Falling (prologo)
Salve
a tutti! Oggi inizio a pubblicare un progetto a cui sto lavorando da un
po' e che spero di riuscire a portare a termine senza stravolgere la
mia idea di partenza, prima di iniziare volevo ringraziare 1rebeccam, per il prezioso aiuto che mi ha dato e che continua a darmi, e samek che, come sempre, mi incoraggia e sprona a portare avanti nuove idee. Detto questo passiamo alla storia.
E' ambientata in un periodo non ben definito, ma sicuramente dopo i
primi episodi della quarta stagione, a cui però non ci sono
riferenze dirette.
Alternerò un capitolo nel "presente" ad uno nel "passato", in
modo da portare avanti la storia parallelamente e chiarire alcune
situazioni.
Ovviamente Castle non mi appartine, altrimenti non mi metterei di certo a scrivere fanfiction.
Ok, ho finito, quindi vi lascio alla storia. Buona lettura!
Falling
Prologo
Si,
erano stati a letto insieme qualche volta, ma niente di serio, o
almeno così pensava la detective. Era stato in quei momenti in cui
aveva bisogno di sentirsi amata, di capire che erano rimasti vivi
entrambi, che era successo.
Ne
avevano mai parlato? No. D'altronde non avevano mai parlato di molte
cose che erano successe tra di loro.
Voleva
parlarne? No, era più semplice così.
Era
come un tacito accordo tra di loro, si comportavano come se niente
fosse mai successo, o almeno lei faceva così, non poteva dire lo
stesso per lo scrittore, che più volte aveva cercato di portare il
loro rapporto ad un livello più alto, ottenendo un pugno di mosche;
non che lei non lo volesse, solo che era più forte di lei, quando le
cose si complicavano, scappava.
Certo,
non andava a genio neanche a lei questa situazione di amanti
occasionali, ma aveva bisogno di lui; magari se avesse avuto meno
paura non si sarebbe ritrovata in una situazione come quella in cui
era ora.
Odiava
le sale d'attesa, forse per via dell'aria triste delle persone che
aspettavano, o dei poster che illustravano i pericoli di alcune
malattie o il contatto con alcune sostanze, o forse per il semplice
fatto di dover stare lì, seduta, ad aspettare che accada qualcosa,
ma quel giorno nessuno di questi motivi era quello reale; le persone
che aspettavano erano felici, quasi tutte avevano dei bei sorrisi
stampati in faccia o chiacchieravano allegramente con la persona al
loro fianco, tutti tranne lei; lei non sorrideva e non aveva nessuno
con cui parlare, aspettava il suo turno in disparte, tentando di
resistere alla vocina dentro la sua testa che le diceva di alzarsi e
uscire da quel posto. Continuava a ripetersi che era l'unica
soluzione, la sua unica possibilità e che doveva farlo, ma in verità
sapeva bene che non era così, che avrebbe potuto escogitare un altro
piano, che aveva altre opzioni; certo, avrebbe dovuto rinunciare a
una parte della sua vita, ma così non stava facendo lo stesso?
Avrebbe potuto trovare un altro lavoro, persino cambiare città, ma
ciò avrebbe significato perdere i suoi amici, che negli ultimi anni
erano diventati come una famiglia per lei. Finalmente l'infermiera
chiamò il suo nome ed entrò nella sala d'esame.
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