Ipnotic Nightmares

di Sherlock Holmes
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POV HOLMES
Lo vidi aprire una busta bianca, entrando nel suo studio.
- Non si usa più bussare, Holmes?- mi chiese Watson, senza staccare gli occhi dalla lettera.
- La porta era aperta…- mi giustificai, appoggiandomi allo stipite.
Gladstone si alzò dal cuscino a terra, divenuto ormai suo giaciglio. Dopo essersi stiracchiato le tozze zampe, il bulldog si voltò, si accucciò e riprese a dormire, emettendo strani grugniti.
Watson aggrottò le sopracciglia, fissando il foglio davanti a sé.
- Corrispondenza inaspettata?- gli domandai.
Il mio coinquilino si limitò ad annuire.
Mi staccai dalla parete e mi avvicinai a lui, accomodandomi in una delle poltroncine destinate ai suoi pazienti.
Watson si alzò, infilandosi un pastrano.
Lo guardai vestirsi.
- Mi richiedono per un consulto medico.- disse con semplicità.
Mi strinsi nelle spalle. – Non mi stupisce.-
Il mio socio si fermò per un istante, con il cappello in mano.
- Davvero?-
Non gli avevo mai fatto apertamente un complimento.
- Sì, davvero. Posso dire di tutto riguardo alla sua persona, Watson. Posso affermare che lei è un giocatore d’azzardo complusivo, che a volte ha la testa fra le nuvole, che è un uomo precipitoso, secco, sentimentale, in troppi casi acido ed irascibile, decisamente irresponsabile… Ma non posso assolutamente dichiarare che lei sia un pessimo medico… Altrimenti, affermerei il falso.-
Watson mi osservò, indeciso se ribattere agli insulti o se ringraziarmi per il complimento.
Fece la cosa più saggia.
Tacque.
Risi sommessamente.
- Allora, ci vediamo questa sera.-
Watson mi salutò con un mugugno, aprendo la porta d’ingresso per poi richiuderla, facendola cigolare.
Il cane, in quel mentre, si mise a russare.
- Hai lo stesso vizio del tuo padrone…- gli dissi.
Così, alzando gli occhi al cielo, tornai nella mia stanza.
Le tende erano tirate e un timido fuocherello scoppiettava nel caminetto. Indossai la veste da camera, ormai logora, e afferrai la mia pipa d’argilla, che riempii con del tabacco forte.
Mi sdraiai sul pavimento, mettendomi le mani dietro alla nuca.
Quando le volute di fumo toccarono il soffitto, allungai il braccio sul tavolinetto persiano e tastai con la mano fino ad avvertire sotto i miei polpastrelli le carte che mi interessavano.
Le trascinai sul mio petto, chiusi gli occhi per un istante ed, infine, sollevai i telegrammi e le lettere che avevo racimolato davanti al mio viso. Mi immersi, così, nella lettura dei documenti del mio ultimo caso, estraniandomi dal mondo esterno che, troppo spesso, sembrava non appartenermi.




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