E' tutto precario, anche la vita

di Kiyara
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< Sono già passati venti minuti e non è ancora tornata > disse la prof guardando il suo orologio. < Per favore, vai a chiamarla > disse all’alunna che stava lavorando al computer vicino a lei.
L’alunna, una ragazzina coi sottilissimi capelli corvini che quel giorno indossava un maglione blu, annuì e si alzò. La porta dell’aula emise il suo solito irritante cigolio quando l’aprì per uscire. Una volta nel corridoio circolare, si diresse verso il bagno e vi entrò. Rimase sulla soglia.
< Ehi, Carol, la prof vuole che torni > disse ad alta voce per farsi sentire dall’altra parte del bagno. < Carol? > chiamò ancora, non ottenendo alcuna risposta.
Rimase immobile per percepire il più piccolo suono. Aveva detto che andava in bagno, era capace di perdersi a osservare le macchie d’umidità, non doveva essere andata da qualche altra parte; era più probabile che volesse solo farle credere di non esserci. La ragazza corvina non sentiva niente, se Carol non voleva farsi trovare era davvero brava.
< Carol, sono io, Violetta, mi dici dove sei? >
Entrò nella parte più interna del bagno, ben decisa a scovare la novellina della sua classe.
Non appena entrò la vide. Era seduta sul pavimento con la schiena appoggiata al muro sporco del bagno, immobile e scomposta come una bambola abbandonata, gli occhi cerchiati da occhiaie violacee fissi nel vuoto con l’espressione tipica dei cadaveri dei telefilm.
Violetta non sapeva cosa le impedì di urlare quando la vide, ma quella cosa non funzionò dopo che fu schizzata fuori dal bagno.
La sentirono tutti, ma proprio tutti, gli alunni e i professori che stavano sul piano. Violetta non sapeva come rispondere agli sguardi atterriti che la fissavano dalle porte delle aule.
La sua prof era fuori dall’aula e la fissava preoccupatissima. Violetta le corse incontro e l’abbracciò tanto forte da stritolarla.
< Oh mio Dio, prof… aiuto >




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