Blo,blo,blo.

di Gwendin Luthol
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Mi baci,mi accarezzi.
E’ ciò che si alterna allo specchiarsi del vetro dell’autobus sulla città che si sveglia.
Tengo su il volume della musica che risuona dentro di me,come le corde di un basso,è indefinita da chi mi circonda.
Non ho mai fatto troppo caso ai visi che mi si presentano davanti,in bus. Mi lascio semplicemente trasportare da quella che è la miglior incarnazione dell’autonomia: l’apertura delle porte,lo sbuffare degli anziani e il parlare ad alta voce dei signori filippini al telefono.
Sento il calore del tuo bacio ancora sulle mie labbra.
Le sfioro con l’indice destro,sono calde. Tutto in me diventa caldo alla percezione del tuo solo pensiero…anche nella più fredda mattina di metà Dicembre.
 
Entro in aula di plastiche dove l’odore dell’argilla mi trapassa senza pietà le narici. Prendo posto al cavalletto più lontano,quello irraggiungibile come una piccola isola deserta nel bel mezzo dell’oceano più profondo.
Prendo spatola e chiave e con innaturale movimento incido sull’impasto verdognolo. Volo via,chiusa in me stessa,dentro una piccola bolla di sapone. Leggera,colorata,senza troppe preoccupazioni ma basta poco che qualcosa distrugga tutto. Scoppia la mia bolla e cado pesante da dove ero venuta.
“Giulia,posso sedermi accanto a te?”
Tu,che sei così simile a Lui.
Faccio cenno di sì con la testa. Quasi piango ma,non posso più permettermelo.




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