CAPITOLO
1
Per
la prima volta da quando aveva cominciato il lavoro, Victor Sullivan
decise di
prendersi una pausa, una delle sue: ovvero qualcosa che prevedesse un
bicchiere
di scotch e un sigaro, qualsiasi bettola sarebbe andata più
che bene.
Infondo
la città non era poi così male, considerando che
le terre di confine erano
ancora martoriate dalla guerra recente. Junon sembrava ancora
conservare quel
fascino discreto di cittadina di provincia che le permetteva di non
annegare
completamente nel marciume e nell’illegalità che
la guerra aveva portato con
sé.
La
gente era ancora infelice e povera, ma qua e là
c’era chi tentava di
riprendersi e di certo i bar del sobborgo erano
l’attività più redditizia.
Erano frequentati da gentaglia d’ogni tipo, militari
disertori compresi, ma
Sully non era un tipo schizzinoso e se qualcuno aveva intenzione di
rompergli
le uova nel paniere quella sera avrebbe trovato ciò che gli
spettava.
Entrò
da una porticina consunta all’angolo di un palazzo. Sembrava
di discendere agli
inferi tanto erano angusti i maledetti scalini, ma di certo pareva
quello meno
mal frequentato data la scarsità di loschi ceffi
all’entrata. L’odore di fumo
nella fastidiosa penombra era forte, ma non quanto si sarebbe aspettato
e non
si pentì della scelta considerando l’opzione di
fumarsi un sigaro in santa
pace. Un vago sentore di benzina da quattro soldi riempiva
l’aria, ma, a parte
il tintinnio di bicchieri e bottiglie, regnava uno strano silenzio.
Si
diresse immediatamente verso il bancone, curandosi bene di non guardare
in
faccia nessuno, non era mai prudente in posti come quello. Il barista
era un
individuo magro e slavato, non molto più giovane di lui, e
pareva estremamente
infastidito dal dover asciugare bicchieri su bicchieri.
Ordinò
uno scotch senza ghiaccio, ma dubitò seriamente che fosse
anche solo lontanamente
il migliore che avevano, nonostante questo per una volta non
protestò, voleva
solo starsene una serata tranquillo, senza che qualche stronzo gli
puntasse
addosso una pistola o cercasse di fregarlo.
Solo
quando si fu sistemato sullo sgabello che, a occhio, avrebbe sostenuto
bene il
suo peso, si voltò verso l’estremità
opposta della stanza notando che addossato
alla parete si trovava un cencioso palchetto. Ciò che lo
stupì davvero fu ciò
che sopra vi si trovava: nella tenue penombra, illuminata a giorno
solamente in
quell’angolo di stanza, individuò una ragazza.
Strizzò
appena gli occhi azzurro mare per vederla meglio e quasi si
rovesciò addosso
tutto il bicchiere, che gli fosse venuto un colpo se in piedi su quel
palco non
c’era la ragazza più bella che avesse mai
camminato sulla terra! Non era certo
il genere di donna che di solito aveva occupato il suo letto, ma non
c’era
nulla da obbiettare a quella sua paralizzante bellezza.
Il
delicato vestito bianco fasciava un corpo esile che pure avrebbe fatto
invidia
a qualsiasi modella da copertina, con quei fianchi stretti e sinuosi,
il seno
generoso, le gambe candide e tornite. La osservò come uno
scolaretto fino a che
la ragazza non ebbe alzato il viso, guardando apparentemente dalla sua
parte e
il cuore sembrò schizzargli in gola per un lungo istante. Su
quel viso dolce e
gentile, circondato dai lunghissimi e lisci capelli mogano ramato, si
apriva un
sorriso degno di una dea della primavera tra le labbra piene di un
tenue color
pesca.
Solo
quando la sconosciuta posò gli occhi grandi e profondi
distrattamente su di
lui, Sully poté notare l’oro puro in cui
navigavano le sue pupille, iridi che
brillavano alla luce degli sgangherati riflettori come pietre di rara
bellezza.
Victor gracchiò un istintivo sorriso quando si accorse di
aver trovato un
tesoro d’immenso valore proprio in quella squallida bettola.
La
osservò ancora un istante senza la minima idea di che cosa
ci facesse in un posto
come quello, fino a che la ragazza cominciò ad intonare una
canzone. Non gli
sembrò affatto strana la mancanza di un accompagnamento,
nonostante di musica
non ne capisse un accidente, poteva di sicuro affermare di non aver mai
ascoltato niente di simile.
Improvvisamente
capì il perché del silenzio al suo arrivo, la
ragazza doveva lavorare lì ogni
sera e chiunque in quella stanza aveva aspettato di sentirne la voce in
religioso mutismo.
Estel
conosceva ormai ogni canzone talmente a memoria che cantare non le
recava il
benché minimo disturbo o impegno, così poteva
guardare attentamente chiunque
nella sala. Nonostante tutto la gente ancora la incuriosiva, riusciva a
ferirsi
così a fondo da radere al suolo città, spezzare
vite e famiglie eppure c’era
chi era ancora là per lei, commuovendosi a sentirla cantare.
La
clientela era di solito abituale, più che altro ex militari
ritrovatisi senza
lavoro dopo la fine della guerra, persone sole al mondo, mariti
infedeli e
gentaglia di qualsiasi specie, che si inventava i mestieri
più sgradevoli pur
di uscire dalla povertà. Quella sera però
c’era una faccia nuova proprio
davanti al bancone, lo strano individuo non sembrava essere afflitto
dagli
stessi problemi che tormentavano gli altri, anzi, aveva un cauto
sorriso sulle
labbra sottili ad illuminare gli impavidi occhi azzurri.
Sorriso
a cui Estel si sentì istintivamente di rispondere: rispetto
agli altri clienti
del locale era dotato di una bellezza virile e spavalda, che si
rifletteva nel
viso squadrato dai lineamenti gentili e rassicuranti. Non doveva avere
più di
trenta o trentacinque anni, ma a June sembrò stranamente
maturo, come se la
sapesse più lunga di quanto non desse a vedere in
realtà. I capelli castani
erano compostamente tirati indietro sulle tempie se non per un corto
ciuffo
scomposto sulla fronte, la barba sembrava volutamente non rasata di
qualche
giorno contrapponendosi ai baffi leggermente più lunghi.
Era
davvero alto e il corpo piazzato e muscoloso traspariva dai pantaloni
beige e
dalla camicia verde chiaro aperta sul petto. Lo fissò tanto
intensamente che si
sentì sussultare quando, sul finire della canzone,
l’uomo allargò il proprio
sorriso per lei.
Con
un guizzo degli occhi d’oro la ragazza distolse lo sguardo
arrossendo e Sully
capì di essere cotto, posò distrattamente il
bicchiere sul bancone lanciandole
un ultimo, furbo, sorriso.
-
Amico, sai chi è la ragazza?- si rivolse allo svogliato
barista, quando la
melodia si fu spenta:- Non sei il primo e non sarai l’ultimo
a volerlo sapere,
“amico”. Non voglio problemi con la mia cantante,
quindi tutto ciò che devi
sapere è che si è presentata qui tre giorni fa.
Non ho idea di chi sia, né da
dove venga, ma ho il forte sospetto che sia una vagabonda,
però è bella, sa
cantare e questo è quanto.- rispose acido facendo sorridere
Sully, aveva già
promesso a se stesso una pausa e da quell’idiota non avrebbe
ottenuto che i
vaneggiamenti di un meschino, perciò si rassegnò
a godersi il resto della
serata.
La
sconosciuta cantò ancora diverse canzoni, fino a che fu
abbastanza tardi per il
proprietario per accennarle con un gesto che poteva andare.
Ringraziò
fugacemente gli avventori e voltò loro le spalle uscendo
dalla porta di
servizio, Victor, colto di sorpresa, ricevette da lei un ultimo timido
sguardo,
ma non poté seguirla dato che il barista lo teneva
strettamente sotto
controllo. La lasciò andare a malincuore, sperando di
ritrovarla il giorno
seguente e pensando ad una tattica per avvicinarsi a lei, almeno per
sapere il
nome della ragazza che, con un solo sguardo, aveva tenuto una notte
intera in
scacco il suo cuore.
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