Clic
Tre scatti per
Colin e Demelza
1.
Scatto di
eroismo
«Avete visto
cos’è successo a Mrs. Norris? Eravate presenti sulla scena?» balbettò Demelza
Robins terrorizzata.
«Certo che ho
visto! E figurati che incolpano Harry!» esclamò Colin Creevey, come se il mondo
intero l’avesse tradito. «Cioè, Harry
Potter! Come si può incolpare Harry Potter di aver attaccato un gatto,
quando lui è il mago che ha sconfitto Voi-Sapete-Chi! Non farebbe del male a una
mosca!»
Ginny Weasley
annuì con vigore. «Io l’ho conosciuto, è stato una settimana a casa da noi. È un
ragazzo bravissimo!» aggiunse. Parlare di Harry la emozionava sempre, i suoi
occhi si erano illuminati e l’espressione sul suo viso lasciava trapelare una
felicità tale che chiunque l’avesse vista avrebbe detto che il suo desiderio più
grande si fosse realizzato.
Demelza alzò un
sopracciglio, sospettosa. «Mh, se
lo dici tu...»
«Ma certo che è
un bravo ragazzo!» ruggì Colin, alzandosi in piedi e facendo cadere la
sedia. Buona parte dei ragazzi
nella sala comune Gryffindor si voltarono a guardarlo
incuriositi.
«Scusate...»
borbottò, rimise a posto la sedia e riprese il discorso: «Io credo che dietro
questo ci sia una specie di... complotto»
Demelza, Ginny e
un altro ragazzo del primo anno, Jack Sloper, trattennero il
respiro.
«Ne sei sicuro?»
domandò Jack colpito.
«Sentite, sapete
cosa mi ha detto Luna Lovegood di Ravenclaw?» Colin vide i compagni scuotere la
testa, ma bramosi di sapere. «Beh, ha detto che, qualche giorno fa durante
Incantesimi, Rowan, quel Hufflepuff scapestrato, ha chiesto a Flitwick la storia
della Camera dei Segreti» e ripeté il racconto che aveva udito da Luna.
Quando terminò,
i suoi compagni di classe boccheggiavano.
«M-ma sei sicuro
che sia proprio andata così? Cioè, possiamo fidarci di quello che dice Loony?»
borbottò Jack, non del tutto convinto dalla storia vista la fonte eccentrica.
«Certo! E si
chiama Luna, non Loony!» strepitò
Colin arrabbiato. Detestava che qualcuno parlasse male degli altri ragazzi,
soprattutto della povera Luna, che non aveva mai fatto nulla di cattivo o
deprecabile.
«Scusa, scusa!»
Jack portò le mani avanti e sorrise.
«Dobbiamo fare
qualcosa!» continuò, ignorandolo. «La Sprout ha detto che un mago da solo non
sarebbe mai riuscito a pietrificare a quel modo. È sicuramente opera di una
creatura oscura» e nel dirlo sembrava così convinto che i suoi compagni non
poterono obbiettare.
Demelza sorrise
dolcemente. «E che cosa vorresti fare, Cole? Andare là fuori e catturare la
creatura?»
Jack rise e
Ginny, sebbene paresse persa nei suoi pensieri, abbozzò un
sorriso.
Colin, tuttavia,
era rimasto serio e guardò Demelza dritto negli occhi.
«Precisamente»
La ragazza
spalancò la bocca incredula. «Non puoi! È pericoloso!» tentò di dire, ma vide
che l’amico non sembrava per nulla spaventato, anzi, era come se per tutta la
vita avesse aspettato quel momento.
«Demelza, non
sono stato smistato a Gryffindor perché l’ho chiesto»
Ginny alzò gli
scoccò un’occhiata incredula e Colin arrossì. «Okay, va bene, anche perché l’ho chiesto... ma sapete
cosa mi ha detto il Cappello Parlante?» tossicchiò per schiarirsi la voce. «Mi aspetto grandi cose da te, Colin. Tu
incarni le virtù Gryffindor, e un giorno lo scoprirai. Beh, questo è il
giorno!» dallo sguardo, sembrava che non esistesse nulla di più
lampante.
Demelza appariva
ancora meno sicura di prima, mentre Jack lo osservava come se fosse un
porcospino che ballava l’hula-hoop.
Colin capì che
non poteva pretendere sostegno da loro e guardò Ginny, l’unica Gryffindor la cui
opinione lo avrebbe dissuaso, se possibile.
«Io...» balbettò
la ragazza. Vide nei morbidi occhi azzurri del ragazzo una decisione e una
passione che le ricordarono tanto Harry. «Secondo me puoi farcela» decretò
infine, destando occhiate incredule da parte di Demelza e
Jack.
Colin era
radioso. Prese la sua macchina fotografica, infilò la bacchetta nella tasca dei
jeans e si alzò. Camminò fiero verso l’uscita del ritratto e si voltò per
salutare i compagni con una mano.
«Fermo!» gridò
Demelza, ma fu trattenuta da Jack. Ginny gli sorrise, lasciò il suo posto e
incespicò nel tappeto della sala comune, cadendo e gridando dal
dolore.
Per un attimo,
Colin pensò si fosse fatta davvero male, ma mentre i Gryffindor rimasti nella
sala accorrevano in aiuto di Ginny, la vide fargli l’occhiolino e capì che la
ragazza gli aveva fornito un perfetto diversivo.
Decise che
quando sarebbe tornato indietro le avrebbe comprato una scatola di Cioccorane
come ringraziamento. Fece un ultimo passo silenzioso e in breve fu fuori dal
ritratto.
Demelza seguì
Colin con gli occhi e scrollò le spalle. «Sono le persone come lui che muoiono
giovani» scherzò con Jack, prima di precipitarsi al capezzale di Ginny e
aiutarla a fingere un trauma cranico che fosse credibile.
Hogwarts di
notte era davvero...
«Lugubre...»
pensò Colin, svoltando un corridoio e trovandosi davanti al quadro di Beda il
Bardo che, di giorno, stava allegramente seduto al suo scrittoio con una piuma
in mano, ma di notte sembrava che stesse per accoltellare
qualcuno.
Da quando Mrs.
Norris era stata aggredita, Filch pattugliava i corridoi con estrema
attenzione... e con una mazza in mano, motivo per cui Colin, quando lo sentì
piagnucolare nell’ala sud del castello, scelse subito di prendere una strada
alternativa.
Scese di due
piani e si trovò davanti alla statua di un uomo strano, che indossava i guanti
nelle mani sbagliate. Ecco perché non scendeva mai al quinto piano: era strano. Sapeva che lì nei dintorni
doveva esserci il bagno dei prefetti (aveva sentito il prefetto Weasley parlare
di un incontro segreto con il prefetto di Ravenclaw), ma non vi prestò
attenzione e corse lungo tutto il corridoio. Chissà dove poteva nascondersi la
creatura...
«Proverò nelle
serre, magari si sta nutrendo di qualcosa, o forse vuole uccidere le mandragole
perché così non potranno far tornare in vita!» pensò confusamente e si sentì
subito molto intelligente.
Non aveva fatto
un passo che un clangore metallico lo mise in allarme. Qualcuno aveva sfiorato
un’armatura?
«Chi è?» domandò
a voce alta, senza voltarsi. Non poteva essere Filch, quando l’aveva incontrato
si stava dirigendo nella direzione opposta.
Non udì nessuna
risposta. Subito si illuminò: doveva essere la creatura. La paura scomparve,
sostituita da un’estrema curiosità. Desiderava voltarsi con tutto se
stesso.
Guardò i muri
che, grazie alle lanterne, fungevano da schermo per la proiezione della sua
ombra. Girò lentamente gli occhi per cercare di scoprire che tipo di creatura
fosse quella che aveva attaccato la gatta di Filch, ma non vide
nulla.
Un sibilo
fendette le sue orecchie e un brivido gli corse lungo la schiena, come se un
cubetto di ghiaccio fosse scivolato nella maglietta.
«Lumos» sussurrò alla sua bacchetta, e
subito una luce baluginò sulla punta. La gibigianna del suo orologio lo accecò
per un secondo e si proiettò sul muro, creando un curioso contrasto con la sua
ombra minuta ed esile.
Con lentezza
esagerata (la mano gli tremava dall’emozione), caricò la macchina fotografica,
portò l’occhio all’obbiettivo e si voltò di scatto.
Udì il clic dell’aggeggio, prima di non udire
più nulla.
Vide un paio di
occhi gialli, prima di non vedere più nulla.
Chiuse gli
occhi, prima di non poter muovere più nessuna parte del
corpo
Il suo ultimo
pensiero andò al Cappello Parlante: possibile che non fosse quello il momento in
cui avrebbe dimostrato il suo valore?
Riaprì gli
occhi. Doveva già essere stato sepolto, pensò, perché vide soltanto il color
nocciola davanti a sé.
«Si è
svegliato!» sentì gridare da una voce femminile che sapeva di conoscere, anche
se non la ricordava così musicale. Per quanto tempo aveva
dormito?
«Chiamate Jack!»
urlò Ginny. Riconobbe subito la dolce voce dell’amica.
Jack. Perché non
era anche lui al suo capezzale?
«Chessuced?»
domandò, con eccessiva velocità, poiché percepì il tono troppo impastato. Come
se non aprisse la bocca da mesi.
Mise a fuoco
l’immagine che aveva davanti: avrebbe dovuto immaginare che ciò che aveva visto
al suo risveglio erano gli occhi di Demelza.
Tuttavia, prima
che riuscisse a realizzarlo, si sentì stritolare dalle braccia della ragazza e
fu investito da un forte aroma di frutta.
«Demelza, mi
soffochi! Sul serio!» gridò. Subito Demelza si ritrasse e lo guardò. Era
cresciuta, i capelli castani erano più lunghi e la carnagione più abbronzata, il
che le dava un fascino mediterraneo non indifferente, nonostante i soli undici
anni.
«Come ti senti?»
gli domandò, con un largo sorriso sulle labbra.
«Molto
meglio»
Quando Jack
entrò, chiamato da Andrew Kirke, Colin dovette giustificare la sua
pietrificazione al migliore amico, ma solo Ginny notò gli sguardi che di tanto
in tanto lanciava a Demelza.
“Strano
risveglio, Colin” pensò la
ragazza, divertita.
2.
Scatto a
tradimento
Demelza si
accoccolò sul divano della sala comune di Gryffindor. Appoggiò la testa sulla
spalla di Colin, come soleva fare quando si sentiva particolarmente col morale a
terra.
Colin stava
avidamente leggendo il manuale di Difesa Contro le Arti Oscure di Jack, cercando
di decifrare quelle specie di geroglifici che dovevano essere gli appunti che
l’amico aveva scribacchiato a lato della pagina. Aveva un paio di occhiali
calati sul naso: da poco aveva scoperto di essere miope e di dover indossare per
leggere le lenti, che gli davano un’aria non poco comica.
«Cosa ti
opprime?» le domandò Colin, senza distogliere gli occhi dalle
formule.
«Mi chiedevo,
fai qualcosa domani sera? È da un po’ che non parliamo faccia a faccia come ai
vecchi tempi. Sai, da migliore amico
a migliore
amica»
Demelza aveva da
tempo notato che il suo migliore amico era solito scomparire una volta al mese
senza dire dove fosse diretto, accompagnato sempre dal fratellino. Era a
conoscenza dell’affetto smisurato che Colin provava per Dennis, quindi
all’inizio aveva pensato a qualche riunione tra fratelli, ma quando aveva
tentato di chiedergli spiegazioni era stata liquidata in poche
parole.
«Domani non
posso»
Aveva fatto
centro.
«E dove vai di
bello?»
Domanda
retorica, sapeva benissimo la risposta.
«In giro, con
Dennis»
«In giro
dove?»
Colin richiuse
il libro con gesto seccato e sbuffò, girò appena il viso per incontrare gli
occhi di Demelza. «Demelza, è la quarta volta che me lo chiedi questo mese. Non
posso dirtelo, punto. Chiusa la discussione. Jack non si fa tutti i tuoi
problemi: accetta e basta»
“Jack non è
innamorato di te” avrebbe voluto
rispondergli.
«Mi riesce
difficile» disse semplicemente.
Colin guardò il
fuoco. Le fiamme lambivano nell’iride azzurra del ragazzo. Già era difficile
nascondere le sue fughe serali ai compagni di dormitorio, se poi ci si metteva
anche Demelza, l’impresa diventava ancora più difficile. Colin era un pessimo
bugiardo, soprattutto con le persone a cui teneva di più.
Come poteva
spiegare alla coraggiosissima e avventatissima Demelza Robins dell’Esercito di
Dumbledore?
Optò per un
silenzio enigmatico. Gliel’avrebbe spiegato, a suo tempo. Per il momento era
meglio che Demelza si tenesse fuori dai guai.
Demelza
sospirò.
Colin sembrò
accorgersene, infatti si voltò nuovamente per guardarla. «E adesso che
hai?»
Lei ridacchiò
civettuola, mascherando la malinconia. «Niente, ti
guardavo»
Il ragazzo
sorrise divertito. «Andrew potrebbe ingelosirsi. È da anni che ti muore
dietro»
Demelza si
rabbuiò. «Andrew potrebbe anche smetterla, dopo anni che gli dico che non mi
piace» sbottò. Possibile che non capisse?
Colin scosse la
testa, come rispondendo alla sua muta domanda. «Perché non gli dai almeno una
possibilità?»
Demelza sbuffò,
portandosi una mano alla fronte e sentendosi il calore del fuoco pizzicare la
mano. «Ne abbiamo già parlato, Cole»
«E dai, cosa ti
costa uscire con lui almeno una volta?»
Era stupido?
Quanti ragazzi non sono in grado di comprendere i sentimenti di una ragazza che
poggia la testa sulla loro spalla proprio nel momento in cui sono soli,
comodamente seduti di fronte a un romantico caminetto?
«Perché non sono
innamorata di lui, lo vuoi capire? In che lingua te lo devo dire?» quasi urlò
dalla rabbia, alzandosi dalla sua spalla e scendendo dal divano, sedendosi per
terra e fissando con insistenza il fuoco, sperando che Colin non la vedesse
piangere.
«E adesso
cos’hai?» si preoccupò il ragazzo, sporgendosi per cercare di vederla in
viso.
«Niente» rispose
lei. Non era la sua voce ad essere così rotta, vero?
Colin le prese
la mano e si inginocchiò di fronte a lei.
«Non piangere,
per favore. È così strano vederti in lacrime... sei...» non trovava le parole
adatte. Forse ciò che avrebbe voluto dirle era quanto fosse bella così, semplice
come poche ragazze lo erano: gli occhi arrossati e lucidi, le labbra rosse ed
invitanti (se le mordeva sempre quando era preoccupata), i ricci capelli castani
scarmigliati.
«Sono?» borbottò
Demelza, alzando lo sguardo in direzione dell’amico,
speranzosa.
«Aspettami qui»
fece appena in tempo a dire Colin. Sfrecciò su per le scale del dormitorio
maschile e prese dal comodino la sua inseparabile macchina
fotografica.
Quando tornò
nella sala comune, Demelza era seduta sul divanetto, le ginocchia strette al
petto, che cercava di nascondersi dagli sguardi curiosi dei Gryffindor che
ancora non erano andati a dormire, vista l’ora.
Si sistemò con
premura gli occhiali (avevano quella brutta tendenza a scivolare sempre giù dal
naso) e scattò una fotografia a Demelza.
Clic.
Demelza che
alzava lo sguardo sorpresa dallo scatto a tradimento.
Clic.
Demelza che si
avvicinava a Colin, il pugno ben in mostra.
Clic.
Colin che
fermava il pugno di Demelza con una mano.
Clic.
Demelza che
toglieva gli occhiali a Colin.
Clic.
Demelza che
baciava Colin.
Clic.
La mano di Colin
a coprire l’obbiettivo.
«Colin, lo sai
perché non voglio uscire con Andrew?»
«Perché?»
Era
pericolosamente vicina, ma per fortuna aveva fermato il suo
pugno.
«Perché a me
piace un’altra persona»
Con la mano
libera, Demelza gli aveva preso gli occhiali, sfilandoglieli con delicatezza
disarmante.
«C-chi?» aveva
tentato di dire, illuso.
Le labbra della
ragazza si erano avventate sulle sue.
Sebbene avesse
gli occhi chiusi, percepì il flash della macchina
fotografica.
Eh, no, macchina
fotografica impicciona.
3.
Lo scatto
perfetto
Demelza aveva
sospirato, seduta al posto che era solita occupare durante i pasti. Accanto a
lei, Colin fremeva d’impazienza.
La battaglia per
il destino del mondo era cominciata, in un luogo che nessuno, nemmeno nelle più
recondite elucubrazioni, avrebbe mai immaginato. Hogwarts era ora palcoscenico
di una tragedia di un solo atto: la guerra.
Aveva sempre
sognato di combattere, di mostrare il suo coraggio, pari soltanto a quello di
Ginny Weasley ma sempre sottovalutato... eppure, in quel momento, non poteva
fare altro che aspettare, tremante, che la guerra finisse. Le lacrime che
premevano di uscire, le preghiere per i suoi amici che stavano combattendo, la
speranza di riuscire a rivederli quando tutto questo fosse
finito.
Se mai sarebbe
finito.
Colin le prese
la mano. Era gelida e lui era pallido come un fantasma.
«Demelza,
io...»
Demelza chiuse
gli occhi, pronta a subire il colpo che, sentiva, l’avrebbe
uccisa.
«Io... devo
combattere»
Fu come se,
invece che stringere la mano, le dita ghiacciate del giovane si fossero chiuse
intorno al suo cuore e avessero cominciato a stringerlo senza
pietà.
Il respiro le si
fece corto. Si morse il labbro inferiore tanto forte da farlo
sanguinare.
«Aspettavo il
momento in cui me l’avresti detto» sussurrò, arresa.
Colin
l’abbracciò con tenerezza e le baciò la fronte. «Posso farcela. Davvero. Me lo
sento, Demelza, questa volta ce la farò! Non accadrà come col
Basilisco»
Demelza sapeva
che mentiva. Colin sarebbe morto, se si fosse gettato nella
battaglia.
«Cosa te lo fa
pensare?»
Colin sorrise.
«Lo devo fare per proteggere le persone che amo. Mi sentirei un vigliacco se non
provassi nemmeno. Come posso dimostrarti che ti amo, se non tento nemmeno di
fermare ciò che minaccia la tua vita?»
Eccole, le
lacrime che Demelza aveva tentato di ricacciare indietro, di trattenere
inutilmente.
«Quando piangi
sei di una bellezza accecante, lo sai? Sebbene odi vederti piangere, non posso
negare che ogni volta che lo fai mi ricordi quanto sei
splendida»
«N-non so se
prenderlo per un c-complimento o no...» la voce era rotta dai singhiozzi, ma
riuscì ad abbozzare un sorriso, asciugandosi il viso con la
divisa.
Colin arrossì
appena. «Sai che non sono mai stato bravo coi complimenti»
Era vero.
Demelza ricordava gli strani metodi che aveva Colin per dirle che un vestito le
donava («Sei bella con quel vestito! Cioè, stai bene anche senza. No, cioè,
volevo dire che stai bene anche senza vestiti. No. Stai bene con altri vestiti. E con
quel vestito. E... oh, per l’amor del cielo, andiamo»), che era intelligente («È
incredibile che tu abbia preso “Eccezionale”! Oddio, no, non volevo dire quello!
Volevo dire che è magnifico! Cioè... insomma, complimenti, ecco»), che ancora
l’amava dopo due anni insieme («È strano che ti ami ancora dopo tutto questo
tempo. No! Non intendevo dirlo in questo
modo! Ho rovinato tutto, ecco...»).
Eppure, aveva
sempre trovato le parole giuste per farla sentire amata, per farla sentire bella
e desiderabile. Una vera principessa.
E come tutte le
principesse, era suo dovere lasciare che il suo principe andasse a sconfiggere
il drago, riportasse la pace nel regno così da poterla
sposare.
Sorrise,
divertita dai suoi sogni da bambina.
«Adesso sorridi?
Sei strana» sorrise anche lui, ora più nervoso al pensiero di stare per
abbandonarla.
«Colin, ti
prego, non morire» disse lei, e lo baciò. Non era un bacio passionale, era un
bacio delicato, dolce, come se le loro labbra si fossero appena
sfiorate.
«Morire?
Figurati! Io sono indistruttibile, come Harry Potter!» esclamò, alzandosi in
piedi e cominciando a guardarsi intorno. I professori stavano combattendo, le
uniche persone a mantenere l’ordine erano Madama Pomfrey e qualche studente che
si era offerto di aiutarla.
Uno di essi,
Lance Wallace, un Hufflepuff suo coetaneo non particolarmente coraggioso, si
stava avvicinando a loro.
«Ragazzi, devo
chiedervi di spostarvi... sta arrivando un ferito» aveva lo sguardo
indecifrabile. Lui, che era sempre stato spaventato dal sangue e dalle ferite,
ora si era messo a disposizione di Madama Pomfrey e nel giro di poche ore aveva
già dovuto sopportare più di quanto avesse mai creduto
possibile.
«Lance, ho
bisogno che mi aiuti a uscire di qui» iniziò Colin, moderando il tono della voce
per non farsi udire.
«Non puoi. La
professoressa McGonagall è stata chiara»
«Lance, lasciami
andare. Voglio aiutare i miei amici. Voglio aiutare Harry e proteggere Demelza e
le persone che amo»
Lance lo guardò
dritto negli occhi, gli occhi grigi che minacciavano di bagnarsi da un momento
all’altro. Nel suo sguardo, Colin vi lesse invidia. Invidia per il suo coraggio,
invidia per il desiderio che aveva di combattere.
Coraggio e
desiderio che lui non avrebbe mai avuto.
«Vai, ti copro
io» sospirò, infine. Non poteva immaginare che quella decisione lo avrebbe
perseguitato per il resto della sua vita.
Colin scambiò un'
ultima, struggente occhiata a Demelza. Poi, fuggì.
La sedia sulla
quale era seduta era tremendamente scomoda.
Davanti a lei,
la bara bianca di Colin riluceva, colpita dal sole mattutino. Il funerale si
sarebbe tenuto all’aperto, sui campi nei quali il piccolo Colin era cresciuto
con il fratellino Dennis.
Ed eccolo lì,
Dennis. Abbracciava la madre e non piangeva. Era forte, Dennis. Lei non avrebbe
mai eguagliato la grandezza dell’animo di quel ragazzo.
No, Demelza non
era così coraggiosa come le era sempre piaciuto far credere agli altri. Aveva
tremato durante la battaglia di Hogwarts, non si era gettata nella mischia come
Colin e non era riuscita nemmeno ad aiutare Madama Pomfrey nel curare i feriti.
Aveva pianto e aveva vomitato alla vista delle ferite riportate da Lavanda Brown
e Seamus Finnigan, non era stata in grado di guardare i Weasley piangere sul
corpo del loro amato Fred e, quando aveva visto Lance trasportare sconvolto il
corpo senza vita di Colin, non era riuscita a trattenere un urlo
disperato.
Si era gettata
su di lui, lo aveva stretto a sé, ma quando si era accorta di essersi sporcato
con il suo sangue, aveva gridato ancora più forte, si era strappata i vestiti e
si era gettata a terra, piangente, raggomitolata su se
stessa.
Quella era la
triste storia di una codarda.
Eppure, i
genitori di Colin l’avevano ringraziata per aver reso gli anni del figlio ad
Hogwarts speciali e Dennis le aveva addirittura domandato il permesso di
chiamarla “sorellona”.
Ora, seduta su
quella scomoda sedia, proprio accanto a Lance, sentiva di non meritarsi tutto
quell’affetto da parte della famiglia del suo ragazzo.
Lance, d’altra
parte, era distrutto quanto lei. I signori Creevey lo avevano ringraziato per
avergli permesso di combattere, cosa che sapevano lui desiderasse dal profondo
del cuore, ma certo Lance non poteva non sentirsi colpevole della morte di
Colin.
Al termine del
funerale, si avvicinò alla bara, chiusa (non voleva vederlo in viso), e la
toccò.
«Addio, Cole»
disse.
Quando si voltò,
vide che il luogo del funerale era stato assaltato dai giornalisti dei vari
quotidiani di rilievo del Mondo Magico. I signori Creevey tentavano di sottrarsi
alle domande insolenti dei giornalisti, invano.
Il flash dei
fotografi aveva invaso il campo, senza il minimo riguardo.
Uno solo, dei
fotografi, sembrava vagare, le mani strette alla macchina fotografica, come alla
ricerca di qualcosa.
Quando vide
Demelza, si avvicinò, impacciato.
«Ciao, il mio
capo mi ha detto di fare una fotografia che catturi l’essenza di Colin Creevey.
Vogliamo scrivere un articolo sulla sua vita»
Demelza apprezzò
il fatto che volessero parlare della sua vita e non della sua morte, sorrise.
«Ho una cosa che può fare il caso tuo»
Frugò nelle
tasche e vi trovò, spiegazzata, una fotografia che si portava dietro dal giorno
in cui era stata scattata. Ritraeva lei e Colin, sorridenti, felici, innocenti,
senza preoccupazioni.
Semplici, come
lo erano sempre stati.
«Tenga, può
usare questa»
L’uomo guardò
l’immagine e rimase sbalordito. «Sembra perfetta»
«Lo è. È lo
scatto perfetto»
Decise che
avrebbe ricordato così Colin, con lei. Almeno, in quella fotografia, sarebbero
stati insieme per sempre.
Clic.
Niente di
particolare, un piccolo spazio che Colin e Demelza si sono ritagliati nel mio
personalissimo album di Harry Potter.
Akami
P.S. Per chi non
sapesse chi sono Rowan e Lance: appartengono all’universo Hufflepuffiano della
mia storia “L’altra faccia delle Camera dei Segreti”.