Nightmare_1
[
Prima classificata al contest «Poesie&Storie»
indetto da Starhunter ]
[ Prima classificata e vincitrice del Premio
Giuria al contest
«Pillole di ispirazione» indetto
da Dolloflotus e valutato da Roro ]
Autore: My Pride
Titolo: Nightmare
in red
Fandom: Originali
› Sovrannaturale › Vampiri
Tipologia: One-shot
Pillola di ispirazione
scelta: Numero 3 › Le speranze svaniscono di fronte
alla mano
gelida della morte
Poesia e frase/verso scelti: Lady
Macbeth: Atto III, Scena II › Meglio essere
ciò che distruggiamo che inseguire con
la distruzione una dubbiosa gioia
Personaggi principali: Lewis
Ride, Giselle Storr, Nathan Doe,
Miguel Rodriguez
Genere: Generale,
Vagamente Introspettivo, Drammatico, Vagamente
Thriller,
Sovrannaturale
Rating: Giallo /
Arancione
Nota: Questa storia
è uno spin off di Under
a bloody sky,
è vagamente legato alla doppia one-shot Si
Deus me relinquit e fa parte
della serie St.
Louis ~ Bloody Nights
Avvertimenti: Accenni
Femslash, Accenni Slash, Linguaggio a tratti un
po’ colorito
Binks
Challenge: 51° Ufficio
› 35° Saccenza
Prompt: 11°
Argomento: Ordine e caos
› Disordine
DISCLAIMER:
All rights reserved
©
I
personaggi presenti in questa storia sono tutti maggiorenni e mi
appartengono, dal primo all'ultimo. Sono comunque frutto di pura
immaginazione. Ogni riferimento a
cose e persone realmente esistite e/o esistenti è puramente
casuale.
This
work
is licensed under a Creative
Commons Attribution-Noncommercial-No Derivative Works 3.0 License.
NIGHTMARE IN RED
La
parte destra del mio viso era completamente imbrattata di sangue.
Erano da poco passate le due di
notte, e dopo essere passata all’Old Passion per un
giro di ronda ero anche
stata a Mississippi Ave, alla semplice casa di mattoni rossi che dava
su
Lafayette Park. Non ero entrata nella dimora di Dante e dei suoi
seguaci,
fortunatamente, e la cosa mi avrebbe fatto di sicuro guadagnare dei
punti agli
occhi di Nathan e di Giselle, che non avevano fatto altro che ripetermi
di fare
attenzione e quanto fosse importante la mia vita. In realtà
io non la ritenevo
tale, ma come spiegarlo ad un paio di licantropi in fase di transizione
che
avrebbero potuto diventare pelosi da un momento all’altro?
Semplice: si
lasciava correre. E così avevo fatto io, giacché
con quei due avrei sprecato
soltanto fiato.
Sospirai e mi passai una mano
sulla guancia, riuscendo solo ad allargare lo sporco. Il sangue di
Dominique e
Paul, le guardie del corpo di Miguel, si era quasi del tutto
raggrumato, e la
cosa stranamente mi disgustava. In quanto vampiro non mi aveva mai
fatto schifo
un po’ di sangue, ma la consapevolezza di aver attaccato
briga con i due
tirapiedi di Miguel mi metteva in agitazione, forse proprio
perché avrei dovuto
spiegare cosa mi avesse spinta a farlo al diretto interessato. Non
avevo però
intenzione di raccontare niente né tanto meno di
giustificarmi, quindi quello
spagnolo da strapazzo si sarebbe dovuto accontentare solo del mio volto
insanguinato e del mio pantalone ormai stracciato come spiegazione,
anche se
non avrebbe potuto vedere in che condizioni ero.
Allora perché avevo quasi
paura di
attraversare quei due isolati che mi separavano dalla casa di Nathan,
il posto
in cui io e Miguel avevamo cominciato a stazionare dopo il nostro
incontro con
Dante? Bella domanda, peccato che non avessi una risposta abbastanza
razionale.
Forse la verità era che, in qualche recesso della mia anima
falsamente
immortale, avevo paura della furia che avrebbe potuto scatenare Miguel.
Era
sempre stato un tipo piuttosto pacifico - o almeno
all’apparenza -, ma guai a
dargli un qualsiasi motivo per farlo incazzare. A quel punto bisognava
soltanto
pregare che avesse misericordia di te e non ti riducesse a bere sangue
dalla
cannuccia. Anche se era cieco, Miguel poteva contare
sull’esperienza dei
secoli, e io non volevo battermi con lui se non ve n’era
alcun motivo.
Fu rincorrendo quei pensieri che
mi ritrovai senza rendermene conto dinanzi alla villetta di una certa
famiglia
Robinson, dove pochi metri più avanti si ergeva
l’abitazione di quel sacco di
pulci. Se ci fossimo ritrovati in un’altra situazione, magari
più piacevole di
quella che stavamo vivendo, avrei detto che il fatto che ospitasse due
vampiri
in casa era alquanto ironico, specialmente se uno dei due aveva strane
tendenze
anche in campo sessuale. E, nay, io a quei livelli non ci arrivavo
nemmeno.
Dovetti arrendermi
all’evidenza
quando le gambe mi portarono praticamente alla porta
d’ingresso della villetta
di Nathan, e sospirando brevemente mi apprestai ad aprirla,
giacché il padrone
di casa mi aveva insegnato un modo per farlo anche non disponendo di un
paio di
chiavi. Avevo pure il permesso di oltrepassare quella soglia
finché lui stesso
non avrebbe deciso di revocarlo, dunque di cosa mi preoccupavo?
Dall’interno non proveniva
alcun
suono, ma quando aprii la porta la scena che mi si presentò
davanti mi lasciò
abbastanza basita: Nathan si trovava a cavalcioni sulle gambe di
Miguel, le
mani artigliate alla gola come in procinto di strangolarlo, e in viso
un’espressione così rabbiosa che
deturpò i bei lineamenti del suo viso. Invece Miguel,
per quanto apparisse sorpreso quanto me da quella situazione, aveva
tutta
l’aria di non dispiacersi poi così tanto della
svolta che avevano preso gli
eventi. Dopo tutti quei secoli mi risultava ancora bizzarro il modo in
cui quel
tipo riusciva a stupirmi, davvero.
Quando quel sacco di pulci fu sul
punto di squarciargli la gola, esclamai «Nathan!»
senza essermi realmente resa
conto di averlo fatto, e fu solo in quel momento che quei due si
accorsero
finalmente della mia presenza.
Una calda risata fece eco ad un
ringhio sommesso, e non ci sarebbe voluto un genio per capire chi
avesse dato
vita a cosa. «Tranquila,
chica, io e
il tuo amico peloso stavamo solo discutendo»,
esordì Miguel
con voce innaturalmente ferma e pacata, specialmente se si teneva conto
delle
grosse mani che avrebbero potuto sfondargli la gola in men che non si
dica.
«Io non lo chiamerei
discutere,
quello», ribattei nervosa, distogliendo lo sguardo dal suo
viso per osservare
quello di Nathan. «E tu lascialo», gli intimai, ma
i suoi occhi dorati mi
fulminarono all’istante, dandomi la netta impressione che
fosse stato quasi
completamente divorato dalla sua bestia. Quanto mancava alla luna
piena?
Miguel rise di nuovo e si
liberò
facilmente delle mani di Nathan, senza dover far ricorso né
a trucchi, né ad
illusioni: fu semplicemente forza bruta allo stato puro, forza che fu
capace di
far capitolare a terra quel licantropo in fase di transizione. Senza
guardarmi,
anche perché se l’avesse fatto non avrebbe potuto
vedermi comunque, Miguel accennò
un sorriso in cui rivelò la punta scintillante delle zanne,
roteando di poco la
testa in direzione della mia voce. «Lo siento, chica, sono muy...
mortificato», disse in
tono di scherno, giacché tutto sembrava tranne che
mortificato da quanto era
successo. Che avesse un lato masochista lo sapevo, ma che arrivasse
fino a quel
punto lo avevo sempre ignorato.
Decisi dunque di lasciar perdere e
mi diressi verso Nathan, cosicché potessi aiutarlo ad
alzarsi. In un primo
momento mi soffiò contro come un gatto, poi si
abbandonò mogio contro le mie
braccia facendo leva con i piedi per facilitarmi la cosa, visto che mi
superava
di parecchi centimetri buoni con il suo sicuro metro e ottanta.
«Va’ a
distenderti, Nathan, a quello lì ci penso io,
adesso», gli sussurrai, sebbene
sapessi che anche il diretto interessato avrebbe potuto sentirmi
benissimo. Ma
che cosa importava, in fondo?
Quello scemo di Nathan, però,
scosse la testa. «Non ti lascio da sola con quel
succhiasangue, Lewis», ribatté
con voce gutturale, simbolo che la sua parte animale dimorava ancora in
qualche
angolo della sua personalità.
«Non ho bisogno della balia,
sacco
di pulci, quindi vedi di starmi a sentire», sbottai, e gli
avrei anche dato un
bel paio di ceffoni se non avessi avuto il sentore che avrebbe potuto
rivoltarsi anche contro di me, in quel momento. «So come
trattare Miguel da
prima ancora che tu lo conoscessi, quindi vedi di calmarti».
«Ma...»
tentò di replicare,
però
io lo interruppi con un brusco gesto della mano.
«Niente ma, Nathan.
L’ultima cosa
di cui ho bisogno è un licantropo pronto a fare a
botte».
«Tranquilo, amigo, non
torcerò un capello a
questa bella senõrita»,
si intromise sarcasticamente Miguel, riuscendo solo a far infuriare
nuovamente
Nathan, e dovetti difatti afferrarlo per le spalle per impedirgli di
balzargli
al collo ancora una volta. Che tra quei due non corresse buon sangue
l’avevo
intuito sin dal primo incontro, ma non poteva essere solo quello il
motivo.
Conoscendo Miguel, però, la colpa era di sicuro sua.
«Chiudi quella boccaccia,
Miguel»,
sbottai, rinserrando la presa sulle spalle di Nathan prima di
afferrargli un
polso e rivolgermi ancora una volta a lui. «Vai di
là, Nathan, e non
preoccuparti. Anche se è uno stronzo, Miguel sa essere un
vero gentiluomo,
quando vuole». E in fin dei conti era vero, vista la vasta
varietà di amanti -
uomini o donne che fossero - che aveva avuto in quei lunghi secoli e
che aveva
sempre trattato con i guanti. Me inclusa. «Se ci sentisse
litigare, Giselle
potrebbe svegliarsi. E sai meglio di me quanto diventa irascibile
quando
succede».
Forse mettere in mezzo sua cugina
servì davvero a qualcosa, poiché Nathan si
ritrovò a rilassare un po’ i muscoli
delle spalle e a trarre un sospiro, non prima però di aver
lanciato un’altra
occhiata in direzione di Miguel, come se volesse tenerlo
sott’occhio per far sì
che non facesse scherzi. Alla fine si arrese ed annuì,
ritirandosi come gli era
stato detto non appena gli mollai il polso. A me non restò
altro da fare che
dirigermi a grandi passi verso Miguel, squadrandolo attentamente
dall’alto in
basso giacché non aveva minimamente pensato ad alzarsi. E
perché mai avrebbe
dovuto farlo, in fondo?
«Odori di sangue, chica»,
costatò d’un tratto, inspirando a fondo.
«Sangue di lupo».
Per un momento sussultai, dimentica
di avere ancora il viso sporco. Visto che Nathan, troppo preso dalla
furia che
chissà in che modo aveva scatenato in lui Miguel, non mi
aveva minimamente
guardata in volto con attenzione né tanto meno era sembrato
essersi accorto
dell’odore che emanavo, di conseguenza me l’ero
dimenticato anch’io. Che errore
stupido. Con la s maiuscola. «E tu sei uno stronzo
attaccabrighe», ribattei,
nonostante non c’entrasse assolutamente niente con
ciò che lui aveva appena
detto. «Si può sapere cosa stava succedendo e che
diavolo hai fatto?»
«Te lo dirò solo
dopo che mi avrai
raccontato cosa hai fatto tu
questa notte, chica».
«Niente scherzi,
Miguel»,
rimbrottai. «Parla».
Scrollò di poco le spalle.
«Perro
labrador poco morderor [1],
chica».
A quel suo dire inarcai un
sopracciglio, guardandolo con aria scettica. «Un modo come un
altro per dirmi “Io
non c’entro niente”?»
I suoi occhi ciechi
scintillarono
di pura ironia. «Se vogliamo metterla in questi termini,
chica,
è
esattamente ciò che voglio dire».
«Non me la dai a
bere, Miguel. Ti
avrei creduto molto di più se mi avessi detto che hai
provato a scopartelo».
Rise, una risata gorgogliante e
fresca come un limpido ruscello, ma che fu quasi capace di farmi
accapponare la
pelle. Un vampiro che riusciva a far provare una sensazione simile ad
un altro
vampiro era decisamente pericoloso. «Suvvia, chica, per che hombre mi
hai preso?»
«Ne saresti capacissimo, non
mentire», risposi, e il nuovo sorriso che mi rivolse fu
più eloquente di mille
parole. Forse uno dei tanti motivi dell’arrabbiatura di
Nathan era stato
proprio quello, chi poteva dirlo. Il fatto che odiasse Miguel, poi,
incrementava i guai e non risolveva di certo le cose.
Miguel finalmente si alzò,
ergendosi in tutta la sua eleganza dinanzi ai miei occhi, lasciando
così che
godessi del suo fisico asciutto esattamente come facevo secoli
addietro.
Sebbene a quei tempi indossasse abiti di pizzo e broccato che su di lui
apparivano tutt’altro che ridicoli, dovevo purtroppo
ammettere che anche in
jeans neri e felpa faceva la sua bella figura. Alzò una mano
per cercare il mio
volto, sfiorando appena con due dita il sangue raggrumato sulla guancia
prima
di portarsi quelle stesse dita alle labbra, leccandosi i polpastrelli.
Il suo
gesto apparve così inconsapevolmente erotico da farmi
correre un brivido lungo
la schiena, poiché non potevo mentire a me stessa: per
quanto mi ripetessi che
tra me e lui fosse tutto finito, il suo corpo mi tentava ancora. E
pensare che
non era nemmeno passato molto tempo da quando Giselle aveva detto di
amarmi e
io avevo candidamente affermato che Miguel fosse storia vecchia.
Com’ero
contraddittoria, certe volte.
«Questo è il sangue
di Dominique, chica»,
mi riscosse la sua voce sensuale, bassa e carica di tensione.
«Cosa hai fatto
ai miei lupi?»
Oh, merda. Anche se con
l’olfatto
aveva intuito che l’odore che emanavo era sangue di lupo,
aveva dovuto
assaggiarlo per capire realmente a chi appartenesse. Da quanto tempo
non si
nutriva come avrebbe dovuto? Ma non era quello il mio problema
principale,
adesso. «Non li ho uccisi, se è questo
ciò che credi», lo informai, e un vago
sospiro di sollievo gli sfuggì dalle labbra sottili. A
quanto sembrava ci
teneva davvero, a loro. «Ma ho dovuto discutere con loro per
avere un
po’ di informazioni dalla clientela».
«E che bisogno c’era
di
attaccarli?» domandò freddamente, indurendo ogni
lineamento del suo volto. Ai
miei occhi apparve come una statua di marmo, una statua collerica che
avrebbe
potuto ridurmi in briciole se solo avesse voluto.
Non ero io, però, ad essere
nella
parte del torto, diamine! «Guarda che neanche io ne sono
uscita illesa», ci
tenni a precisare in tono ironico, «e sappi che non abbiamo
fatto ricordo a
nessun potere sovrannaturale. E’ stata solo una sana
scazzottata tra vecchi amici».
Non era andata proprio così, ma la verità ci si
avvicinava abbastanza. «Alla
fine abbiamo trovato un accordo e ognuno ha ripreso il proprio
lavoro».
«Ciò non
spiega perché tu
sia
andata nel mio Night Club, chica».
«Mi è
forse vietato andare
all’Old Passion
per fare due chiacchiere,
adesso?»
«Sei ancora convinta che io ti
stia nascondendo qualcosa nonostante abbia accettato di aiutarti... non
è forse
così, chica?»
mi chiese in tono basso e pacato, squadrandomi con così
tanta attenzione che quasi trasalii nel vedere l’ombra di
qualcosa di
spaventoso passare nei suoi occhi d’un pallido azzurro cieco.
Cos’era
quell’ansia che mi aveva assalita così
d’improvviso?
Mi venne spontaneo indietreggiare,
ristabilendo così le distanze tra me e lui. Era sempre
meglio che stargli
appiccicata con il timore che potesse fare qualche mossa avventata.
«Finora non
mi hai mai dato ragione di credere il contrario, Miguel»,
rimbeccai, «e una
buona fetta della tua clientela non è composta solo da
malfattori, ma anche da
poliziotti. Manipolare la loro mente da ubriachi è molto
più facile di quanto
non sembri».
«Il mio Night è
aperto a chiunque
voglia divertirsi, chica»,
precisò con voce piatta e una calma immane,
specialmente se si teneva conto del fatto che lo stessi apertamente
accusando. «Non
mi sembra che sia vietato».
«Ma tenersi per sé
dettagli
importanti è intralcio alla giustizia».
In un gesto lento e distratto si
portò una mano alla fronte, massaggiandosi le tempie con due
dita e apparendo
più vulnerabile e umano di quanto non fosse. «Por favor, chica,
sono stanco di questa tua insistenza», disse. «Ti
ho detto per ben due volte di
non impicciarti in questa storia, mi sembra. Tutto questo non
farà altro che
portarti alla tomba», sospirò pesantemente.
«Vive cada
día como si fuera el último [2],
si dice
dalle mie parti, ma tu stai prendendo queste parole troppo alla
lettera». La
sua voce suonò così addolorata che quasi parve
stonare con l’aria solitamente
divertita che avevo imparato a vedergli in viso. «Non voglio
che ti succeda
qualcosa solo perché vuoi giocare ad essere la paladina
degli umani, mi
corazòn».
Feci per aprire bocca ma mi
interruppi, forse perché erano secoli che non mi chiamava
più in quel modo. Era
passato tanto di quel tempo da quando mi aveva accolta e mi aveva
iniziata a
tutto il male del mondo, che il sentire quel soprannome uscire dalle
sue belle
labbra quasi riuscì a calmarmi. Però scossi la
testa, rabbiosa: non dovevo
farmi abbindolare come un tempo. «Anche se per te
sembrerà stupido, è sempre meglio
essere ciò che distruggiamo che inseguire con la distruzione
una dubbiosa gioia [3],
Miguel».
«Dunque è
così che vuoi che
vada, chica?»
mi chiese ancora. «Vuoi lasciarti alle spalle secoli di vita
per cercare di
salvare almeno un pezzetto della tua anima?» La risata che
gli scappò fu amara
e aspra, tagliente come vetro spezzato. «Oh, chica, riesci
ancora a divertirmi!»
Fremevo di nervosismo, ma prendermela
con lui a cosa sarebbe
servito? In
fin dei conti aveva ragione: forse mi ero attaccata così
tanto a quel caso
nella vana speranza che con quella buona
azione mi sarei guadagnata un posto lassù, al fianco di quel
Dio che secoli
addietro mi aveva lasciata al mio destino. Però io non
volevo che fosse così,
dannazione. Io e l’Onnipotente avevamo ancora un affare in
sospeso.
Trassi un profondo respiro, socchiudendo
di poco gli occhi
prima di
puntarli ancora una volta in quelli pallidi di Miguel. «Se la
cosa ti fa tanto
ridere, perché mai hai accettato di aiutarci?»
Le sue risate si spensero come se non
fossero mai
cominciate, e fu
sfiorandomi appena una spalla che mi sorpassò, iniziando a
camminare nel
soggiorno con una tale fluidità che sembrò quasi
che ci vedesse. Toccò
qualsiasi cosa, dalle cianfrusaglie sparse in ogni dove ai mobili
stessi, e io
supposi che si stesse orientando per capire con precisione in che punto
si
trovasse. «Se ho preso questa decisione, chica,
è perché contrariamente a quanto tu creda ci
tengo ancora, a te».
«E saresti pronto anche a
morire?»
A quel mio dire si voltò e
sorrise
al vuoto. «Non chiedermi troppo, chica».
Avrei dovuto immaginarlo. Avrei
anche risposto a tono se qualcuno non mi avesse anticipata con voce
rabbiosa,
esordendo con un «Che razza di vampiro saresti,
tu?» prima di avanzare a grandi
falcate nella nostra direzione. Nathan era tornato - senza starmi
minimamente a
sentire, tra l’altro - e sembrava avvolto da una vampata di
calore che quasi fu
capace di farmi socchiudere gli occhi. La luna stava cominciando ad
avere la
meglio sulla sua bestia, a quanto sembrava. Al suo seguito vidi anche
Giselle
ed imprecai a denti stretti, volgendo lo sguardo su Miguel per
controllare le
sue reazioni. Sembrava tranquillo, forse anche troppo, come se il
trovarsi in
casa di due licantropi pronti a trasformarsi non lo preoccupasse
minimamente.
Beh, forse avrebbe dovuto cominciare a farlo.
Con la solita tranquillità di
cui
disponeva fece qualche passo verso di loro, fissandoli con quei suoi
occhi
freddi e ciechi. E mentre lo faceva, sorridendo compiaciuto come un
gatto che
si era appena mangiato un topo, capii le sue reali intenzioni: non
avrebbe
permesso che fossero loro ad attaccare per primi, ma li avrebbe
soggiogati e
poi costretti al proprio volere, annullando al tempo stesso le loro
personalità
e i loro pensieri. Mi frapposi dunque fra loro per impedirlo,
allargando le
braccia e guardando attentamente Miguel in viso. «Basta,
Miguel», gli intimai,
nella speranza che mi ascoltasse davvero. «Non concluderemmo
niente se
cominciassimo ad attaccarci fra noi».
Sbatté le palpebre per un
attimo,
catturando il mio sguardo. «Allora richiama i tuoi lupi, chica»,
mi apostrofò con voce bassa e quasi gutturale. «Se
non lo
farai, quel che accadrà in seguito sarà solo
colpa tua».
Dannazione. Perché si finiva
sempre così, con lui? «Loro non sono i miei lupi,
Miguel. Non mi appartengono»,
replicai, distogliendo gli occhi solo di poco per fulminare gli altri
due. «Quindi
vediamo di darci una calmata, d’accordo?»
soggiunsi, e nel dir questo mi
riferri specialmente a Nathan. Giselle difatti, sebbene avesse quasi
drizzato
letteralmente le orecchie, era ancora troppo addormentata per capire
cosa fosse
realmente successo. Quella situazione si stava trasformando in un
fottutissimo
incubo.
«Se vuoi davvero che mi calmi
accompagnami alla mia dimora, chica».
«Non se ne parla
nemmeno», si
intromise Nathan. E tanti cari saluti al mio “State
calmi”. «Lei resta qui,
succhiasangue».
Fu impressionante riuscire a
vedere la velocità con cui Miguel stornò lo
sguardo verso di lui per fissarlo
in viso con i suoi occhi ciechi. «Qualcuno ha chiesto il tuo
parere, lupo?»
«Il mio nome è
Nathan,
succhiasangue».
«Va bene, ragazzi, time
out», li
fermai immediatamente, sentendo la tensione salire come mercurio in un
termometro. «Miguel vuole solo controllare come stanno i suoi
lupi, Nathan. Non
è così, Miguel?» Non mi importava se in
realtà non era vero, però in quel
momento una scusa valeva l’altra. E poi magari avevo avuto
ragione, chi poteva
dirlo. In fin dei conti Miguel era sembrato realmente preoccupato per
loro.
Nel sentirmi, Miguel cambiò
espressione in un lampo, quasi si fosse appena tolto una maschera.
L’aria seria
che gli si era dipinta in volto lasciò spazio ad un piccolo
sorriso, prima che
con un gesto aggraziato della mano indicasse a tutti noi
l’uscita. Come
riusciva a farlo, essendo cieco, per me era ancora un mistero.
«Andiamo, chica?»
Alzai appena lo sguardo al
soffitto. A quanto sembrava aveva deciso lui per noi: prossima
destinazione, Old
Passion.
Il
Night Club di Miguel era il più frequentato di tutta St.
Louis.
Pur lavorandoci soltanto esseri
umani - escludendo ovviamente Dominique e Paul, le guardie del corpo di
Miguel
-, l’atmosfera che si respirava al suo interno era
così tetra e soffocante da
somigliare ad una vecchia cripta ammuffita. Nonostante tutto,
però, la
clientela non mancava mai. Se fosse per l’arredamento o la
possibilità di
realizzare i propri sogni proibiti era ancora un mistero, per me. Quel
che era
certo, era che nel suo regno Miguel
appariva molto più rilassato di quanto non lo fosse stato
fino a quel momento a
casa di Nathan.
Dopo aver appurato che le sue
guardie del corpo non avevano subito lesioni gravi, difatti, si era
accomodato
su una delle poltrone di pelle nera presenti nel suo ufficio e ci aveva
invitati a fare lo stesso - lasciando fortunatamente che mi lavassi
prima il
viso -, sorridendo cordiale come il miglior padrone di casa. Per quanto
potesse
fingere, però, le sue intenzioni erano chiare come il sole:
era pronto a
dichiarar battaglia non appena ne fosse stata richiesta
l’occasione.
Ci osservò per un lungo
istante,
quasi fosse stato in grado di vedere le espressioni sui nostri volti e
la
tensione che si era impossessata delle nostre membra. Anche se non
poteva
farlo, però, ero più che certa che potesse
benissimo fiutare l’ansia che aveva
attanagliato non solo l’animo di Nathan e di Giselle, ma
anche il mio. Era
tutto troppo tranquillo, persino la musica nel locale sembrava essere
scemata
per lasciar spazio a quella quiete quasi irreale, come se da un momento
all’altro essa potesse scoppiare come una bolla di sapone.
Perché mai Miguel
aveva insistito affinché ci radunassimo nel suo Night Club?
Che fosse solo
perché lì si sentiva più al sicuro era
da escludere, conoscendolo. Sotto doveva
per forza esserci qualcos’altro. Ma cosa? In certi momenti
restare all’oscuro
delle cose era la soluzione migliore.
Giacché nessuno si era ancora
deciso ad aprir bocca, come al solito toccò a me rompere il
silenzio che si era
creato. «Siamo qui, Miguel, esattamente come hai
richiesto», esordii pacata. «Adesso
potresti dirci che cazzo succede?»
«Un tempo eri meno volgare, chica»,
ribatté distratto, carezzando il
bracciolo della poltrona come se si trattasse di un gatto.
«Ma non siamo certo
qui per discutere di questo, vero?» soggiunse in tono
sarcastico, quasi mi
avesse letto nel pensiero. «Voglio sapere precisamente con
chi hai parlato,
stanotte».
«E che bisogno c’era
di portarci
nel tuo covo, succhiasangue?» domandò in mia vece
Nathan, agitandosi sulla
propria poltrona. Non gli saltò al collo solo
perché ci pensò Giselle a
trattenerlo, e di questo gliene fui grata. Volevo evitare uno scontro,
se
potevo.
«Cerchiamo di stare calmi, per
favore»,
esortai, ed
entrambi
avrebbero dovuto ascoltarmi, questa volta. Sapevano fin troppo bene che
non
sprecavo quasi mai un “Per favore” se non ce
n’era strettamente bisogno.
Miguel e Nathan si guardarono
letteralmente in cagnesco prima di decidere di stabilire una tregua,
facilitando così il compito. Non avrei davvero saputo cosa
fare se si fosse
presentata l’eventualità di uno scontro tra loro
due.
«Adesso credo che possa dirci
il vero motivo per
cui ci
voleva qui,
signor Rodríguez», disse Giselle, guardandolo
attentamente negli occhi. E per
quanto fossi sicura che lui non potesse vederla a sua volta, ero certa
che
sapesse esattamente che espressione avesse assunto il suo volto.
Difatti sorrise brevemente,
adagiandosi contro lo schienale della poltrona in un gesto falsamente
umano e
stanco. Invidiavo la sua capacità di apparire indifeso,
certe volte. E c’era da
dire che lui non lo era quasi per niente. «La lupa ha
più intuito di quanto
credessi», ridacchiò, ignorando la protesta a cui
diede prontamente voce Nathan
quando sentì il modo in cui aveva chiamato la cugina. Miguel
volse invece lo
sguardo verso di me, e nei suoi occhi pallidi sembrò
dardeggiare un sentimento
simile alla paura. Miguel spaventato? Oh, cazzo. «Dante vuole
la nostra testa, chica»,
mi informò, e a quel suo
dire
non potei fare a meno di sgranare gli occhi, esterrefatta. Incredula e
scombussolata, prima ancora che potessi formulare un pensiero coerente
Miguel
continuò, «La visita alla sua dimora e
ciò che è successo gli hanno dato il
pretesto per richiedere l’esecuzione. Siamo tutti condannati
a morte».
Aveva pronunciato quelle parole
senza che il sorriso sulle sue labbra si appassisse, ma sapevo che non
aveva
potuto prenderla così bene. A meno che non stesse
cominciando ad impazzire alla
pari dei più antichi della nostra razza, Miguel non avrebbe
mai venduto la sua
pellaccia senza lottare. E io nemmeno.
«Che motivo ha questo Dante di
toglierci dai piedi?» chiese ancora Giselle, umettandosi le
labbra. La bestia
palpitava dietro i suoi occhi dorati, desiderosa di liberarsi.
«Di cosa ha
paura?»
Per la prima volta da quando si
erano conosciuti, Miguel la guardò come se fosse appartenuta
alla nostra stessa
specie: con venerazione. «Sappiamo qualcosa che lui non vuole
venga a galla»,
rispose seriamente, lasciando che il suo accento spagnolo trasparisse
ad ogni
parola pronunciata. «Però il punto è
proprio quello: che cosa sappiamo?»
«Ci siamo infilati in un
fottuto
guaio», grugnì Nathan, e non potei fare a meno di
dargli ragione. Diamine, qual
era il significato di quel gioco a cui avevamo preso parte? Non lo
sapevo, però
ero certa che venirne a conoscenza avrebbe preteso un sacrificio non
indifferente.
In quello stesso istante
entrò una
delle guardie del corpo di Miguel, e noi tutti ci voltammo per
osservare la sua
mole. I morsi sul collo erano recenti e non erano di sicuro miei.
Miguel si
nutriva forse di lui e anche del gemello, oltre ad usarli come guardie
del
corpo e lupi da compagnia? A quanto sembrava era esattamente
così. Ci degnò
appena di un’occhiata prima di avvicinarsi al suo capo,
chinandosi a mezzobusto
per sussurrargli qualcosa all’orecchio in una lingua che non
avevo mai udito.
Un altro idioma europeo, forse? Più che probabile.
Quando terminò, Miguel
annuì e lui
raddrizzò la schiena, voltandosi per adocchiare me. E quel
suo sguardo non mi
piacque affatto. «Paul ti ringrazia sentitamente per
l’avergli quasi spezzato
il braccio, senõrita»,
ringhiò, con
voce quasi per
niente umana. Och, vero. Avevo dimenticato che la luna influiva anche
su di lui
e sul suo gemello.
«Digli che è stato
un vero
piacere»,
lo sfidai, ricevendo quella che sembrò
un’occhiataccia da Miguel e sentendo un
suono simile ad un grugnito risalire dal fondo della gola del lupo.
Certo che
ero proprio brava a far incazzare i licantropi, quella notte.
«Glielo dirai tu quando ti
avrò
portata da lui per una ripassata, femmina».
«Lei non si tocca, Dominique. Mai»,
sibilò Miguel in tono rabbioso. «Vai
piuttosto a fare ciò per cui ti pago».
Sebbene si stesse trattenendo dal
farmi a pezzi, Dominique digrignò i denti ma
scattò sull’attenti come un vero
soldato. «Come vuole, senõr»,
disse
sprezzante,
gettandomi un’occhiata di puro odio. E pensare che lui e il
gemello mi avevano
anche detto che non alzavano le mani sulle donne! Beh, sembrava proprio
che
avessero cambiato idea. C’era però da dire che
anch’io me l’ero andata a
cercare. «Con il vostro permesso»,
ironizzò poi rivolto a noi, dedicando
un’occhiata particolare a Giselle prima di sparire. E, nay,
la cosa non mi
piacque per niente. Avevo imparato fin troppo bene che quando i
licantropi
maschi guardavano una femmina in quel modo voleva significare soltanto
una cosa:
sesso. E io avrei preferito marcare Giselle come mia piuttosto che
lasciarla
fra le grinfie di quell’energumeno.
«Vedo che neanche i tuoi
scagnozzi
hanno poi tutta questa gran voglia di seguirti,
succhiasangue», esordì Nathan,
risvegliandomi al tempo stesso dai miei pensieri. Volsi lo sguardo
verso di
lui, vedendolo con un sorrisetto sardonico dipinto in volto.
L’espressione di
Miguel, invece, era di puro e semplice odio.
«Non ti permetto di parlarmi
in
questo modo, lupo», replicò lui, e un ringhio
sommesso si levò ben presto dalla
gola di uno dei due. Fu difficile capire da chi, ma ciò che
accadde in seguito
fu così rapido che né io né Giselle
riuscimmo ad intervenire: ormai al culmine
di quella tensione che si era accumulata dentro di lui, Nathan aveva
infranto
quella maschera sorridente che indossava di continuo e si era gettato
contro Miguel,
che aveva a sua volta contrattaccato avvertendo probabilmente lo
spostamento
d’aria. Sebbene si fosse trovato disorientato quanto noi
dalla velocità
dimostrata da Nathan, Miguel era riuscito a parare il suo primo colpo,
alzando
in tempo un braccio per bloccare gli artigli che miravano al suo cuore.
Noi
vampiri guarivamo in fretta, certo, ma senza il cuore eravamo carne
morta.
«Nathan, basta!»
Giselle
tentò di
richiamare il cugino, ma lui sembrò non volerne sapere; con
la dentatura umana
ormai trasformata in zanne acuminate, aveva affondato le fauci nel
braccio
destro di Miguel, facendo sì che il sangue spruzzasse sul
viso e sul pavimento,
inzuppando anche i vestiti di entrambi. Miguel sibilò e gli
soffiò contro come
un gatto, afferrandolo per i capelli per strattonarlo via con forza,
fregandosene altamente dei canini conficcati nella sua carne.
Sembravano
entrambi intenzionati ad avere la meglio sull’altro, e questo
non volgeva a
nostro favore. Non ci sarebbe stato più niente per cui
combattere se si fossero
ammazzati a vicenda. Ogni speranza di vittoria contro Dante sarebbe
sparita nel
momento esatto in cui uno dei due sarebbe morto, e non ci sarebbe stato
più
niente da fare: la morte avrebbe in seguito afferrato anche i
sopravvissuti con
le sue gelide mani [4].
Miguel allontanò Nathan dal
suo
braccio con un grido strozzato, e brandelli di pelle e tessuto si
sparpagliarono sul pavimento e sulla moquette, impregnandola di altro
sangue.
Tenendosi una mano sul braccio ferito, poi, lui obnubilò le
nostre menti e
sparì alla nostra vista, lanciando un lamento rabbioso. Le
polle dorate di
Nathan scrutarono l’ufficio senza perdere d’occhio
nessun anfratto, e le zanne
scoperte, ormai tinte di rosso, sembrarono palpitare fra le sue labbra.
Serrai i pugni lungo i fianchi,
dandomi della stupida per non essere riuscita a fermare prima quella
situazione.
Feci poi per avvicinarmi a Nathan, così da dargli una bella
lezione, ma Giselle
mi precedette: gli fu accanto con due sole falcate, e il sonoro
schioccare di
uno schiaffo risuonò come un colpo di fucile in quella
stanza chiusa. «Razza
di... deficiente!» esclamò, guardandolo furente.
Nathan dilatò gli occhi e si
portò una mano alla guancia schiaffeggiata, ma Giselle gli
bloccò ogni replica
sul nascere, continuando, «Che diavolo ti è
saltato in mente?! Non dovevi attaccarlo!»
Con quelle zanne da lupo e quelle
labbra sporche di sangue, Nathan appariva mostruoso nonostante
l’espressione
sconcertata e fortemente umana che gli si era dipinta in viso. E forse
era
proprio per quel motivo che risultava terrificante. «Miguel
è vendicativo,
Nathan», mi intromisi in tono serio, guardandolo con
attenzione. «Se lo conosco
bene, non te la lascerà passare liscia».
Nathan indietreggiò dalla
cugina e
si leccò il labbro superiore, guardandomi. «Che
faccia quel che vuole, quel
vampiro», esordì sprezzante, sputando il sangue
sulla tappezzeria. «Non ho
paura di quel succhiasangue».
«E invece dovresti»,
lo misi in
guardia. Conoscevo Miguel da troppo tempo per credere che non gli
facesse del
male dopo ciò che Nathan aveva fatto. «Miguel non
perdona, e tu hai fatto una
cosa tremendamente stupida».
«Non voglio repliche da una
che se
lo scopava», replicò duramente, e, nonostante il
trasalimento iniziale, io
accusai il colpo. Dopo seicento anni non potevo prendermela per una
cosa del
genere. Sentire però quelle parole uscire dalla bocca di
Nathan, per quanto
egli fosse influenzato dalla sua bestia, faceva male. Era un dolore
sopportabile, certo, ma faceva male. E cos’era poi
quell’aria quasi ferita che
gli leggevo in viso? Avrei dovuto essere io quella ferita, non lui.
Nathan cominciò a camminare per
l’ufficio a braccia spalancate, calpestando volutamente le
gocce di sangue e la
pelle sul pavimento, le zanne ben in mostra come pronto alla battaglia.
«Cosa
fai, succhiasangue, ti nascondi?» urlò al nulla,
ignorando le nostre
raccomandazioni e il nostro dirgli di star zitto. «Hai paura
che il lupo possa
farti male? Vieni fuori, codardo!»
Continuò con quella tiritera
senza
che noi potessimo fare niente per zittirlo, sebbene avessimo pensato
stupidamente di stordirlo per far sì che almeno
l’influsso della luna scemasse
un po’; però non facemmo niente di tutto questo,
forse anche perché non sarebbe
servito ad un granché.
Fu però quando Nathan
ricominciò
ad inveirgli contro con voce tonante che mi accorsi
dell’ombra alle sue spalle,
e non feci in tempo ad aprir bocca e ad avvisarlo che Miguel si
materializzò
dietro di lui, cingendogli i fianchi con entrambe le braccia per
impedirgli di
muoversi o scappare. Il suo volto era una maschera scarna e
terrificante, e i
suoi occhi, di solito d’un azzurro pallido come il cielo
d’autunno, erano ormai
ridotti a due vacui oblii, giacché la pupilla aveva ormai
inghiottito l’iride e
la cornea. L’avevo visto così soltanto una volta,
e la consapevolezza di ciò
che aveva intenzione di fare mi colpì come una secchiata
d’acqua fredda. «Miguel,
no!» esclamai, correndo nella loro direzione per tenare di
fermarlo.
Nathan imprecava e scalciava per
liberarsi, ma la morsa di Miguel era come quella di una statua di
marmo. Una
statua pronta ad uccidere. Reclinò la testa
all’indietro e snudò oscenamente le
zanne, pronto ad affondarle nel collo di Nathan e a prosciugarlo fino
all’ultima goccia di sangue. Mi gettai su di lui per
impedirglielo, e rotolammo
insieme sulla moquette del suo ufficio in un groviglio di stoffa
ridotta a
brandelli e imprecazioni. Inchiodai Miguel al pavimento con entrambe le
braccia, tentando in qualche modo di bloccarlo, ma lui
ribaltò la situazione
con un colpo di reni, ritrovandosi sopra di me a zanne scoperte.
Mi alitò in faccia e io
socchiusi
gli occhi, quasi trattenendo il respiro mentre sentivo la tensione
serpeggiare
in tutta la stanza. «Perché lo proteggi,
chica?»
mi chiese Miguel con voce gutturale, serrandomi la gola con una mano.
L’odore
di sangue che emanava il suo intero corpo era così forte da
farmi venire un
capogiro. «Cosa ti spinge a schierarti dalla sua parte
anziché dalla mia?»
Mossi appena le labbra e tentai di
guardarlo attraverso l’orlo delle ciglia, afferrandogli la
mano con cui mi
tratteneva per tentare di allontanarla, volgendo al tempo stesso lo
sguardo in
direzione di Nathan. Era a terra, ma almeno sembrava che ci fosse
Giselle a
prendersi cura di lui. Tornai dunque a fissare Miguel, stavolta aprendo
del
tutto gli occhi. «Non sa come funzionano le cose»,
riuscii a sussurrare. «E’
come un bambino, Miguel. Non capisce il nostro mondo».
«E cosa ti aspetti che faccia,
chica? Vuoi
forse
che lo
perdoni?»
Sarebbe
un’idea, mi ritrovai a pensare, e se ero in vena
di
sarcasmo voleva significare che in fin dei conti stavo alla grande. A
parte
delle dita d’acciaio a stringermi il collo, ovvio.
«Ti prego»,
lo implorai, e forse fu proprio per
quel motivo che lo
vidi accigliarsi, giacché era raro che pronunciassi quelle
parole.
Mi lasciò andare con la
stessa
velocità con cui mi aveva afferrato, rimettendosi in piedi
prima di offrirmi
una mano. La osservai con fare guardingo, massaggiandomi il collo con i
polpastrelli di due dita e scoccandogli un’occhiataccia.
Però l’afferrai, stufa
di tutta quella storia.
«Se vuoi che lo perdoni, chica, pretendo che
tu mi
paghi un
tributo». Le sue parole mi raggelarono all’istante,
e sgranai gli occhi prima
di boccheggiare. Che diavolo voleva dire, adesso, con quella specie di
ordine? Avrei
per caso dovuto pagare io per le colpe di Nathan per evitare che lui
venisse
massacrato? Oh, diamine.
Umettandomi le labbra, sbottai,
«Se
è del sesso, scordatelo».
Quella mia rimostranza riuscì
a
strappargli una risata che riportò, almeno in parte, sul suo
viso quella sua
solita espressione tranquilla. «Il sangue va ripagato con il
sangue, chica.
Se ben ricordi, è stata una delle
prime cose che ti insegnai».
Il sangue va
ripagato con il sangue. Avevo del tutto dimenticato
questo suo insegnamento, e non sapevo dire se fosse peggio il sentirlo
attaccato alla mia vena come se si fosse trattato del mio seno, oppure
avvertire la sua presenza invadente nella mia intimità.
Sesso o sangue, dunque?
Avrei preferito nessuno dei due.
Sospirai pesantemente e serrai le
palpebre per qualche secondo, alzandole poi per guardare Miguel in
viso. «Fai
uscire Nathan e Giselle sani e salvi da qui», contrattai.
«Non voglio che
assistano».
Fece un cenno galante con il capo.
«Come desideri, chica».
Ottenuto il suo consenso mi voltai
verso di loro, guardandoli con la fronte vagamente corrugata dalla
preoccupazione. «Aspettatemi fuori», dissi poi.
«Arrivo subito».
Si gettarono delle occhiate veloci
e, mentre aiutava il cugino ad alzarsi, Giselle chiese, «Cosa
vuoi fare?» La sua
voce trapelava una piccola nota isterica. Non essendo abituata al lato
sovrannaturale della sua vita, era più che normale che
adesso avesse paura di
ciò che sarebbe potuto accadermi, sebbene non lo desse a
vedere in pieno.
Provai a sorriderle, così da
rassicurarla. E, diamine, mi sentii così falsa!
«Porta Nathan fuori di qui,
Giselle. Non mi succederà niente, sul serio».
«Lewis», mi
chiamò sottovoce,
anche se ben udibile da tutti i presenti. Sembrava quasi che volesse
convincermi ad andarmene con loro, ma non avevo intenzione di lasciare
le cose
in quel modo e di rischiare di inimicarmi anche Miguel. Mi bastava
già uno
stronzo in tutta quella faccenda.
«Porta Nathan fuori di
qui»,
ripetei insistente, e riuscii a farla muovere di lì solo
perché alla fine capì
che restare avrebbe soltanto complicato le cose. Una tipa davvero
sveglia.
Non appena uscirono mi ritrovai ad
alzarmi la manica della maglietta, sentendo le dita di Miguel carezzare
dolcemente la pelle una volta trovato il polso. Si chinò per
ispirarne l’odore
ma non mi morse, leccando appena la vena pulsante senza lacerare la
carne. «Il
collo, chica»,
sussurrò, ma io scossi
il capo energicamente, dimentica che non poteva vedermi. Lui
però parve
accorgersene lo stesso, perché drizzò la testa e
mi guardò con la fronte
aggrottata. «Non costringermi a farlo con la forza, chica. Il
collo».
Mi sarei pentita per tutti i
secoli che mi sarebbero passati davanti, per quella scelta, ma non
potevo fare
altrimenti; erano successe troppe cose, quella notte, e io volevo
soltanto
andare a riposare nella mia bara. Offrii dunque il collo a Miguel
proprio come
richiesto, sentendo serpeggiare entro di lui un trionfo così
assoluto che quasi
mi venne voglia di rompergli il muso. Rabbrividii nel sentire la sua
lingua correre
lungo l’arteria, le labbra che baciavano appena la pelle, e
trattenni il
respiro con un sibilo quando affondò le zanne nel mio collo,
succhiando e
deglutendo con tale ardore che quasi mi sembrò che fosse
sull’orlo
dell’orgasmo. Miguel mi cinse i fianchi con entrambe le
braccia senza staccarsi
dalla mia vena, abbeverandosi come un neonato che si nutriva del latte
materno.
Quella era una sensazione che non
provavo da secoli, e per me era alquanto difficile dire se fosse
piacevole o
meno, giacché l’ultima volta che l’avevo
fatto ero stata un tutt’uno con lui,
sangue e carne. Ci eravamo nutriti a vicenda e avevamo condiviso il
letto, a
quel tempo, ma sapevo che in quel momento la cosa era ben diversa e che
niente
di ciò che avevo provato si sarebbe ripetuto. O almeno lo
speravo.
Finì tutto molto in fretta,
fortunatamente, ma Miguel se ne approfittò per rubarmi un
bacio, così da farmi
assaporare il mio stesso sangue. In un primo momento restai interdetta,
poi lo
spinsi via con tutte le mie forze, fissandolo con occhi stralunati.
«Direi che
ti sei preso il dito con tutto il braccio, adesso», dissi in
tono aspro,
guadagnandoci solo un sorriso che mi fece irritare ancora di
più.
L’espressione che Miguel aveva
in
viso lo faceva apparire ebbro, quasi si fosse ubriacato del mio sangue.
«Ma ne
è valsa la pena», rimbeccò, reclinando
di poco il capo all’indietro. «Non hai
idea di quante cose potremo fare se ci alleassimo come un tempo,
chica»,
soggiunse. «Potremo persino
riuscire a spodestare una volta per tutte Dante e la sua Nobile
Madre».
A quel suo dire sgranai gli occhi,
a dir poco incredula. Stava forse farneticando? Oppure aveva avuto
quell’idea
ancor prima che gli parlassi della mia indagine? Stavo cominciando a
pensare
che fosse stato tutto un suo stratagemma, quello. «Nay,
Miguel, se vogliono la
nostra testa come hai affermato, non riusciremo a vincere neanche con
un
esercito», replicai sarcastica, decidendo di dargli le spalle
una volta per
tutte. La conversazione era finita lì, per me, e non avevo
la benché minima
intenzione di continuare a discutere.
Lui non mi fermò
né tanto meno mi
ordinò di tornare indietro, lasciando che uscissi senza
intoppi dal suo
ufficio. Alquanto strano, dovetti ammetterlo. Attraversai il Night Club
e mi
diressi fuori, dove le guardie del corpo di Miguel avevano scortato i
miei due
amici. Giselle fu la prima a corrermi in contro, e anche se non
parlò potei
capire quanto si fosse preoccupata. Subito dopo ci raggiunse Nathan,
con in
viso una strana espressione. I suoi occhi erano però fissi
sulla mia bocca, e
non ci misi molto a capire cosa stesse guardando.
«Cos’è successo?» mi chiese,
ma io lo fulminai immediatamente con lo sguardo.
«Non un’altra
parola, Nathan»,
sbottai nervosa, pulendomi il sangue che avevo sulle labbra prima di
incamminarmi
senza aspettare nessuno dei due. Avrei voluto lasciarmi quella notte
alle
spalle, cancellare tutti gli avvenimenti che si erano susseguiti dal
momento in
cui avevo deciso di indagare, andandomene magari al Bloody Nights per
il solito
Bloody Mary che non avrei toccato. La mia vita monotona quasi mi
mancava,
adesso, e probabilmente era anche piuttosto triste arrivare ad una
conclusione
del genere.
Senza fiatare ci dirigemmo tutti e
tre verso casa, con i colori perlacei dell’alba che
cominciavano ad affacciarsi
in cielo. Dopo la pioggia torna sempre il sole si diceva, giusto? Beh,
il mio
sole era purtroppo tramontato troppi secoli fa, e nulla avrebbe potuto
far sì
che esso sorgesse ancora una volta per mostrarmi la strada da
percorrere. La
mia vita sarebbe sempre e solo stata simile ad un continuo incubo in
rosso. Un
incubo di sofferenza e sangue.
[1]
Noto proverbio che recita “Can che abbaia non
morde”.
Il co-protagonista, in
questo caso, l’ha usato in maniera piuttosto sarcastica per
far intendere che
la colpa di quanto accaduto è prettamente di Nathan: essendo
lui un lupo
mannaro, capire il perché di quel proverbio diventa
ovvio.
[2] Noto
proverbio che recita “Vivi ogni giorno come se fosse
l’ultimo”.
In questo caso Miguel prende
in considerazione queste parole proprio perché Lewis sembra
intenzionata ad
andare avanti su quella strada sebbene lei stessa abbia il
presentimento che
non tutto si risolverà per il meglio.
[3] Frase
pronunciata da Lady Macbeth nella scena II
dell’atto III del Macbeth.
E’ stata pronunciata
dalla protagonista con l’intenzione di far capire a Miguel
che in quel momento
preferisce passare per un essere umano (Ciò che lei
distrugge) piuttosto che
far finta che tutto scorra come al solito e che lei possa andare a
caccia di
quegli stessi umani come ha sempre fatto, inseguendo per
l’appunto con la
distruzione quella dubbiosa gioia.
[4]
Sebbene sia riveduta per
adattarla al contesto, questa è la pillola
d’ispirazione scelta che fa da base
alla storia insieme alla precedente frase inserita.
Essa
recita esattamente “Le speranze svaniscono di fronte alla
mano gelida della
morte”.
_Note
conclusive (E
inconcludenti) dell'autrice
Questa
storia è stata scritta per il contest “Pillole d'ispirazione”
indetto da DollofLotus e valutato da Roro, nel quale si è
classificata Prima
vincendo il Premio
Giuria, e ha partecipato anche al contest “Poesie&Storie”
indetto da Starhunter, nel quale si è a sua volta
classificata Prima.
Stavolta posso dire benissimo di essermi gasata, visto che
mi sono classificata prima in due contest diversi. Nay, stavo
scherzando, ma davvero sono contentissima.
Comunque, come già accennato nello
specchietto introduttivo, questa storia è
uno spin off della long fiction Under
a bloody sky,
facente parte
della serie St.
Louis ~ Bloody Nights.
A causa
degli eventi e dei personaggi citati è legata a sua volta
alla doppia one-shot
intitolata Na
doir sìon
dhomh, mo brèagha aingeal, ma essa non
è necessaria
alla comprensione di questa determinata storia.
In realtà non saprei come
catalogare questa storia e nemmeno cos’altro dire su di essa.
Di certo posso
dire che la fanfiction principale sta avendo più spin off di
quanto io stessa
non credessi, ma che posso farci... mi sono affezionata al personaggio
di
Miguel *Risatina*
Per quanto non mi convinca, spero
che la storia sia piaciuta. ♥
PILLOLE DI
ISPIRAZIONE
PRIMA CLASSIFICATA
POESIE & STORIE
PRIMA CLASSIFICATA
Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo
alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di
scrittori.
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