Osp
Stanza asettica, bianco sulle
pareti, sul cuscino, sul pavimento. Piastrelle bianche, stoffa bianca,
intonaco bianco.
Silenzio.
Il ronzio delle
lampade a neon, obsolete, contrastava con i silenziosi dolori che
ognuno portava in sé.
Le uniche note
di colore, se si poteva usare una parola così
armoniosa, si notavano solo sulle lenzuola, sbiadite dai troppi
lavaggi, acquerellate, sfilacciate, di un verde stanco.
Bianco e verde,
verde e bianco.
Cuscini
bianchi, intrisi di lacrime, con le anime intere entravano,
svuotati, gusci vuoti ne uscivano; era un ottimo modo, il guardare i
cuscini, per capire quali erano i nuovi arrivati, i nuovi ospiti,
o meglio, era un metodo funzionante solo per le donne, o ragazze: il
trucco.
Il trucco sul bianco, nero, colore bandito, l'insieme di tutti
gli altri, per questo proibito. Entravi lì e tutto era
soffuso,
apatico, oggettivo, già, per la soggettività
dovevi
cercare da altre parti, non là, no di certo.
Quando
piangevano la loro sorte, il loro trucco per l'appunto, colava.
Mica gli colava da solo, colava con la loro anima, fino a farsi via via
sempre più grigio, sempre più chiaro, fino a
diventare un
fiume di lacrime, incolore, bianco nel bianco.
Smettevano di
volersi bene, non si pettinavano, non si truccavano, non
si vestivano nemmeno più secondo la loro volontà.
Per gli uomini,
ti dovevi arrangiare.
Gli
inservienti, o meglio, gli ospitanti,
entravano una volta ogni due giorni nelle stanze. Passi leggeri,
movimenti esperti, aprivano le finestre prima chiuse a chiave, le
richiudevano dopo un po', se ne andavano, passi leggeri, com'erano
arrivati, in silenzio, nessuna parola.
Gli ospiti
passavano le loro giornate fissando le finestre chiuse, il riflesso del
mondo nei loro occhi in via di spegnimento, il riflesso degli occhi in
via di spegnimento nel
loro mondo
in un tripudio di colori abbacinante.
Se c'era una
cosa snervante nelle lunghe, lunghissime notti lì dentro,
era il ronzio delle lampade al neon: un ronzio asfissiante, senza
tregua, in una luce fredda, senza calore, senza gioia.
Odiavi la
notte, odiavi il giorno, odiavi le lacrime, odiavi gli ospitanti.
Quotidianamente un
ospite, saltava letteralmente addosso a un ospitante, giusto
per fargli capire chi viveva in quelle camere, giusto per il gusto di
toccare qualcuno che ancora aveva un'anima calda.
Gli inservienti
quindi facevano corsi di autodifesa, qualche volta, dicevano, c'era
pure scappato il morto, quindi vai, vai a farti un corsetto di arti
marziali, che non si sa mai.
Il 15 dicembre, sotto una caduta incessante di pioggia e neve
abbracciate tra loro, Varlam entrò dentro a quella che
sarebbe stata la sua casa per il resto della sua vita.
Per entrare in quel luogo, in mezzo al nulla, o meglio, il nulla in
mezzo a qualcosa, dovevi aver proprio fame, bisogno di soldi, oppure un
cuore grande, enorme, e voglia di rischiare l'omicidio da parte di
persone con turbe mentali, idee diverse, sognatori.
In altre
parole, per entrare in quel luogo, bisognava essere masochisti.
D'estate era
caldo, asfissiante l'umidità, zanzare in sciami
innumerevoli, malattie tra gli ospiti
che diventavano delle piccole pandemie, d'inverno era freddo, secco,
non riscaldavano troppo gli ambienti, arti che si scurivano, arti che
andavano tolti,
anime che partivano.
Fumo.
Sognatori.
Il 15 dicembre, sotto una caduta incessante di pioggia e neve
abbracciate tra loro, un pazzo, masochista, di nome Varlam,
per scappare da tutto e tutti, entrò dentro a quella che
sarebbe stata la sua casa per il resto della sua vita.
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