Salve, popolo di Efp! (:
Ho
deciso di scrivere una nuova Fan
Fiction dedicata a Ian Somerhalder
e
Nina Dobrev. Mi piacciono molto
insieme e, questa volta, ho deciso di scrivere qualcosa meno schematico
e più
personale. Eh già, perché in questa storia non
saranno due attori a parlare,
saranno due persone normalissime che s’incontrano un giorno
così per caso e s’innamorano.
Spero davvero che
questo primo capitolo
vi piaccia e spero in una vostra recensione. Amo leggere ciò
che la gente pensa
delle mie storie: mi aiuta a fare sempre di più e
soprattutto a migliorare. Aspetto con ansia i vostri pareri e.. buona
lettura!
:3
Mi ero appena svegliata
quando qualcuno bussò alla porta. Chi poteva essere se non
mia madre?
« Buongiorno
tesoro
mio! »
esclamò
appena mi vide. Indossava un completo color albicocca che
le donava moltissimo, l’avevamo scelto insieme qualche
mesetto prima. Aveva una
borsa perfettamente intonata con le scarpe, una borsa che non le avevo
mai
visto, una borsa che ovviamente non poteva sfuggire al mio sguardo
attento ad
ogni cosa che riguardasse la moda.
« Ciao
mamma. »
risposi teneramente con voce impastata dal sonno. Non dovevo dare una
buona
impressione a giudicare dallo sguardo di mia madre.
« Santo
cielo tesoro,
ancora in queste condizioni? » chiese lei acidamente con il
solito tono
esagerato. Erano appena le nove, poteva anche smetterla di fissarmi con
quegli
occhi indagatori.
« Mi
sono appena
svegliata. » dichiarai timidamente, come spaventata dalla sua
successiva
reazione.
« Corri
a lavarti,
pettinarti e vestirti! Sbrigati, non posso vederti in queste
condizioni. » ordinò lei entrando in casa, visto
che fino a quel momento l’avevo
tenuta sulla soglia senza invitarla ad entrare. Posò la sua
borsa sul tavolo
nel salone e si accomodò sul divano.
« Che
disordine!
Dovresti imparare ad essere più ordinata! »
esclamò dopo aver visto una
forcina lasciata sul tavolo. Una forcina. Una
forcina.
Si alzò
spazientita, la prese
e la mise nel cassettino del bagno insieme alle altre e poi si
risedette.
« Ancora
non sei
pronta? » domandò lei irrequieta.
« Ė
nuova la borsa? » chiesi ignorando le sue parole.
« No,
non è nuova,
l’ho comprata la settima scorsa.. ti piace? »
Annuii.
Mi diressi verso il bagno,
mi
feci una doccia, mi pettinai accuratamente e tornai da mia madre la
quale, nel
frattempo, stava sfogliando una rivista di moda.
« Sai
tesoro, ho
rivisto quel ragazzo.. come si chiama? Ah, sì! Jake.. il
figlio dell’avvocato..
sai, dovresti farci un pensierino! » disse lei senza togliere
gli occhi
dalla rivista.
Scossi il capo: Jake era
uno
dei tanti ragazzi che mi aveva presentato. Voleva a tutti i costi che
sposassi
un ragazzo perché aveva il desiderio di organizzare il mio matrimonio dal momento della mia
nascita.
« Mamma,
lascia stare. »
Lei alzò lo
sguardo e rimase
a fissarmi per un po’.
« Quel
vestito? Lo
indossavi anche ieri! » esclamò inorridita.
Doveva criticare ancora per
molto? Mi guardai: era uno dei miei vestiti preferiti e ogni volta che
lo
indossavo, lo indossavo volentieri.
« A me
piace! »
sbottai.
« Va
bene, va bene,
stai calma. Comunque, hai sentito? » chiese lei
d’un tratto.
« Cosa?
»
« Tuo
padre si sposa
con un’altra donna. » disse lei con un pizzico di
risentimento. Si erano
lasciati da tantissimi anni, io ero piccolissima. La notizia non mi
stupiva
affatto: dal loro divorzio aveva frequentato tante altre donne.
L’unica cosa
che mi lasciava sconcertata era: sarebbe stato in grado di impegnarsi con una sola donna?
« Dopo
tutti questi
anni.. »
« Vorresti
insinuare
che fa bene a risposarsi? » mi domandò.
« Mamma,
vorresti non
averlo mai lasciato? »
« Certo
che no.. » dichiarò lei portando le braccia al
petto.
« E
allora che si
sposi con chi vuole. » conclusi infilandomi i guanti di lana
che avevo
acquistato il giorno prima.
« Sai,
mi si è
fulminata la lampadina del bagno e non so proprio come fare.
» le dissi
dopo un po’. I lavori pratici non facevano per me: avevo
vissuto per tutti
quegli anni tra i miei amati libri, tra la mia amata teoria, tra i miei
studi e
mai mi ero curata della praticità delle cose. Pian piano ne
stavo pagando le
conseguenze: non riuscivo a cambiare un piccolissima lampadina.
« Ah,
non dirlo a me!
– disse lei – La settimana scorsa ho dovuto
chiamare l’elettricista per farmi
smontare e rimontare le due lampadine del salone. Vuoi che ti lasci il
numero
di cellulare? »
« Sì,
va bene. » le dissi prendendo un foglio di carta. Appuntai il
numero, presi il
cellulare e chiamai. Attesi in silenzio la risposta mentre mia madre si
stava
dirigendo verso il mio armadio per vedere i miei nuovi acquisti.
« Pronto?
»
chiese una voce non molto giovane.
« Ehm,
pronto? Mi
servirebbe un aiuto.. » dissi balbettando.
« Mi
dica pure. »
« Dovrei
smontare e
rimontare una lampadina e non so come fare. Lei potrebbe aiutarmi?
»
chiesi gentilmente.
« Ci
mancherebbe
altro, sono un elettricista. Posso passare questo pomeriggio?
» lo
sentii ridacchiare leggermente.
« Certamente,
verso
che ora? »
« Verso
le 15, se per
Lei va bene. Mi lasci pure l’indirizzo. »
Gli dissi
l’indirizzo e
riattaccai.
« Nina,
dove hai
comprato questi meravigliosi stivali? » chiese mia madre. La
raggiunsi
velocemente. « In una boutique, al centro.. »
« Poi mi
ci porti.
Allora, andiamo? » chiese lei ed io annuii.
La mattinata trascorse
velocemente: come sempre mia madre mi trascinò di vetrina in
vetrina, di
negozio in negozio. Non che la cosa mi dispiacesse: quando ero con lei
riuscivo
a portare a casa ancora più buste colme di vestiti,
accessori e scarpe. Se gli
affari di quei negozi andavano a gonfie vele era solamente grazie a
noi.
Quando tornai a casa la
cameriera aveva già apparecchiato. Mangiai velocemente visto
che le 15 stavano
arrivando. Alle 15 precise mi sedetti sul divano per rilassarmi in
attesa che
qualcuno bussasse. Alle 15.30 ancora non si era presentato nessuno. La
puntualità dov’era finita? Decisi di leggere
qualche pagina del libro che la
sera prima avevo lasciato sul comodino ma nel momento in cui
l’aprii qualcuno
bussò. Finalmente!
Aprii di scatto la porta.
Il
tizio stava voltato e riuscivo ad intravedere una sigaretta che
sporgeva dalla
sua bocca e la mascella pronunciata. Aveva un po’ di barba e
i capelli
scompigliati e scurissimi. Indossava una camicia bianca spiegazzata e
un paio
di jeans scuri. Le scarpe erano un insulto per i miei occhi critici:
degli
scarponi, neri?, malridotti.
« Non le
hanno
insegnato che.. » interruppi le mie accuse non appena il
tizio si voltò.
I suoi occhi, oh mio Dio, i suoi occhi! Erano
azzurri, di un azzurro che non avevo mai visto. Erano davvero
spettacolari. Non
riuscivo a concentrarmi su qualcos’altro in quel momento;
c’erano i suoi occhi.
I suoi occhi e basta.
« Mi
scusi, sono in
ritardo. » disse mortificato. La voce? Non era quella che
avevo sentito
al telefono!
« Non fa
niente. » balbettai.
« Posso
entrare? » chiese gentilmente sporgendo il viso verso la
porta.
« Certamente.
»
gli feci strada verso il bagno.
« Non
sono l’elettricista
con cui ha parlato questa mattina. »
Inarcai le sopracciglia.
« Sono un suo amico. Non è potuto venire purtroppo
e mi ha chiamato. »
disse guardando il lampadario.
« E..
è in grado di
farlo? Cioè.. non.. non è un elettricista.
» dissi confusamente.
Arrossii: stavo facendo una figuraccia tremenda. Non capivo che
l’unica che non
è in grado di montare una lampadina ero io?
Lui si voltò
verso di me e mi
sorrise. « E’ solo una lampadina, so cavarmela
perfettamente. »
Ricambiai il sorriso.
« Ha bisogno di una scala? » chiesi.
« Va
bene anche una
sedia, il soffitto non è poi così alto.
» sorrise di nuovo.
Mi diressi verso la cucina,
presi una sedia e gliela portai. Salì sulla sedia e
smontò la lampadina in un
batter d’occhio.
« Lei
è sempre così
elegante in casa sua? » mi chiese mentre fissava attentamente
l’innesto
della nuova lampadina che aveva in mano. Fissai il mio meraviglioso
vestito e
le mie bellissime scarpe.
« Ehm..
e Lei è sempre
così – feci una pausa alla ricerca della parola
giusta – poco elegante quando
si presenta in casa d’altri? » chiesi con un
pizzico d’acidità nella
voce. Lui distolse lo sguardo dalla lampadina e mi fissò.
« Non
credo che per
montare una lampadina bisogna vestirsi elegantemente. » rise.
« Bisogna
sempre
essere eleganti, bisogna sempre avere stile! » esclamai.
Lui si concentrò
nuovamente
sulla lampadina. L’avvitò in pochi secondi e scese
dalla sedia. Mi fissò
intensamente negli occhi e poi disse: « Terrò
conto del Suo consiglio,
signorina.. »
« Nina!
»
conclusi.
« Piacere,
mi chiamo
Ian. » disse porgendomi la mano. Gliela strinsi educatamente
e sorrisi.
Ricambiò con il
suo sorriso
così solare.. Non ero in grado di dargli
un’età: da una parte sembrava un
ragazzino con i suoi occhioni azzurri e i suoi capelli scompigliati,
dall’altra
sembrava un uomo con la sua mascella pronunciata e i suoi lineamenti
maturi.
« Quanti
anni ha? » chiesi senza rendermene conto. Erano domande da
fare, quelle? Sperai
con tutta me stessa che la sua risposta non fosse stata
“Quanti me ne dai?” perché
davvero non avrei saputo come rispondergli.
Lui mi guardò
stupito. « ahahah, bella domanda. Presumo che dopo
quest’informazione, sia
inutile darsi ancora del Lei. 24, e tu? » Tirai un sospiro di
sollievo.
« Quanti
me ne dai? »
risi.
« mm..
non più di 42. »
affermò deciso.
« Cosa?
» scoppiai
a ridere.
« Seriamente..
mm, non
più di 19. »
« Indovinato..
19. »
« E’
stato un piacere
conoscerla, ora devo proprio scappare. » disse lui dopo aver
controllato
l’orologio.
« Mi
sembrava che tu
avessi precisato qualcosa a proposito del Lei.. » gli dissi
incrociando
le braccia e accompagnandolo alla porta.
« Hai
ragione. Ciao
Nina! »
Sorrisi e ricambiai il
saluto. Chiusi la porta alle mie spalle e la cameriera, Bells, mi
raggiunse.
« Bel
ragazzo, eh?! Su
di lui.. sì che dovresti farci un pensierino! »
Scoppiai a ridere.
«
Ma no, Bells. Non lo rivedrò mai più, tanto..
»
« Chissà
se si è
scordato del conto.. » mi disse ricordarmi del pagamento.
Oh mio Dio, il conto! Non
potevo lasciarlo andare senza neanche dargli una mancia. Presi il
portafogli
dalla mia borsa e mi precipitai fuori. Fortunatamente non era andato
molto
lontano (correre con i tacchi non era il massimo).
« Hey,
Ian! »
lo chiamai. Lui si voltò. « Che succede?
»
« Mi
sono proprio
dimenticata di pagarti.. » feci per aprire il portafogli ma
lui mi
bloccò.
« Offre
la casa. » dichiarò sorridendo.
Io lo guardai. «
Ma
no, dai.. »
« Non
preoccuparti. E’
una lampadina, niente di che. »
« Davvero,
voglio
pagarti! »
« Sei
testarda come un
mulo, a quanto vedo. »
Sorrisi.
« Se
proprio vuoi.. –
mi feci attenta – un giorno mi offrirai un caffè.
» disse lui.
« Con
piacere.. »
« E’
arrivato l’autobus, ora devo andare. Ciao, a presto!
» dichiarò allontanandosi. Poi si
bloccò. « Ah, e non correre con
quei tacchi, potresti farti male. » mi fece
l’occhiolino. Gli sorrisi e
lui salì sull’autobus. Rientrai in casa e mi misi
a leggere quel libro che
prima avevo lasciato sul comodino. Non lo
rivedrai mai più, eh Nina?
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