Il sole splendeva orgoglioso sul giardino e sul palazzo di
Rivombrosa, che si stagliava elegante e fiero contro il cielo
blu. Alcune papere festeggiavano la primavera nella vasca
rotonda al centro del parco, immergendosi a testa in
giù nell'acqua trasparente, come piccoli sottomarini,
emmettendo i loro pigolii allegri.
Dalla scalinata, Elisa osservava quella scena, con una mano sugli occhi
per ripararsi dalla luce accecante del mezzodì. I lunghi
capelli erano acconciati con eleganza sulla nuca e un aggraziato abito
azzurro la rendeva ancora piu nobile, affascinate, aristocratica, senza
però perdere mai quel giuzzo passionale nello sguardo, quel
lampo birichino che dopo anni di tristezza era ritornato nei begli
occhi verdi. Elisa aveva la bellezza di una Venere e
la dolcezza di una madre premurosa, non era algida
nè altezzosa e questo aveva attirato l'attenzione di molti
uomini, dopo la morte di suo marito Fabrizio, avvenuta in un tragico
duello.
Ma per lunghi mesi era rimasta sola nel suo dolore, sola contro le
difficoltà economiche e contro la terribile malattia che si
era abbattuta su Rivombrosa, colpendo anche diversi membri della
servitù. Aveva lottato per sua figlia , si era costretta ad
andare avanti solo per lei. Ma nel suo cuore, qualcosa si era rotto,
sgretolato come un vaso andato in frantumi, senza
possibilità di tornare come prima: quante notti aveva
pianto, sentendosi preda di una desolazione sconfinata.
Il suo grande amore era morto e nulla aveva piu davvero ragion
d’essere per Elisa.
Solo quel debole filo la teneva dritta, come un’esile
marionetta nelle mani del destino.
Qualcosa che le sussurrava di andare avanti, le impediva di piegarsi su
se stessa, le consigliava di farsi forza, che un futuro
c’era, che non era tempo per lei di morire.
Come una premonizione, o forse una speranza, un tenue legame alla vita
che le prometteva un avvenire sereno.
E infatti, dopo quei lunghi mesi che erano divenuti anni, Elisa adesso
era di nuovo innamorata.
Il capitano Grey vide Elisa che osservava il giardino e le si
fece incontro, leggero come il vento che lambiva Rivombrosa.
La raggiunse e le mise le mani sugli occhi.
“Indovina chi sono!” esclamò, con la sua
voce profonda, dal lieve accento inglese, inconfondibile.
Elisa sorrise dolcemente. “Credo sia il capitano
Grey!” rispose, voltandosi e trovandoselo davanti.
“Brava signora contessa... oramai mi conosci bene, insomma.
”sussurrò, carezzandole il volto
pallido.
Lei chiuse gli occhi a quel contatto tenero. Christian era un uomo
dall’aspetto piuttosto rude ma era capace di una dolcezza
quasi adolescenziale, ben diversa dall’impetuosità
passionale di Fabrizio.
Rendendosi conto di star pensando al marito morto scosse istintivamente
la testa, allontanado certi ricordi del passato.
Oramai il suo presente era Christian.
“Elisa... sono passati diversi mesi da quando io e te
abbiamo... insomma abbiamo cominciato ad amarci. Vorrei sapere se per
te... questo significa qualcosa... ”mormorò,
guardandola dritto negli occhi chiari, lui coi suoi scuri come
la notte.
“Certo che significa qualcosa, Christian..."
Già ma che cosa? Elisa non ne aveva idea. Poteva davvero
dire di amare il capitano Grey?
"Ma per adesso, preferisco che le cose rimangano così"
aggiunse, senza saper bene cosa volesse dire. Temeva che Christian le
proponesse il matrimonio, e lei non si sentiva pronta ad un passo del
genere, nonostante gli volesse molto bene e lo desiderasse
anche.
“Ma io ti voglio, Elisa! ” si spazientì,
stringendo le mani a pugno. ”Non capisci, quanto ti
amo? Ormai Fabrizio è morto da 5 anni! Non puoi
vivere la tua vita nel suo ricordo. ”fece, amareggiato
dall’ennesimo rifiuto.
Quella donna gli incendiava il sangue nelle vene ma non si decideva mai
a diventare davvero sua, a essere sua moglie! Tutta quella storia
cominciava a dargli i nervi...
Non aveva intenzione di dividere Elisa con un morto ancora a
lungo! Elisa alzò il mento,
orgoliosamente.
“Christian, mi dispiace. Ma se per te è un
problema aspettare... conosci il modo di andartene da questo
palazzo.”
Lui abbassò lo sguardo sorridendo debolmente. Poi si porto
le mani ai lati, in segno di resa.
“E va bene, hai vinto tu! La mia Elisa ha un bel caratterino,
a volte lo dimentico.” osservò, tornando scherzoso
come sua abitudine.
Elisa gli prese una mano nelle sue.
”Christian credimi;io voglio diventare tua moglie.
Ma ancora…ancora non me la sento. Ti prego, abbi fiducia in
me.” lo pregò, con dolcezza.
“Naturalmente... farei qualsiasi cosa per te, tesoro...
”rispose, prima di chinarsi su di lei e baciarla
delicatamente sulle labbra.
Nessuno dei due sapeva che cosa aveva ancora in serbo il
destino... Infatti, non molto lontano da li, un uomo
alto e imponente veniva scaricato da una carrozza di zingari
nel bosco, svenuto e ferito. Quell'uomo era sporco, denutrito, coi
poveri vestiti logori ma chiunque l'avesse conosciuto anni prima non
avrebbe stentato ad individuare in lui qualcosa di piu di un mendicante
o di uno straccione.
Quello che gli era capitato era un mistero ma in quel bosco, a poche
ore da rivombrosa, gli zingari avevano portato il Conte Fabrizio
Ristori.
Fabrizio si passò una mano sulla testa dolorante, steso sul
tappeto di foglie cadute dagli alberi della foresta durante l'inverno.
Emise un rantolio soffocato, poi tentò di mettersi in piedi,
anche se la vecchia ferita che aveva su un fianco si era
riaperta e gli impediva alcuni movimenti.
Il carro degli zingari lo aveva buttato giu, ai piedi di quella grossa
quercia e se ne era andato in fretta, come se avesse avuto il diavolo
alle calcagna. Fabrizio aveva sentito Juan, incitare il cavallo e
frustarlo furiosamente, finchè l'anziano castrone non aveva
preso a galoppare rapido come una saetta.
E adesso era li, da solo, ferito, forse morente, senza un posto dove
andare, senza sapere dove si trovava nè perchè
gli zingari lo avevano lasciato li.
Ricordava che alcune notti prima, davanti al fuoco, una donna lo aveva
indicato con occhi increduli e aveva sussurrato qualcosa al
marito, che al momento di andare a dormire lo aveva colpito con una mazza e caricato sulla carrozza. Che cosa avesse detto a Juan,
quella vipera dalla pelle ambrata, Fabrizio non lo sapeva. L'unica cosa
che sapeva era che aveva vissuto 3 mesi con gli zingari, diventando
quasi uno di loro, fino a quella sera in cui Juan, che riteneva un
amico, aveva quasi cercato di ammazzarlo, per poi abbandonarlo come un
maledetto sacco in un bosco sconosciuto.
Se avessero voluto liberarsi di lui, bastava dirlo, pensò
Fabrizio, alzandosi in piedi con una smorfia di dolore. "Bastava dirlo! ! !" urlò, nella direzione in cui il carro si era
allontanato. "Maledetti zingari..." biascicò, aggrappandosi
al tronco di un albero. Con passo malfermo avanzò nel folto
della foresta, lentamente, a capo chino, come un gueriero
ferito a morte in battaglia.
La testa gli doleva maledettamente e con un braccio si premeva la
ferita lunga e ampia che aveva su un fianco. Credeva che ormai fosse
guarita, invece la caduta dalla carrozza l'aveva fatta riaprire e
adesso sanguinava copiosamente.
Camminò per un paio d'ore, aggrappandosi ad ogni albero per
sostenersi poi, stremato e vinto dal dolore, si afflosciò
svenuto ai piedi di un ippocastano.
Bianca non amava le passeggiate nel bosco e anzi, detestava i
rovi che le si impigliavano nel grembiule, trattenendola dispettosi, ma
Elisa aveva avuto l'idea di raccogliere fragoline selvatiche quel
pomeriggio e Amelia invece di lasciare andare lei, l'aveva dissuasa e
chiamato Bianca per quel compito.
La spiegazione era sempre la stessa: le contesse non vagano per i
boschi come ragazzine avventate. Per questo c'era Bianca, la povera,
stupida Bianca, che macinava chilometri su chilometri per trovare
qualche inutile fragolina. Quei pensieri velenosi distraevano Bianca e
le facevano perdere per strada buona parte dei frutti appena raccolti,
che scivolavano giu dal cesto di vimini.
Bianca non era cattiva; lei voleva molto bene alla Contessa ma talvolta
quel senso di protezione materna che Amelia provava per lei la
ingelosiva. Da quando era morto il conte, sebbene fossero passati 5
lunghi anni, Elisa non si era mai completamente ripresa. Era come un
fiore che dopo una gelata, per quante cure riceva, non
rifiorirà mai come una volta.
Stava riflettendo su quella questione quando, con orrore si accorse che
una figura umana era stesa, scomposta, sotto ad un albero, a
pochi metri da lei. Da dove si trovava non capiva se fosse morto,
vedeva solamente un uomo dai capelli scuri, sdraiato a pancia in giu,
col volto dalla parte opposta a quella in cui era lei, per cui non
riusciva a scorgerne i lineamenti.
Bianca poggiò il cesto per terra e si avvicinò
lentamente, guardinga, a quell'uomo vestito di miseri
stracci.
Doveva essere un poveraccio ubriacone, pensò.
Già, ma cosa diavolo ci faceva laggiu nel fitto del bosco?
Gli toccò una spalla, scuotendolo leggermente."Ehi! Mi
senti? Sveglia! Guarda che non è il posto per farsi un
pisolino, questo!"sussurrò, piuttosto rudemente.
Quello emise un brontolio sommesso, che a Bianca parve piu sofferente
che assonnato."Sei ferito? "domandò, adesso piu allarmata.
Nessuna risposta, solo un altro rantolo strozzato. Presa dal panico
Bianca passò dall'altra parte, scavalcando quel corpo
possente ma quasi privo di vita. Con due mani gli afferrò il
volto, dagli occhi chiusi."Ti prego, non morire! Adesso chiamo aiuto,
sai... adesso io..." le parole le morirono in gola, non appena mise
bene a fuoco il viso di quell'uomo.
Era sporco, magro, provato e sofferente ma sembrava...
Dio onnipotente sembrava... Bianca rimase a bocca aperta davanti ai
lineamenti del moribondo.
La fronte alta, la bella bocca carnosa, gli occhi, che adesso aveva
socchiuso, quelle piccole lagune blu e il naso... Gesù...
sembrava... ERA il suo naso, cosi come i capelli, lunghi, piu di un
tempo, che gli ricadevano fino alle spalle. Non potevano esserci
dubbi...
Bianca emise un grido che risuonò acuto nella foresta poi
prese a correre a perdi fiato verso il castello, col cuore in gola e la
mente sconvolta.
Che cosa diavolo stesse succedendo non lo sapeva. Tutto quel che sapeva
era che il Conte Ristori giaceva morente nel bosco."Angelo! ! Angelo
devi seguirmi! ! !" gridò Bianca, prendendo il fratello per
mano e trascinandolo via dal cavallo che stava ferrando."Ma Bianca! Non
posso devo lavorare..." protestò lui, stancamente."Angelo,
tu non capisci! Devi venire con me! e deve venire anche Titta! Chiama
piu gente che puoi!" supplicò, in preda al panico.
Angelo non capiva l'agitazione della sorella che sembrava sconvolta,
per questo era restio a seguirla."Bianca che cosa hai combinato adesso?
" domandò, esasperato. Lo sguardo che lei gli
lanciò gli diede i brividi."Devi venire con me."
insistè, col volto cinereo.
Qualsiasi cosa fosse capitata, sua sorella era terrorizzata. Presero un
cavallo dalla stalla, chiamarono Titta e un altro servitore e insieme
galopparono verso la foresta."Oh Signore Onnipotente,
è... è il Conte!" esclamò
Angelo, chino su Fabrizio, ancora riverso nella foresta."Si
è lui! Ma come è possibile... era morto!"
boccheggiò Titta, incredulo."Se non ci sbrighiamo a portarlo
a palazzo, sarà morto davvero, tra poco!"fece
Bianca."Portiamolo via!"
Insieme, con grande fatica, riuscirono a caricare il conte sul cavallo.
Sembrava un mendicante, portava vestiti poveri e logori, ma era davvero
lui. Era il Conte! Il Conte era tornato a Rivombrosa dopo 5 anni.
I quattro condussero il cavallo a passo spedito verso il
palazzo, consci di avere i minuti contati. Fabrizio era ferito e
respirava a malapena.
Quando Antonio vide il suo paziente, il barattolo di vetro
contenente i piccoli animaletti neri che aveva in mano, gli cadde
rovinosamente a terra, andando in frantumi."Dove lo mettiamo, Antonio?
" domandò Angelo, che teneva il conte per le
spalle."Portatelo nella mia stanza! Svelti!"ordinò il
medico, attonito. Lui e Titta portarono Fabrizio sul letto di Ceppi ed
Anna, rapidi e ancora increduli."Che cosa sta succedendo? Non
può essere Fabrizio!"sussurrò Antonio, aprendogli
la camicia per scoprire la ferita che l'aveva macchiata di
sangue scuro."Invece è lui, Signore. Non ho idea di
come sia possibile ma è la realtà! Era
nel bosco, ai piedi di un albero, non lontano da qui."spiegò
Bianca, passando al dottore i panni imbevuti in acqua calda per lavare
il taglio."Che Dio ci aiuti."mormorò il dottore."Fabrizio,
non mollare, Stavolta ti terremo con noi, lo giuro sul mio
onore."promise, rivolgendosi direttamente a lui.
Fabrizio era privo di sensi e tutto era avvolto da una fittissima
tenebra scura.
Amelia rimase a bocca aperta davanti a Fabrizio, ancora addormentato,
sul letto di Anna e Antonio. Bianca l’aveva chiamata e lei
era rimasta senza fiato vedendo l’uomo che aveva allevato
tanti anni prima con amore e che da cinque anni credeva morto.
“Oh Signore, Fabrizio! ”pianse di gioia, mentre gli
accarezzava la fronte rovente di febbre, gli scostava i capelli castani
dal volto sudato, gli baciava la mano calda.
“E' un miracolo del cielo! ”ripeteva, sotto gli
occhi commossi di Antonio e Bianca.
Tutti e tre osservavano Fabrizio che respirava affannosamente, con
fatica, ma ormai aveva afferrato la vita e non l’avrebbe
lasciata andare.
“Adesso è fuori
pericolo.”affermò Ceppi "ma dobbiamo lasciarlo
riposare." aggiunse.
“Qualcuno dovrà dirlo ad Elisa.”quella
frase riusuonò nel silenzio come una fucilata, con tutta la
sua gravità e pesantezza. Angelo era sbucato dalla porta e
guardava i tre con un espressione tesa.
“Si, Angelo. Qualcuno deve dirlo ad Elisa e anche ad Anna, a
Emilia, a Martino. E soprattutto a Agnese.
”osservò Antonio, greve.
La situazione non era semplice, anzi. Come dirlo ad Elisa?
C’era forse un modo non traumatico per comunicarle che il suo
defunto marito non era affatto defunto? E Agnese, che aveva
già 5 anni, e che non aveva visto suo padre che da lattante?
E Martino, che era un giovane ribelle ed ostinato, che aveva sofferto
tantissimo dopo la morte di Fabrizio?
Il destino era strano;cinque anni prima aveva catapultato Rivombrosa
nella disperazione, adesso invece gli riapriva le porte della
felicità.
Elisa vagava nel palazzo con leggerezza, in cerca di Amelia. Fuori la
sera aveva ceduto il posto alla notte e alcuni grilli cantavano nel
prato.
Indossava la camicia da notte in pizzo bianco, ed aveva i capelli
lunghi sciolti sulla schiena, vaporosi come una nuvola color grano
maturo.
In mano aveva una candela, per farsi luce sebbene conoscesse a memoria
ogni centimetro del palazzo. Scese in cucina ma era deserta. Allora
salì al primo piano, ma anche li nessuna traccia della
donna. Si arrestò davanti alla camera della cognata e di
Ceppi, incerta se bussare per chiederle di Amelia, poi decise di
lasciar stare;avrebbe visto la governante l’indomani.
Fece marcia indietro, diretta in camera sua.
Stava percorrendo il corridoio avvolto in un sonnolente silenzio quando
notò una luce soffusa e tremula, che proveniva da una porta.
Quella stanza era solitamente vuota, serviva per gli ospiti. Chi mai
era venuto a castello senza che lei lo sapesse? si domandò,
sospettosa.
Forse era stata dimenticata una candela da qualche membro della
servitù.
Afferrò la maniglia della porta ed entrò. Elisa
vide un uomo sul letto, steso nella penombra, sudato, col petto nudo e
ansante. Dormiva profondamente, ma il suo volto era teso, dolente.
Ad Elisa il cuore saltò un battito.
La candela le cadde a terra e rimase nella semioscurità,
davanti a quell’uomo addormentato, con le gambe che le
tremavno e le lacrime che le scivolavano sulle gote bianche.
Scattò verso di lui, gli posò le mani sulle
spalle nude, lo toccò debolmente, come per accertarsi che
fosse reale e non un sogno.
In preda ad una sorta di delirio prese ad accarezzargli il volto
contratto, il volto che aveva tanto amato e che aveva creduto di non
vedere mai piu. Lacrime sconvolte le cadevano come un temporale sul viso, il respiro le mancava e tutto intorno a lei sembrava girare vorticosamente.
“Fabrizio, Fabrizio!” gridava, fuori di
sé. Credeva di stare impazzendo, di essere precipitata nella follia più profonda. Quello che i suoi occhi vedevano non poteva essere reale! Si
inginocchiò accanto al letto, continuando a toccare
fabrizio, senza lasciarlo un attimo. E piangeva, piangeva, incapace di frenarsi.
In quell’istante qualcuno comparve accanto a lei.
Elisa non riusciva a distogliere lo sguardo annebbiato da Fabrizio, non
riusciva a frenare i singhiozzi.
“Elisa... vi prego, lasciatelo riposare. Domani
tutto sarà piu chiaro. ”mormorò Amelia,
tirandola per un braccio. Elisa scosse la testa, inghiottendo le
lacrime. Si ancorò con piu forza alle spalle del marito.
“No! Non lo lascio, io resto qui! ”urlò,
smarrita.
“Elisa... siete sconvolta. Date retta a me, lasciatelo
dormire. Non è l’ora giusta per queste emozioni.
”insistette Amelia, prendendola sottobraccio. Frastornata e
totalmente disorientata Elisa si alzò, come
un’automa, tremante come una foglia d’autunno. Con
lo sguardo fisso su Fabrizio addormentato, gli occhi verdi spalancati e
vitrei di chi ha appena visto un fantasma, segui l’anziana
governante fino alla porta.
Una volta che se la furono chiusa alle spalle, Amelia la
guardò greve: "Elisa, sono davvero mortificata. Non sarebbe dovuto
succedere cosi. ”Esordì, tenendole le mani gelide.
“Di che cosa stai parlando, Amelia!” mugolò Elisa, fuori di se. Il mento le tremava ed era pallida in volto.
“Oggi Bianca ha trovato Fabrizio nel bosco, a due ore da qui.
Vostro cognato l’ha curato, e poi lo abbiamo portato in
questa camera. Non sapevamo come dirvelo, abbiamo pensato tutti che
fosse meglio aspettare domatina. Purtroppo non sono riuscita ad
evitarvi questo trauma. ”
Elisa scosse la testa. "Ma quale trauma! Amelia, è
mio marito!” gridò, farneticante. Si
voltò di scatto e fece per riaprie la porta, attaccandosi
alla maniglia. Ma il tremore rendeva inefficaci i suoi movimenti e
Amelia fu lesta nel trattenerle la mano.
“Elisa, no! Andate a dormire, vi prego. Vi ci accompagno io.
Domattina, con la luce del giorno tutto avrà una spiegazione
logica. ”Elisa si sentì mancare in
quell’attimo. le gambe minacciarono di cedere e non
potè fare altro che seguire la governante, trascinandosi
lungo i corridoi, restando aderente al muro per impedirsi di cadere.
L’indomani Fabrizio si svegliò in tarda mattinata.
Alcuni raggi entravano dall’ampia finestra e illuminavano
direttamente il suo cucino, puntando dritto nei suoi occhi.
Aveva male alla testa ed era confuso: dove si trovava?
Si guardò intorno;una stanza grande, elegante, un letto
signorile, arazzi alle pareti.
Non aveva mai visto quel posto. Ricordava Juan, il carro che si
allontanava, quei passi malfermi nel bosco poi il nulla. E adesso era
li.
Con lentezza si mise a sedere. Indossava solamente una fascia in vita,
sul taglio che si era riaperto, e i suoi indumenti intimi.
Dov’erano i suoi vestiti?
Chi lo aveva curato? Storidito, si mise in piedi, e avanzò
verso la finestra.
Fuori era bellissmo: un parco, una vasca la centro, le siepi verde
brillante;doveva essere un palazzo di qualche signore locale.
E lui era al primo piano, nella camera degli ospiti, probabilmente.
Sospirò, pensando che avrebbe dovuto ringraziare il suo
salvatore. In quel momento la porta si aprì.
Entrò una donna anziana, dai capelli grigi, le forme
rotonde, materne, il volto trafelato.
Fabrizio deglutì;non aveva idea di chi fosse.
“Emhh... volevo ringraziare la persona che mi ha portato qui.
Gli devo la vita. Dove mi trovo? ”esordì,
leggermente imbarazzato. Vide che la donna cambiava espressione, si
faceva sbigottita, sbiancava, sembrava sul punto di svenire. Che cosa
mai aveva detto di sbagliato?
“Ma... ma Signor Conte! Voi siete nel vostro palazzo, a
Rivombrosa! ”fece la donna, visibilmente sconvolta.
Fabrizo rimase impietrito. Casa vostra? Rivombrosa? Signor Conte?
Quella frase non aveva senso, per lui. Non conosceva quel posto,
né quella donna, né tantomento ricordava di
essere un conte. Tutto quel che sapeva era che si chiamava Fabrizo, ed
era un disgraziato senza un soldo. Un giorno, diversi anni fa si era
svegliato in una città sconosciuta, mezzo nudo e senza piu
un ricordo. Poi aveva preso a vagare senza una meta, per lunghisimi
mesi. Infine quegli zingari, l’illusione di aver trovato una
casa. Tutto finiva in quella stanza mai vista, davanti a quella donna
dal viso ignoto.
“Forse si sbaglia, signora. Io non sono un conte, sono solo
un poveraccio. Davvero, mi spiace di aver dato tanto disturbo. Se mi
mostra la via d’uscita, me ne vado immediatamente. ”
Amelia si sentì mancare. Con profondo sconcerto dovette
prendere atto della realtà;Fabrizo non ricordava
assolutamente nulla. Aveva perso la memoria.
Fabrizio si trovava circondato da volti sconosciuti, tutti tesi,
tirati, agitati ma anche sollevati di vederlo sveglio e cosciente.
Una donna dai grandi occhi scuri, con i capelli lunghi e neri e il
sorriso dolce, un uomo dallo sguardo limpido, amichevole che aveva
detto di essere il suo medico, una ragazzina sui 17 anni e infine la
servitù di quel palazzo signorile. Tutti lo circondavano,
lui seduto su una poltrona di quella camera inonadata di sole. Fabrizio
si sentiva imbarazzato;non aveva memoria di uno solo di quei volti.
Niente gli pareva familiare, il buio piu totale. Eppure quella gente
sembrava davvero conoscerlo: possibile che dopo 5 anni avesse ritrovato
il suo passato?
“Vi ringrazio molto per la vostra ospitalità ma io
davvero non... ”cominciò, goffamente. La donna lo
interruppe, inginocchiandosi davanti alla poltrona.
“Fabrizo! Davvero non mi riconosci? Sono Anna! Tua sorella...
”disse, rivolgendogli uno sguardo profondo e pieno di
preoccupazione.
“Io... io... sono davvero spiacente ma non...
”Fabrizo era mortificato;avrebbe voluto riconoscere quella
donna ma niente, nessun particolare risvegliava in lui alcun ricordo.
Stranamente quella confusione mentale non lo agitava, non lo
sconvolgeva: erano 5 anni che non possedeva memoria del suo passato;ci
aveva praticamente fatto l’abitudine ed aveva finito per
rassegnarsi: probabilmente non era un passato degno di essere
ricordato, si diceva talvolta. Cosi adesso quella situazione piu che
angosciarlo lo imbarazzava. Rivolse alla donna un sorriso tirato, poi
le prese la mano per farla alzare. Lei lo guardò attonita,
poi si gettò tra le braccia del medico che lo aveva curato e
che era suo marito, e prese a piangere sommessamente. Fabrizio
tossichiò nervosamente;gli dispiaceva esere la causa di
quelle lacrime agitate ma non aveva modo di impedirlo;non poteva
fingere di ricordare.
“Fabrizio, cercate di riposare ancora, non dovete sforzare la
memoria. ”Intervenne Antonio, che teneva stretta la moglie
ancora piangente. Lui annui pensieroso, poi gettò uno
sguardo a tutti i presenti: l’anziana governante, la
ragazzina bruna, alcuni membri della servitù;quei volti,
ancora una volta, gli parvero sconoscuti.
Peccato, si disse. L’unica cosa che ricordava, da quando
cinque anni fa aveva perduto la memoria, lì non
c’era. Fabrizio ricordava confusamente qualcuno, ricordava
una donna.
Le nebbie piu fitte ne ofuscavano il volto ma nella sua mente
c’erano solo due occhi verdi come pietre preziose, dei
riccioli profumati biondo scuro e un sorriso radioso, un sorriso in cui
sentiva di esservici perso, molti anni prima. Un sorriso che era stato
tutto per lui, che aveva significato la vita stessa. Fabrizio ricordava
soltanto Elisa.
Quando, poche ore dopo, la porta si aprì di nuovo Fabrizio
stava scrutando fuori dalla finestra. Sentì dei passi
leggeri dietro di lui, si voltò con lentezza.
Davanti a lui c’era una donna, piccola, minuta, e bella come
una stella. A Fabrizio bastò guardarla negli occhi chiari
per ricordare di aver già visto quel volto. Aveva
già visto quello sguardo dolce, aveva già
accarezzato quegli zigomi alti, aveva già baciato la pelle
trasparente del suo volto. E aveva già assaporato quelle
labbra rosse. I capelli erano appuntati sulla nuca, e
l’acconciatura scopriva un collo magro e bianco, attorno al
quale brillava una collanina di turchesi.
L’abito era chiaro, di un bianco perlaceo che la rendeva
ancora piu abbagliante, quasi fosse lei stessa ad emanare luce e non il
sole là, alto nel cielo blu.
Fabrizio sentì che il cuore gli faceva un tuffo nel
petto;non sapeva chi fosse quella donna, sapeva solamente di averla
amata. E l’amava ancora. Adesso lo sapeva;Fabrzio
l’amava ancora. Sconvolto da quella rivelazione del cuore
avanzò verso di lei e le imprigionò le spalle in
una presa forte, tremante ed emozionata. Quella donna era il suo unico
ricordo.
“Fabrizo! ”lo chiamò lei, aprendosi in
un sorriso raggiante. ”Fabrizio, credevo tu fossi morto...
credevo fosse tutto finito”mormorò,
stringendoglisi contro.
Lui scosse la testa, abbracciandola stretta.
“Non so come, ma credo di essere a casa, adesso. Adesso che
sono con te. ”sussurrò, baciandole il collo
flessuoso. Poi le tempestò di piccoli baci teneri la
guancia, gli occhi, la fronte, finchè non esplose una
passione che credeva dimenticata e la baciò sulle labbra,
con un desiderio sconfinato.
In quell’attimo la nebbia che avvolgeva i suoi ricordi si
dissolse, svanì come neve al sole.
Ricordava tutto. Il tentativo di ucciderlo da parte di quel verme di
Benac, il duello, le spade, uno scambio di persona, qualcuno che lo
porta via, lo ferisce, lo addormenta, il risveglio in un luogo
sconosciuto, senza nessun ricordo del passato. Non erano riusciti ad
ucciderlo ma lo avevano comunque eliminato, per 5 lunghi anni. Poi gli
zingari, e... Isabella! Si lei lo aveva riconosciuto, tornando da un
viaggio lo aveva trovato al campo, l’aveva subito
riconosciuto. E lo aveva fatto portare a Rivombrosa. Certo Juan poteva
usare metodi meno cruenti! Pensò Fabrizio scoppiando in
un’improvvisa risata.
Lei lo guardò stupita, con una luce felice negli occhi.
”Che cosa c’è, Fabrizio? ”gli
domandò, senza staccarsi da lui.
“Ricordo tutto, amore. Ricordo ogni cosa. Elisa.
”Lei sussultò a sentirsi chiamare per nome da lui,
a sentir pronunciare il suo nome dall’uomo che amava, con la
sua inflessione dolce, tenera, appassionata. Era davvero un miracolo!
“Ti vorrei anche senza un ricordo.
”ribattè lei, riempiendosi gli occhi del sorriso
del suo amato Fabrizo. Una gioia sconfinata minacciava di farle
scopiare il cuore, non si era mai sentita cosi. Ogni fibra del suo
essere vibrava di felicità.
“E invece adesso ho memoria di ogni singolo attimo. E
soprattutto ricordo te, anche se non ho mai scordato il tuo viso, le
tue labbra... ”sussurrò, poggiandole le labbra
contro il collo. Si baciarono ancora e ancora, persi nella beatitudine
di qeugli istanti, dimentichi di qualunque cosa non fosse i loro corpi,
i loro cuori. Poi, dopo infiniti attimi di dolcezza lui la prese per
mano e insieme corsero verso la loro stanza, verso la loro camera. Si
chiusero la porta alle spalle e fecero l’amore a lungo, con
slancio, passione e con smania di unirsi in ogni abbraccio
che l’amore conoscesse.
Per tutto il resto c’era tempo;adesso volevano solamente
amarsi.
Il capitano Gray dovette arrendersi davanti
all’enormità dei sentimenti che Elisa provava per
quello che era suo marito. Gli bastò uno sguardo ai due, che
scendevano la scalinata abbracciati per capire che doveva andarsene.
Uno strano groppo in gola gli impediva di parlare e riusciva solamente
a ripetersi quanto quella vicenda fosse incredibile: credeva di aver
trovato l’amore, invece era stata tutta una illusione. La
voce del ritorno del conte a Rivombrosa gli era arrivata esattamente
due ore dopo il suo ritrovamento nel bosco, il giorno prima. Adesso era
venuto a verificare di persona: e si, era tutto vero, suo malgrado. In
quel momento il redivivo Conte Ristori stava venendo verso di lui,
accanto alla bella Elisa.
I due lo raggiunsero, lui con un espressione torva sul volto, lei con
il viso contratto, imbarazzato e leggermente impacciata. Lo stava per
congedare definitivamente dal suo cuore.
“Mi dispiace, Christian ma... ”cominciò,
quando furono a un passo da lui.
“Non dire nulla... io…vi auguro ogni
bene”mormorò Christian, sentendosi il cuore
espodere. Quelle parole gli facevano male ma aveva dovuto pronunciarle.
“Vattene da qui, Grey. ”gli intimò il
Conte, stringendosi contro Elisa con piu forza. Lui abbassò
lo sguardo, annuendo tristemente.
“Sicuro. Arrivederci Elisa. Solo tu sai quanto ti ho amata.
”sussurrò, rivolgendole un’occhiata
colma d’amarezza. Lei non disse nulla, lo guardò
dritta negli occhi scuri, senza battere ciglio, senza sorridere.
Sembrava dire: Christian, questo è il mio destino, accanto
all’uomo che amo. Lui scosse la testa;quella era la fine. La
guardò un ultima volta poi se ne andò, solo come
era venuto. A Rivombrosa avrebbe lasciato per sempre un pezzo di cuore.
Pochi mesi dopo.
Agnese giocava nel giardino assieme a Martino, suo fratello. La neve
era caduta abbondante e il ragazzino le insegnava a fare un pupazzo di
neve, mettendo una carota al posto del naso.
Elisa si strinse contro Fabrizio, guardandoli giocare: Quella pace era
un dono del cielo. Fabrizio era un dono del cielo. Il cappotto in
pelliccia che portava la riscaldava ma non quanto il corpo statuario
del marito, che le accarezzava i lunghi capelli biondi. Chiuse gli
occhi, assaporando quegli attimi di pura felicità.
“Sai, amore, a volte ho temuto fosse tutto finito.
”gli confessò, mentre Agnese tirava una palla di
neve a Martino.
“Avresti dovuto contuinuare a sperare.
”osservò lui, dolcemente.
“L’ho fatto. Ho sperato per anni. Non ho mai smesso
di amarti. ”disse, alzando il viso verso di lui. Fabrizo le
baciò la fronte.
“Io ricordavo solamente il tuo volto. La caduta quel giorno
di tanti anni fa deve avermi fatto perdere la memoria. Oppure
è stato il trauma di vedermi raggiato, allontanato da
Rivombrosa. Non sopportavo di sapere che tu mi credevi morto, e la
memoria se n’è andata.
”ipotizzò lui, pensoso. Lei gli carezzò
il viso, attirando di nuovo la sua attenzione.
“E’ tutto passato. Adesso abbiamo un lungo futuro
davanti a noi. E nulla potrà mai piu dividerci.
”promise.
Lui annui, posandole le labbra sulla bocca.
“Nulla... rimarremo per sempre accanto. Per sempre.
”assicurò, tenero.
Agnese corse verso di loro e volle essere presa in braccio
dal padre, interrompendo quel momento d’amore.
“Ma adesso non te ne vai piu via, vero papà?
”chiese, con la vocina dolce. Lui rise, baciandole la guancia
paffuta.
“Mai piu! ”rispose, intenerito. Sua figlia
somigliava tanto alla madre, alla donna che amava piu di se stesso. Si
avvicinò anche Martino, che si era fatto un bel ragazzino
alto e slanciato.
“Andiamo a mangiare, Amelia ha preparato le frittelle!
”annunciò. Agnese saltò a terra,
seguendo il fratello, trotterellando sulle gambette snelle.
Elisa e Fabrizio si si incamminarono dietro ai due bambini, mano nella
mano. La neve riprese a cadere, leggera e minuscola come fiocchi di
nuvola.
“Ti amo, Fabrizio. ”fece lei, con una luce commossa
nello sguardo.
“Anche io Elisa. Ti amo con tutto me stesso. ”,
rispose, quando furono davanti alla porta del palazzo.
Insieme entrarono in quella che era la loro casa, Fabrizio al settimo
cielo, Elisa custode di un dolce segreto: nel suo grembo, piccola ma
forte e vitale, cresceva una vita piccina, preziosa, unica.
Elisa e Fabrizo attendevano il loro secondo figlio che sarebbe nato in
una notte di stelle, sette mesi dopo.
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