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Disclaimers e Crediti: Trama,
personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene,
sono una
mia creazione e appartengono solo a me.
La citazione
scelta per il prompt 36 è tratta da “Ti vorrei
sollevare”, di Elisa feat. Negramaro,
ed è segnalata da un asterisco.
La storia partecipa
al Giro
dell’Oca del Writers Arena
Rewind.
È
stato allora.
È stato allora. Avevi improvvisamente
alzato le mani al cielo ed eri scoppiata a ridere, a ridere come una
bambina felice.
È stato allora: ho pensato “come si
fa a non innamorarsi di una così? Come si fa a non
innamorarsi di lei?”.
Non avevo neanche finito di formulare
questa considerazione, che già ti amavo.
Ti ricordi quando litigammo la prima
volta? Il motivo era stupidissimo, io avevo la febbre alta e insistetti
nel voler
andare al lavoro, perché era il giorno prima di una consegna
importante, mentre
tu eri assolutamente contraria, temevi mi sentissi davvero male. Non
ricordo neanche
come iniziammo ad urlare, ma ti arrabbiasti così tanto che
mi chiudesti a chiave
nel bagno, per poi correre a chiamare in ufficio.
Ti urlai: “ti odio”, e tu ribattesti:
“io di più”.
Ottenesti due giorni di permesso per
me, ma non volesti più parlarmi o vedermi per quelli che
sembrarono secoli, e non
erano altro che pochi giorni.
Quanto mi sei mancata.
C’era stata poi quella volta in cui
rimanemmo chiusi fuori di casa e pioveva, oh! come pioveva…
Il giardino si era riempito
di fango, l’altalena cigolava e il tavolato di legno della
veranda scricchiolava
perché gonfio d’umidità. Provammo tutte
le finestre, sperando che almeno una non
fosse stata bloccata, ma non ci fu nulla da fare. Ci sedemmo sui
gradini coperti
e ci abbracciammo, bagnati com’eravamo, con il vento che
s’infilava nei vestiti
e ci accarezzava come la mano di un amante, finché non
arrivò Alex.
Eravamo stati in silenzio per tutto
il tempo, in un mondo di freddo e gelo dove l’unico calore
eravamo noi.
Ultimamente non faccio che litigare
con Becky. Dice che non l’amo più, che non so
più ascoltarla. Ieri l’ho trovata
a frugare nei miei cassetti per cercare qualche prova di un mio
tradimento. Ci siamo
fissati a lungo, io sulla porta, lei con le mani immerse nella stoffa
delle mie
camicie, e poi è scoppiata a piangere. L’ho
abbracciata, ma le sue lacrime non mi
hanno ferito. Stavo solo lì fermo, immobile, a domandarmi
quando toccheremo il fondo,
quando avremo il coraggio di ammettere la verità.
Ora è in cucina a preparare la cena.
Mi ha buttato fuori dalla stanza ridendo, perché le risulto
sempre d’impiccio, o
almeno così dice. Io so che sta piangendo di nuovo.
Quando avremo la forza di toccare
il fondo? Il vuoto d’aria che precede lo schianto non
è più sopportabile.
Avevi appena litigato con Michael.
Ero rimasto con te tutta la sera, ti avevo portato qualcosa da mangiare
e tu ti
bloccasti a metà piatto.
“Ti sei mai chiesto quanto staremmo
bene insieme?”
Mi feristi tremendamente. Noi due
saremmo perfetti insieme, saresti il mio sole e io la tua luna,
perché posso brillare
solo della tua luce, perché per me il resto è
solo infinito buio.
Mi alzai e uscii senza fiatare. Tu
non mi guardasti, forse lo avevi già capito allora.
Nell’aria galleggiavano le parole
che non hai mai avuto la forza di dire. “Se solo ti amassi,
se solo riuscissi a
farlo”.
È stata la prima volta che ho sentito
quanto a fondo potevo odiarti.
Rimpiango il rapporto di prima. Prima
non avevi il potere di ferirmi, prima non dovevo fingere con te. Prima
non ti avrei
permesso di entrare nella mia anima per devastarla.
È il mio egoismo che non riesce ad
accettarlo. Non riesco ad essere razionale, perché so che tu
non hai colpa, ma non
riesco a perdonarti davvero.
E non riesco a perdonare me per non
riuscire a non provare rancore.
Pensi che io sia una persona orribile?
Lo penso anche io.
Becky oggi mi ha affrontato. “Riproviamoci,
ricominciamo daccapo”.
Come potevo dirle che non c’è più
nulla da ricominciare?
Di quando è morta Annette, ho pochi
ricordi. C’eri tu rannicchiata in un angolo che piangevi e
piangevi, tanto che ho
pensato che avresti finito con il prosciugarti. Mi sono inginocchiato
davanti a
te e abbiamo pianto insieme, così quando tu non ci sei
più riuscita l’ho fatto io
per te.
Mi guardasti e seppi che avevi capito.
Che avevi visto in me, che avevi visto me.
Alex è stato il primo ad intuirlo.
Venne da me una sera, e mi chiese senza tanti preamboli che
cos’avessi intenzione
di fare. Eri (felicemente) fidanzata, lo sei ancora, e io non facevo
altro che girarti
attorno come una falena con un neon, in attesa di bruciarmi le ali e
definitivamente
soccombere.
“Non fa bene né a te né e lei, ed
è una scorrettezza verso Becky. Perché non lasci
perdere?”
“Non ci riesco”.
Mi guardò un po’ comprensivo, un po’
disgustato. Io alzai le spalle come a dire che non potevo farci nulla,
e lui sbatté
la porta andandosene.
Avrei potuto lasciare Becky, sì. Mi
nascondevo dietro l’idea che mi amava così tanto
da prediligere anche solo un’illusione
del mio amore, piuttosto che dirmi addio; forse perché era
questo che io avrei preferito
per me.
Ma Alex sapeva benissimo che in realtà
ero solo troppo vigliacco per riuscire a tenermi in piedi da solo. Che
stavo male
nel ferire qualcuno che mi amava, ma che sarei stato peggio a ferire
solamente me.
Quando ho cominciato a sentirmi intrappolato
come un leone in gabbia? Forse quando mi sono reso conto che ero
rimasto solo, solo
con il mio amore e te, che non lo volevi, che non lo avresti mai voluto.
La mia anima ruggisce tra le sbarre
dei miei sentimenti, la mia coscienza piange sulla spalla
dell’Inevitabilità.
Sono state le parole che mi hai detto
senza nemmeno pensarci che mi hanno più ferito. Non so se
per il loro significato
o se per il fatto che le avessi dette senza neanche dare peso a me,
senza neanche
prendermi in considerazione. I miei silenzi - la mia unica difesa
contro i tuoi
colpi - si sono fatti sempre più lunghi, la mia unica
speranza era che passasse
presto, o che almeno tu riuscissi a starmi accanto senza calpestarmi.
Perché ti ho sentito entrare, ma volevo
sparire… E invece ti ho visto mirare, e invece ti ho visto
sparare a quell’anima
che hai detto che non ho. (*)
Becky mi ha preso per le spalle e
mi ha detto che ne saremmo usciti insieme, di qualsiasi cosa si tratti.
Vorrei riuscire
a crederle.
Pensavo che il tuo trasferimento mi
avrebbe annientato. Pensavo che ne sarei rimasto devastato, e invece
l’unica cosa
che provo è noia. Noia di te, di me, di quello che non
abbiamo avuto e che io ho
tanto sognato.
Senti come scricchiolano le foglie
sotto i nostri passi? È autunno, e la calda luce invernale
colpisce i tuoi capelli
donando loro nuove sfumature. Sei radiosa, sei uno splendore, e vorrei
solo che
tu lo capissi.
Sei felice del nuovo lavoro, ti è
stata offerta un’ottima opportunità ed
è persino meglio di come te l’aspettavi.
Mi chiedi se mi manchi. Rispondo di
sì, con una stretta al cuore. Ma più di tutto mi
manco io, l’uomo ancora in grado
di dirti che ti ama.
Ora il mio saluto rimane incastrato
in gola tra un “ti amo” e un
“addio” di troppo. Troppo codardo per il primo,
troppo
masochista per il secondo. Quello che esce è un rantolante
“ci rivediamo”, che non
sa di nulla. Tu però sorridi e mi baci la guancia.
Ancora non riesco a rassegnarmi a
questa realtà, alla realtà in cui il nostro
è solo un amore ipotetico. Vorrei stringerti,
vorrei toccarti, vorrei fare l’amore con te e poi carezzarti
i capelli, le spalle,
le nocche delle dita.
Ci stringiamo la mano e andiamo via.
Becky oggi mi ha preparato la colazione
e l’ha portata a letto. La mattina prometteva bene, e
guardandola finalmente ridere
non sono riuscito a non sfiorarle una guancia con un gesto tenero. Le
si sono inumiditi
gli occhi e Dio, quanto dolore ho provato.
Riesco a capire quanto mi voglia bene,
al contrario di te, che non sei mai riuscita a comprenderlo, che hai
continuato
a devastare il mio cuore con le tue domande innocenti. Becky non mi
merita.
Stiamo combattendo contro il gelo
sul marciapiede quando ti incontriamo. È passato
più di un anno, ti sei tagliata
i capelli e il tuo viso si è fatto più affilato,
meno armonioso. I tuoi occhi non
risplendono più.
Le solite frasi di circostanza, e
poi le nostre strade tornano a dividersi.
L’assoluto bisogno di averti mia è
stato sostituito da un’amara nostalgia, da una bruciante
malinconia. Becky china
il capo e non osa guardarmi.
“La ami ancora?”
Faccio spallucce, prendendola per
mano e baciandole una tempia. Lei non merita le mie bugie.
Ma non merita neppure la verità.
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