Come
al solito sono in ritardo.
Sono in ritardo con le recensioni, sono in ritardo sui preparativi per
stasera,
sono in ritardo nel postare questa storia.
Si,
perché avevo iniziato a
scriverla prima di Natale, ma poi complice lo shopping pre-natalizio,
le cene
varie e tutto il resto è rimasta lì, nel mio
quaderno, in attesa di essere
finita. Beh, l’ho finita ieri sera, quindi eccola qui.
E
vi avverto, è davvero una
stupidata natalizia.
E
ora ovviamente DISCLAIMER: i
personaggi non mi appartengono, tutto questo è solo frutto
della mia mente
malata di fan girl. E’ fluff, probabilmente OOC, un
po’ triste nella prima
parte.
Bene,
vi ho avvertite.
Buona
lettura, nel caso vogliate
tornare in piena atmosfera natalizia xD
A
Christmas
Present
Sbuffa
nel vederlo ancora lì,
steso per terra, con una coperta che lui stesso si è
premurato di mettergli
addosso ieri sera per ripararlo dal freddo pungente
dell’inverno londinese. Non
capirà mai questa sua ossessione del dormire sul pavimento,
quando ha un comodo
letto a sua disposizione, a pochi passi di distanza.
“Holmes”
lo richiama per l’ennesima
volta, ricevendo in risposta solo un fruscio.
Si
è rintanato con la testa sotto
la calda coperta di lana.
Watson
alza gli occhi al cielo,
innervosendosi, poi si piega su di lui.
“Holmes!”
urla, strattonando via
la coperta, facendolo sobbalzare. Ed è davvero difficile per
lui trattenersi
dal ridere di fronte alla sua espressione spaventata e disorientata.
“Watson,
ma cosa…?” chiede,
cercando di ripararsi con una mano dalla luce che entra dalla finestra,
le
tende ovviamente aperte dal suo collega.
“Buongiorno”
sorride falsamente l’altro,
rialzandosi in piedi. “Lei è in ritardo, suo
fratello sarà qui tra poco più di
un’ora”
“Perché
mai mio fratello dovrebbe
venire a trovarmi senza avvisarmi?”
“Perché
oggi è Natale, Holmes, e
ha mandato un telegramma mentre lei dormiva”
Riesce
a zittirlo.
Ovviamente
solo per un istante.
“Natale?
Siamo già a Natale?” lo
guarda, quasi smarrito.
“Si,
Holmes. E questo è il suo
regalo. Almeno smetterà di rubare il mio”
Gli
lascia cadere un pacchetto
infiocchettato con del nastro rosso sulle gambe.
“M-mi
ha fatto un regalo?”
“Gli
amici solitamente lo
fanno…”
Continua
a fissarlo, Holmes, ma
poi è costretto ad abbassare la testa, vinto dai fatti,
dall’usanza e dalla
tradizione.
Lui
un regalo non ce l’ha.
Figuriamoci,
non sapeva neanche
che giorno fosse; i giorni gli sembrano essere tutti uguali quando non
è
impegnato in un qualche caso che stuzzichi la sua attenzione.
“Io…
temo di averlo dimenticato…”
piega maggiormente la testa, le spalle curve mentre, seduto a gambe
incrociate
sul pavimento, si rigira tra le mani il suo regalo.
Non
ha bisogno di aprirlo per sapere
che è un gilet; lo capisce dalla sua consistenza, dalla
carta, tipica di quella
sartoria a Kensington, la sua preferita. Per
non parlare di quella frase: “Almeno
smetterà di rubare il mio”. Singolare. Maschile. Un
gilet, ovvio.
“Si,
l’ho notato” commenta il
dottore, sarcastico. “Ora deve scusarmi, ma devo uscire. Sono
a pranzo dai
genitori di Mary. Certamente loro non l’hanno
dimenticato”.
Prende
il bastone ed il cappotto
e senza degnarlo di un altro sguardo esce dalla sua camera,
premurandosi come
al solito di sbattere la porta.
Il
continuo realizzare quanto
poco Holmes sia umano, questa sua
scarsa partecipazione, percezione, gli fa perdere le staffe.
E
Holmes, dal canto suo, ne è
pienamente consapevole.
È
per questo che una volta
rimasto solo, mentre sfila il nastro dal pacchetto, scartandolo con
cura,
sospira sconfortato, sussurrando un “Buon Natale”.
E
non sorride neppure quando tra
le mani ha davvero un bel gilet scuro.
La
prima cosa che Watson nota
rientrando al 221B di Baker Street è, oltre
all’assenza di Mrs. Hudson, che
probabilmente ha passato questo giorno di festa con i suoi figli e
nipoti, è l’odore.
È
forte, acre. Odore di bruciato.
Pensa
subito ad un tentativo mal
riuscito di Holmes di far saltare in aria le loro stanze. Non sarebbe
la prima
volta.
Sale
le scale tenendosi al
corrimano ed entra nel loro salotto.
Appena
lo vede Holmes, fino a
quel momento poggiato scompostamente sul tavolo con un braccio, la mano
a
sorreggergli la testa, scatta sulla sedia. Il sorriso ben visibile alla
luce
del camino e della lampada ad olio.
“Watson!”
“Lei
ha l’aria colpevole” lo
guarda di sbieco il dottore, alzando un sopracciglio, “Ha
tentato di dar fuoco
ai nostri alloggi, vero?”.
Sembra
pensarci un attimo il
detective, corrucciandosi, poi però scuote la testa.
“Non
questa volta, no”
“E
allora cosa ha fatto?”
“Ho
cercato in tutta Londra, sa?!”
non lo ascolta neanche, “Ma con la scusa che è
Natale nessun negozio era
aperto. Nessuno! Ma si rende conto? Che fine hanno fatto i buon vecchi
commercianti
di una volta?!”
“Holmes,
arrivi al dunque!”
“Oh,
si, beh…” spinge un piatto
verso di lui. “Buon Natale!”
Watson,
ancora sospettoso, vaga
con lo sguardo dal suo viso, quel sorriso sghembo così
ingenuo che vuole solo
trarre in inganno, al piatto; sopra di esso c’è
quello che assomiglia molto, o meglio, quello
che dovrebbe assomigliare, ad un muffin.
È
il suo dolce preferito.
Ovviamente
il detective ha
seguito perfettamente il filo dei suoi pensieri.
“Concordo
che non ha un bell’aspetto,
ma credo che sia buono. Non avevo la ricetta, ho scoperto che Mrs.
Hudson le ha
portate con se, quindi ho dovuto arrangiarmi, ma ipoteticamente le dosi
dovrebbero essere esatte”
“Ipoteticamente?”
Alza
le spalle con un’espressione
innocente, guadagnandosi un sorriso.
Gli
basta sempre poco per far
tornare il buon umore al dottore. Qualche parola, un sorriso, a volte
solo un’espressione
particolare. Non riesce a resistergli.
È sempre stato
così.
“E
cosa mi dice di questo odore
di bruciato?” gli
chiede, ormai seduto
accanto a lui, una forchetta in mano.
“Ho
avuto un piccolo inconveniente
col forno… niente di grave…”
In poche parole ha fatto scoppiare la cucina.
È
questo quello che pensa mentre
assaggia un boccone di quel dolce e…
Si
immobilizza all’istante,
chiudendo gli occhi e facendo una smorfia.
“Che
c’è?” lo incalza il
detective.
“Holmes,
è…” si porta subito una
tazza del tè che provvidenzialmente ha preparato alle
labbra, cercando invano
di rimuovere quello stucchevole sapore dovuto al davvero TROPPO
zucchero. “Immangiabile”
conclude poi la frase.
Certamente
Holmes non avrà un
futuro come pasticcere.
“Come
al solito lei esagera!” se
la prende, riappropriandosi del piatto. “Forza, mi faccia
assaggiare”.
Pochi
secondi e la sua
espressione cambia.
Inizia
a tossire, portandosi una
mano davanti alla bocca mentre Watson se la ride.
“Glielo
avevo detto che è
immangiabile!”
“Non
capisco… eppure… avevo
calcolato tutte le dosi alla perfezione,
matematicamente….” Dice Holmes per
l’ennesima
volta, in qualche modo scusandosi con lui.
È
dispiaciuto, è palese. La sua
unica possibilità di fare bella figura si è
eclissata a causa di una volgare
abbondanza di zucchero.
“A
quanto pare la sua matematica
ha bisogno di un ripasso completo…” lo prende
prontamente in giro l’altro,
guadagnandosi un’occhiataccia. “Comunque ho gradito
molto il pensiero”.
“Davvero?”
gli chiede con un’espressione
da bambino, gli occhi grandi e un bel sorriso.
“Davvero”
Gli
sorride ancora, di rimando,
felice anche se non lo ammetterà
mai, ed
è in quel momento che…
“HOLMES!”
Mrs.
Hudson.
È
tornata.
Ha
visto la cucina.
Sta
salendo le scale.
“Spranghi
la porta, Watson”
sussurra terrorizzato alla sola idea di cosa quella nonnina potrebbe
fargli. Avvelenarlo
con la colazione di domani, spostargli tutte le sue cose, mettendole
fuori
posto, e …
“Come,
scusi?”
“Per
l’amor di dio, spranghi la
porta!”
Si
precipita lui stesso su quest’ultima,
facendo scattare la serratura, schiacciandosi poi su di essa, in
silenzio, le
orecchie tese a captare il rumore di quei passi.
“HOLMES!”
urla la padrona di casa
sul pianerottolo, cercando di entrare nella stanza. “Apra
questa porta!”
“Madame,
deve mantenere la calma”
“A
quanto pare lei ci ha appena
segregati qui…” constata Watson, davanti a lui.
“In
mia difesa, dico che l’ho
fatto a fin di bene”
“Oh,
non si preoccupi, sono
sicuro che troveremo un modo per passare il
tempo…” posa una mano di lato alla
sua testa, imprigionandolo tra il suo corpo ed il legno della porta
mentre si
lecca il labbro inferiore.
Come
sempre Holmes capisce a cosa
si sta riferendo.
Sorride
malizioso, sporgendosi
verso di lui, fino a sfiorare la sua bocca con la propria.
“Buon
Natale, Watson”
E
a John piacerebbe davvero molto
poter affermare che il suo collega non avesse previsto tutto questo,
che non l’avesse
premeditato, ma in
verità non ne è
poi così sicuro.
[NdA]:
non ho niente da dire
in realtà, volevo soltanto ringraziarvi in anticipo per aver
letto/recensito/preferito/seguito/ricordato. E ovviamente un BUON ANNO a tutti voi! vorrei
stringervi la mano, ma
non posso, quindi ve lo scrivo qui. AUGURI!
Baci,
ladyElric
|