Nella vita d’un prode, valoroso e dignitoso uomo, prima o poi, arriva sempre
il momento in cui bisogna combattere.
Fondamentalmente non importa che tipo di battaglia è quella alla quale è
necessario prendere parte; che riguardi piccole o grandi cose, futilità o
questioni di vitale importanza, essa mantiene immutabile la sua bellicosa
natura d’arduo conflitto, in campo fisico tanto quanto in ambito
psicologico. La vita obbliga costantemente l’essere umano ad indossare i
panni di un guerriero impavido, armato d’una spada talvolta forgiata da
ammirabile raziocino, talvolta dal buonsenso, talvolta dal genuino coraggio,
talvolta dalla semplice forza fisica; sta al suddetto uomo, dopo, scegliere
il metodo con cui affrontare il proprio personalissimo scontro, come
utilizzare le armi in suo possesso, quale tattica adottare, quali necessità
anteporre innanzitutto. È da lui, solo ed esclusivamente da lui, che l’esito
della battaglia dipende. Non dall’oscuro volere di presunte divinità, non
dall’imperituro verificarsi di un fato che non può essere scampato. L’uomo è
artefice del proprio destino e, come tale, è in grado di vivere sapendo
contrastare gli eventi che lo travolgono quotidianamente.
O
almeno dovrebbe.
« GGGGGGGGGGGGHHHHHHEEEEEEEEEEE! ».
Un
rumore assordante simile all’acuto fischio della sirena di un antifurto
esplose improvviso nella casa, accompagnato subito dopo dal tonfo sordo di
qualcosa di particolarmente pesante che si sfracellava brutalmente al suolo.
Si udì un urlo di dolore, seguito da una sonora, irripetibile serie
d’imprecazioni, e poi più nulla oltre al vagito alquanto isterico di un
bambino che più che un pianto pareva la perfetta riproduzione sonora dell’Urlo
di Munch.
Accompagnato in sottofondo dalle incessanti urla tracimanti di disperazione,
Bardack si rialzò da terra offendendo selvaggiamente déi vari ed eventuali e
massaggiandosi sofferente il fondoschiena, sventurata vittima della sua
caduta dalla poltrona sulla quale si era bellamente assopito.
«
Maledetto marmocchio, giuro che lo mollo in un cassonetto! », ringhiò,
strizzando gli occhi per liberarsi dall’intontimento ancora presente per
l’improvviso risveglio. Si massaggiò distrattamente il collo e scoccò poi
un’occhiata truce al corridoio, dalla cui unica porta sulla destra proveniva
il fragoroso, implacabile pianto.
«
Pà’, Goku piange », bofonchiò Radish accoccolato tra i cuscini del divano,
ottenendo in risposta un’occhiata che definire irradiante
d’odio sarebbe stato un puro
e semplice eufemismo.
«
Grazie moccioso, non me n’ero accorto ».
Non
parve minimamente cogliere il sarcasmo, difatti si strinse nelle spalle e,
mormorando un “di niente”, tornò a guardare tranquillamente la televisione,
facendo ciondolare distrattamente la gamba oltre il bordo del divano e
allungando la mano per afferrare una patatina. Bardack ingoiò l’ennesimo
insulto – non fosse mai che suo figlio adottasse un linguaggio da
scaricatore di porto alla pura ed innocente età di cinque anni, per carità
–, e si avviò a lentamente verso la cameretta, digrignando i denti.
Le
urla di Goku crebbero d’intensità, cosa che lo costrinse ad aumentare non di
poco il passo. Non che fosse particolarmente preoccupato per il marmocchio –
Goku aveva l’innata, straordinaria capacità di non star male manco per
sbaglio, frignava solo ed esclusivamente per avere cibo in più o per
esternare il proprio estremo bisogno
di un cambio del pannolino –, voleva solo far cessare quelle urla sovrumane
prima che le sue orecchie potessero iniziare copiosamente a sanguinare.
Varcò la soglia della porta e, ancora prima di poter realmente constatare
l’insostenibilità o meno dell’odore permeante la camera, decise senza troppi
indugi di tapparsi il naso. Con quel flagello defecante in attività i suoi
sensi erano costantemente in pericolo, suo malgrado.
La
cameretta era immersa nella penombra, le serrande leggermente abbassate e la
luce spenta. L’unica fonte proveniva da una piccola lampada dalla forma
cilindrica che proiettava fiocamente sul muro antistante alcune figure
colorate. Al centro della stanza, posta sopra ad un tappeto sgualcito ed
attorniata da mobilia relativamente recente, vi era la piccola culla di
Goku. Il bambino si dimenava e scalciava come un matto al suo interno,
agitando furiosamente le braccia paffute verso l’alto in un indistinto
groviglio di lenzuola di cui non era ben identificabile né l’inizio né la
fine. La bocca era talmente tanto spalancata, intenta a far prorompere le
più tonanti grida possibili ed immaginabili, che sarebbe stato naturale
chiedersi se quel piccoletto avesse seriamente una mascella. Continuando ad
agitarsi istericamente, senza sosta e senza nemmeno azzardarsi a recuperare
un briciolo di fiato, afferrò il sonaglietto abbandonato al suo fianco e lo
scaraventò oltre le sbarre del lettino, facendolo finire con precisione
millimetrica dritto addosso al padre ed ottenendo di fargli accavallare
l’ennesima vena pulsante sulla tempia.
Bardack, imperturbabilmente
rabbioso, fece cadere il giocattolo a terra e si premurò di calpestarlo
un paio di volte, spezzando selvaggiamente il manico. Dopodiché aggrottò le
sopracciglia ancora più di quanto non avesse già fatto e avanzò, accendendo
la luce e raggiungendo in un paio di passi la culla, lo sguardo seccato ed
indolente di chi è consapevole di star andando incontro ad un’enorme, immane
seccatura.
Goku, troppo concentrato nel suo pianto per accorgersi di lui, continuò a
contorcersi disperatamente i preda ai singhiozzi, dando ampio sfoggio di una
mimica facciale mostruosamente elastica:
sbarrò gli occhioni lucidi e poi li strizzò energicamente, facendo colare
lungo le guance rosse come peperoni le grosse gocce salate, arricciò il
nasetto gocciolante e spalancò la bocca, così tanto che Bardack fu
seriamente convinto di riuscire a vedergli la punta dei piedi partendo dalle
tonsille.
Nel
frattempo, Radish aveva appena finito di mangiare l’intero pacchetto di
patatine, e si era tranquillamente alzato in tutte le più floride intenzioni
di andare a prendere pure l’altra confezione nascosta accuratamente in fondo
alla dispensa.
Alquanto irritato del fatto che un pidocchietto di cinque mesi non lo stesse
degnando di un solo, singolo sguardo, Bardack pensò bene di schiarirsi
rumorosamente la gola, abbandonandosi ad un artificioso colpo di tosse che
riecheggiò in tutta la casa. All’udire quel suono Goku fulmineamente
interruppe spaventato il proprio pianto, facendo scattare la testa a lato
della culla. La figura che gli comparve dinanzi si presentò vagamente
liquida oltre la patina di lacrime che ancora gli inondava gli occhi, ma fu
sufficiente intravedere la forma atipica dei capelli e le braccia
ferreamente incrociate al petto per riuscire a riconoscere il suo papà. Lo
fissò per qualche secondo, esortante, dopodiché incapace di trattenersi
riprese a piangere, tornando a dimenarsi come un polpo tra le lenzuola.
Bardack, il cui viso era ormai divenuto un unico fascio inquietante di nervi
e muscoli accavallati, rapido si premurò di afferrare il figlioletto per una
gamba paffuta e rossiccia come un salame, sollevandoselo sopra la testa e
lasciandolo ciondolare a testa in giù nel vuoto, in barba a tutta la
parsimonia e la delicatezza con cui un buon padre avrebbe teoricamente
dovuto tenere in braccio il figlio. A volte bastava davvero poco per farlo
smettere di frignare; Goku s’emozionava facilmente nella sua candida
innocenza, tanto che spesso era sufficiente farlo navigare un po’ in aria in
quella discutibile maniera per far brillare d’entusiasmo i suoi occhioni
neri come il petrolio e farlo scoppiare in una puerile, vivace risata.
Il
bimbo istantaneamente cessò il suo pianto, sbattendo le palpebre e
guardandosi curioso attorno. Bardack lo osservò annoiato, senza comunque
allentare la ferrea presa attorno alla sua caviglia.
«
Allora, hai finito di frignare? », chiese, fissandolo in quel modo
perennemente indispettito che gli era peculiare e che sembrava essere in
grado di intimidire qualsiasi interlocutore. In tutta risposta Goku lo fissò
per qualche istante, per poi esplodere di nuovo in un fragoroso pianto
confermando che no, quel
giorno farlo spenzolare nell’aria come un cotechino non sarebbe stato
sufficiente. Prese a dibattersi come un pesce fuor d’acqua in maniera così
energica e vigorosa che per poco non rischiò di cadere per terra e, onde
evitare di macchiarsi la fedina penale di omicidio colposo, Bardack veloce
lo depose nuovamente sul fondo della culla, contraendo così forte la
mascella che si poterono udire i denti scricchiolare. Appena toccò il
lenzuolo, Goku si ritrovò di nuovo avvoltolato dalla testa ai piedi come una
mummia.
Bardack si portò una mano al fianco – l’altra era ancora abilmente occupata
a tappargli il naso – e scoccò al figlioletto un’occhiata irritata,
sbuffando.
«
Piccolo moccioso piagnucoloso », soffiò tra i denti, scuotendo esasperato la
testa.
Le
urla di Goku gli stavano trapanando il cranio, e il sospetto sempre più
grande che fosse giunto l’infausto momento del cambio pannolino gli stava
facendo venir seriamente voglia di scappare dalla finestra. Nonostante
tutto, però, vi era un orgoglio da preservare, e Bardack alla fine pensò che
fosse meglio morire asfissiati piuttosto che infamarsi dandosela a gambe per
un cumulo abnorme di
materia fecale che probabilmente avrebbe steso pure un elefante.
Gemette infastidito e, abbassando le palpebre, levò lentamente le dita da
attorno il naso. Immediatamente, una zaffata d’aria che di tutto sapeva
fuorché rose di campo gli assalì brutalmente le narici, facendogli assumere
un colorito inquietantemente verdastro. Strinse i pugni e, annaspando,
scattò a chiudere immediatamente la porta della cameretta, onde evitare che
quel ripugnante odore si diffondesse in tutti i meandri della casa come un
gas tossico. Se doveva morire lì, perlomeno quell’essere inutile di Radish
sarebbe sopravvissuto. Piccolo bastardo ingrato.
Emise una sorta di ringhio gutturale e aprì poi velocemente la finestra,
infischiandosene altamente del fatto che le grida perforanti di Goku
avrebbero potuto dare un leggero fastidio
a tutto il vicinato. Tornò rapido a sporgersi oltre la culla e, dopo aver
fulminato il figlio con l’ennesima, fulminante occhiataccia prolungata, con
estrema sofferenza si accinse a togliergli il pannolino. Ebbe la netta
sensazione che, una volta slacciate le due aperture e lasciato il marmocchio
col sedere all’aria, gli fosse passata sotto al naso una tossica scia
verdastra, ma preferì caldamente accantonare quella visione senza stare
troppo a ponderarci su. Ne andava della sua sanità mentale.
Goku, intanto, non dava alcun segno di smettere di strepitare come
un’aquila.
«
Piantala di fare casino! », s’infervorò lui, andando a recuperare un
pannolino pulito dall’armadietto bianco poco distante, « Adesso ti cambio
questo maledetto affare, dammi un attimo di tempo! ».
Il
piccolino rispose con un “ghè” lamentoso seguito dal rumore sospetto di una
cospicua emissione di gas,
cosa che fece sbiancare Bardack più di quanto non avesse già fatto prima. Il
presentimento che quella cameretta sarebbe divenuta la sua tomba si fece
ancora più fervido nella sua mente.
Una
volta preso borotalco, salviettine umidificate, pannolino, asciugamano ed
armamentario vario ed eventuale, l’uomo fece scrocchiare con particolare
enfasi le nocche delle mani, ormai completamente indifferente al movimento
del tutto incontrollato a cui il proprio occhio destro si era abbandonato da
qualche minuto abbondante. Si annodò con particolare attenzione la sua
fascia rossa attorno ai capelli e, arricciatosi le maniche della maglia
lungo i gomiti, rapido si allungò ad afferrare un abbondante fascio di
salviette profumate.
Dopo una decina di minuti, Goku sfoggiava il culetto più bello e pulito del
mondo.
Bardack rimirò la propria opera per qualche abbondante secondo, le braccia
ai fianchi e un’espressione di stoica soddisfazione dipinta in volto,
volgendo al figlioletto uno sguardo esortante nella seria attesa che dalla
sua piccola bocca uscisse un realmente sentito “grazie”. Goku,
ovviamente, si limitò a pigolare qualche soddisfatto versetto di assenso
agitando i piedini all’aria, ma fu sufficiente.
Era
ora che veniva la parte complicata.
Bardack tentò di liquefare col potere dello sguardo il pacco di pannolini,
sul cui esterno spiccava un marmocchio dagli occhi azzurri grandi quanto due
fanali intento ad abbracciare spasticamente un enorme orso viola. Anche
Radish possedeva un pupazzo simile.
Tolse un pannolino dalla confezione, lo dispiegò schifato davanti al naso e
lo osservò trucemente, quasi come volesse cavargli le verità del mondo dalle
fibre biancastre con gli orsacchiotti stampati sopra. Chiunque, nel vederlo
conciato in quella maniera, con la scritta “Rude Boy” sulla maglietta e lo
sguardo tracimante d’odio per l’intero genere umano, sarebbe crollato a
terra agonizzando in un attacco di risate convulse.
«
Odio i bambini », ringhiò, afferrando bruscamente il figlio per le caviglie
e sollevandolo di poco, tanto quanto bastasse per porre sotto al suo
fondoschiena roseo e rotondeggiante il grosso pannolone imbottito. Goku
ridacchiò tutto contento, battendo le manine con travolgente entusiasmo.
Con
movimenti non propriamente sicuri e calibrati come avrebbero dovuto essere,
Bardack gli sistemò alla meno peggio il pannolino, accorgendosi poi con
estremo orrore di averglielo messo al contrario. Borbottando, i nervi
crepitanti e i denti digrignanti, glielo strappò di dosso e lo gettò
all’aria, recuperandone un altro. E così fece per più o meno un’altra
dozzina di volte, ritrovandosi alla fine con un abnorme strato di pannolini
sparsi sul pavimento e un
sederino all'aria che pregava d'essere imbacuccato prima che fosse troppo
tardi.
Fremendo di rabbia, fissò il faccino perplesso di Goku per qualche secondo,
sentendosi ferito nel profondo dall’occhiata tracimante di compassione che
gli parve di sentirsi addosso. Grugnì qualcosa di incomprensibile e per un
attimo gli balzò alla mente il pensiero di chiamare Radish e di farsi dare
una mano, elucubrazione che comunque si curò immediatamente di accantonare,
non potendo certamente farsi vedere in quelle vesti ignominiose da quel
cretinetto perdigiorno. Goku, notando che non succedeva più niente,
ricominciò a piangere di nuovo come un matto, scalciando e spandendo il
borotalco che aveva addosso da tutte le parti.
Bardack, sull’orlo di un imminente suicidio, decise di optare quindi per
l’espediente meno doloroso per il suo comunque già alquanto sbriciolato
orgoglio. Scattò verso il comodino in fondo alla stanza e in un movimento
fulmineo che avrebbe fatto invidia ad un ghepardo abbrancò il cordless,
quasi nel timore che potesse darsela a gambe da un momento all’altro.
Compose velocemente un numero e si portò la cornetta all’orecchio,
scalpitando e tentando di reprimere il proprio impellente desiderio di
afferrare Goku per una gamba e scagliarlo come un sacco di patate fuori
dalla finestra.
Dopo un paio di squilli, finalmente ottenne risposta.
«
Pronto? ».
Non
fu mai così felice di sentire la voce monocorde di Seripa in vita sua.
«
Passami Toma », bofonchiò, senza alcuna inflessione nella voce.
La
donna esitò per qualche istante, udendo chiaramente le urla feroci di un
bambino in sottofondo. Non le ci volle molto per comprendere la simpatica
situazione, ovviamente. Snudò i denti in un sorriso beffardo, portandosi una
corta ciocca di capelli corvini dietro all’orecchio.
«
Problemi col marmocchio? », chiese, con irritante nonchalance.
Bardack fece schioccare la lingua contro il palato, piccato. Per un momento,
o anche tre, ebbe voglia di strozzarla. « Figuriamoci! E adesso passami Toma
».
Seripa non replicò, limitandosi a scuotere la testa. Sconsolata, lanciando
un’eloquente occhiata al compagno che, dal divano, la osservava
interrogativo, gli porse il telefono. Il suo fidanzato aveva avuto
l’incommensurabile fortuna di ritrovarsi come migliore amico un misantropo
incapace persino di cambiare i pannolini ai propri figli, meraviglioso. Per
qualche oscuro motivo, comunque, nessuno di loro due aveva mai avuto
intenzione di troncare i rapporti con quello zoticone, nonostante tutto.
Toma strizzò un occhio in un automatico riflesso all’udire un improvviso
vagito tonante, abbandonandosi ad uno sconsolato sorriso bonario.
«
Ehilà » salutò, massaggiandosi distrattamente la nuca. In tutta risposta udì
un grugnito indistinto dall’altra parte della cornetta.
«
Ho problemi col marmocchio », spiegò Bardack molto pragmaticamente, intento
ad agitare distrattamente il residuo sonaglio davanti al musino in lacrime
di suo figlio. « Non mi ricordo come si mette il pannolino ».
«
Non so perché, ma lo sospettavo », commentò Toma, alzandosi con un pesante
sospiro dal divano. « Hai già messo la crema emoliente? ».
«
Ho già messo tutto quello che andava messo, ma questo demente non sta fermo!
», sbottò lui, irritato dal bambino che ora gli stava succhiando
disperatamente il dito riempiendolo di saliva e dal simpaticissimo tono
pedante con cui l’amico gli aveva appena rivolto la parola. Manco fosse un
minorato mentale, diamine.
Toma, dall’altra parte della cornetta, si strinse nelle spalle. « Anche se
mi appare piuttosto oscuro il motivo per cui tu non riesca ancora a mettere
un pannolino— ». Venne perentoriamente interrotto da Bardack, che stizzito
levò il dito dalla bocca di Goku, ottenendo come risultato un pianto ancora
più isterico del precedente.
«
Dimmi come si fa e basta! », ringhiò, fumando di rabbia e vergogna repressa.
Seripa osservò perplessa in direzione del suo compagno, notando che
improvvisamente si era allontanato la cornetta dall’orecchio con fare
sofferente.
«
Bardack, non c’è un granché da fare », mormorò, lapidario, « Devi
semplicemente far passare la parte imbottita sotto la schiena fino al
sedere, poi leghi le due estremità ai fianchi assicurandoti che tra esse e
la pelle ci passi almeno un dito, e ricordati di tenere le caviglie
sollevate ed evitare che si sfreghino— ».
«
Bene. Tanti saluti », replicò lui molto telegraficamente, sbattendogli il
telefono in faccia senza troppi indugi. Ignorando lo sconcerto interiore
causato all’amico con quel gesto privo di qualsiasi buona creanza, ritornò a
scandagliare il figlioletto ostentando un'ammirevole, diplomatica
imperturbabilità, tradita comunque dalle solite, onnipresenti venuzze
pulsanti che minacciavano di implodere da un momento all’altro.
«
Potrei sembrare calmo, ma sappi che ti ho già ammazzato tre volte, pidocchio
», disse con una smorfia scocciata, andando a recuperare un secondo pacco di
morbidi pannolini profumati con degli elefanti stilizzati stampati sopra.
Aprì il primo pacchetto e, ripetendosi mentalmente come in una litania le
coincise parole di Toma, riuscì miracolosamente ad infilare un pannolino al
proprio figlio come un comune mortale. Notò Goku arrestare il suo pianto ed
osservarlo curioso, le guanciotte particolarmente infuocate e gli occhioni
neri ancora lucidi. Soddisfatto per il proprio successo, Bardack incrociò le
braccia al petto e abbozzò sulle labbra un tronfio ghigno vittorioso.
«
Ecco fatto, femminuccia! », esclamò, rimboccandogli le lenzuola pulite e
dandogli un delicato colpetto sulla punta del nasino a patata. « Nemmeno
quella piattola di tuo fratello piagnucolava in questa maniera ».
Richiuse la finestra, spense la luce e, con un pesante e gutturale sospiro
di sollievo, fece per andarsene dalla camera, sbadigliando. Si preparò
psicologicamente alla pesante strigliata che avrebbe dovuto affibbiare a
Radish – come se non sapesse che quell’infame si fosse fatto fuori pure le
sue patatine! –, quando un’orrida percezione si fece strada nella sua mente,
facendolo sobbalzare sul posto: nell’esatto momento in cui ebbe varcato la
soglia della camera, difatti, il lento e fievole pigolio al quale si era
abbandonato Goku si tramutò improvvisamente in un assordante pianto
disperato, ancora una volta.
Bardack si voltò verso la camera e lo sguardo orripilato precipitò verso la
culla, il cui fagotto al suo interno aveva ripreso ad agitarsi e a tentare
di strozzarsi con le lenzuola attorno al collo. Goku era così rosso per il
pianto che pareva fosse in procinto di esplodere da un momento all’altro.
Sbatté
un paio di volte le palpebre, confuso. La perplessità dipinta sul suo volto
mutò gradualmente in un’espressione irritata, per poi passare
istantaneamente ad una maschera di pura esasperazione.
«
Che diavolo di problemi hai adesso?! », esclamò, avvicinandosi al lettino.
Goku subito protese le manine verso di lui, continuando a contorcersi tra le
lacrime e a tremolare come un budino.
«
Forse vuole essere preso in braccio », mormorò Radish, facendo
improvvisamente capolino da dietro alla porta.
Bardack lo guardò contrariato, corrugando le sopracciglia.
«
Prendilo tu, devo lavarmi le mani », disse severamente, deviando lo sguardo,
« Quest'odore di cacca mi sta dando il voltastomaco ».
«
Io credo che voglia te ».
Stavolta l’uomo tacque. La fronte s’increspò leggermente, e lo sguardo tornò
a posarsi indecifrabile sulla tenera figura del piccolino, che oramai privo
di energie lo guardava dal basso con liquidi occhioni tristi, assumendo
gradualmente un tono sempre più corrucciato. Per un attimo, ma solo per un
attimo, Bardack si sentì intenerito da quello sguardo. Deglutì e sbatté un
paio di volte le palpebre, grattandosi lentamente la punta del naso.
Radish lo osservò immobilizzarsi e decise di non disturbarlo, in attesa di
coglierlo in flagrante in un’atipica manifestazione d’affetto. Sorrise sotto
i baffi, consapevole che, nonostante tutto, il vecchio voleva loro bene.
Anche se quando si trattava di essere
affettuoso si ritrovava in
difficoltà del tutto discutibili.
Qualche istante più tardi, Bardack rilassò le spalle e sospirò pesantemente,
passandosi una mano sul viso.
« E
va bene, basta che questo marmocchio la smetta di frignare. Ma
solo per questa volta! ».
Allungò le braccia e lentamente afferrò Goku come se fosse fatto di
cristallo, portandoselo delicatamente contro il petto muscoloso.
Il
bimbo sgranò gli occhioni neri e fissò il suo papà lasciando che gli ultimi
lacrimoni gli colassero lungo le paffute guance arrossate, allungando le
manine verso di lui e afferrandogli faticosamente il colletto slabbrato
della maglia, stringendolo forte tra le piccole dita.
«
... Ah, finalmente hai smesso » sbottò Bardack, imbarazzato da quella
situazione. Dondolò il fagottino tra le braccia per un paio di minuti,
roteando gli occhi e augurandosi solo che quel tormento potesse concludersi
velocemente.
« Ta...tà! ».
«
Non mi chiamo “ta-tà”, cretinetto ».
Goku pigolò felice e si addormentò accoccolato tra le sue calde e forti
braccia nel giro di pochi istanti, sbavandogli sulla spalla.