The Rose Red

di Alice Morgan
(/viewuser.php?uid=138584)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


The Rose Red
di Alice Morgan (C)
 
Tutti i diritti riservati.
 
 
Just remember, in the winter
Far beneath the bitter snows
Lie the seed, that with the sun's love
In the spring, becomes the rose.
The Rose - Janis Joplin
 
L'inversione di aggettivo e sostantivo nel titolo è voluta.
 
 
***
 
Prologo
 
Ariel si alzò con le gambe ormai in fiamme e con una spinta di fianchi si costrinse ad avanzare giù per il sentiero scosceso. Le facevano male i polmoni e in bocca sentiva lo strano sapore del sangue. Non aveva idea di dove stesse andando e il debole chiarore della luna non le permetteva di vedere gran ché. D’altra parte, la sua vista iniziava a cedere, un po’ per la stanchezza, un po’ per la perdita di sangue provocata dal profondo squarcio sulla spalla destra. Obbligò se stessa a correre per quanto il suo corpo potesse concederglielo. I piccoli arbusti ai suoi piedi le graffiavano i polpacci e si sentiva come se ogni nervo, ogni particella della sua pelle, non potesse provare nient’altro che non fosse dolore. Iniziò a tremare e forti singhiozzi le rimbombarono nel petto. Il ronzio che sentiva in testa era assordante tanto da riuscire a cancellare ogni altro rumore, compreso quello dei suoi passi. Sentì qualcosa di caldo bagnarle le guance e si rese conto di stare piangendo. Le lacrime non fecero altro che offuscarle ulteriormente la vista. Tutto ciò era terribilmente straziante. Pensò di lasciarsi andare, di cadere, di stendersi per terra e aspettarla. Perché se c’era una cosa che ancora i suoi sensi riuscivano a percepire era la nausea, la raccapricciante consapevolezza che era vicina. La Morte. E questa volta non si trattava di giovani ragazze in vestiti succinti nascoste in vicoli sporchi, né tanto meno dei senza tetto che passavano le notti fra le strette strade che tagliavano, come piccoli fiumi, i vecchi magazzini abbandonati vicino casa sua. Ne era sicura, come era sicura del fatto che avesse gli occhi neri e non fosse brava in matematica. Stava morendo. Le balenò in testa un’ immagine: le gambe ormai insensibili che si afflosciavano, le ginocchia che toccavano il terreno ghiaioso, la pelle che si lacerava sotto di esse. Il piccolo corpo martoriato di una ragazza che si accasciava in mezzo a un mare di piccole piante spinose. Un conato di vomito la travolse quando l’agghiacciante certezza di essere in terra la investì come un carro armato. Era finita. Chiuse gli occhi in attesa di non sentire più niente, di porre fine al dolore. In mezzo al trambusto che aveva in testa percepì un rumore: passi. Quasi sospirò dal sollievo. Aveva smesso di tremare, ormai non le rimaneva nient’altro da fare che attendere. Mentre provava a controllare il respiro cercò di non pensare al suono dei passi che si facevano sempre più vicini e all’odore di morte che ormai le intasava ogni poro della pelle.




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=911867