Where
is My Place?
Capitolo
1
Montpellier, Vermont, Maggio 2010, 5
a.m.
Una
pioggia leggera cadeva sulla cittadina di Montpellier, sembrava il classico temporale
primaverile così normale da quelle che parti e spesso preannunciavano lunghe e
piacevoli giornate di sole.
Le
serrande iniziavano ad alzarsi in alcuni negozi, soprattutto quelli vicino al
centro dove arrivò un piccolo autobus proveniente da un altro stato, era mezzo
vuoto, eppure nessuno fece caso al misterioso straniero, dallo sguardo cupo e
mesto, che vi discese.
Indossava
solo un cappotto nero, una t-shirt e dei jeans e teneva gli occhi bassi,
evitando di incrociare lo sguardo di chiunque.
Era
riuscito a dormire per un po’ nelle ultime ore, solo che il suo sonno era
popolato da incubi che si ripetevano continuamente così aveva finito di cercare
di smetterla di dormire, forse doveva veramente tornare al vecchio metodo:
sbronzarsi.
Camminò
davanti ad un giornalaio della stazione, dando un’occhiata distratta ai titoli
dei giornali, poi si avviò verso un bar, non aveva fame, il suo stomaco era
chiuso, però doveva pur mangiare qualcosa anche se la sua intenzione era sempre
quella di farsi inghiottire da un buco nero.
Entrò
nel locale, ordinò una brioche e un caffè per poi andarsi a rifugiare nel
tavolino più nascosto, mangiò di malavoglia ma bevve volentieri quel liquido
bollente, aveva un saporaccio però non poteva chiedere di meglio in un posto
del genere.
Nessuno
lo guardava per fortuna, aveva bisogno di stare totalmente solo con se stesso,
per un momento, più per abitudine che per reale volontà, tirò fuori la carta di
credito dell’Fbi, fu solo quando la stava allungando al barista che si accorse
di quello che stava facendo.
“Mi
scusi, pago in contanti” sospirò allungando qualche bigliettone, mentre, in
fretta e furia rimise via la carta, pensando tra se e se che forse avrebbe
fatto meglio a buttarla via.
Senza
dire altro uscì dal locale, vagando a zonzo per la cittadina, non ricordava di
essere mai stato in Vermont e non ricordava di aver preso il bus la sera prima:
doveva essersi sbronzato proprio bene.
Rammentava,
invece, il motivo per cui lo aveva fatto e tale ricordo gli aveva fatto venire
voglia di ubriacarsi un’altra volta.
Oppure
poteva decidere di tornarsene a Boston e affrontare Walter e le sue dannate
bugie?
In
fondo perché doveva riprendere a fare la vita di randagio per colpa sua?
Anche
se faceva parte di quel mondo da solo due anni, ormai gli sembrava la sua
strada, poteva continuare a collaborare con l’Fbi, era apprezzato da tutti per
le sue doti, per la sua intelligenza, per la sua perspicacia, il suo intuito e
per come sapeva far ragionare Walter.
Sempre
lui, sempre in mezzo.
Avrebbe
voluto spedire lui in un altro universo altroché!
Era
stato già abbastanza difficile dover accettare che ci fossero universi
paralleli, dover poi accettare di venire da uno di questi universi e non in quello
in cui stava vivendo adesso era davvero dura.
Forse
stavolta avrebbero ricoverato lui al Saint Claire.
Chissà
com’era il suo universo?
Non
sarebbe stato male poterlo visitare almeno una volta.
Vedere
se le persone erano come in questo universo.
Olivia
aveva parlato di posti più tetri: più di quella cittadina? Impossibile.
O
forse era lui che vedeva tutto buio?
Ovunque
guardasse non vedeva che oscurità, anche se la pioggia era leggera e dietro le
nuvole si intravedeva il sole.
Si
sedette su una panchina all’entrata del parco cittadino, osservando il flusso
regolare delle automobili che aveva cominciato ad esserci da circa mezz’ora.
Era
confortante vedere quella normalità.
Ne
aveva un gran bisogno.
Mise
le mani in tasca, tirando fuori una moneta, la sua moneta con cui iniziò
a giocherellarci.
Era
il suo porta fortuna.
La
guardò per un istante infinito.
Poteva
tornare a casa?
Sì,
ma dov’era casa?
A
Boston o nell’altro universo?
Da
nessuna parte, forse.
Si
alzò in piedi, riprendendo a girare sotto la pioggia, sentiva il bisogno
impellente di bere di nuovo, il suo raziocinio gli stava ponendo troppe domande
e il cuore gli faceva sempre più male.
Doveva
trovare un posto dove bere per dimenticarsi del mondo e di se stesso solo che
non ne trovava uno adatto.
Quei
bar erano decisamente troppo eleganti e troppo “perbene” per il suo standard,
quantomeno il suo standard attuale.
Così
decise di riprendere a camminare sotto la pioggia, non era la pioggia
torrenziale di Boston, ma si augurava di prendersi ugualmente qualche malanno
in modo da poter finire incosciente per qualche giorno.
Il
suo lato masochista stava avendo decisamente il sopravvento, però non era
ancora abbastanza e fu solo tre ore più tardi, quando intravide un orrenda
bettola in un trucido quartiere di periferia che pensò che forse poteva
iniziare a ritenersi soddisfatto.
Boston,
Bowling di Sam Weiss, diverse ore più tardi.
Olivia
dopo un’intera giornata di vane ricerche si era rifugiata al bowling, non ne
sapeva la ragione, forse perché non voleva vedere la faccia distrutta di Walter
o quella malinconica di Astrid.
Il
laboratorio era all’improvviso diventato tetro e scuro, era passata di corsa a
prendere la piccola Ella, felice di sentirla parlare di quella strana storia su
Peter, lei e Walter, che però aveva avuto il potere di renderla ancora più
triste.
Così
dopo aver atteso invano il sonno per ore, era corsa da Sam che, facendo finta
di non guardarla seduta per terra in un angolo, si era messo a sistemare le
palle lasciate in giro dai clienti.
Olivia
aveva lo sguardo nella sua direzione, ma non lo vedeva, non vedeva niente, non
sentiva niente, si sentiva peggio di quando aveva perso John dato che almeno a
lui aveva detto di amarlo.
Perché
non gli aveva detto niente?
Sapeva
benissimo cosa stava per succedere tra Peter e Walter però aveva preferito voltare
la testa dall’altra parte, facendo finta di non vedere.
Giocherellò
con una palla abbandonata, poi con tutta la rabbia che aveva in corpo la lanciò
lontano rischiando di prendere Sam in pieno viso.
“Sei
diventata matta?
“Così
la smetti di far finta di guardare altrove”
“Non
ti facevo così egocentrica” borbottò Weiss andandosi a sedere di fianco a lei.
“Stai bene?”
“Hai
una domanda di riserva?” replicò la ragazza senza guardarlo negli occhi.
“Che
cosa succede?” le chiese il suo amico senza troppi giri di parole.
“E’
così evidente che sono un disastro in campo sociale?” scherzò Olivia cercando
di evitare la domanda.
“Non
cambiare discorso. Dimmi cosa succede” insistette Sam.
“Ricordi
la faccenda del segreto che ho deciso di tenere?”
“Sì”
“La
persona che non doveva scoprirlo lo ha scoperto e non l’ha presa bene”
“Capisco…
il segreto?”
“Ma
niente solo che tale persona è stata rapita da quello che credeva essere il suo
vero padre”
“Non
sarebbe la prima volta che sento un fatto del genere”
“Sì,
ma in genere le altre persone vengono dallo stesso universo” replicò asciutta
Olivia
“Peter
Bishop viene da un universo parallelo?” chiese stupefatto Weiss e a quel punto
la Dunham gli tirò un pugno sulla spalla.
“Non
ti si può nascondere niente” bofonchiò la donna fingendosi seccata.
“Dov’è
lui adesso?”
“E
chi lo sa?”
“Glielo
hai detto?”
“Certo
che no, lo ha scoperto lui”
“Non
parlo di quello”
“E
di cosa?”
“Gli
hai detto che lo ami?”
Olivia
abbassò la testa stringendosela tra le mani.
“Credo
che significhi no”
“Sono
un disastro”
“Non
preoccuparti, tutto il mondo ormai è analfabeta a livello sentimentale: guarda
me”
“Consolante”
Sam
si alzò, andò a prendere una caraffa d’acqua con due bicchieri e, dopo averne
riempito uno lo porse ad Olivia che bevve in silenzio per qualche minuto.
“Stavo
pensando a quando andai al cinema una volta”
“Vai
al cinema?”
“Ho
una vita sociale ogni tanto che ti credi”
“Vai
avanti”
“Tra
l’altro era veramente un film osceno, io detesto le commedie romantiche”
“Devi
essere più un tipo da Stephen King, vero? O magari robe splatterose alla Saw”
“No,
mi piace Cronenberg”
“Soprattutto
La Mosca, vero?”
“Esatto”
Olivia
sorrise, leggermente rasserenata da quella conversazione.
“Dimmi
che filmaccio eri andato a vedere”
“Non
ricordo il titolo, ricordo però una frase”
“Quale?”
“Giura
che non mi prendi in giro”
“Non
sono dell’umore Sam, al massimo ti sparo”
“Considerando
quello che sto per dirti potresti farlo veramente”
“Dimmi
la frase Sam”
“Quando
ami qualcuno devi dirglielo perché poi il momento passa”
Olivia
sospirò, abbassando di nuovo la testa.
“Posso
usarti come bersaglio per le freccette?”
“Senza
punta però”
“D’accordo”
Weiss
le accarezzò leggermente i capelli, poi si allontanò in silenzio lasciandola da
sola, sapeva bene che Olivia non voleva farsi vedere così da nessuno.
Quando
si voltò lei era sparita.
Montpellier,
bar di periferia.
Un
uomo dai capelli neri e da sinistri occhi blu, giocava ad un tavolo da poker in
compagnia di alcuni avventori nel retro del locale.
Giocavano
da ore e lui non si faceva scrupoli di usare la sua particolare intelligenza
per barare, non sapeva perché lo stesse facendo o forse lo sapeva,
semplicemente aveva deciso di non pensare più a niente.
Gli
altri lo guardavano con occhi truci, erano stanchi di perdere e quel ragazzino
pareva avere un po’ troppa fortuna.
Peter,
nel frattempo, buttò giù l’ennesimo bicchiere, ormai deciso ad andare fino in
fondo a quella follia.
I
suoi occhi erano cerchiati di rosso, era sveglio da ore, aveva mangiato solo la
brioche al mattino e bevuto una quantità industriale di alcool, sapeva di
correre il rischio di sentirsi male, ma la cosa gli importava veramente poco.
Forse
sperava solo di auto-distruggersi in fretta.
Quando
tirò fuori l’ennesimo asso, il giocatore che era di fronte a lui si alzò di
scatto, gli si avvicinò e gli puntò alla gola un coltellino.
“Stai
barando, vero ragazzino?”
“Cosa
te lo fa credere?” ribatté cercando di usare il suo sorriso più strafottente.
Non
fece in tempo a dire di più, gli altri tre lo presero di peso, frugandogli tra
i vestiti, dove trovarono altri mazzi di carte.
In
pochi secondi fu trascinato in un lurido viottolo vicino al bar, dove iniziarono
a prenderlo a calci e a pugni.
Non
reagì, sperava che il dolore fisico offuscasse ogni altro tipo di dolore.
Le
botte continuarono per una buona mezz’ora mentre il giovane Bishop era
diventato una maschera di sangue
I
pugni allo sterno erano quelli che facevano più male, erano come stilettate,
era come se qualcuno continuasse a ripetere ciò che la sua mente aveva compreso
pochi giorni prima sul quel maledetto ponte.
Non
era di questo mondo.
In
uno degli ultimi istanti di coscienza ricordò che sia Olivia che Walter gli
avevano detto che non era grave, eppure aveva dormito per un giorno e mezzo.
Adesso
sapeva perché.
Non
aveva voluto accettare la realtà perché farlo significava distruggere quel
meraviglioso equilibrio che era diventato vitale per lui.
Cadde
ricevendo l’ennesimo calcio.
I
suoi aggressori lo lasciarono per terra, pesto e sanguinante, sotto la pioggia
battente.
Non
ebbe neanche la forza di chiedere aiuto, perdendo i sensi in quel piccolo
inferno che si era costruito da solo.
Fine
Capitolo 1