Airplanes in the Empty Sky

di Marsie Sinclair
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STREAMPUNK02

Fly 01! Cuore e Ragione

 

Un giovane dai corti capelli colore del grano maturo camminava per gli stretti vicoli di Soave a testa alta, incurante della pioggia battente e canticchiando tra sé un motivetto un po’ stonato. Era così fiero di sé stesso che ci mancava poco che si mettesse a saltellare come un bambino l’ultimo giorno di scuola. Il motivo di tanta allegria era una pergamena coperta da una grafia minuta ed elegante che dichiarava Alfred F. Jones membro ufficiale della Gilda dei Cacciatori di Pirati, con tanto di sigillo in ceralacca rossa e firma del Cancelliere in persona. Un vero onore.

 

Aveva sempre sognato di fare il Cacciatore: attraversare i cieli su un fantastico biplano dando la caccia ai cattivi… so cool! E il bello era che il governo lo pagava più che bene per fare una cosa che adorava, meglio di così!

 

Era quasi arrivato davanti a casa quando, in penombra a lato del portico mezzo rovinato che faceva da ingresso, vide qualcosa di scuro. “Ecco” sbuffò, “il solito ubriacone che si è addormentato dove capita! That’s not cool! Poveraccio, chissà che mal di schiena domattina!”. Ridacchiò tra sé, continuando per la sua strada ma poi, guidato forse dalla curiosità, si avvicinò al tizio riverso a terra.

 

“Ehi, amico! Wake up!” lo chiamò a voce un po’ più alta, ma l’altro non diede segno di aver sentito. “Ho detto sveglia!!” gridò quasi, spazientito.

Ancora niente.

“Ma sei sordo?!”

Si inginocchiò accanto alla figura immobile esaminandola da vicino: all’apparenza era un ragazzo sui vent’anni, dai capelli biondi, arruffati come un nido di corvi, pallidissimo e con una strana espressione triste sul viso delicato.

Portava abiti eleganti, forse un pochino troppo appariscenti, fradici di pioggia e –

“Cavolo, amico!” esclamò sconcertato, “Chi ti ha ridotto così?”

 

Alfred ne capiva poco o niente di medicina - in effetti era più corretto dire che anche l’idea di una semplice iniezione gli dava i brividi - ma era più che evidente che quel poveraccio era ferito, e anche in maniera piuttosto grave. Purtroppo il giovane cacciatore tendeva anche a farsi prendere dal panico in situazioni del genere molto meno gravi, figurarsi alla vista di tutto quel sangue: ci mancò poco che non cacciasse un urlo!

 

Si impose di mantenere la calma: primo, era ben poco eroico mettersi a strillare come una ragazzina, secondo, quel poveretto aveva davvero bisogno di aiuto.

“A- Aspetta qui, okay?” balbettò in un tono che voleva essere rassicurante e che invece risultò solamente stridulo. “E cerca di restare vivo! Torno subito!”

 

Alfred non sapeva cosa fare. Come al solito aveva agito d’impulso e adesso non aveva la minima idea di cosa fare!

 

Aveva chiamato a gran voce suo fratello Matthew per farsi aprire, scordandosi nella fretta che quella era anche casa sua e quindi aveva la chiave; si precipitò dentro senza una parola buttando all’aria ogni stanza in cerca di qualcosa di utile – cosa non gli era chiaro - sotto lo sguardo sconcertato del fratello.

 

“Al! Per la miseria, che stai combinando?” esclamò Matt dopo qualche minuto.

“C’è un tizio mezzo morto là fuori! Devo aiutarlo!”. Questa volta aveva strillato davvero, non molto gentile come risposta ma era agitato e pure un po’ spaventato – anche se non l’avrebbe mai ammesso. 

“Come, scusa?”

Matt era rimasto senza parole. “Chiama le guardie e stanne fuori! Hai appena ottenuto la licenza e l’ultima cosa di cui hai bisogno è avere un tizio di cui non sai assolutamente nulla nascosto in casa! Potrebbe anche essere un pirata o peggio!”

 

Matt era calmo e gentile ma, al contrario del fratello, mancava completamente di spirito d’avventura; cercava di tenersi il più possibile lontano dai guai, e delle volte lo faceva anche a spese degli altri. 

 

“Quindi non vorresti fare nulla?!” replicò incredulo e quasi arrabbiato Alfred; non poteva credere che suo fratello fosse capace di un atto tanto meschino!

 

“No, semplicemente rivolgiti alle autorità e lascia che se ne occupino loro. Altrimenti che vorresti fare? Portarti in casa quel disgraziato di cui non sappiamo nulla? Cerca di ragionare, per favore.”  

 

Peccato che il ragionare non fosse il forte di Alfred, soprattutto quando precipitava in quello stato di agitazione: preferiva di gran lunga agire e poi riflettere per bene sulla questione quand’era già tutto finito – possibilmente per il meglio. Sapeva benissimo anche lui che accogliere qualcuno di cui non si sa nulla non era una mossa molto intelligente, ma sapeva anche che non c’erano scuse per abbandonare una persona sola e ferita in mezzo ad una strada. E poi quel ragazzo aveva qualcosa di speciale: sembrava così solo, come se fosse stato dimenticato e non aspettasse altro che qualcuno si accorgesse della sua esistenza. Gli ricordava un po’ un giocattolo rotto gettato malamente in un angolo perché aveva smesso di essere divertente.

 

Il giovane cacciatore prese una coperta pesante dall’armadio della propria stanza e si diresse a passo veloce verso l’entrata, ignorando le proteste provenienti dal piano di sopra. Matt poteva dire quel che voleva, ma ormai aveva deciso: avrebbe protetto e dato rifugio a quel poveretto e non ci sarebbe stato modo di fargli cambiare idea.

 

Fuori pioveva ancora molto forte e i lampi illuminavano ad intermittenza di una spettrale luce bluastra il portico, creando strane ombre contro la parete scrostata, ma al momento ad Alfred non importava minimamente del tempo: l’unica cosa che gli interessava era la figura immobile a terra appena riparata dal balcone. Gli si inginocchiò di nuovo accanto, questa volta in silenzio, si sfilò un guanto di pelle per avere maggior sensibilità e procedette ad esaminare più attentamente il corpo del giovane sconosciuto.

Era inutile ripetere che di medicina ne capiva poco o niente ma certi concetti di base per il lavoro aveva dovuto impararli, cose come medicazioni d’emergenza o roba simile ma non aveva mai avuto occasione di metterli in pratica. E sinceramente avrebbe preferito non averne ancora per molto.

Okay” sospirò per tentare di calmarsi “cos’è che diceva quello stupido corso? Ah, sì … controllare che il cuore batta ancora”

A dirla tutta il giovane cacciatore si sentiva un po’ – tanto- in imbarazzo ad appoggiare la testa sul petto di un emerito sconosciuto, insomma non era mica un maniaco miseriaccia! Per fortuna gli venne in mente che nel manuale si parlava anche di altri punti che non avrebbero dato adito a strani equivoci.  

Al prese delicatamente la mano destra dell’altro tra le proprie: era fredda, inerte e macchiata di scarlatto come gli abiti di quel povero ragazzo; sollevò con cautela la manica fradicia di pioggia e non solo, e appoggiò due dita sull’incavo del polso dell’altro. Avvertì appena sotto pelle il pulsare debole e irregolare del sangue, segno che il soffio vitale non aveva ancora abbandonato quel misero corpo malridotto.

Thanks God!” esclamò Alfred visibilmente sollevato: sarebbe stato un bel guaio se il tipo avesse tirato le cuoia davanti casa sua, avrebbe avuto le guardie cittadine in mezzo ai piedi per chissà quanto e poi, a dirla tutta, umanamente gli sarebbe spiaciuto davvero tanto!

Adesso non rimaneva altro che portare il ragazzo in casa, appena pochi passi e sarebbero stati entrambi al caldo e all’asciutto.

Al prese la coperta pesante che aveva lasciato al riparo per terra e, con tutta la delicatezza di cui era capace, la avvolse attorno alle spalle esili dell’altro poi, quasi senza sforzo, sollevò il ragazzo tra le proprie braccia. Era una strana sensazione, inusuale ma non per questo spiacevole.

Alfred si era sempre creduto un eroe, una persona speciale destinata a grandi cose e a cui il fato aveva fin ora propinato un’esistenza monotona ma, ora che il tanto sospirato cambiamento era arrivato con l’aspetto di uno strano ragazzo ferito non sapeva sinceramente cosa fare.

               

!

 

La primissima cosa che Arthur percepì, o almeno credette di avvertire nello stato di confusione in cui si trovava, fu una sensazione di piacevole calore, come se fosse avvolto in un morbido bozzolo.

Poi gli giunse alle orecchie, ovattato e distante il ticchettio della pioggia contro il vetro di una finestra.

Probabilmente, se si fosse concentrato abbastanza, sarebbe anche riuscito a sentire la stridula melodia di un violino scordato; tutte le mattine, poco dopo l’alba, sotto la sua finestra si piazzava un suonatore ambulante non molto bravo che, armato di buona volontà, un vecchio cilindro malridotto e uno strumento di terza o forse anche quarta mano, si guadagnava da vivere rompendo i timpani ai passanti –

D’improvviso altre immagini gli si affollarono nella mente; non erano chiare, duravano pochi attimi e poi esplodevano in una pioggia di scintille multicolori: vide una figura minuta correre per i vicoli bui di una città ancor più cupa, un maestoso galeone galleggiare pigramente in un cielo talmente blu da sembrare dipinto, un palazzo splendido del colore dell’oro e, più cercava di concentrarsi e ricordare dove aveva visto quelle cose, più la luce si faceva intensa e quasi insopportabile. Era fastidiosa, gli faceva dolere gli occhi e voleva che smettesse.

 

My God” ringhiò il giovane ex capitano tentando di riprendere un minimo di consapevolezza di sé “stupid sunlight … so annoying!

La stanza in cui si trovava era immersa in una confortevole penombra a parte un unico sottile e brillantissimo raggio di luce che, filtrando attraverso le persiane scure, lo colpiva direttamente in viso. Era stata proprio quella luce dorata ad averlo richiamato nel mondo dei vivi.

Già. Nel mondo dei vivi, ma dove esattamente?

Non ricordava molto delle ultime ore, solo pochi flash sfocati e un insieme di bizzarre quanto ben poco piacevoli sensazioni. E la cosa lo irritava assai: era come quando, dopo una serata di follie in qualche taverna, si svegliava solitamente senza vestiti e in posizioni decisamente poco dignitose con l’unica differenza che nel letto di uno sconosciuto fin ora non ci era mai finito.

E, adesso che era un po’ più in sé, poco a poco i ricordi tornarono: la sera prima c’era stato il colpo più grosso di tutta la sua carriera ma qualcosa era andato storto, con il bel risultato che i suoi compagni l’avevano tradito e lasciato a crepare da solo come un cane.

Ricordava anche di essere rimasto ferito e, cosa ancor peggiore, era stato un maledetto ragazzino incompetente a pugnalarlo. Solo a ripensarci gli venivano i nervi: aveva sconfitto nemici ben più tosti per poi farsi mettere al tappeto da un malefico mostriciattolo dannatamente fortunato, non era assolutamente possibile! Oltre al danno pure la beffa! Avrebbe tanto voluto averlo per le mani quel piccolo vigliacco, sicuro come l’inferno l’ avrebbe fatto pentire di essere venuto al mondo!

In un impeto di nervoso fece per tirare un pugno al materasso ma bastò il solo accenno di movimento per scatenargli un ondata di dolore al fianco quasi insopportabile; sicuramente una persona con meno autocontrollo avrebbe cacciato un urlo da svegliare mezza città.

Istintivamente si portò una mano alla parte lesa stando ben attento a non fare gesti bruschi avvertendo stranamente un morbido tessuto sotto le dita “Delle bende? Why?” si domandò ancora un tantino intontito.

Someone saved me” realizzò dopo qualche istante.

E questo pensiero  lo portò a porsi un’altra fatidica questione ovvero chi l’aveva salvato ma soprattutto dove diavolo era finito?

 

Si guardò attorno in cerca di qualche indizio ma nella piccola stanza non c’era davvero molto da vedere a parte il letto su cui era disteso, un comodino di legno semplice e, dal lato opposto rispetto a lui, una scrivania ingombra di fogli come lo erano le pareti. Da principio al giovane ex capitano parvero solo insiemi bizzarri di linee ma poi, concentrandosi meglio, vide che erano progetti, disegni molto dettagliati di macchine volanti e altri stranissimi congegni a cui non sapeva dare nome. Arthur arrivò alla conclusione che il proprietario della stanza doveva essere un inventore o quanto meno un appassionato di meccanica, ma oltre a questa per altro azzardata ipotesi nient’altro.

Fu distratto dai suoi ragionamenti da un concitato vociare proveniente da oltre la porta chiusa e, infastidito da tanta agitazione, volle andare a vedere che diavolo ci fosse da strillare tanto; non erano molto forti come voci a dirla tutta ma Arthur si era appena svegliato, aveva un mal di testa colossale e non era di sicuro dell’umore giusto per ignorare il tutto e magari pure ringraziare di essere stato svegliato a urlacci come l’ultimo dei mozzi.  

L’ormai ex pirata tentò di alzarsi, ma il solo sforzo di scostare le pesanti coperte in cui era stato premurosamente avvolto lo lasciò completamente esausto perciò, imprecando contro la propria debolezza, si rintanò di nuovo nel suo tiepido bozzolo.

Non passarono neppure pochi attimi che Arthur sprofondò di nuovo nel modo dei sogni, ignaro che al piano di sotto si stesse decidendo il suo destino.

 

!

 

“No!”

“E invece sì!”

“Al, cerca di ragionare: non è un comportamento intelligente …”

Due ragazzi, entrambi biondi e simili nell’aspetto, stavano discutendo animatamente uno seduto scompostamente su una seggiola di paglia, l’altro tutto preso ai fornelli. Quello un pochino più basso e dall’aria più calma stava tentando inutilmente di far ragionare il fratello.

“Ma io sono un Eroe e gli eroi salvano le persone in difficoltà!” insistette Alfred “Credi che Amazing Eagle si facesse problemi su chi aiutare e chi no? Lui salva tutti, buoni e cattivi, perché è così che devono comportarsi gli Eroi!”

Quando ci si metteva Al sapeva essere discretamente testardo, soprattutto quand’era un discussione il suo status di presunto eroe; arrivava a comportarsi come un bambino capriccioso che voleva un gioco a tutti i costi, tirava fuori argomentazioni di ben poco fondamento e, quando rimaneva a corto di spiegazioni razionali si affidava al sempre valido metodo della resistenza passiva. E, quando faceva così, Matt lo trovava discretamente insopportabile esattamente come lo era in quel momento.

“Alfred, per favore! Smettila di blaterare di fumetti e torna alla vita reale!” ringhiò Matt, esasperato “Hai portato a casa quel tizio di cui non sappiamo un accidente come mi portavi i gatti di strada senza riflettere sulle conseguenze! Ti rendi conto che non sappiamo nulla di quel ragazzo? Potrebbe anche essere un criminale, o peggio! Le brave persone non finiscono pugnalate così, santissimi numi!”

No, le brave persone non girano di notte, non vengono lasciate a crepare nei vicoli e soprattutto non portano il marchio della pirateria sul proprio corpo! Naturalmente Alfred non lo sapeva perché non è stato lui a rattoppare e rimettere in sesto – per quanto le sue limitate conoscenze gli permettevano- quel tizio e anche se l’avesse visto con i suoi occhi non avrebbe voluto crederci per pura testardaggine! Era toccato al piccolo, invisibile Matthew fare il lavoro sporco mentre il grande eroe tremava come una ragazzina isterica davanti ad un grosso ragno peloso: nonostante non fosse stato altro che un mediocre meccanico gli era toccato mettere in pratica le sue scarsissime conoscenze mediche per salvare la pelle – compito non facile- a quello stranissimo ragazzo. Tanto per cambiare Al era sparito dalla circolazione con una patetica scusa per poi ricomparire, a lavoro terminato, bianco più di un lenzuolo e domandare se era andato tutto bene.

Non andava bene proprio per niente, si disse il giovane meccanico, c’era un tizio sospetto mezzo morto nascosto in casa: magari dandogli ospitalità avrebbero finito per essere considerati complici di un criminale dalle autorità oppure si sarebbero attirati le ire degli amici del ragazzo o, peggio ancora, dei suoi nemici!

“Matt!” esclamò l’altro biondo con la tipica petulante cantilena dei bambini capricciosi “Non credevo che fossi così egoista, davvero! Magari non ha fatto niente di male ed è rimasto ferito per difendere una ragazza da dei briganti! Pensi sempre male di tutto e di tutti, bro, dovresti rilassarti!”

Matt dal canto suo avrebbe voluto gridargli che lui invece doveva finirla di vivere nel mondo dei fumetti e guardare in faccia la realtà per una volta ma si trattenne optando invece per un atteggiamento più cauto e conciliante. “E va bene” si arrese alla fine “gli daremo ospitalità finché non sarà in grado di andarsene con le sue gambe ma se farà qualcosa di sospetto o se scopriamo che è un poco di buono fila dritto al primo presidio della Guardia Cittadina, intesi?”

Quella non era diffidenza cronica ma volersi parare le spalle: se le cose fossero andate storte almeno Al avrebbe ottenuto la sua prima ricompensa ma quest’ultima considerazione Matthew la tenne per sé.

Okay, bro!”

 

!

 

La giornata nel Palazzo di Soave era cominciata molto più presto del solito e ciò era ben intuibile dall’aspetto di coloro che al momento occupavano le stanze eleganti dell’Alta Cancelleria.

“E questo sarebbe tutto?” domandò il Cancelliere Edelstein sollevando gli occhi dai pochi fogli che fino a poco prima aveva letto con attenzione – e pure una punta di disgusto- e posandoli sugli altri bizzarri occupanti del suo ufficio.

Avevano entrambi l’espressione soddisfatta di un gatto che aveva appena catturato un grosso ratto, nonostante portassero ancora i segni dello scontro appena terminato e non fosse ancora l’alba.

Claro que si!” esclamò con entusiasmo il più alto – e normale- dei due Capitani mettendosi ancor più a suo agio sulla sedia elegantemente decorata posta di fronte alla maestosa scrivania del Cancelliere.

Antonio Fernandez Carriedo, Capitano della Guardia Cittadina nonché ex pirata, era l’idolo di tutta la popolazione femminile della città e non c’era certo da meravigliarsene: alto, bello, abbronzato, gentile e coraggioso era l’archetipo del combattente moderno ma nessuno avrebbe mai voluto averlo come avversario. C’era qualcosa in quei profondi occhi verdi che parlava di un oscuro passato, un misto di furia e tristezza che in battaglia si trasformava in un’inesauribile energia che faceva tremare anche il più spietato dei combattenti.

Nessuno sapeva nulla della vita dell’affascinante Capitano prima che egli giungesse – in catene- al porto di Soave e, per evitare la pena capitale, giurasse fedeltà alla Repubblica ma una cosa era certa: all’inizio pareva che non glie ne importasse nulla ma poi accadde qualcosa durante la sua prima missione che lo trasformò nella feroce mamma lupa che era adesso.  

Il Cancelliere osservò con una smorfia di sufficienza la guardia: non gli era mai  stato troppo simpatico con quel sorriso ebete, l’aria di chi è perso nel suo mondo e soprattutto il fatto che chissà come riuscisse ad accattivarsi la simpatia di tutti. Ma questa era solo la sua opinione personale che, a quanto pareva, non era condivisa da nessun altro a Palazzo.

“Ovviamente, damerino!” si intromise l’altro combattente, le iridi scarlatte scintillanti di autocompiacimento “Il magnifico sottoscritto ha preso a calci quei bastardi!”

Se c’era una cosa che il Cancelliere non poteva tollerare era la volgarità e, a parer suo, Gilbert Beilshmidt, Capitano delle Guardie di Palazzo, era uno degli esseri più rozzi e privi di classe con cui avesse mai avuto la sventura di avere a che fare. Era rumoroso, maleducato e non sapeva assolutamente come comportarsi.

“Abbassa la cresta, spaccone!” si intromise all’improvviso una voce femminile “Se non fosse stato per me non avreste mai cacciato quei pirati!”

La voce apparteneva ad una bella ragazza dai lunghi capelli color mogano abbigliata con la semplice uniforme verde e bianca da cameriera, unico particolare stonato in quell’immagine di premurosa dolcezza era la bizzarra arma che la giovane domestica portava appesa a tracolla.

Un’enorme e resistente padella d’acciaio che la ragazza utilizzava con micidiale maestria, come avevano imparato a loro spese coloro che avevano tentato di invadere il Palazzo quella notte.

Il Cancelliere rimase per qualche istante stupito dalla comparsa dell’affascinante domestica ma, ricordandosi del rischio che la ragazza aveva corso  battendosi contro gli invasori, si ricompose praticamente subito riassumendo il solito contegno rigido “Signorina Elizavetha!” abbaiò “Siete consapevole di quali siano i vostri compiti? Fino a prova contraria i vostri doveri non comprendono la difesa della città, e oltretutto il vostro comportamento avventato vi ha messo in serio pericolo!”

Eliza fece una smorfia scocciata ma non replicò, si vedeva lontano un miglio che moriva dalla voglia di rispondere a tono eppure si trattenne. Arrossì un poco, per la rabbia o per l’imbarazzo non è dato sapere, ma la reazione della ragazza si limitò a quello.

Bisognava dire che il talento militare della dolce cameriera era stato determinante per cacciare i pirati perciò il Cancelliere non infierì più di tanto, si limitò a congedare la ragazza con un freddo “Buona giornata” per poi sfogare tutta la tensione accumulata in quella notte a dir poco stressante sugli altri due.

Le grida infuriate del Cancelliere a cui si sovrapponevano ogni tanto forti rumori di soprammobili che andavano in pezzi risuonarono nelle ampie stanze del Palazzo per una buona mezz’ora.

“Puoi strillare finché ti pare, damerino isterico, ma le cose non cambiano: ti ho salvato la pelle, a te e a questa banda di buoni a niente! Sai bello, l’dea di far credere a quei bastardi che il loro capo era stecchito è stata mia!” esclamò Gilbert scoppiando poi in una sprezzante risata

“IO SONO UN GENIO!” strillò ancora alzandosi di scatto, seguito d’appresso dall’altro Capitano, dopo di che uscirono a passo di marcia sbattendosi la pesante porta dorata alle spalle.

Rimasto finalmente solo, il cancelliere si lasciò sfuggire un lungo ed esasperato sospiro: se il buongiorno si vedeva dal mattino, quella sarebbe stata di sicuro una giornata pessima.

 

 

!

 

Soave era una città splendida, un concentrato di sorprese e meraviglie,  ma nulla era lontanamente paragonabile alla delicata bellezza dei giardini del Palazzo dei Podestà. C’erano eleganti roseti, fontane, romantiche grotte artificiali, un’ enorme labirinto di siepi e perfino una sala da ballo tutta di vetro con piante esotiche provenienti da tutto il mondo.

Purtroppo però solo pochissimi potevano godere di tanta meraviglia: il Podestà, la sua famiglia e, grazie ad un tacito accordo, tutti coloro che lavoravano a corte.

 

La tempesta che per tutta notte si era scatenata sulla città era finita poco prima dell’alba e di essa non erano rimaste che poche nuvole leggere e sfilacciate come veli antichi, un piacevole venticello fresco e tante pozzanghere.

 

“Signoria!” chiamò per l’ennesima volta Ludwig “Smettetela di correre in mezzo alle pozzanghere! Finirete col cadere e sporcarvi!”

Non era di sicuro la prima volta – e neppure la seconda o la terza- che, inciampando nei propri stessi abiti, l’esuberante ragazzino finiva lungo disteso a terra infangandosi da capo a piedi. Come facesse, dopo tutte le lezioni di portamento ed etichetta, ad essere ancora tanto maldestro era un autentico mistero.

Dopo la nottataccia a dir poco movimentata l’unica cosa che la bionda guardia desiderava era trovare un angolo tranquillo e magari asciutto del giardino in cui mettersi a leggere in santa pace ma, a quanto pareva, non era l’unico a voler passare qualche ora all’aria aperta: il piccolo erede, vedendolo uscire aveva insistito per accompagnarlo. Oh, non che Lud avesse qualcosa in contrario però sua signoria non era di certo un compagno silenzioso: parlava di continuo – solitamente a vuoto- non stava fermo un istante e, peggio del peggio, se c’era una minima possibilità di cacciarsi in qualche bizzarro guaio lui ci finiva sicuramente.

Delle volte poteva essere abbastanza stressante stargli appresso.

Improvvisamente il ragazzino si fermò, guardandosi attorno rapidamente come un animaletto curioso  poi, altrettanto velocemente, andò a raggiungere la propria imponente balia, pardon, guardia.

“Se sto lontano dalle pozzanghere, tu poi la smetti di darmi del voi?” domandò innocentemente il piccoletto “È strano, non mi piace e poi non ha senso!” si lamentò ancora il più giovane. Erano mesi che il piccolo erede insisteva con quella bizzarra richiesta ma, nonostante tutto, Lud non era ancora riuscito a farci l’abitudine: ogni singola volta che si trovava davanti quel visetto da cucciolo che cerca casa, arrossiva come una scolaretta alla prima cotta messo a disagio dall’infantile esuberanza del proprio protetto.

“Non lo so …” balbettò imbarazzato “non è appropriato! L’etichetta impone che mi rivolga a voi chiamandovi signoria, lo sapete bene …”

Il più piccolo gonfiò le guance indispettito. “Regole, regole, regole! Non pensi ad altro! Che noiaaa!” ecco un'altra cosa che sapeva fare bene oltre a combinare guai: ottenere quel che voleva dalla sua guardia preferita sfinendo il poveretto a suon di capricci.  “Però era molto più divertente quando eravamo piccoli e mi portavi i fiori e poi ti insegnavo a dipingere … poi però è cambiato tutto …” i grandi occhi color ambra del piccolo erede si riempirono di lacrime di delusione. Abbassò mestamente il capo e, con piccoli passi strascicati, andò a sedersi su una delle tante panchine disposte lungo il sentiero.

Invece, quando il primo metodo non funzionava, il ragazzino aveva un altro asso nella manica: fare leva sull’effetto devastante che il suo aspetto tenero e infantile aveva sulla fermezza altrui.

Naturalmente queste erano solo congetture frutto di anni di convivenza più o meno forzata con il piccolo erede; non che Lud non gli volesse bene, anzi avrebbe dato la sua stessa vita per proteggerlo, semplicemente delle volte finiva con applicare le nozioni di strategia militare alla vita di tutti i giorni diventando un pochino diffidente.

“E va bene, ma ora non piangete … cioè, non piangere!” esclamò la guardia affrettandosi a raggiungere il proprio protetto, gli si sedette accanto e, imbarazzatissimo come mai in vita sua, si preparò a mettere in pratica le sue – scarse- capacità consolatorie. Ma con sua grande sorpresa – e sollievo- non ve ne fu alcun bisogno.

“Che bello!” esclamò il ragazzino tutto allegro “Allora sono più importante delle tue noiosissime regole!” dopo di che saltò al collo della guardia abbracciandolo stretto, o almeno provandoci visto la differenza di costituzione tra i due.

Ormai Ludwig avrebbe dovuto farci l’abitudine a quelle esuberanti dimostrazioni d’affetto, almeno in teoria, invece non era affatto così: ogni singola volta che il piccolo erede gli si appiccicava addosso a quel modo, Ludwig si ritrovava preda di bizzarre emozioni contrastanti. Da una parte trovava il comportamento del ragazzino imbarazzante oltre ogni immaginazione, la sua vocetta infantile troppo acuta e la sua assoluta incompetenza incredibilmente irritante ma, d’altra parte, erano proprio quei difetti che lo rendevano a modo suo carino. Il bello era che il biondo capitano, di fronte a tutto questo, reagiva in maniera goffa e rigida al tempo stesso come se la vicinanza con il piccolo erede bastasse ad annientare anni e anni di addestramento militare. Del resto in accademia, fino a prova contraria, non insegnano a fare da compagni di giochi o confessori o fratelli maggiori a principi  - adorabilmente- viziati!

“Lud?” chiamò dopo qualche attimo il ragazzino, all’improvviso di nuovo triste e preoccupato “Dici che starà bene quel ragazzo?”

L’altro rimase di sasso di fronte a tanto altruismo: si poteva fare un elenco  chilometrico dei difetti di quel piccolo combina guai ma non era da tutti chiedere notizie del proprio rapitore. Quel ragazzino aveva un cuore d’oro, poco ma sicuro!

“Certo che sì, almeno spero” rispose un pochino esitante: probabilmente quel pirata da due soldi non aveva passato la notte visto com’era ridotto, ma non se la sentiva proprio di dirlo al suo generoso protetto. Gli avrebbe spezzato il cuore. “ Ma ora dovresti smettere di pensare a questa brutta storia.” Il biondo combattente cercò in qualche modo di cambiare discorso: si sentiva un tantino a disagio a mentire alla persona per lui più importante “Tra poco ci saranno i festeggiamenti per la Notte degli Incanti e c’è ancora tanto da organizzare.” Sinceramente sperava che la prospettiva della festa bastasse a far scordare al piccolo erede la disavventura coi pirati anche perché, se la cosa fosse giunta a orecchio del Podestà, sarebbe stato un guaio per tutti. Licenziati in tronco, come minimo.

“Eh sì, ci sarà la festa tra poco …” fece il piccoletto sorridendo appena “sai che mi stavo dimenticando …” abbassò lo sguardo arrossendo imbarazzato dalla sua stessa sbadataggine. La guardia, ancor più a disagio, tentò nuovamente di cambiare discorso, un po’ per levarsi l’espressione adorabile dell’altro dalla mente ma soprattutto per preservare la propria carriera “Quest’anno sarà presente anche il Podestà quindi dovrai impegnarti al massimo!” aggiunse con quello che avrebbe dovuto essere un sorriso rassicurante.

“Che bello! Ci sarà anche il Nonno!” esclamò il ragazzino di nuovo tutto allegro  “Grazie, Lud!”

Per fortuna il piccoletto non aveva la memoria lunga, si disse il combattente tirando un sospiro di sollievo: per il momento la sua carriera era salva.

 

!

 

La tempesta come era giunta, poco prima dell’alba, era passata lasciandosi alle spalle solo poche ormai innocue nuvolette bianche tutte sfilacciate: la pioggia violenta sembrava aver ripulito l’aria dando al paesaggio un’aria di nuovo, come se l’acqua avesse lavato tutto. Un’atmosfera idilliaca che ben poco s’adattava al clima a dir poco teso che c’era sulla Queen Bess.

 

Dopo il fallimentare tentativo di assalto al Palazzo di Soave, i pirati erano prontamente battuti in ritirata trovando rifugio in una baia ben riparata un po’ più a nord della fiorente città; per sicurezza la bandiera con l’unicorno alato simbolo del loro capitano era stata ammainata e ogni arma ben nascosta ma sempre a portata di mano in caso di visite sgradite. Nessuno faceva caso ad una vecchia nave malconcia, probabilmente momentaneamente ancorata per riparazioni ma non si era mai troppo cauti.

 

La ciurma si era riunita sul ponte per decidere il da farsi ora che il capitano era, eufemisticamente parlando, irreperibile e, dopo una discussione che era durata praticamente tutta notte, ma non erano ancora giunti a capo di nulla. A parte il fatto che bisognava trovare una soluzione: alcuni, fedeli al proprio giuramento di fedeltà, volevano tornare indietro a liberare il capitano Kirkland, mentre gli altri – la maggioranza ad essere sinceri- preferivano nominare in fretta un successore che prendesse il posto di quel, tali testuali parole, patetico incompetente.

“Con tutto il rispetto, sarebbe un rischio inutile rientrare in città … con ogni probabilità il Capitano è già stato giustiziato; credo che l’opzione più sensata sia scegliere qualcuno che prenda il posto di Kirkland-san, temo” propose molto educatamente Kiku “In quanto suo secondo, mi propongo come suo successore, ovviamente con il vostro consenso.”

Quasi nessuno si azzardò a ribattere: nonostante il piccolo orientale non alzasse mai la voce, tutti sapevano – alcuni per esperienza personale- che non era salutare mettersi contro l’apparentemente innocuo cartografo e che quando Kiku domandava qualcosa per favore era un ordine a cui si doveva per forza obbedire.

Tutti, tranne uno.

“No che non hai il mio diavolo di consenso, bastardo di un mangiacarte!” ringhiò colui che, per la sua natura ben poco incline all’obbedienza, si era posto a capo dei pochi ancora fedeli all’ ex capitano “Pensi con tutti i tuoi bei modi di farmi fare quello che vuoi?”

Gli altri pirati fecero istintivamente un passo indietro lasciando ai contendenti campo libero, visto che quando quei due perdevano le staffe diventavano discretamente distruttivi. Ad una prima occhiata non si sarebbe mai detto ma, dietro l’aspetto delicato da bambole di porcellana, si nascondeva l’animo e il talento di autentici maestri d’arme.

E non era l’unica cosa, a parte la reciproca antipatia, che li accomunava: avevano entrambi un misterioso passato alle spalle. Kiku era apparso un giorno a bordo – al largo delle Isole Mirai, ma questo era un particolare che nessuno voleva ricordare-  facendosi assumere come cartografo, mentre l’altro era stato salvato per miracolo dopo una violentissima tempesta quand’era ancora bambino e, forse per colpa dell’incidente, non ricordava altro che il proprio nome, Romano e qualche piccolo e per altro inutile dettaglio.

“Perdonatemi ma ora non è il momento per i sentimentalismi, Romano –kun, comprendo il fatto che siate grato al capitano ma dovreste anche guardare in faccia la realtà: sotto il suo comando, per altro non molto professionale, le nostre casse non si sono affatto riempite … in fondo quanto gli è accaduto, senza togliere nulla alla tragicità dell’ evento, è stata una benedizione per le nostre finanze …”

Il giovane orientale non fece in tempo a terminare la frase che l’altro era già scattato in piedi, pronto a ribattere a tono e se necessario anche a lasciar parlare le armi. “Certo che tu la lealtà non ce l’hai manco sotto la suola degli stivali! Voltare le spalle a chi ti ha mantenuto fin ora, a te e a quel tirapiedi morto di fame che ti porti appresso … lo dicevo io che non c’è da fidarsi dei sorci di biblioteca! Sorridono davanti e poi, quando meno te lo aspetti, arriva la fregatura!” quasi gridò l’irruente meridionale, ormai stava per perdere definitivamente le staffe: ancora una parola da parte dell’altro e, c’era da scommetterci, gli sarebbe saltato alla gola.

Se, all’improvviso qualcuno di assolutamente inaspettato non si fosse frapposto fra i due contendenti.

 

!

 

L’Anima Mundi veleggiava placidamente in un cielo blu cobalto punteggiato qua e là da piccole lucentissime stelle, sotto di essa si stendeva il cupo oceano che separava le floride isole riunite sotto il leone d’oro della Repubblica di Soave dalle terre settentrionali che formavano l’Impero Avalon.

Tre settimane di volo e oltre dieci anni di guerre separavano i due territori ma, per chi era abituato a viaggi molto più lunghi, le distanze contavano davvero poco.

 

Il Podestà Augusto Vargas amava le serate come quelle: l’atmosfera così calma e quasi immobile gli dava un senso di pace, come se tutti i problemi e i dolori fossero lontani. In effetti non era solo l’atmosfera così bella a metterlo di buon umore, ma anche la sensazione che finalmente le cose andavano per il verso giusto: le trattative di pace con Avalon erano quasi concluse, mancava solo la firma finale e la Guerra dei Due Leoni sarebbe stata solo un bruttissimo ricordo, il viaggio di ritorno stava proseguendo nel migliore dei modi e presto, molto presto sarebbe finalmente tornato a casa.

Solo questo semplice pensiero bastò a far sembrare la serata ancora più perfetta: ancora qualche giorno l’ammiraglia avrebbe raggiunto il porto in tempo per la Notte degli Incanti e questa volta i festeggiamenti sarebbero stati ancora più grandiosi visto che avrebbero coinciso con la firma del trattato di pace e con il compleanno del suo adorato nipotino. Beh, a dire il vero mancava ancora un po’ di tempo alla firma effettiva ma ormai gran parte del lavoro era fatto, poi per il suo dolcissimo Feli questo ed altro! Insomma quindici anni non si compiono tutti i giorni e il minimo che potesse fare era essere presente alla grande festa per consegnargli di persona i meravigliosi regali.

In effetti era il minimo dopo tutto quello che quel povero ragazzino aveva dovuto sopportare, per lui l’importante non erano gli oggetti ma le persone anzi l’unica persona rimastagli.

 

Ma questo non era il momento per i ricordi tristi: tra poco sarebbe stato un giorno di grande festa e nulla avrebbe potuto rovinare la calma che si era creata.

 

O no?


APPUNTI DI VIAGGIO

Il capitolo precedente, come vi sarete resi conto, è stato ampiamente modificato e migliorato sia con l'aggiunta di parti descrittive che con scene inedite come mi è stato consigliato sia dalla mia socia sia da voi fan, quindi sarebbe meglio rileggerselo se no alcune cose non saranno molto chiare...

Bhe non ho altro da dire a parte grazie in anticipo e grazie a chi ha commentato!

Bacibaci
See ya
S.

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