezza della quinta.
Cambi di ora in ora, mutando il tuo involucro come fa un
piccolo bruco durante la muta, per poi trasformarsi in splendida
farfalla.
Ecco cosa sei: una splendida farfalla.
Piccola, bruttina e indesiderata prima della muta, poi
bella, elegante e colorata dopo.
Sei ancora in muta, tu.
Sei avvolta nel tuo bozzolo, attendendo la fine del
processo di mutazione in silenzio.
Arriverà il giorno in cui finalmente te ne libererai, il
giorno in cui tutti si accorgeranno che non sei altro che una splendida
farfalla.
E vorranno catturarti, infiggerti con uno spillone ed
attaccarti alla loro parete da collezione.
Ma tu non glielo permetterai, ne sono sicuro.
Volerai alta, librandoti nel cielo, impedendo la
cattura.
E sarai libera, piccola mia, libera come il vento in cui
nuoterai.
E ti perderò anche io.
Mi lascerai qui, sulla terra, semplice spettatore del tuo
primo volo.
Portami con te, tesoro.
Portami nel cielo, fammi attaccare a te.
Non sarò un peso, non noterai nemmeno la mia
presenza.
Resterò semplicemente lì, attaccato ad una delle tue grandi
ali, piccolo e invisibile testimone della tua vita da farfalla.
Il mio cellulare ha vibrato.
Hai risposto al mio messaggio.
Non sei malata. Sei solo molto stanca.
E’ da un po’ che lo sei, piccoletta.
Sicura che vada tutto bene?
E’ per lui?
Sei stanca di soffrire?
Mi dispiace…Non posso aiutarti stavolta.
Vorrei, ma non posso annullare il tuo dolore.
Quello puoi farlo solo tu.
Sta guardando il tuo posto vuoto.
"Cos’ha?" mi chiede.
Rispondo che stai male.
" Dille che mi dispiace "
Ecco. E’ dolce con chiunque.
Lo ami per questo?
Se è così allora hai fatto una buona scelta.
Mi manchi.
E’ strano non vederti seduta al solito posto, con le gambe
accavallate e il busto girato quasi completamente verso le tue amiche del banco
dietro.
Mentre intrecci i tuoi capelli, combinando un casino con le
varie ciocche e distraendoti dalla lezione.
Mi mancano i tuoi sorrisi tra un cambio d’ora e
l’altro.
Mi manca il dolce profumo di fragola che mi arriva
leggero.
Mi manchi punto e basta.
Come farei senza di te?
Dolce compagna, buona amica, insicura ragazza.
Piccola donna, ottima allieva, figlia ribelle.
Con le tue piccole manie, i tuoi mille dubbi, i tanti
interessi.
Con la tenera pigrizia, la fervida intelligenza, la
spiccata fantasia.
Con la tua rabbia distruttiva, la perenne malinconia,
l’incertezza costante.
Con la maturità troppo forte per i tuoi quattordici anni,
con la mentalità troppo diversa dalle altre.
Con i tuoi desideri semplici e complicati allo stesso
tempo, gli ideali utopici, le scelte difficili.
Sei perfetta così come sei, con tutti i tuoi
difetti.
Anzi, soprattutto per quelli.
Non cambiare mai, piccola mia, o ne morirei.
Resta sempre la mia piccola donna arrabbiata e già delusa
della vita.
Resta sempre ciò che sei.
E non badare a chi trova tutti i tuoi difetti, o a chi ti
giudica solo per come appari.
Sono solo gelosi.
Loro non saranno mai farfalle.
Tu si.
*
Piove.
Ti guardo, seduta sul mio letto, mentre giochi con un
vecchio cuscino.
Sei ancora triste.
Lo sa, vero?
Mi spiace piccola.
Non volevo farglielo capire.
Ma tu mi hai chiesto di parlargli, e io l’ho fatto.
Ovvio che lui abbia capito, tutto, è uno
intelligente.
Mi spiace, davvero.
Ma ha detto che ti reputa una grande amica, no?
E’ già qualcosa…
Ti vuole bene lo stesso.
Soltanto non è innamorato di te.
Innamorato…
Cosa significa sul serio "innamorato"?
Non ne ho idea.
Non so cos’è l’amore, nessuno lo sa.
Credo che per ogni persona sia diverso.
Per me cos’è?
Non lo so.
A volte è un uragano che ti travolge all’improvviso,
portandosi via tutta la tua razionalità, il tuo equilibrio, sconvolgendo i sensi
e la pace interiore con un solo sguardo.
Altre volte è lo sbocciare di un fiore, lento e
meraviglioso, risultato di interi anni di sguardi.
Può essere violento, passionale, bruciante o dolce, tenero,
delicato.
Non lo so.
Ma so cos’è il mio amore per te.
E’ la tristezza che provo guardandoti in questo momento,
quando sul tuo viso non c’è la minima traccia di un sorriso.
E’ la gioia che provo quando mi trascini in uno dei tuoi
stupidi giochi, o quanto ridi spensierata dopo aver detto qualche
cavolata.
E’ l’emozione che sento crescere quando mi abbracci, quando
mi sorridi o mi parli.
E’ la passione di quando scuoti i tuoi capelli, ben sapendo
che non li scuoti per me.
E’ tutto.
E tu?
Cos’è per te l’amore?
Una volta me lo hai detto, dopo l’ennesimo pianto di
sfogo.
" E’ sofferenza. E’ delusione. E’ dolore. Ma è allo stesso
tempo gioia. Felicità. Passione. E’ l’insieme di tutti i sentimenti del mondo.
E’ l’amore che ti corrode, che ti brucia, che ti manca fino a togliere il
respiro. E’ la tua aria, il tuo cielo, la tua terra. E’ quando sei pronta a
tutto per chi ami, persino a negare il tuo stesso amore per la sua felicità. E’
dolcezza. E’ rabbia. E’ tutto questo, e molto di più."
Sono d’accordo con te.
E’ quello l’amore.
E sono sicuro che è ciò che stai provando in questo
momento.
Dolore. Tristezza. Rabbia.
Lo sa, lo sa…Continui a ripetermi ininterrottamente.
Si, tesoro, lo sa.
Lo sa.
Ecco, brava.
Vieni più vicino a me.
Saprò consolarti se vorrai.
Mi stringi forte, più delle altre volte, degli altri
abbracci.
Ma non piangi.
Non ce la fai.
No, tesoro, non stringere così forte.
Mi fai male.
Ma si, che importa.
Fammi pure male, se serve a farti star meglio.
Stringi ancora più forte, se vuoi.
Fino a quando non ti sentirai di nuovo bene.
Così, brava.
Ti accarezzo leggermente i capelli, in un vano e misero
tentativo di conforto.
"Grazie "
Lo dici ancora con la bocca soffocata sul mio petto, il
capo appoggiato a me.
Prego piccola, prego.
Sono qui.
Ci sarò sempre, senza chiederti nulla in cambio.
Ho soffocato anche io il mio amore.
Per te.
Per la tua felicità.
Peccato che però tu non sia felice in questo
momento.
Torna a sorridere, amore mio, altrimenti il mio sacrificio
sarà sprecato.
Sorridi e sii felice.
Così, forse, lo sarò finalmente anche io.
Basta poco, lo sai, a rendermi felice.
Solo un tuo sorriso.
*
Cammini verso di me.
Sorridi finalmente.
Non è più un sorriso stanco, come quello che mi mostravi
ogni giorno da mesi a questa parte.
E’ un sorriso felice, allegro, gioioso.
Cosa è successo?
Cosa ti ha restituito il sorriso?
"Non è cambiato niente " mi dici, correndomi incontro e
abbracciandomi.
"Su cosa?"
"Siamo ancora amici "
" Tu e chi?"
"Come io e chi?Io e lui, ovvio!"
"Ah"
Ora ho capito.
Ecco cosa ti fa sorridere.
Avevi paura di perderlo anche come amico.
E invece non è successo…
Ma perché, avevi qualche dubbio a proposito?
Era piuttosto logico che sareste rimasti amici.
Non ti avrebbe mai allontanata per questo.
E’ un bravo ragazzo, lui.
Ti allontani da me, continuando a sorridere.
E’ bastato così poco per farti tornare felice?
Perché tu sei felice, vero piccola?
Lo sei davvero…giusto?
Sei vicino ai tuoi amici, lui è di fronte a te.
Ti guardo guardarlo di nascosto, con la coda
dell’occhio.
Non sorridi più.
Anzi.
Sei triste, come lo eri due giorni fa in camera mia.
No piccola, mi sono sbagliato.
Non sei davvero felice.
Stai fingendo, solo per mostrarti forte ai suoi
occhi.
Ma è solo una finzione…non ti senti affatto forte, e in
questo momento lo sei meno che mai.
Ma non ti preoccupare: non se ne è accorto.
Ti guarda, mentre tu hai girato lo sguardo, e poi distoglie
subito lo sguardo.
Cosa voleva?
Assicurarsi che tu non lo stessi guardando?
No..
Semplicemente vedere come stavi.
Non ti vuole far soffrire, me lo ha detto.
Ti vuole davvero bene.
Mai quanto gliene voglio io, vorrei rispondere.
Purtroppo non posso.
Nell’istante in cui ho scelto di esserti amico ho firmato
anche la mia condanna al silenzio.
E all’esilio.
Quale esilio?
Ma quello dal tuo cuore, ovvio!
Hai voglia di piangere, riesco a vederlo perfino da
qui.
Sai che non riuscirai a guardarlo facendo finta di niente
ancora per molto.
E infatti…
Ti scusi, dicendo che non ti senti bene.
Lui ti guarda scappare via, alla ricerca di un po’ di
pace.
Poi allontana lo sguardo, rivolgendolo di nuovo alle
persone con cui sta parlando.
Forse è l’unico lì in mezzo, oltre a me, che abbia capito
che non stavi davvero male.
O meglio, non male fisicamente.
O si?
In fondo l’amore fa male anche nel corpo.
Lo stomaco si contorce alla vista dell’amato, la testa
gira, le ginocchia tremano.
Il corpo pare ora in festa e ora in tumulto…
I sentimenti si tramutano in malessere, o in benessere, a
seconda dei casi.
So dove sei andata.
Vai sempre lì quando vuoi stare sola e piangere.
E infatti ti trovo lì, sul davanzale grande e spazioso del
bagno delle ragazze, dove arriva tanta aria fresca e non passa mai
nessuno.
Stai piangendo, con le gambe piegate al petto e il viso
nascosto dai capelli.
Mi avvicino a te, senza parlare.
Solo accarezzandoti, abbracciandoti e lasciandoti
sfogare.
Facendo come faccio sempre.
Non so perché, ma oggi non mi sembri tu.
Non riesco a riconoscerti in questa ragazza
sconfitta.
Perché è così che mi appari in questo preciso
istante.
Sconfitta.
Non debole, né triste, né arrabbiata, né in nessun altra
delle tue pose.
Solo sconfitta.
Ti sei arresa, piccoletta.
Me lo stai dicendo con gli occhi.
Spenti, vuoti, bagnati dalle troppe lacrime versate.
Annientata da tutto.
Ebbene, non sei più tu.
Tu, che sebbene fragile o delusa cercavi sempre di andare
avanti, di non spezzarti del tutto.
E non perché tu fossi coraggiosa o vogliosa di
vivere.
No.
Eri semplicemente spaventata dall’idea di lasciarti andare
del tutto.
Di chiuderti definitivamente in te stessa, di gettare
all’aria tutto il lavoro fatto.
Non sapevi come e dove saresti finita.
O, più semplicemente, non volevi mostrarti agli altri
sconfitta.
Ma oggi non è così.
Lo vedo.
Non ti interessa più farti vedere sconfitta, perché lo
sei.
Punto e basta.
E anche se volessi continuare a fingere, come hai fatto con
me poco fa, non ci riusciresti.
I tuoi occhi ti sono traditori.
Sono gli occhi di una persona sconfitta.
Cosa ti ha ridotto così, piccoletta?
Non dirmi che è solo colpa sua, non ti crederei.
D’accordo.
Non vuoi dirmelo.
Va bene, non importa.
Me lo dirai quando ti sentirai pronta.
Quando le lacrime avranno smesso di scenderti sulle guance
pallide.
Quando i tuoi occhi non saranno più spenti.
Quando tornerò a sentire il tuo profumo di fragola.
Quando vorrai tu, amore mio.
Ti aspetterò.
*
Cazzo.
Cazzo.
Ho voglia di una sigaretta.
Ho voglia di fumare.
Non riesco più a stare con le mani in mano qui fuori, senza
far nulla.
Perché mi hai fatto questo tesoro?
Perché?
Vuoi farmi ricominciare a fumare?
E’ questo che vuoi piccoletta?
Beh, scordatelo.
Non riuscirai a farmi cedere.
Eppure ne ho voglia…tanta voglia.
Oh, al diavolo.
Fanculo a tutto.
Ne accendo una.
Ahhh…
Finalmente.
Non ne potevo più.
Lascio che il fumo mi invada i polmoni, andando a
impregnare i miei vestiti e la mia bocca.
La finisco, ed entro nella tua stanza.
Ti osservo, stesa a letto.
In quel lettino troppo piccolo per te, troppo
stretto.
Perfino troppo bianco.
Non ti sono mai piaciuti gli ospedali, lo so.
Cosa dirai quando, svegliandoti, ti troverai qui?
Beh, sarai senza dubbio stupita.
O forse no.
In fondo, lo hai voluto tu.
Non ci riesci a non combinare stronzate, vero?
Cosa ti avevo detto?
Mangia, che sennò finisce male.
Macchè.
Figuriamoci se mi sei stata a sentire.
Piccola dolce stupida.
Sempre a cacciarti nei guai…
Sei ancora pallida, tesoro.
Sembri quasi confonderti tra le lenzuola bianche.
Assomigli a una piccola farfalla bianca, dopo esser stata
appesa alla parete.
Mi avevi promesso che non ti saresti fatta
appendere.
Mi hai mentito allora.
Perché è proprio quello che hai fatto.
Sento quasi la tua voce squillante che mi risponde: " Ma
come? Mi sono auto-distrutta pur di non farmi catturare e tu cosa mi dici? Che
mi hanno appesa lo stesso!"
Già…
Ma forse non avevi capito che quando io ti parlavo di
fuggire non intendevo fuggire da te.
Perché è quello che hai fatto.
Sei fuggita da te stessa.
La tua sconfitta è stata cruda e spietata.
Grazie a Dio non irreversibile.
Ti ho trovata appena in tempo, poco dopo che eri caduta
dalla scala.
L’hai combinata piuttosto grossa stavolta.
E non so se questa riuscirò a perdonartela.
Piccoletta mia…
Ti vedo così fragile in questo letto d’ospedale.
Così indifesa.
Le tue amiche sono appena andate via.
C’era anche lui con loro.
E’ stato dolce a venirti a trovare, non trovi?
Molto dolce.
Mi hanno visto giù in cortile, e mi hanno abbracciato,
tutte insieme.
Evidentemente sanno che mi sento perso senza di te.
Quanto hanno ragione…
Mi sento davvero perso senza la mia stella.
Guarisci presto amore mio, più presto che puoi.
Fammi tornare a guardare il tuo sorriso, che ormai non vedo
da troppo tempo.
Fammi riosservare il sole sui tuoi capelli, fammi risentire
la tua risata argentina.
Fammi tornare a odorare i tuoi capelli, ad accarezzare il
tuo capo stretto al mio petto.
Torna da me, angelo mio.
Torna da me, amica mia.
*
E’ estate ormai.
Un dolce tramonto spunta all’orizzonte, andando a mescolare
rosso e oro.
I grilli cantano piano, le cicale friniscono appena.
Fa caldo persino qui in giardino, all’ombra della quercia
di tuo nonno.
Il vento c’è, ma è un vento di scirocco, caldo e
soffocante.
Sei semi-sdraiata su una sedia a sdraio, e stai cercando un
po’ di refrigerio in un bicchiere pieno di cubetti di ghiaccio.
I capelli ti si sono appiccicati alla fronte sudata,
arricciandosi appena.
La maglietta grigia e corta che porti è zuppa di
sudore.
I pantaloncini sono cortissimi, ma non riescono lo stesso a
farti sentire più fresco sulle gambe.
Quanto sei dimagrita in questi ultimi mesi…
Dalle tue curve piene e prosperose sei passata a delle
sottili curve appena accennate.
Non puoi più mettere le tue famose maglie scollate.
Hai riso quando te l’ho detto.
Ridi a tutto ultimamente.
E’ bello sentirti nuovamente ridere.
Anche se per ridere hai dovuto pagare un caro
prezzo.
Beh, non ha importanza ormai.
E’ finito tutto.
O almeno lo spero.
Quando sei uscita dall’ospedale hai trovato lui ad
accoglierti.
Gli hai sorriso, lo hai abbracciato e poi sei venuta da
me.
Sono rimasto a bocca aperta mentre abbracciavi anche
me.
Quando l’avevo visto lì fuori avevo pensato che saresti
stata talmente felice che non mi avresti nemmeno visto.
E invece no…
Ci hai preso entrambi sottobraccio, facendoti scortare fino
alla macchina.
Poi hai sussurrato che non si sarebbero potuti desiderare
due cavalieri migliori.
Ci hai di nuovo abbracciati, e sei sparita dentro la
macchina dei tuoi.
La sera ti ho chiamato.
Ti ho chiesto se ti aveva detto perché era venuto.
Mi hai risposto che non avevi bisogno di spiegazioni: era
lì semplicemente perché era un tuo amico e ti voleva bene.
Sei maturata tanto in questi mesi.
Stento quasi a riconoscerti.
Sei sempre la mia piccola stella, più bella e più dolce che
mai, ma sei cresciuta.
Quanto sono state la tua insicurezza, la tua delusione, la
tua rabbia a mandarti in quello spaventoso ospedale, tanto la tua caparbietà e
la testardaggine ti hanno tirato fuori.
Credo che ormai tu abbia imparato ad accantonare le prime e
a utilizzare le seconde.
Ma nonostante questo non hai perso quella sottile vena
malinconica e insicura che io tanto amo.
Mi sono sentito davvero perso in questi mesi.
Come se non ci fosse più nessuna ragione di restare qui, se
non quella di venirti a trovare ogni giorno, portandoti ogni giorno fiori e
incoraggiamenti.
Avrò comprato tutti i tipi di fiori esistenti sulla faccia
della terra.
Rose, margherite, tulipani, girasoli, fresie, violette,
gelsomini.
E poi ancora narcisi, campanule, mughetti, ciclamini,
bocche di leone, garofani.
Ogni giorno che passava un fiore diverso adornava il tuo
letto bianco.
E poi, finalmente, in una mattina di giugno, mi hai
chiamato, dicendomi di venire subito.
Ti dimettevano.
Non sai quanto sono stato felice, tesoro.
La mia stella tornava da me.
E tornava più bella che mai.
I tuoi capelli erano di nuovo lucidi e sfumati dal sole, le
tue labbra erano distese in un sorriso rilassato, il tuo aroma di fragola mi
solleticava di nuovo le narici.
Eri lì, davanti a me, di nuovo mia.
Mia.
Mia.
Ho continuato a ripeterlo all’infinito dentro di me, mentre
ti stringevo forte forte, come se avessi paura di perderti di nuovo.
Non andare più via amore.
Resta qui con me per sempre, fino alla fine.
Non sopporterei che tu te ne andassi di nuovo.
Ho bisogno di te.
Ho bisogno solo di te.
*
Siamo soli a casa.
Le persiane di tutte le finestre sono abbassate, lasciando
passare solo gli ultimi raggi di sole del tramonto.
La casa è silenziosa e in penombra.
Fa caldo tesoro, un caldo mai visto prima.
Mi hai trascinato in casa, prendendomi per mano e
sottraendomi alla frescura del giardino.
Cosa c’è?
Perchè tutta questa fretta?
Perché tutto questo silenzio?
Che succede?
Te lo domando, ma tu impassibile, mi fai cenno di stare
zitto e di continuare a seguirti.
Stiamo attraversando tutta la casa, fino ad arrivare in
camera tua.
Buia, come il resto della casa.
All’improvviso mi abbracci, stringendoti a me fino a farmi
mancare il respiro.
Il tuo vestitino corto e grigio si attacca alla mia
maglietta bianca, tanto è il sudore che ci bagna entrambi.
Cosa vuoi fare tesoro?
Continui a stringermi, ma allentando un po’ la presa.
Poi sollevi una mano, andando ad accarezzarmi il
viso.
Sorridi, leggermente divertita dalla mia espressione
stupita.
Che stai facendo piccoletta?
Provo a domandartelo, ma mi tappi la bocca con una
mano.
Questo è troppo.
Mi stai mettendo a dura prova, lo sai vero?
Il tuo palmo umido non accenna a lasciare le mie labbra,
mentre l’altra mano continua ad accarezzarmi il volto.
Poi, lentamente stacchi la mano dalla mia bocca, e la porti
tra i miei capelli.
Avvicini la bocca alla mia guancia, e lì mi baci,
lentamente.
Presto le tue labbra scendono lungo la pelle del mio
collo.
Mi baci lì a lungo, mordendomi piano, assaggiando la mia
pelle.
Sono bloccato qui in piedi, in balia di te.
Completamente ghiacciato.
Che vuoi fare, eh?
Dimmelo, perché non riuscirò a trattenermi ancora per
molto.
Se continui così non so per quanto ancora resterò il tuo
migliore amico.
E, credimi, non vorrei mai fare qualcosa che ti faccia
soffrire.
Quindi smettila, piccoletta, prima che sia troppo
tardi.
Ora basta giocare.
Ma tu ridi alle mie obiezioni, dicendo che è proprio quello
che vuoi.
Cosa?
Ho capito bene?
Vuoi…vuoi che io…
Cosa vuoi?
"Che tu mi baci"
Ti guardo, pietrificato.
Stai scherzando sicuramente.
Non è possibile che tu…
"Mi ami?" ti chiedo, stupito.
Ridi ancora, e la tua risata cristallina echeggia per la
stanza.
Divertita.
"Oh, no! Certo che no! Ma cosa vai a pensare?!" rispondi,
sorridendo maliziosamente.
"E allora perché vuoi che io…che io…"
" Che tu mi baci?"
Annuisco in silenzio, più incredulo che addolorato.
"Perché sono stufa. Perché mi annoio. Perché è un
pomeriggio noioso. Per nessuna ragione in particolare"
Ma cosa stai dicendo?
Ti rendi conto di come parli?
Di cosa dici?
Questa non puoi essere tu, amore mio…
Non posso accettare una richiesta del genere.
Io ti amo sul serio, possibile che tu non l’abbia ancora
capito?!
" Oh, avanti, so che lo desideri…Baciami, e poi
dimenticheremo questa faccenda"
Non puoi chiedermi di baciarti e poi di dimenticare tutto,
piccola.
Non puoi.
Baciarti è il sogno della mia vita, non posso certo
considerarlo solo una voglia passeggera come invece stai facendo tu.
Perché è questo che stai facendo, no?
Solo giocando.
Beh, mi spiace, non ti permetterò di continuare.
Non puoi giocare anche con me.
Io non sono come quegli stronzi.
Io sono il tuo migliore amico.
Io ti amo, cazzo, possibile che tu non riesca a
capirlo?
Non puoi fare così…non puoi porca puttana!
Lo capisci?
Non puoi…
Ti guardo.
Hai le labbra rosse e umide, leggermente socchiuse.
Gli occhi languidi, fortemente sottolineati dalla matita
nera.
Le guance arrossate, i capelli sciolti lasciati liberi
sulle spalle.
Una spallina del tuo vestito si è abbassata, scoprendo una
bianca spalla, non ancora abbronzata.
Ti ho visto così bella solo un’ altra volta.
Era un pomeriggio di gennaio, e tu mi stavi aspettando
vicino casa mia.
Si era messo a piovere all’improvviso, ma tu non avevi
l’ombrello.
Non volevi andarti a riparare, ti piaceva restare sotto
l’acqua scrosciante.
Sono arrivato con alcuni minuti di ritardo, quando ormai
aveva smesso di piovere, e ti ho visto lì, bagnata fino all’osso del
collo.
Ti eri tirata sulla testa il cappuccio della tua felpa
nera, ma non era servito a non far bagnare i tuoi splendidi capelli, che ormai
gocciolavano sulle spalle.
Eri pallida in volto, probabilmente febbricitante.
Il sole, appena spuntato, ti illuminava alle tue spalle,
colorandoti di luce viva.
Le labbra erano distese in un sorriso, più luminoso del
sole che ti faceva brillare.
Eri bella esattamente come adesso.
Sei ancora qui, in piedi di fronte a me, con una mano sul
mio viso e con i tuoi scuri ancora puntati nei miei.
Per un attimo la mia volontà vacilla.
Sei davvero bellissima amore.
Degna delle Veneri più belle di tutti i tempi.
Passo un braccio attorno alla tua vita, posando gli occhi
sulle tue labbra rosse.
Quanto desidererei sapere che sapore hanno…
Ma non posso.
Non posso farlo.
Sono solo a pochi millimetri dalla tua bocca, quando smetto
di avvicinarmi.
Mi spiace tesoro.
Ma la nostra amicizia è più importante.
Non vale la pena sprecarla per un pomeriggio di
noia.
" Non posso farlo. Scusami " ti dico, staccandomi
definitivamente da te.
Non sembri capire il perché.
Non posso dirtelo.
Non posso fare neanche questo.
Scusami amore mio, se sei capace di farlo.
Scusa, ma non posso.
Anche se vorrei.
Lo vorrei più di ogni altra cosa al mondo.
Credimi.
*
Sono passati quattro anni da quel pomeriggio di
agosto.
Siamo andati avanti.
Siamo cresciuti.
E sappiamo tutti che a volte, crescere vuol dire
separarsi.
Siamo ancora amici piccoletta, non c’è dubbio, ma è
cambiato tutto da quell’estate.
Sei diventata una donna ormai, non puoi più perdere tempo a
poltrire in giardino con me.
E’ ora di comportarsi da donna.
Ti sto guardando da lontano, seduto su una sedia fuori
dall’ aula.
Oggi abbiamo dato l’ultimo esame di maturità.
L’orale.
Non ti ho ancora chiesto come è andato, ma non ne ho
bisogno.
So per certo che sei andata splendidamente.
Stai parlando con lui adesso, e sorridi apertamente.
Già, proprio lui, lo stesso lui che è venuto insieme a me
quattro anni fa, a prenderti fuori dall’ospedale.
State insieme ora.
Ricordo perfettamente quando vi siete fidanzati.
Era una mattina di ottobre del terzo anno, una mattina di
sole e di vento.
Sei venuta da me, dopo l’intervallo, correndo quasi.
Mi sei saltata al collo, come non facevi da tanto
tempo.
Sei scoppiata a ridere, felice, e mi hai urlato che stavate
insieme.
" Tu e chi?" ti ho chiesto, preso alla sprovvista.
" Come io e chi? Io e lui!"
Lui.
Lo stesso lui di due anni prima.
Lo stesso lui di due anni dopo.
L’hai amato per cinque anni, tesoro.
Cinque lunghi anni.
Esattamente gli anni dai quali ti amo io.
Hai ucciso il mio cuore quella mattina d’ottobre.
Lo hai spezzato in mille piccoli pezzi, che non sono più
tornati al loro posto.
E sai perché?
Perché io mi ero illuso.
Da quel pomeriggio noioso d’agosto.
Avevo covato, dentro di me, nel profondo della mia anima,
la segreta convinzione che tu mi amassi.
Che prima o poi, nel corso del tempo, saresti venuta da me,
e mi avresti confessato che eri innamorata di me.
Ci credevo sul serio.
Non riuscivo ad accettare che in realtà, quel pomeriggio di
noia era solo e semplicemente un pomeriggio di noia.
Mi fa ancora male il cuore.
Brucia ancora, mentre ti vedo abbracciata a lui, sollevata
sulle punte dei piedi, mentre vi baciate delicatamente.
Quando vi staccate ti giri casualmente verso di me, e
sorridi teneramente.
Lo prendi per mano, e venite qui.
Sorride anche lui, salutandomi.
Mi chiedete come è andato l’esame, rubando le parole l’uno
all’altra, finendovi a vicenda le frasi.
Come una vera coppia.
Che sciocco.
Voi siete una vera
coppia.
Continuiamo a parlare, non dicendoci niente in
realtà.
Che brutta cosa, l’indifferenza.
Alla fine, per un attimo, mi sembra che tutto torni
indietro nel tempo.
Lui si allontana, tu ti chini su di me e mi baci sulla
guancia, accarezzandomi esattamente come facevi al termine di ogni partita di
basket.
Mi sono mancate le tue carezze.
Poi ti risollevi, e mi guardi serenamente, gli occhi scuri
fissi nei miei.
Sorridi ancora, e ti passi leggermente una mano sulla
pancia.
"Vienimi a trovare, quest’estate. Credo che ci sarà
qualcuno che ti vorrà conoscere. Questo bimbo avrà pur bisogno di uno zio, no?
Ci piacerebbe che fossi tu "
Guardo la tua pancia, dolcemente rotonda, ancora poco
evidente.
Sei incinta, amore mio.
Di un bambino.
Del suo bambino.
Del vostro bambino.
Annuisco piano, non riuscendo ancora a staccare gli occhi
dalla tua pancia.
"Puoi toccarla, se vuoi" mi sussurri.
Allungo una mano, quasi terrorizzato di poterti toccare il
ventre dove riposa tuo figlio.
Sei calda.
Ti accarezzo leggermente, quasi pauroso di farti del
male.
Sento qualcosa che si muove dentro di te.
Alzo di scatto lo sguardo, stupito.
Mi sorridi in maniera dolce, quasi…materna.
Molto diversamente da come mi sorridevi un tempo.
Ebbene, sono felice per te, piccoletta.
Finalmente hai trovato la tua strada.
Poco importa che ti porti lontano da me, dal mio
cuore.
Non mi interessa.
Mi sorridi ancora, gli occhi appena bagnati di
lacrime.
Sono lacrime di felicità questa volta.
Mi alzo in piedi.
Ti abbraccio.
Forse per l’ultima volta.
Mi stingi forte, come facevi tanto tempo prima, quando
avevi bisogno di conforto o di amore.
Sento la sua voce che ti chiama in lontananza.
Ti stacchi da me, tirando appena su col naso e asciugandoti
gli occhi.
Vai da lui ora.
Ti sta aspettando.
Sei sua ormai.
Un ultimo sorriso.
Un ultimo bacio.
Un ultima carezza.
Ti stai allontanando insieme a lui verso il portone, mano
nella mano.
E’ finita.
Sei sua ormai.
E io non posso fare altro che restare qui a guardare,
mentre l’amore della mia vita se ne va via da me, col figlio di un altro nel
grembo.
Rimango a guardarti fino a quando non scompari dietro una
curva.
Ho visto ancora una volta la luce del sole brillare sui
tuoi capelli.
Ho guardato un ultima volta il tuo sorriso.
Ho sentito l’ennesima volta il tuo profumo di
fragola.
Addio amore mio.
Sei lontana da me ora.
Lontana dal tuo migliore amico, colpevole solo di non
averti saputo confessare il suo amore.
E mentre salgo in macchina mi soffermo a pensare cosa
sarebbe successo se quel noioso pomeriggio d’agosto ti avessi baciata.
Forse ora saresti qui, in macchina con me, incinta di mio
figlio.
Forse.
O forse no.
Ti amo piccoletta.
E ti amerò per sempre.
Sarai sempre la mia piccola, dolce farfalla.
Il primo, vero amore della mia vita.
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