Gocce
di Sherry
INCERTEZZE
Migliaia di fiori gialli che si voltavano a guardare il
sole. Migliaia di esseri senza mente che amavano essere baciati dalla luce di
quella sfera incandescente. Erano gialli, come il sole. Erano grandi, erano
alti, erano belli. La facevano sentire piccola, la proteggevano. Una ragazza dai capelli castani stava
distesa, immobile, riparata da quegli steli verdi alti quasi quanto lei. I
raggi del sole non riuscivano a penetrare oltre quei fiori, non riuscivano a sfiorare
la sua pelle. Lei era lì, al fresco, nonostante il caldo terrificante. Sì,
faceva caldo, ma lei non lo sentiva.
Era tutto diverso in quel campo di girasoli. Si sentiva come
in trance, come se la sua anima si fosse liberata dal peso inutile del corpo e
da quello ben più gravoso della stanchezza. Era libera da tutto. Nessuno
avrebbe mai potuto trovarla. Se non ci riusciva nemmeno il sole da lassù, come
avrebbe potuto il resto del mondo scovare il suo nascondiglio? Aprì gli occhi
azzurri, come a voler confermare di essere ancora viva. Si sentiva troppo
leggera per essere davvero ancora viva.
Ma attorno a lei tutto era reale. Respirò l’aria a pieni polmoni. Anche
quella era reale: era ancora viva.
Ma chi era, lei? Non ricordava il suo nome. Non sapeva cosa
ci facesse lì, né da dove venisse. Chi era lei? Si sentiva una bambina ancora
troppo piccola per capire appieno il mondo là fuori, ma già troppo grande da avere
qualcosa da ricordare. Che strana sensazione. Alzò leggermente il capo, per
guardarsi attorno. Per guardare il suo corpo, per vedere chi era. Le mani erano
troppo forti per essere quelle di una bambina, il seno troppo sviluppato, le
gambe troppo lunghe. Quel camice bianco che portava era troppo grande per poter
contenere il corpo di una bambina. No, lei era una ragazza. Era se stessa, in
un mondo in cui nessuno avrebbe potuto nuocerle. Stava sdraiata sul terreno
morbido di un campo di girasoli, dove non esistevano né dolore né sofferenza.
Avrebbe potuto vivere, finalmente, vivere come se stessa.
Una gioia che qualcuno le aveva negato, un dolore che lei si era imposta da
sola. Ma non ricordava nulla del suo passato. Sapeva solo una cosa: non aveva
intenzione di ricordarsi nulla. Andava bene così. Chiuse di nuovo gli occhi,
per riperdersi nel mare incantato di pensieri senza alcun senso. Il cielo era
sereno, non si sentiva nulla…
Poi, all’improvviso, un frastuono. Un botto forte, sordo. Un
rumore capace di fracassare i timpani.
Ai Haibara si svegliò di colpo,
alzandosi a sedere, e il contraccolpo le fece quasi perdere l’equilibrio.
Riuscì a stento a non cadere dalla sgabello su cui era seduta. Si stropicciò
gli occhi, cercando di tornare alla realtà. Aveva solo sognato. Che stupida,
aveva creduto di poter dimenticare tutto.
Di poter dimenticare di chiamarsi Shiho
Miyano. Di poter dimenticare che le sue capacità
intellettive al di sopra della media in ambito scientifico l’avevano portata a
lavorare per l’Organizzazione, a continuare il progetto intrapreso dai suoi
genitori. Di poter dimenticare il suo nome in codice, Sherry. Di poter
dimenticare la morte di sua sorella. Di poter dimenticare quella paura che si
era impossessata di lei quando aveva capito di essere davanti a morte certa. Di
poter dimenticare di aver ingerito l’APTX4869, nel tentativo di salvarsi. Di
poter dimenticare di avercela fatta. Di poter dimenticare di essere una bambina
dal nome di Ai Haibara. Infine, di poter dimenticare
che i suoi veleni avevano ucciso chissà quante persone. E stavano per uccidere
anche quello che ora era il suo migliore amico.
Ma in fondo, anche credendo di potercela fare, non avrebbe
potuto dimenticare un bel niente. Nel suo sogno indossava un camice bianco,
proprio come allora. Era stato così bello, almeno per qualche momento, non
avere pensieri in testa. Sentirsi libera e sicura. Accidenti! Era come credere di essere Jekyll e risvegliarsi Hyde. Che
terribile sensazione: la portava ad odiare se stessa con tutte le sue forze.
Lasciò che i pensieri
sfilassero via dalla sua mente. Saltò giù dallo sgabello, troppo alto
per una bambina della sua età. Il computer continuava a borbottare con quel suo
strano rumore meccanico, lamentandosi per essere acceso da troppo tempo. Ma Ai non poteva ancora spegnerlo: doveva
controllare gli ultimi dati, avere le ultime conferme. Poi, forse, sarebbe
tutto finito.
Salì le scale del laboratorio e arrivò in casa del dottor Agasa. Era ancora notte, le lancette segnavano le tre e
mezza. Ricordava di essere ancora sveglia alle due e mezza. Aveva dormito poco
meno di un’ora, me le sembrava di essersi trovata in quel campo di girasoli per
più di un giorno.
Il rumore che l’aveva svegliata era stato il boato di un
tuono. Fuori, per la strada, pioveva a dirotto su una Tokyo non del tutto
addormentata. Aveva mal di testa, un fortissimo mal di testa. Avrebbe voluto
dormire, ma sapeva che quello non era il momento adatto. Le mancava un passo,
un solo piccolo passettino, per raggiungere il suo scopo: completare l’antidoto
dell’APTX4869. Il nuovo farmaco era stato creato, doveva solo controllare
alcuni dati. Quella doveva essere la volta buona, ma non ne avrebbe avuto la
sicurezza finché la pillola non fosse stata provata. Qualcuno doveva correre il
rischio, doveva ingerire quella capsula per controllarne l’effetto.
Farmaco. Farmakòn, la parola
greca. Due significati: medicina, veleno.
Il confine che separava questi due concetti era talmente
sottile che Ai, o meglio Shiho, l’aveva oltrepassato
diverse volte. E aveva imparato a temerlo. Non avrebbe permesso che qualcun
altro rischiasse di nuovo la vita per le sue invenzioni. Avrebbe dovuto provarlo
lei, quella volta.
Scese di nuovo nel laboratorio. Controllò gli ultimi dati:
tutto sembrava combaciare. Poi, finalmente, spense il computer, caldo per il
troppo sforzo. Si fermò per qualche attimo, mentre guardava la capsula che
stringeva fra le mani.
Cosa avrebbe dovuto fare? Provarla, forse? Le possibilità
erano due: morire o tornare ad essere Shiho, questa
volta, forse, per sempre. Ma era quello che voleva? Non era forse meglio
continuare a vivere così, come una bambina, sforzandosi di dimenticare il
passato, provare a rifarsi una vita? Avrebbe potuto crescere di nuovo ,questa
volta come una ragazza normale. Diventare amica di Ayumi,
andare a fare compre con lei, studiare insieme nei pomeriggi freddi d’inverno,
parlare dei rispettivi fidanzati. Avrebbe potuto chiudere a chiave quel
laboratorio e crescere come una ragazza normale.
Ma c’era un problema. Non era da sola. C’era Conan, o meglio
Shinichi, che lei
aveva fatto diventare Conan. Era sicura che, appena fosse venuto a conoscenza
di quella nuova pillola, di quell’antidoto forse definito, Conan non avrebbe
sentito ragioni: avrebbe desidera rato provarla a tutti i costi. E poteva fargli correre il rischio
di morire, per la seconda volta?
No, non poteva. Doveva provarlo lei, doveva sacrificare i
suoi sogni. In fondo, era abituata a farlo. Guardò di nuovo l’ora. Doveva
andare a dormire, il giorno seguente doveva andare a scuola con Conan e gli
altri.
-A questa maledetta pillola penserò più avanti, domani, a
mente fresca.-
Aveva un’unica certezza. Finché non avesse preso una
decisione, Conan non avrebbe dovuto sapere nulla di quella storia. In fondo, Shinichi aveva aspettato per tanto tempo: avrebbe potuto
attendere anche qualche altro giorno.
Ripose la capsula in una scatoletta di plastica, vi scrisse
sopra “Anti-APTX n 127, definitivo, da provare”.
127. Erano stati tutti i suoi tentavi per riuscire a creare
quella concentrazione di pura follia. Aveva oltrepassato le colonne d’Ercole,
si era spinta dove non avrebbe mai dovuto spingersi. Era riuscita a modificare
il corso di una vita.
Ripose in un cassetto la scatoletta, spense la luce e salì
le scale. Buttò in tasca la chiave del
laboratorio, dopo essersi assicurata che fosse ben chiuso, e si avviò a
dormire. Nessuno doveva entrare lì finché non si fosse decisa a ingerire l’anti-APTX n. 127.
Ciao a
tutti!!
Prima di
tutto, vi ringrazio per aver letto il primo capitolo della mia storia! Spero
continuiate a seguirmi =)
Poi,
qualche piccola direttiva: la storia è ambientata quando Akai
è ancora vivo, ma l’FBI è già a conoscenza del fatto che Kir
è in realtà una spia della CIA. Nel corso della fan fiction compariranno
praticamente tutti i personaggi principali, quindi non temete, ce n’è per
tutti!!=)
La fanfic è stata scritta a settembre, quindi è già pronta sul
mio pc.. aggiornerò il prima possibile, non appena lo
studio mi lascerà un po’ di tempo per ricontrollare singolarmente i vari
capitoli! Tra le fic che ho scritto questa è in assoluto
la mia preferita.. quindi, che dire.. spero abbiate la pazienza di seguirmi e
di leggere fino alla fine!!
Grazie a
tutti! Se avete ancora qualche minuto, mi piacerebbe leggere molto un vostro
commento, per sapere il vostro parere sull’inizio!!
A presto, _Flami_