Ein Weihnachtslied- Natale a Monaco
Ein Weihnachtslied-
Natale a Monaco
In realtà non aveva la minima idea del perché
fosse lì.
Cioè, sapeva perfettamente di esserci venuto
perché qualcuno
gliel'aveva chiesto, e sapeva anche di non riuscire ancora a separare
come avrebbe dovuto il viso di Alfons da quello di Al, nella sua testa.
- Hai da fare, stanotte?
- Stanotte?
- Sì, intendo... pensi di venire alla Messa di Natale?
- La...Messa di...
Natale? Esattamente
cosa...
In quel momento Alfons, anche se non aveva mai preso sul serio la
storia che Ed continuava a raccontargli, ovvero che lui veniva da un
altro mondo, l'aveva guardato come se fosse stato quasi sul punto di
credergli. Perché non era davvero
possibile che qualcuno non sapesse cosa fosse una Messa di Natale.
Eppure la sua espressione non mentiva, e in quei mesi Alfons si era
reso conto che Edward Elric non era in grado di mentire. Non a lui,
almeno, anche se il motivo ancora gli sfuggiva.
- Sei non hai niente da
fare e non sei troppo stanco, puoi venire con me. È bella
anche se non sai cos'è.
"Oh, diavolo, ancora con questa storia della religione. C'era da
aspettarselo."
In realtà non è che Alfons fosse particolarmente
pio o
osservante, non a certi preoccupanti livelli che aveva visto in quel
mondo, ma sembrava che a quella faccenda del... Natale, così
si
chiamava, tenesse molta più gente di quel che credeva.
E lui? Che ci faceva lì? D'accordo che quel giorno se
l'erano
presa comoda- e adesso ne capiva la ragione- ma di solito a
mezzanotte era abbastanza stanco da non desiderare altro che il suo
letto. Soprattutto in quelle gelide serate di dicembre, in cui la neve
caduta aveva ormai ghiacciato da un pezzo e certi angoli di strade
erano coperti da pericolose lastre invisibili che attentavano alla vita
dei passanti.
Oltretutto la massa di gente che si era assiepata in chiesa iniziava ad
emanare un certo calore, e la luce tremula ma abbagliante, come una
nuvola di fuoco sospeso, di tutte le candele lì attorno
minacciava di farlo cadere in un sonno catatonico. Se non fosse stato
attento sarebbe caduto dal banco, garantito.
- Va bene se ci sediamo qui?
A volte avrebbe tanto voluto chiedere ad Alfons perché
dovesse
essere così assurdamente gentile anche per cose della minima
importanza, come il posto in cui ci si doveva sedere; a volte avrebbe
voluto urlargli di smetterla di comportarsi come Al, perché
lui
non lo era, e solo perché aveva la sua stessa faccia non
significava che dovesse anche dire o fare tutto ciò che
avrebbe
detto o fatto lui.
A volte- e
queste erano le più pericolose, quelle in cui sentiva come
un
punteruolo acuminato infilzargli il cuore- una vocina avrebbe voluto
pregare Alfons di chiamarlo "Fratellone", solo una volta, e di non
mettersi a ridere solo perché... p-perché...
perché era poco
più alto di lui, ecco.
A volte pensava di star diventando seriamente schizofrenico, e di
motivi ne avrebbe avuti eccome.
Eppure non gli dispiacque.
Stare lì, in mezzo a tutta quella gente che il giorno dopo
avrebbe avuto qualcosa da festeggiare, magari con tutta la famiglia;
osservare con la coda dell'occhio la luce fluttuante delle candele.
Soprassedere sulla pelle d'oca che gli era venuta quando il coro aveva
iniziato a cantare accompagnato dall'organo, anche se le canzoni
tedesche gli sembravano sempre troppo solenni, e fra le voci
distinguere quella di Alfons accanto a lui: era bella, profonda ma
intonata. Al non cantava così bene. Nemmeno con la voce
ancora
cristallina che aveva, una voce bianca che non era invecchiata di un
secondo.
- Vom Himmel hoch, o
Engel kommt... (¹)
Sì, un angelo avrebbero detto in quel mondo, se aveva ben
capito
cos'erano: bambini immortali, che passavano l'eternità a
cantare
per un non ben identificato dio, e a volare in un non meglio
identificato cielo. Le donne di quel mondo si scioglievano, se qualcuno
paragonava il loro figliolo ad un essere di quella schiera alata ed
eterna. Mentre a Ed venivano solo i brividi lungo la schiena.
... ora suo fratello sarebbe invecchiato, non è vero?
Ora che aveva rimesso tutto a posto, anche se non l'avrebbe
più
rivisto. Si chiese se la voce di Al sarebbe diventata profonda come
quella di Alfons, anche se Ed era certo che quella nota di gentilezza
cristallina che lo contraddistingueva non sarebbe mai andata perduta.
Se chiudeva gli occhi, forse poteva illudersi che suo fratello fosse
lì, a cantare accanto a lui una canzone sconosciuta in una
lingua che non avevano mai parlato, con una voce che non era ancora la
sua.
Ma poteva essere Al lo stesso.
- Allora, ti è piaciuta?
- Mah... più o meno. Non ho ben capito cosa dovrebbe essere
successo.
Alfons sorrise, e Ed rimase zitto. Ormai non se la prendeva nemmeno
più quando vedeva quella sfumatura di scherno sulle sue
labbra,
in fondo era già tanto che non lo prendesse in giro
apertamente.
Anche se lui avrebbe potuto farlo, qualche volta. Solo lui,
però.
- Ci hanno anche un po' affumicato, mi pare – aggiunse Ed,
annusandosi una manica. Profumava ancora, di un odore intenso ma non
poi così piacevole. Di...
- Ah, l'incenso, sì. Quando l'hanno usato sulla statua del
Bambino. Se non ricordo male, simboleggia la divinità.
L'incenso non
è uno degli elementi che compongono il corpo umano, infatti.
- Non mi sembri poi così ferrato, e dire che dovrebbe essere
la tua religione.
Alfons sorrise colpevole, in modo diverso da poco prima.
- In effetti non sono poi così praticante, ma a questo
periodo... tengo in modo particolare.
C'erano solo più freddo e più luci, secondo Ed,
oltre a
qualche albero addobbato e candele dietro i vetri delle finestre.
Profumo di stelle di cannella e biscotti ai semi di papavero nell'aria
quando il vento soffiava in una certa direzione, mentre il repertorio
dei musicisti di strada si restringeva ad una decina di canzoni che
potevano risuonare contemporaneamente in più angoli.
- Perché?
- Perché mi ricorda il Natale passato. Quello presente non
è poi così male, ma il primo profumo di spezie a
dicembre
mi ricorda quand'ero bambino e aiutavo mia nonna a preparare i
biscotti. È un po' il mio fantasma personale che viene a
chiamarmi.
Un'occhiata all'espressione perplessa di Ed, e Alfons quasi
scoppiò a ridere.
- No, non dirmelo! Tu Dickens non hai idea di chi sia, vero?
- Dal nome non sembra tedesco – si limitò a
borbottare Ed.
- Infatti è uno scrittore inglese –
annuì Alfons
– E ha scritto un libro intitolato "Canto di Natale", dove un
vecchio cinico e avaro viene visitato la notte della Vigilia da tre
spiriti: quelli del Natale passato, presente e futuro, per l'appunto.
- Passato, presente e futuro. Le tre facce del tempo.
- Esatto. Se ti interessa, ne ho visto una copia da un libraio qui
vicino. Posso prendertelo io, magari come...
- No, non è che sia poi così inter...
- ... come regalo di Natale – concluse Alfons.
Regalo.
- Ma... spiegami un po': com'è esattamente la storia? Cosa
fanno questi fantasmi, di preciso?
Potrebbe ricevere un regalo. Un regalo in un'occasione che in quel
mondo è importante, o perlomeno sembra esserlo per tutta la
gente che quella sera cantava in chiesa e poi si è scambiata
gli
auguri. Per Alfons lo è.
Un regalo che consisterebbe in un libro di quel mondo, riguardante una
festa che non può e non riesce e non vuole sentire sua. Un
libro
che parla di sovrannaturale, il grande nemico di ogni scienziato degno
di questo nome.
Di un libro del genere di norma non se ne farebbe niente; non lo
butterebbe nel fuoco, ma nemmeno lo degnerebbe della sua attenzione.
Però un regalo un po' di attenzione la merita.
Edward rabbrividisce nel pigiama di lana e si infila sotto le coperte,
con la sensazione che i capelli puzzino ancora di quel maledetto
incenso.
Ha ripreso a nevicare.
- Ehi, fratellone. Fratellone, svegliati!
- Mmmhh...
- Dai, niente "mmh"...
- Alfons...
- Fratellone!
- Al...
Ed aprì gli occhi di scatto. L'aveva sentita, quella parola.
Due volte, anzi tre. La parola che anche quella sera gli era venuta in mente, come ogni
volta che pensava a...
Al. Eccolo
lì. A Ed
mancò il fiato per qualche secondo, il tempo che suo
fratello
gli facesse un sorriso costellato di finestre per i denti mancanti, la
cui vista fece tornare Ed a respirare.
Ah, d'accordo, era un sogno. L'Al che si trovava accanto al suo letto
sembrava avere sì e no sette anni- i denti da latte mancanti
ne
erano una prova- e l'aria ancora più infantile di quel che
ricordava. Un sogno, certo. Tutto nella norma.
- Però è la prima volta.
- Uh?
- È la prima volta che mi sogni, da quando sei qui.
- Per qui
intendi...
- In questo mondo – rispose il piccolo Al con
tranquillità.
- Sì, beh... potrei averti sognato ancora, magari non me lo
ricor...
- No, ho controllato – lo interruppe suo fratello, serio.
Ed tacque, sicuro che quel
sogno
se lo sarebbe ricordato alla perfezione. Non capitava tutte le notti
che una persona onirica venisse a dirti che aveva controllato gli altri
tuoi sogni, prima di venire a trovarti.
L'espressione di Al si fece dubbiosa.
- Ma perché sogni Winry nud...
- AL!
- E non solo una volta – il bambino alzò una mano
paffutella, mettendosi a contare sulle dita – Sarà
successo, vediamo, cinque... più due...
- Al, smettila subito!
- Ed era paonazzo, la voce stridula di una gallina a cui stanno tirando
il collo.
- Oh, scusa – gli fece un altro sorriso, che stavolta non
aveva nulla di infantile – Comunque io non sono Al.
- Ah, no? - gli diede corda Ed, sollevato che avesse smesso di fare certi discorsi.
- No – il bambino corse alla finestra, che si
spalancò
senza che nemmeno lui la toccasse. Una folata gelida invase la stanza,
portando con sé fiocchi di neve e l'odore danzante di
dicembre
– Sono lo spirito del Natale passato.
- Al – sospirò Ed, raggomitolandosi nella coperta.
Possibile che in un sogno facesse così freddo? –
Anzi,
d'accordo, forse non sei Al ma ti manca una rotella: ti ricordo che di Natali passati io non ne ho. Questo è il primo, mi risulta.
Il bambino corrugò la fronte, perplesso, come se
all'improvviso gli sfuggisse qualcosa.
- Oh, ma... un passato
ce l'hai, vero? - chiese, titubante.
- Beh, sì. Ma...
- Bene, è più che sufficiente. Andiamo? - propose
raggiante il piccolo Al, di nuovo col sorriso sulle labbra.
- Andiamo dove? C'è una tormenta, là fuori
–
rabbrividì Ed, ributtando la testa sul cuscino –
Fammi un
favore, chiudi la finestra. E se non sei Al puoi anche andartene.
Seguì qualche istante di silenzio, durante i quali nessuno
parlò e nessuno si premurò di chiudere la
finestra.
Quando la sentì di nuovo, la voce di quel bambino era di
nuovo
accanto al suo letto.
- Non mi stupisce che ti piacciano le persone gentili. Tu non lo sei.
E all'improvviso Ed sentì la coperta gonfiarsi, gonfiarsi
per
l'aria gelida che continuava ad entrare nella stanza, come se qualcuno
la stesse soffiando dentro.
Ma non è
l'aria calda che fa funzionare le mongolfiere?
La sua invece stava funzionando a folate ghiacciate, cosa che sfidava
la fisica in generale e il principio di Archimede in particolare, con
il piccolo Al appeso ad un suo braccio che fungeva da timone.
- Andiamo, su!
- E dove?
- Nel tuo Nata... no, solo
nel
tuo passato – si corresse il bambino, mentre si dirigevano
fuori
dalla stanza con quel pallone aerostatico improvvisato, nella notte
addormentata di Monaco.
In quella strana tormenta, che ormai non era più tanto
gelida,
Ed e il piccolo spirito avanzarono per un tempo indefinito: Ed non
poteva dire di vederci molto, ma gli sembrò che ad un certo
punto gli alti edifici della città avessero lasciato posto
all'aperta campagna.
- Senti, Al – fece Ed.
- Non sono Al – lo corresse il bambino, scrutando nella
tormenta
come a non lasciarsi sfuggire il posto in cui dovevano atterrare.
- E come vuoi che ti chiami? Spirito?
- Oh, sarebbe bellissimo! Puoi farlo, fratellone?
Ed non vedeva perché mai non potesse chiamarlo Al, visto che
lui
continuava ad appellarlo in quel modo, ma non fece commenti.
- D'accordo, spirito,
c'è un problema: vivo a Monaco da poco, e non mi risulta che
il
mio passato si trovi da qualche parte nella campagna bavarese. Per cui dove stiamo andando?
- Tu non preoccupar... ah, ecco! Ci siamo! Butta il peso un po' in
avanti, dobbiamo atterrare!
La nuova angolazione che presero permise a Ed di prendersi direttamente
in faccia tutta la neve che stava cadendo, mentre loro planavano pian
piano, man mano che la coperta si sgonfiava, fra alcune colline che nel
buio quasi non si distinguevano.
- Vieni, guarda.
Ed non se n'era accorto, ma si trovavano accanto ad una finestra
illuminata, e una luce calda proveniva da una casa la cui sagoma aveva
un aspetto molto familiare...
- Ma... ma è la casa di Winry! - boccheggiò Ed,
fiondandosi senza nemmeno rendersene conto alla finestra e appiccicando
il naso al vetro, nella speranza di vedere qualcosa.
Quello che vide, gli provocò una stilettata al cuore.
Checché ne dicesse, quell'organo grande quanto il pugno
della
sua mano continuava ad essere fatto di carne e sangue, invece che
d'acciaio.
Sentendo che non diceva nulla, il piccolo Al si alzò in
punta di
piedi, mezzo appeso al cornicione, la coperta sulle spalle a mo' di
mantello.
- Fratellone, è il tuo passato questo? Non mi sono
sbagliato, vero?
- No – disse Ed in un soffio, tirandolo su da sotto le
ascelle
perché potesse vedere meglio. Adesso capiva
perché gli si
era presentato con quell'aspetto: l'Al che stava vedendo attraverso la
finestra aveva la stessa età, identico a lui in ogni
finestrella
dei denti.
Se la ricordava, quella sera. E come dimenticarsela? Era stato quando
il padre di Winry era rientrato coperto di neve, in quella mezza
tormenta, con uno strano rigonfiamento sotto il cappotto. Quando
l'aveva aperto, avevano visto tutti una ciambella scura e calda
raggomitolata contro di lui, che si era rivelata un cagnolino. Un
cagnolino per Winry.
Col senno di poi, mentre guardava attraverso la finestra se stesso
bambino e Al che si accalcavano attorno a Winry e al suo cucciolo,
capì che si era trattato di uno di quei sistemi degli adulti per
compensare ciò che non riuscivano a dare ai loro bambini.
Uno
scambio equivalente, che tuttavia di equivalente non aveva proprio nulla: di
certo avevano già preso la decisione di recarsi a Ishbar
come
medici, e quel cane- Den- non era altro che una specie di compensazione
perché Winry non si sentisse troppo sola durante la loro
assenza. Un'assenza che sarebbe poi durata tutta la vita.
- Era bello, non è vero fratellone?
Sì, poteva essere bello a non conoscerne i retroscena, a non
sapere che di lì a pochi mesi i genitori di Winry sarebbero
morti. Ed concentrò la sua attenzione su se stesso bambino,
un
soldo di cacio- non poi
così tanto-
che cercava di convincere Winry a fargli tenere un po' in braccio il
cane, al punto da arrivare quasi a litigare. E, se si concentrava un
attimo, riusciva a ricordarsela la sensazione di stringere al petto
quella cosa calda e viva, messa in qualche modo perché non
sapeva esattamente come tenerlo, con Al che lo pregava insistente di
darlo a lui, dopo.
- Forse non era Natale – stava dicendo lo spirito –
Ma era dicembre, ti ricordi?
- Dì' un po' – fece Ed – Sei proprio
sicuro di non essere Al?
- Sicurissimo – il bambino si erse in tutta la sua altezza,
gonfiando il petto – Sono uno spirito, io. Lui è
dall'altra parte.
Il sorriso di Ed si fece tirato, fino a spegnersi completamente.
- Lo so – mormorò, dando un'ultima occhiata a zia
Pinako
che veniva a salvare Den dicendo che dovevano preparargli una cuccia.
Proposta che aveva causato un'ondata di entusiasmo, tanto che sia lui
che Al volevano fare un salto a casa, in mezzo alla neve, per andare a
prendergli qualche cuscino. Con tutta probabilità, a casa
c'era
sua madre che si chiedeva dove fossero finiti: se lo ricordava, che era
venuta a cercarli e alla fine si erano fermati tutti a cena dai
Rockbell – Lo so benissimo.
Una folata di vento lo fece rabbrividire, spegnendo in un soffio la
luce al di là della finestra come fosse stata la semplice
fiammella di una candela.
Riaprendo gli occhi dopo che una manciata di neve gli era finita in
faccia, Ed si accorse di essere solo.
- Ehi, Al! - chiamò – Spirito! Dove ti sei
cacciato? Ehi!
Un colpo di vento più forte degli altri gli
ributtò la
sua coperta addosso, facendolo finire a terra. La neve sotto di lui non
era né fredda né dura come il ghiaccio, piuttosto
morbida
e calda come un...
- Spirito!
... materasso? Ed si calmò, guardandosi attorno
nell'oscurità. Era di nuovo nel suo letto? E quel buio era
dovuto solamente al fatto di essere del tutto sotto le coperte, testa
compresa?
Ma che razza di sogno...
Non fece in tempo a riemergere dalla coltre delle lenzuola,
massaggiandosi piano le tempie, che si accorse che la luce nella stanza
era accesa. Forse Alfons l'aveva sentito, magari aveva parlato nel...
- TU!
- Stai buono, Edward Elric. Tanto non sono chi pensi, credevo che
l'altro spirito te l'avesse già detto –
addentò una
coscia di pollo – Ah, a proposito: io sono quello del Natale
presente. Cioè, nel tuo caso del presente e basta.
Malgrado quelle parole, Ed era ancora pronto a scattare al minimo passo
falso di quello che si era appena definito come spirito. Ma poteva
anche essere una trappola, perché da quel che ricordava
quell'essere
si trovava in quel mondo proprio come lui.
- Se credi che io me la beva...
- Puoi berti quello che ti pare, qui ce n'è in abbondanza.
Solo a quelle parole Ed si rese pienamente conto di in che condizioni
versava la sua stanza al momento: era colma fino al soffitto di roba da
mangiare e bere, cibi di tutti i Paesi che aveva visitato in quel
mondo, e perfino frutti dall'aspetto sconosciuto.
- Credevo ti cibassi solo di pietre rosse.
- Immagino di sì, ma devo entrare nella parte –
fece lo spirito,
staccando gli ultimi brandelli di carne da un ormai nudo osso di pollo
– Anche se, secondo me, era un ruolo che si addiceva di
più a Gluttony.
Lanciando l'osso da qualche parte nella montagna di cibarie, Envy-
perché di lui si trattava- si decise ad alzarsi.
- Allora, andiamo?
- Andiamo dove?
E si può sapere da dove arriva tutta questa roba? - fece Ed,
ancora sospettoso.
- Oh, dovrei farti una specie di discorsetto sul cibo della
generosità e via dicendo – Envy, o almeno quello
che
sembrava lui, fece un gesto seccato con la mano – Ma tu puoi
trasmutarlo quando vuoi, quindi a che serve?
Ghignò all'improvviso, guardandolo dall'alto in basso. E solo
perché lui era in piedi e Ed ancora seduto sul letto.
- O meglio, potevi farlo.
Dura perdere l'unica cosa che riuscivi a fare, eh?
- Non è l'unica cosa che riuscivo a fare! -
ribatté Ed con veemenza, guardandolo in cagnesco –
Almeno io
sono ancora un essere un umano.
Era pronto a difendersi se Envy, o lo spirito, o quello che era
l'avesse attaccato, ma di certo Ed non si aspettava che si sarebbe
avvicinato fino a prenderlo per la collottola del pigiama e alzarlo di
peso.
- Sempre con le stesse offese, vedo. Non è gentile, nei
confronti di qualcuno che non ha potuto scegliere di rimanere morto ed
è stato costretto a tornare in vita in una qualche maniera
poco
ortodossa.
D'accordo, quello non
era Envy. Appurato questo, Ed iniziò ad
agitarsi nella sua presa.
- Ehi, lasciami andare. Non sono mica un coniglio! -
protestò.
- Coniglio o no, è il miglior modo per trasportarti. Su, non
abbiamo tutta la notte – detto questo Envy andò
alla
finestra, la spalancò e si arrampicò sul
cornicione.
Ed, ancora bloccato in quella posizione assurda, si convinse
mentalmente che quello spirito era in realtà molto più alto
dell'Envy che conosceva. Era solo
per quel motivo che, stretto nella sua presa, Ed non riusciva a toccare
terra nemmeno allungandosi il più possibile.
- La smetti di dimenarti? Sì, sono più alto del
tizio che conosci, contento adesso?
Sì,
confessò la
vocina dell'orgoglio di Ed, prima di rendersi conto che erano saltati
giù dalla finestra e atterrati nella neve fresca che stava
ricoprendo le strade. Dopo essersi guardato un po' intorno, lo spirito
decise che direzione prendere.
- To-torniamo a Resembool? - tentò Ed, chiedendosi se
avrebbe
potuto vedere suo fratello com'era adesso, malgrado si trattasse solo
di un sogno.
- No, te l'ho già detto: sono il fantasma del Natale
presente, e
nel presente tu sei qui – gli spiegò Envy, con
logica
ferrea.
Ed ebbe appena il tempo di sentire una punta di delusione farsi strada
da qualche parte dentro di sé, che lo spirito si
fermò
davanti a una finestra illuminata. Ripulì una porzione di
vetro
dalla neve e sbirciò dentro, posando a terra Ed.
- La conosci quella signorina, non è vero?
Ed guardò, incuriosito, chiedendosi di che "signorina"
stesse
parlando: riconobbe immediatamente la commessa del negozio di fiori
sotto casa sua, identica a Glacier Hughes dall'altra parte del Portale,
seduta attorno a un tavolo apparecchiato con quella che doveva essere
la sua famiglia. Non c'era chissà quanto da mangiare, ma si
vedeva che le cibarie sul tavolo erano il frutto di uno sforzo a
mettere insieme il meglio possibile, almeno per Natale.
- E adesso sta' indietro.
Ed, che si stava chiedendo perché dovesse assistere alla
cena di
una famiglia che nemmeno conosceva, si sentì tirare di nuovo
per
la maglia del pigiama, fino a ritrovarsi nell'ombra di un angolo
lontano dai lampioni.
- Che cosa dovrei...
- Zitto e guarda.
Ed tacque obbediente, aspettando. Nelle orecchie soltanto il suono
ovattato e impercettibile della neve che continuava a cadere, e che
alla luce dei lampioni si attorcigliava in vortici arabescati, attese e
dopo un po' gli parve di sentire uno scricchiolio. Lo scricchiolio
tipico di passi nella neve, appartenenti ad un'ombra che avanzava verso
di loro.
Ed non ci mise molto a riconoscerla: la camminata era identica ad un
tenente colonnello che aveva conosciuto bene, e anche il modo di
stringersi nel cappotto per il freddo gli era familiare.
Si chiese se l'agente che in quel mondo aveva lo stesso aspetto di
Hughes fosse di pattuglia quella sera- sembrava di sì, a
giudicare dall'uniforme e dagli stivali d'ordinanza- eppure non
poté reprimere un sorriso quando lo vide rallentare
sensibilmente man mano che si avvicinava alla casa dalla finestra
illuminata, fermandosi del tutto prima di entrare nello spicchio di
luce che dava sulla strada.
E ammise a se stesso di esserselo aspettato, quando lo vide
abbassarsi e muoversi circospetto sotto il bordo della finestra,
più simile a un ladro che ad un rappresentante delle forze
dell'ordine. Lo vide sbirciare dallo stesso punto che Envy aveva
ripulito dalla neve, e Ed poté quasi indovinare l'attimo
stesso
in cui l'uomo individuò la bella fanciulla per cui
sospirava: in
quei
momenti diventava in
tutto e per tutto identico al tenente colonnello che aveva conosciuto
lui. Quasi si aspettava di sentirlo sproloquiare sulla sua bellissima
moglie e la sua non meno meravigliosa famiglia, prima di ricordarsi che
al momento non aveva né l'una né l'altra.
Ed lo vide sospirare e sorridere, di sicuro impegnato ad immaginare
quell'angelo sceso in terra come l'angelo del suo
focolare, magari circondato da una marmaglia di bambini- o bambine,
conoscendolo non gli sarebbe dispiaciuta una progenie tutta al
femminile.
- Vedi, certe cose non cambiano mai.
- È proprio ver... - Ed si bloccò, guardando
stranito lo spirito. Va bene tutto,
ma mettersi a disquisire con Envy dei bei tempi andati di sicuro andava
oltre tutto ciò che di assurdo gli era mai capitato.
- Non fare quella faccia, io sono uno spirito. E sono qui solo per
mostrarti che un motivo per sorridere lo si può trovare
ovunque.
- Va bene, ma perché proprio
quest'aspetto? Non potevi, che ne so, apparirmi come il maggiore
Armstrong? Mi sarebbe andato bene anche lui.
- Perché non è con questo maggiore che ti sei
ritrovato
davanti al Portale, l'ultima volta. E non è lui che si trova
qui
come te.
- Che cosa vorresti dire? Che potrebbe capitarmi di incontrarlo di
nuovo?
Lo spirito accennò a Hughes, ancora appiccicato alla
finestra con un sorriso ebete stampato sulle labbra.
- Fa' qualcosa di buono, dagli una mano. Quello che hai conosciuto tu
era molto più deciso, in ogni direzione che doveva prendere.
Ed si volse a guardarlo, e in effetti dovette ammettere che il tenente
colonnello dell'altro mondo non era mai stato così timido
nell'esprimere i propri sentimenti. Decisamente no.
- D'accordo, ma non hai risposto alla mia doman...
Buio. Lo spirito era sparito, svanito nel nulla, la luce alla finestra
si era spenta e Hughes era scomparso. Era notte fonda, e chiunque
quella sera avesse festeggiato con una cena in famiglia era ormai a
letto da un pezzo.
La neve aveva smesso di cadere, ma il cielo era più nero che
mai, e quando Ed fece per guardarsi attorno per capire come tornare a
casa, una nuvola di fumo lo avvolse, simile all'incenso di quella sera.
Quando smise di tossire, Ed si ritrovò accanto una figura
incappucciata dall'aria minacciosa. O meglio, lo sarebbe stata se Ed
non avesse riconosciuto all'istante i guanti che quella figura
indossava.
- Lei! No,
non mi dica che...
- Esatto, Acciaio. Sono il tuo meraviglioso Spirito del Natale Futuro!
Modestamente.
- Con Envy pensavo di aver toccato il fondo –
commentò Ed,
mentre Mustang schioccava le dita e si accendeva un'altra sigaretta.
- Allora, Acciaio: dove andiamo di bello?
- Hm? Ma non è lei a dovermi portare da qualche parte? Gli
altri due spiriti hanno fatto così.
- Mah, non è che abbia qualcosa di particolare da mostrarti,
devo solo farti un discorsetto da uomo a... cioè, da spirito
a... - gli lanciò un'occhiata di commiserazione - ... beh, tu.
- E lei è proprio
sicuro di non essere il colonnello? - indagò Ed.
- Certissimo. Ma come vedi sono entrato nella parte –
sbuffò una nuvola di fumo – Allora... ho proprio
voglia di
una birra! Conosci qualche bel posto, tu che sei qui da un po'?
- Cioè, vuole andare a bere?
A questo punto io me ne torno anche a casa.
Ed fece per girare sui tacchi, ma lo spirito lo prese per il collo del
pigiama.
- Niente da fare, Acciaio: trovami una birreria decente o ti porto al
cimitero com'era in programma.
- Al... cimitero? E perché?
- Il copione originale vuole così, ma visto che dobbiamo solo parlare direi che possiamo farlo in un posto caldo e asciutto,
davanti a una buona birra.
- Beh, messa così... va bene, c'è una birreria
qui vicino.
E senza pensare di essere a piedi nudi e in pigiama, Edward Elric si
incamminò, non stupendosi più di tanto nel non
sentire il
minimo freddo al contatto con la neve ghiacciata.
- Allora, Acciaio – iniziò lo spirito, dopo una
generosa
sorsata di liquido ambrato, guardandosi attorno tra i tavoli di quercia
– Neanche una donna, qui. L'avrai fatto apposta, immagino.
- Non doveva parlarmi? - tagliò corto Ed, osservando le luci
soffuse del locale specchiarsi sul lucidissimo rame degli spillatori.
Come da copione, l'oste non si era nemmeno accorto della sua tenuta non
proprio al massimo dell'eleganza.
- E io che ho tanto sentito parlare delle donne bavaresi e delle loro
procaci...
- Venga al dunque.
- Bene, se vuoi lasciare da parte i convenevoli... - altra sorsata, il
boccale che sbatte leggermente sulla quercia del tavolo – Si
avvicinano tempi bui, Acciaio.
- Non che fino ad ora siano stati tanto luminosi –
commentò Ed.
- Non parlo di te, piccolo egocentrico...
- Piccolo
a chi, razza di...
- ... ma di questo mondo in generale.
Ed corrugò la fronte, immediatamente serio.
- Si spieghi meglio.
- Più di tanto non posso dirti, sappi solo che
quella di
adesso è la famosa quiete prima della tempesta. Non solo per
te,
ma per tutto questo mondo.
- Quindi lei sa... che cosa succederà?
- Sono il fantasma del Natale futuro. Secondo te
perché mi hanno dato questo bel nome?
- D'accordo, ma...
- Fa' attenzione a quello che accade intorno a te, Acciaio –
il
boccale risuonò ormai vuoto sul ripiano del tavolo
– Occhi
aperti e prendi le tue decisioni. Qualunque cosa farai, sappi che non
si può tornare indietro.
- Crede che non lo sappia? - la voce di Ed si fece bassa – Ha
presente dove mi trovo adesso?
- Non si può mai sapere, le possibilità sono
infinite.
- Vuole dire che...
Mustang tirò fuori il suo orologio da alchimista di stato, e
dopo una rapida occhiata decretò che era ora di andare.
- E dove, adesso?
- Dove in teoria saremmo dovuti andare subito. Seguiamo un po' il copione,
va'.
E quando uscirono, Ed non si ritrovò nel consueto vicolo su
cui
dava quella birreria, ma in un ampio spazio pieno di pietre che
uscivano dal terreno. Non gli servì pulirle dalla neve per
capire che si trattava di lapidi, e che si trovavano in un cimitero.
- Ah, già. Secondo la trama che mi ha raccontato Alfons,
adesso
dovrei vedere la mia tomba e pentirmi della vita che conduco, esatto? -
fece sarcastico Ed, e lo spirito gli rispose con un sorriso tirato.
- Non dire più idiozie del solito, Acciaio –
ribatté, schioccando le dita accanto alla tomba presso cui
si
trovavano e illuminandone la lapide.
Ed gli lanciò una lunga occhiata, prima di chinarsi a
leggere il
nome inciso sulla pietra. Gli bastarono le prime due lettere, le più importanti.
- Al-Alfons?
Che cosa...?
- Non li hai visti i suoi fazzoletti sporchi di sangue, Acciaio?
- Sì, ma... ma prende delle medicine, e non fa sforzi fisici
eccessivi! - Ed strinse le dita sulla pietra, sentendo quelle d'acciaio
che quasi la scalfivano - E qui c'è scritto che
accadrà
solo fra...
- Basta così, Acciaio.
- Basta... basta cosa?
Perché me l'ha fatta vedere? Cosa accadrà ad
Alfons? - Ed
fece per prenderlo per il colletto della giacca, ma lo spirito lo
spinse di lato, facendolo finire a terra. E la neve adesso era fredda e
bagnata.
- È inutile che continui a crucciarti sul passato e a far
finta
che non ci sia un futuro. Ci sono delle persone, nel tuo presente:
smettila di vederle come cloni di qualcun altro.
- Io non ho mai...
- Cresci un po', Acciaio – concluse lo spirito, assestandogli
una
sberla in testa che lo fece finire con la fronte direttamente contro
una lapide – E non solo nel senso che credi tu.
- Stupido idiota di un...
- Edward, ti senti bene?
- Ohi, ohi... eh? - Ed si massaggiò la fronte, stupefatto
nel
trovarsi davanti la testiera del letto, con Alfons che lo osservava
dalla porta.
- Ti ho sentito parlare nel sonno... va tutto bene? Hai sbattuto la
testa?
- Oh... - adesso che ci pensava, iniziava a sentire il gonfiore di un
bernoccolo sulla fronte. Ed era a letto. Nel suo letto
– Avrei... parlato nel sonno?
- Almeno così mi sembrava. Sicuro che vada tutto bene?
- Io... sì, sto bene. Devo aver sognato – si
alzò,
districandosi nel groviglio di lenzuola e coperte in cui si era
imprigionato – Adesso mi vesto e scendo.
- D'accordo. La colazione è pronta.
- Arrivo.
Una volta solo, Ed si tastò la fronte; quando
guardò
verso la finestra rischiò di rimanere accecato dal riverbero
del
sole su tutta la neve caduta durante la notte. Nessuna traccia di
cibarie sul pavimento, ma la sua coperta era gelida e umida.
- Diavolo, ma che razza
di sogno ho fatto?
- Oh, eccoti qui. Buon Natale.
- Grazie – borbottò Ed, bagnando un fazzoletto e
posandoselo sul bernoccolo – Uhm... anche a te? Si dice
così?
- Sì, si dice così – sorrise Alfons.
Ed aveva un gran mal di testa e la sensazione di non aver riposato
affatto, quando con la coda dell'occhio vide un libro posato sul
tavolo. Represse l'istinto improvviso di scaraventarlo fuori dalla
finestra, e cercando di essere gentile lo prese in mano.
- È questo? Il libro di cui mi parlavi?
- Esatto – annuì Alfons – Stamattina ho
trovato il
proprietario della libreria qui vicino per strada, e gli ho chiesto se
poteva farmi il favore di prendermi questo libro. È stato
molto
gentile, così almeno ho fatto in tempo.
- Hai fatto in tempo?
- Beh, non avrebbe molto senso un regalo di Natale fatto dopo Natale.
- ... già – Ed stava guardando la copertina come
se avesse
voluto incenerirla con lo sguardo, e Alfons se ne accorse.
- Se non lo vuoi lo riporto indietro, non c'è problema.
- No, è che... - ci
sono delle persone, nel tuo presente – Lo
leggerò oggi, magari mi prendo anch'io un giorno di vacanza
dalle nostre ricerche. Ti ringrazio molto.
- Figurati – rispose Alfons, sorseggiando il suo
té
– E non preoccuparti: i sogni che si fanno la notte di Natale
sono sempre molto strani. È già tanto che tu non
dica di
aver sentito parlare degli animali.
- No, questo no – sbottò Ed.
- Allora è tutto a posto.
Ed fece per uscire dalla cucina, tanto per andare a posare quel libro
in camera sua e mettere un po' di distanza tra sé e quel
romanzo
maledetto.
- Senti, Alfons – fece, riaffacciandosi sulla soglia della
cucina.
- Sì? - rispose lui, mescolando i fondi che rimanevano nella
sua tazza.
- Credo che dovremmo analizzare l'incenso che usano nella chiesa dove
siamo andati ieri sera – propose Ed, serio –
Secondo me
è tossico.
(¹) Dall'alto dei cieli, oh un angelo viene...
Oh sì, lo so
che è
disgustosamente natalizia e tutto quanto, ma sono lontana da casa,
domani per me non ci sarà alcuna caotica riunione di
famiglia e
in questi momenti mi sento proprio come Edward al di là del
Portale.
La parte tedesca del
titolo significa
per l'appunto "Un canto di Natale", e come tutti avrete capito il
riferimento è all'omonimo romanzo di Charles Dickens. E il
fatto
che ieri sera mi sia rivista, come ogni Vigilia, il "Canto di Natale di
Topolino", mi ha ispirato ulteriormente. Lo consiglio a tutti. ^^
È una storia
che adoro, e
avevo voglia di scriverci qualcosa da una vita. Qualcosa che ho scritto
di getto tra ieri, stanotte e oggi, perfettamente in linea con
l'ambientazione.
Non vedetela come una shounen-ai,
perché non lo è. Metto le mani
avanti, non si sa mai.
Non so se può
essere considerata un missing-moment, ma... chissà. ^^
Se vi è
piaciuta (ma anche no), fatemi sapere cosa ne pensate.
E buon Natale!
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