Betata dalla fantastica ND_Warblers518...
I
will never say goodbye to you
1. Cold outside.
"Il
giorno in cui voi non brucerete più d'amore,
molti altri moriranno di freddo."
François Mauriac
"Deve dirmi
tutto. Qualunque cosa le venga in mente aiuterà sia il suo
caso che il mio." Disse perentorio Kurt alla ragazza di fronte a lui.
Quella si
guardò intorno per qualche secondo, fissando con aperta
ostilità le vetrate, prima di volgersi verso Kurt con un
sorrisetto sardonico. "Oh, ne dubito. Anzi, meno parlo meno
metterò in pericolo la mia e la sua vita."
"Se non
collabora passerà dieci anni in carcere. Preferisce questo?"
"Sarò
più al sicuro dietro le sbarre che in
libertà, a questo punto."
Kurt emise un
gemito frustrato. Andavano avanti così da diverse ore, di
questo passo non avrebbero risolto niente.
"Mi stia a
sentire, Lopez. E ascolti attentamente, perchè non
ripeterò questa offerta un altra volta. Lei mi dice tutto
quello che sa, ed io la lascio in libertà. Se
testimonierà a nostro favore le darò una scorta,
farà parte del programma protezione testimoni.
Farò tutto il possibile per tirarla fuori dal pasticcio in
cui si è messa, anche perchè mi sembra troppo
giovane per capire la gravità della sua situazione."
"Strano,
perchè lei sembra avere la mia stessa età. Come
ha fatto a diventare membro della CIA così in fretta? "
"Non mi sembra
nè luogo nè momento per parlare di queste cose-"
"Al contrario, a
me sembra un momento perfetto. Forse è parente di qualche
agente?"
"Temo che lei
sia fuori strada. Qui non si fanno favoritismi."
"Ah no? Eppure
lei non mi sembra adatto per fare l' agente segreto. Forse lavoro di
base?"
"No, lavoro a
campo aperto."
"Mi permetta di
mostrare il mio stupore, allora. Lei non passa inosservato." Disse
Santana, squadrando l'agente davanti a lui.
Kurt
arrossì leggermente, ma si costrinse a non abbassare lo
sguardo.
"Ho una
proposta." Disse d' un tratto la ragazza. "La mia storia per la sua."
"Non mi sembra
che lei sia nella situazione giusta per porre condizioni."
"Invece lo sono.
Vi servono le mie informazioni, fareste qualunque cosa per metterci le
mani. E sappiamo entrambi che io non parlerò, altrimenti."
"Bene. Cosa
vuole sapere?" Sbuffò Kurt, sprofondando dentro la sedia
imbottita che usavano durante gli interrogatori.
"Perchè
ha deciso di fare l' agente segreto? Io so chi è lei. L'ho
vista sui giornali... E' il figlio del senatore del congresso, Burt
Hummel. Non ha pensato di seguire le orme di suo padre? E' meno
pericoloso fare il politico."
Kurt prese la
radio che ronzava sul tavolo, e la spense. Poi, alzandosi,
calò le tendine sulle vetrate, in modo che la stanza
solitamente illuminata a giorno fosse nella penombra.
"C'era..."
Scosse la testa, come cercando di schiarirsi i pensieri. "Io volevo
fare il cantante a Broadway."Disse, con una risatina amara. "Ma poi...
i tempi sono cambiati. Avevo la vita che ogni ragazzino ricco viveva:
andavo a scuola, una privata, naturalmente. Poi dritto a casa, senza
gozzovigliare per strada, perchè non era adatto, dicevano.
In realtà avevano paura che facessi brutti incontri, ma
questo l'ho scoperto dopo..."
**
Non doveva
essere complicato.
Finn, il suo
fratellastro, gli aveva chiesto di comprare il regalo di anniversario
per i loro genitori senza di lui, perchè aveva gli
allenamenti di football.
Così
si era diretto verso il centro di Washington, che non distava molto
dalla scuola in cui andava.
Certo, non
conoscevo ancora bene la città, visto che mi ero trasferito
da poco da Lima, per il lavoro di suo padre, ma gli avevano assicurato
che era facile trovare il quartiere dei negozi, e se mai si fosse perso
avrebbe sempre potuto chiamare un taxi.
Il problema era
che non si era accorto di essersi perso: camminavo di buona lena, con
gli occhi fissi sulla strada davanti a sè, e le mani strette
sulle banconote che avevo in tasca, visti i tempi.
Sfortunatamente
ero finito in un quartieraccio, uno di quelli che sorgeva all'ombra di
due strade pulitissime e curate, con i prati all'inglese tagliati di
fresco, un quartiere che, come molti altri, era solitamente ignorato,
quasi tenuto all'ombra per non avere a che fare con i crimini che vi
avvenivano di frequente.
Quando me ne ero
accorto era troppo tardi.
Una mezza
dozzina di ragazzi, probabilmente intorno alla mia età,
(all'epoca aveva sedici anni,) l' avevano circondato.
"Qualcuno si
è perso." Aveva detto un biondo, dando una gomitata al
ragazzo al suo fianco.
Stranamente
realizzò che fu così solo dopo che il ragazzo
aveva parlato.
"Su, Jeff, non
spaventare il ragazzino. Usa le buone maniere..." Aveva ghinato il
ragazzo .
"A lui la mamma
le ha insegnate... peccato che la mia non l' abbia fatto, vero?" Aveva
chiesto un ragazzo asiatico, ridendo.
"Peccato per
lui, non per noi, Wes."
Miaa madre era
morta quando ero piccolissimo, perciò non mi aveva mai
insegnato le buone maniere. Ma questo non lo dissi.
"Cosa volete?"
Avevo finalmente chiesto, guardandoli con una spavalderia che non
possedevo.
"Insegnare ad un
novellino com' è stare al mondo." Disse un altro ragazzo,
avanzando dalle mie spalle.
Aveva i capelli
neri e ricci, domati con del gel.
Quando i suoi
occhi scuri incontrarono i miei sentii un brivido correre lungo la
spina dorsale.
Fu allora che
capii pienamente cosa stava succedendo e cosa sarebbe potuto succedere.
Avrebbe potuto
finire parecchio male.
"So benissimo
come stare al mondo. Ci sono stato per sedici anni." Avevo risposto.
E va bene, forse
non era la mossa più intelligente da fare, ma nessuno
spingeva gli Hummel in giro, giusto? O almeno così diceva
mio padre.
Un ragazzo nero
fece per saltargli addosso, ma il ragazzo che stava parlando scosse la
testa: "Non ora, David." notai solo allora che aveva un pesante accento
italiano.
"Come ti
chiami?" Gli chiese poi.
Per un attimo
meditai di tirargli un pugno e scappare, ma l' idea era ridicola per
due ragioni: la prima, loro erano in troppi, la seconda era che non
sapevo tirare pugni.
"Kurt."
"Quindi sei
tedesco?" chiese ancora, avvicinandosi di un paio di passi.
Era
così vicino che poteva vedere i suoi occhi ad una
distanza ravvicinata.
Erano belli,
quegli occhi.
Particolari, con
delle screziature verdi all'interno.
"No. E tu sei
italiano?"
Il ragazzo
sorrise. "si."
"Blaine," Disse
un altro ragazzo, rivolto a quello con cui stava parlando, "cosa...?"
"Faccio
amicizia, Thad. Non avevamo parlato di buone maniere?"
Risero tutti,
tranne l'italiano, quello che si chiamava Blaine.
Lui continuava a
fissarmi.
"Tira fuori
tutti i soldi che hai. E bada che siano tutti, non mi piace che mi si
prenda in giro."
Vuotai le tasche
immediatamente, nella speranza che tutto finisse il più in
fretta possibile.
"Togliti le
scarpe."
A quella
richiesta lo guardai stranito.
"Ho detto di
toglierti le scarpe." Ripetè.
Bhè
il problema era che non potevo: erano nuove, e avevo obbligato mio
padre a prendere quelle della nuova collezione di Prada. Sarei morto,
piuttosto che consegnargliele.
"No."
Lui si strinse
nelle spalle, prima di fare un cenno ai suoi compagni, che mi furono
addosso in un istante.
Non so quanto
durò la rissa.
O meglio, non so
quanto durò il pestaggio, perchè io non potei
fare molto altro se non subire.
So solo che ad
un certo punto, dopo quelle che parvero ore, (ma che sarebbero potuti
essere benissimo secondi, ho imparato che tutto è relativo
nella mente umana, anche il tempo,) svenni.
Quando riuscii
ad aprire gli occhi mi accorsi per prima cosa del battito pulsante del
mio cuore, che segnalava che ero ancora vivo.
Fu un sollievo
saperlo.
La seconda cosa
di cui mi accorsi furono due paia di occhi che purtroppo ricordavo bene.
"Alla fine non
sei morto, allora." Disse Blaine con un sorrisetto.
"Che cosa....?"
"Ho dovuto
fermarli, sai. Pensavo che almeno sapessi fare a pugni, visto che non
hai voluto ascoltarmi."
"Io... Mi
piacevano quelle scarpe." Risposi, guardando con nostalgia i miei piedi
scalzi.
"Ti avremmo
lasciato andare se me le avessi consegnate. Mi stavi simpatico."
"Ciò
nonostante mi hai fatto pestare."
Blaine
sospirò. "Tieni," Disse, mollando quel paio di scarpe
accanto a me.
"Che..?"
"Hai lottato per
averle." Rispose, stringendosi nelle spalle.
Mi alzai a
sedere, accorgendomi in quel momento di essere stato adagiato
sopra..."Dove cavolo siamo?"
"Nel Bronx."
All'occhiata sconvolta che gli rivolsi ghignò: "è
il nome della palestra in cui mi alleno..."
Oh. Questo
spiegava il ring su cui ero sdraiato.
"Come ci sono
finito?"
"Ti ho
trascinato io . Se ti avessi lasciato per strada non sarebbe finita
bene... Il figlio del senatore del congresso disteso senza sensi in
mezzo alla strada? Per molti sarebbe stato come Natale in anticipo."
"Oh." Aveva
detto Kurt piuttosto stupidamente.
Non poteva farci
niente, semplicemente sentiva il suo livello di quoziente intellettivo
calare a picco ogni volta che quegli occhi scuri lo scrutavano come in
quel momento.
"Su, in piedi."
Disse infine Blaine.
"eh? Nel caso in
cui tu non te ne sia accorto sono appena stato picchiato."
"Lo so. E' per
questo che ti devi alzare: farò in modo che non succeda
più." Aveva risposto l' Italiano.
Kurt l' aveva
guardato dubbioso, prima di alzarsi con non poca fatica.
Sembrava quasi
che le sue gambe avessero deciso di non reggere il suo peso.
"Tirami un
pugno."
Kurt lo
guardò come se avesse perso qualche rotella, ma Blaine gli
sorrise incoraggiante.
Non
potè fare a meno di pensare che avesse proprio un bel
sorriso.
"Sei... Sei
sicuro?"
"certo."
Kurt chiuse la
mano a pugno, piegando leggermente le ginocchia per darsi lo slancio,
ma Blaine gli bloccò la mano prima che potesse fare altro.
"Il movimento
delle gambe andava bene, ma la mano no. Guarda." Gli prese la
mano, e con delicatezza, una delicatezza che Kurt non si sarebbe mai
aspettato da quelle mani callose e grandi, tolse il pollice dalla morsa
delle altre dita, e lo posizionò sotto la seconda falange.
"Altrimenti ti rompi il pollice."
"Perchè
lo stai facendo?" Chiese d'un tratto Kurt.
"Perchè
non sai nemmeno tirare un pugno."Gli aveva risposto Blaine, come se
avesse appena fatto una domanda stupidissima.
"Perchè
mi stai aiutando? Sono confuso. Prima mi fai picchiare e poi mi insegni
a combattere? Perchè?"
"Non lo so. Ho
questa... Questa sensazione, su di te...." Blaine tacque un paio di
secondi, come riflettendo. "Adesso prova di nuovo a tirarmi il pugno."
Kurt non
insistè per sapere altro, ma gli tirò il pugno.
Mirò
al naso, e ci mise tutta la forza di cui poteva disporre in quel
momento, che non era poi molta a causa di tutti i lividi che stavano
affiorando sulla sua pelle delicata.
Blaine
parò il colpo senza difficoltà, ma questa volta
annuì: "era buono. La prossima volta mettici più
forza."
Kurt stava per
dirgli che era difficile metterci più forza,
perchè, pronto? Lui era appena stato picchiato! Ma la
risposta gli morì in gola quando vide l'orologio.
"Sono...Sono le
otto?" Chiese Kurt, ormai nel panico.
Blaine
annuì. "Si, che problema... Oh." Sembrò capire
tutto in una manciata di secondi. "a che ora dovevi essere a casa?"
"Alle sei. E...
Io non so nemmeno dove sono adesso!"
"Calma, io so
esattamente dove siamo. Arriverai a casa, in un modo o nell'altro."
"No, tu non
capisci. Mio padre avrà già chiamato la polizia!
Probabilmente il giornale serale mi darà già come
rapito o morto! Vedo già i titoli: 'figlio del
rappresentante del congresso Burt Hummel sparito questo pomeriggio. Si
pensa al peggio.' E mio padre! A mio padre verrà un infarto!
Come-"
"Okay, datti una
calmata. Adesso usciamo dalla palestra e andiamo verso una cabina
telefonica. Dopodichè ti accompoagno a casa. Semplice,no?"
Il cervello di
Kurt si era bloccato al ti riaccompagno a casa, se avesse dovuto essere
sincero, ma annuì comunque.
Uscirono dalla
palestra, Blaine con il colletto della giacca di pelle tirato su in
modo che gli coprisse metà viso, e Kurt con le mani
affondate nelle tasche dei pantaloni, sentendo la mancanza del suo
giubotto Burberry, che naturalmente si erano presi gli amici di Blaine.
Almeno aveva le
scarpe, pensò, guardando le prada nere.
Arrivarono ad
una cabina telefonica con un anta di vetro completamente rotta, e Kurt
trasalì entrandovi, mentre sentiva le suola delle sue
adorate scarpe calpestare le schegge di vetro.
Blaine
entrò con lui, chiudendosi alle spalle l'anta rotta.
La cabina era
piccola, fatta giusta perchè una persona potesse entrarci,
perciò Kurt sentì il corpo di Blaine a filo con
il suo.
Rabbrividì,
forse per il freddo, o forse per la vicinanza dell' altro ragazzo.
Perchè
Blaine era caldo, e sentiva quel calore anche attraverso i suoi
vestiti, non perchè stesse sviluppando una cotta per lui o
qualcosa del genere.
Il fenomeno che
stava vivendo si chiamava escursione termica, giusto?
Giusto.
"Non ho monete."
Disse Kurt, indicando la fessura al lato del telefono rosso.
"Lo so. Ho io le
tue." Disse tranquillamente Blaine, prima di prenderne una e sospirare.
"Non hai una
cicca, vero?"
"Ehm... no."
Blaine si
guardò intorno, e gli occhi si posarono sulla strada deserta.
"Va bene,"
Disse, prima di inserire la monetina dentro la fessura.
Kurt lo
guardò stranito, ma digitò il numero di telefono
dell'ufficio di suo padre, e attese.
"Pronto?" chiese
la voce profonda di Burt.
Kurt sentiva l'
ansia che impregnava il tono del padre, e si sentì da subito
in colpa.
"Ehi,
papà, sono io, Kurt."
Dall'altra parte
sentì un sospiro di sollievo." Grazie a Dio. Dove sei?
Perchè non sei a casa? Ti è successo qualcosa?
Finn ha detto che sei andato da solo a comprare il-"
"Papà,
calmati. Ho avuto un brutto incontro, ma ora sto bene. Sto arrivando a
casa."
"In che senso un
brutto incontro? Kurt, cosa ti è success-" Un suono stridulo
coprì le ultime parole del rappresentante del congresso,
sostituito da una voce femminile: "La chiamata è terminata.
Se vuole richiamare inserisca nell'apposita fessura un dollare e
attenda in linea-" Anche la voce femminile si spense con uno stridio.
Questa volta
però, il colpevole era Blaine, che aveva sferrato un calcio
al contentiore di metallo sotto il telefono rosso, che si
ribaltò e rovesciò per terra centinaia di
monetine da un dollaro.
Kurt lo
guardò incredulo.
"Che
c'è? Dovevo riprendermi il dollaro." Aveva risposto lui
innocentemente, prima di prendere una manciata di monetine e infilarle
nella tasca dei jeans. "Bhè, andiamo o dobbiamo aspettare la
polizia?"
I due ragazzi
aprirono l'anta della cabina, e si fiondarono fuori.
"Riesci a
correre?" gli chiese Blaine. "Solo per un isolato, altrimenti la
pattuglia ci prenderà."
Kurt lo
guardò incredulo. Era ovvio che non ci riusciva , e la colpa
era soltanto dell'italiano.
Blaine non
aspettò risposta e gli afferrò la mano, prima di
iniziare a correre con Kurt alle calcagna, che malediceve tutto quello
che gli passava per la testa.
Dopo un isolato
si fermarono, e Kurt si accascio sui grdini che portavano all'ingresso
di una casa. "Ti odio." Gemette.
Blaine gli
sorrise soltanto, divertito, prima di sedersi di fianco a lui.
"Allora, dove
abiti?" Gli chiese. "Ti devo riaccompagnare a casa."
"Vicino alla
Dalton, la scuola privata che si affaccia su via-"
"Si, la conosco."
"La conosci?"
"Una volta la
frequentavo. Sei pronto ad alzarti? Abbiamo un sacco di strada da fare."
"Ma fa freddo!"
Gemette Kurt.
Blaine
alzò gli occhi, prima di alzarsi e progergli la mano. "La
prossima volta ti metterai un maglione, sopra quella camicia. E'
gennaio."
"Sopra quella
camicia avevo un giubbotto molto pesante, per tua informazione. Non
avevo previsto di essere derubato."
"Avresti dovuto
prevederlo. Non passi inosservato vestito così in un
quartiere del genere. Cosa ci facevi qui?"
"Stavo tentando
di trovare un regalo per l' anniversario dei miei genitori." Rispose
Kurt, rabbrividendo quando una folata di vento particolarmente fredda
si insinuò sotto la leggera camicia.
Blaine lo
guardò con interesse, prima di sfilarsi il giubbotto." La
prossima volta metti un maglione." Ripetè con un sorriso.
Kurt si
infilò la giacca di pelle, che era insolitamente calda e
profumata.
Un profumo che
Kurt aveva riconosciuto subito come Chanel, lo stesso che usava sua
madre.
Lo Chanel numero
cinque impregnava quasi tutti i ricordi che aveva di lei.
Kurt ricordava
benissimo di essere seduto sopra la toletta in rovere di Christinne,
mentre lei si specchiava sull' enorme specchio, sistemandosi i riccioli
scuri dietro le orecchie.
Aveva pensato
che sua madre sembrava proprio una principessa, e che se mai avesse
sposato una donna, quella sarebbe dovuta essere uguale a lei.
Poi Christinne
gli aveva accarezzato una guancia, prima di chinarsi e aprire il primo
cassetto a destra, dove teneva delle boccette di vetro dall' aria
costosa.
"Cosa sono
quelle, mamma?" Aveva chiesto, guardandole con meraviglia.
"Sono profumi;
servono per avere un buon odore, Kurt."
"Ma non basta
lavarsi?"
Christinne
ridacchiò. "Si, basterebbe. Ma a volte voglio avere un
profumo ancora più buono. Guarda, questo è il mio
preferito." Aveva detto, tirando furoi dal cassettino una boccetta. "Lo
usava una delle attrici più famose al mondo. Si chiamava
Marylin Monroe."
Kurt aveva
annuito, mentre la mamma si spruzzava sul polso qualche goccia della
bottiglietta.
"Posso averne un
po' ? Voglio un profumo ancora più buono anch'io ."
Lei aveva
sorriso, prima di mettergliene qualche goccia ai lati del collo.
"Stai bene?"
Chiese Blaine d'un tratto. "Non stai dicendo niente da un po'. Ti
conosco da qualche ora e già so che non perdi mai un attimo
per lamentarti."
"Ehi, questo non
è vero. Oggi avevo degli ottimi motivi per lamentarmi."
Blaine,
straordinariamente, rise.
Aveva una bella,
bellissima risata, e gli occhi gli si illuminavano sembrando
più verdi che marroni.
Kurt dovette
fermarsi un secondo per non rischiare di inciampare, dato che le sue
gambe quel giorno sembravano non volergli proprio ubbidire.
Questa volta per
una ragione completamente diversa dalla prima.
E per
ciò molto, molto terrificante.
Kurt si
conosceva abbastanza bene da capire come funzionasse il suo cervello.
Non capiva
perchè tutti dicessero che le emozioni fossero legate al
cuore, perchè per lui quello era soltanto un organo che
batteva, imperterrito, finchè respiriamo.
Certo, il cuore
era un organo affascinante, ma non quanto il cervello con i suoi
emisferi legati ad ogni condizione della nostra vita.
E c'era un
emisfero che particolarmente interessava Kurt, a quel punto.
L'emisfero
affettivo.
"Kurt, siediti."
Disse Blaine con voce ad un tratto preoccupata.
Lui lo
guardò, confuso. Dove doveva sedersi? Non c'era nessuno
posto dove riposarsi. Niente gradini, niente panchine.... Cosa stava
cercando di dirgli? E perchè tutto era sempre più
sfocato e confuso?
Stava forse
delirando?
Sbattè
gli occhi un paio di volte, cercando di madare via quella
fastidiosissima nebbiolina, ma quella non ne voleva sapere.
La testa era un
un po' più pesante di prima, ma non c'era niente di cui
preoccuparsi, giusto?
L'unica cosa
certa, in quel momento, era la mano calda di Blaine sulla sua spalla,
che lo spingeva giù....?
Non capiva cosa
volesse fare e perchè- Ohhhh. Adesso era seduto.
E, guarda, la
testa non sembra meno pesante, adesso?...
"Cazzo." Aveva
sentito bofonchiare Blaine.
...Avrebbe
dovuto preoccuparsi?
"Torno subito,
te lo prometto. Ma tu stai fermo e non ti muovere, va bene?"
Blaine se ne
stava andando.
Avrebbe dovuto
aspettarselo? Del resto era stato lui a ordinare di picchiarlo, no?
Magari lo stava accompagnando a casa solo per scoprire dove abitava e
derubarlo... Probabilmente ora che stava male Blaine si era spaventato
ed era corso via.
Peccato.
Sembrava proprio
un bel ragazzo.
Avrebbe potuto
innamorarsene se non fosse stato un gangster in erba.
"Mangia."
La voce di
Blaine arrivò come galleggiando dallo stato di torpore in
cui Kurt era caduto.
Così
non era scappato, dopotutto... Aveva pensato confusamente, prima che
Blaine gli ficcasse in mano qualcosa di caldo.
Senza pensare
iniziò a portarselo alla bocca, e dopo i primi tre morsi si
accorse di stare mangiando un hot dog, probabilmente preso da uno di
quegli orribili carretti, dove l'igiene era un qualche strano
miraggio....
Kurt dovette
ammettere che si sentiva molto meglio, però.
"Dovevi proprio
avere un calo di zuccheri* con me, vero?" Aveva sbottato Blaine.
Se Kurt non
avesse saputo di meglio avrebbe potuto pensare che si fosse spaventato.
"Mi dispiace...?"
Blaine
sbuffò soltanto, prima di rialzarsi in piedi e spazzolarsi i
jeans. "Ce la fai ad alzarti? Ormai manca poco."
"Si, cer-Ew. Mi
hai fatto sedere sul marciapiede?"
Blaine sorrise
di nuovo, e gli porse la mano, che questa volta Kurt presesenza
esitazioni.
____________________________________________________________________________
Camminavano su
una stradina stretta e poco illuminata, punteggiata qua e là
da qualche lampione che gettava un cono di luche soltanto su una
piccola porzione dell'asfalto.
Ma non era
questo che gli aveva reso il respiro superficiale.
Era il fatto che
blaine non gli aveva ancora lasciato la mano.
E, sebbene le
gambe molli fossero state il sentore di un calo di zuccheri e non di
una cotta, questo non stava ad escludere che Blaine era davvero bello.
Aveva un buon
profumo, la pelle abbronzata ed era stato gentile, se non si contava il
loro primo incontro.
E Kurt aveva
addosso la sua giacca.
La sua giacca di
pelle, esattamente. Chi aveva detto che i cattivi ragazzi non avevano
fascino?
Quel qualcuno
non aveva incontrato Blaine, allora.
"Domani
pomeriggio cosa fai?"
... Non gli
stava chiedendo un appuntamento, vero? Perchè Blaine
sembrava tutto eccetto che gay.
"N-niente,
Perchè?"
"Ti passo a
prendere alle cinque. Ho promesso che non saresti stato più
picchiato, ricordi? Io mantengo le mie promesse." Rispose Blaine, prima
di girare l'angolo e trovarsi in una strada privata.
I giardini
tagliati con minuziosa precisione sembravano venire da un altro
pianeta, se pargonati alle case dei quartieri che Kurt aveva visto in
precendenza, senza contare che i lampioni, disposti a pochissima
distanza l' uno dall'altro sembravano illuminare il viottolo
pulitissimo, senza nemmeno una cartaccia, a giorno.
Kurt ci mise
qualche secondo a capire che quella era la via dove abitava.
"Riesci ad
arrivare a casa tua senza svenire o farti trovare da una banda?"
"Ci
proverò." Rispose il ragazzo con un sorriso.
Blaine gli fece
un cenno, prima di girarsi, e avrebbe imboccato la stradina dalla quale
erano arrivati, se Kurt non l' avesse fermato. "Sei sicuro di voler
tornare a casa tua a quest'ora?" Chiese timidamente.
"Nessuno mi
assalirà, te lo prometto. So difendermi." Gli aveva risposto
garbatamente, e Kurt non potè fare a meno di sentirsi un po'
stupido, prima che Blaine gli sorridesse di nuovo, prima di voltarsi e
incamminarsi lontano da lui.
Kurt, invece,
stette a fissare Blaine finchè non sparì dietro
l'angolo, e rimase lì, in quella posizione per un po',
finchè le mani non gli fecero male per il freddo.
Allora si
voltò, e infilò le mani nella tasca del giubbotto.
Oh. Il
giubbotto.
Blaine si era
dimenticato il giubbotto.
____________________________________________________________________________
"Così
si era dimenticato la giacca." La latina sbuffò.
"Così clichè."
Kurt le rivolse
un sorriso mesto, il primo che aveva fatto in sua presenza.
"Mi dispiace.
Però se può consolarla, quella sera ho frugato
nelle tasche del giubbotto, e c'era una busta indirizzata a me."
"Davvero?"
Chiese Santana, improvvisamente interessata.
"Si.
Probabilmente l'avrà messa mentre ero svenuto. C'erano i
soldi che mi aveva rubato. Non tutti, poi mi ha spiegato che quelli
erano solo i soldi che erano toccati a lui, perchè gli altri
se li erano spartiti."
"Quindi l'hai
incontrato il giorno dopo, giusto?"
Kurt
annuì. "Bhè, io ti ho raccontato una parte della
mia storia, adesso mi devi raccontare cosa ci facevi in un quartiere
così..." Sembrò cercare la parola giusta, prima
di continuare."Malfamato. In compagnia di-"
"puttane.
Con addosso novecento grammi di roba." Concluse Santana per lui. "Non
è ovvio? Mi spacciavo per una di loro, ma i nostri
acquirenti sapevano da chi andare per comprare. Ero l'unica ispanica in
mezzo alle altre."
"Si, ma
perchè l' ha fatto? Aveva un lavoro che le rendeva bene ."
"Ma non era
abbastanza. La mia fidanzata- Oh, non faccia quella faccia! Come se
fosse scandalizzato o cose del genere! Scommetto che tra lei e Anderson
ci sarà stato sesso bollente, magari in quella palestra
nella quale vi siete conosciuti..."
Kurt
arrossì visibilmente. "Avevo quella faccia perchè
è la prima volta che conosco qualcuno che lo dichiara
così apertamente. Inoltre sapevo della sua fidanzata,
abbiamo un intero dossier su Brittany S. Pearce. Altrimenti non le
avrei mai raccontato la mia storia."
"Oh." Santana
sembrava sorpresa.
"Inoltre," Kurt
arrossì ancora di più mentre cercava di darsi un
contegno, "come faceva a sapere della palestra?"
"Palestra...?
Oh. Non lo sapevo, ma adesso voglio tutti i dettagli..."
"Non ora."La
blandì Kurt. "Lei stava dicendo perchè ha fatto
tutto questo."
"Come lei
saprà, a questo punto, Brittany è stata insieme a
molti uomini, tra cui un gangster di nome-"
"Abrams. Arthur
Abrams, si fa chiamare dai suoi tirapiedi Artie."
"Esattamente.
Bhè, non voleva lasciarla andare, ha minacciato di uccidere
me e lei, così abbiamo pensato che un soggiorno a
Puerto Rico era d'obbligo. Ma avevamo bisogno di soldi. Molti soldi.
Così
ci siamo messe in contatto con Puckerman-"
"Un altro
Gangnster? Rivale di Abrams, per giunta! Cosa stavate pensando?"
"A salvarci la
pelle il più in fretta possibile."
CONTINUA....
chiarimrenti:
*vengono dopo un
grosso sforzo, quando si consumano grosse quantità di
adrenalina o quando non si assume abbastanza cibo, o appunto, zuccheri.
^il mio angoletto^
bhè, se qualcuno sta leggendo mi piacerebbe sapere
cosa ne pensa... devocontinuare o cancelllare immediatamente la storia?
su un altro piano, ne aprofitto per cantarmi: tanti auguri a me , tanti
auguri a ireneeeee tanti auguri a meeeeeeeeee xD
..... non vorreste mai lasciarmi senza recensioni il giorno del mio
compleanno, veeeeeeero?
1baci8
iry
tri moriranno di freddo."
François Mauriac
"Deve dirmi
tutto. Qualunque cosa le venga in mente aiuterà sia il suo
caso che il mio." Disse perentorio Kurt alla ragazza di fronte a lui.
Quella si
guardò intorno per qualche secondo, fissando con aperta
ostilità le vetrate, prima di volgersi verso Kurt con un
sorrisetto sardonico. "Oh, ne dubito. Anzi, meno parlo meno
metterò in pericolo la mia e la sua vita."
"Se non
collabora passerà dieci anni in carcere. Preferisce questo?"
"Sarò
più al sicuro dietro le sbarre che in
libertà, a questo punto."
Kurt emise un
gemito frustrato. Andavano avanti così da diverse ore, di
questo passo non avrebbero risolto niente.
"Mi stia a
sentire, Lopez. E ascolti attentamente, perchè non
ripeterò questa offerta un altra volta. Lei mi dice tutto
quello che sa, ed io la lascio in libertà. Se
testimonierà a nostro favore le darò una scorta,
farà parte del programma protezione testimoni.
Farò tutto il possibile per tirarla fuori dal pasticcio in
cui si è messa, anche perchè mi sembra troppo
giovane per capire la gravità della sua situazione."
"Strano,
perchè lei sembra avere la mia stessa età. Come
ha fatto a diventare membro della CIA così in fretta? "
"Non mi sembra
nè luogo nè momento per parlare di queste cose-"
"Al contrario,
a me sembra un momento perfetto. Forse è parente di qualche
agente?"
"Temo che lei
sia fuori strada. Qui non si fanno favoritismi."
"Ah no? Eppure
lei non mi sembra adatto per fare l' agente segreto. Forse lavoro di
base?"
"No, lavoro a
campo aperto."
"Mi permetta
di mostrare il mio stupore, allora. Lei non passa inosservato." Disse
Santana, squadrando l'agente davanti a lui.
Kurt
arrossì leggermente, ma si costrinse a non abbassare lo
sguardo.
"Ho una
proposta." Disse d' un tratto la ragazza. "La mia storia per la sua."
"Non mi sembra
che lei sia nella situazione giusta per porre condizioni."
"Invece lo
sono. Vi servono le mie informazioni, fareste qualunque cosa per
metterci le mani. E sappiamo entrambi che io non parlerò,
altrimenti."
"Bene. Cosa
vuole sapere?" Sbuffò Kurt, sprofondando dentro la sedia
imbottita che usavano durante gli interrogatori.
"Perchè
ha deciso di fare l' agente segreto? Io so chi è lei. L'ho
vista sui giornali... E' il figlio del senatore del congresso, Burt
Hummel. Non ha pensato di seguire le orme di suo padre? E' meno
pericoloso fare il politico."
Kurt prese la
radio che ronzava sul tavolo, e la spense. Poi, alzandosi,
calò le tendine sulle vetrate, in modo che la stanza
solitamente illuminata a giorno fosse nella penombra.
"C'era..."
Scosse la testa, come cercando di schiarirsi i pensieri. "Io volevo
fare il cantante a Broadway."Disse, con una risatina amara. "Ma poi...
i tempi sono cambiati. Avevo la vita che ogni ragazzino ricco viveva:
andavo a scuola, una privata, naturalmente. Poi dritto a casa, senza
gozzovigliare per strada, perchè non era adatto, dicevano.
In realtà avevano paura che facessi brutti incontri, ma
questo l'ho scoperto dopo..."
**
Non doveva
essere complicato.
Finn, il suo
fratellastro, gli aveva chiesto di comprare il regalo di anniversario
per i loro genitori senza di lui, perchè aveva gli
allenamenti di football.
Così
si era diretto verso il centro di Washington, che non distava molto
dalla scuola in cui andava.
Certo, non
conoscevo ancora bene la città, visto che mi ero trasferito
da poco da Lima, per il lavoro di suo padre, ma gli avevano assicurato
che era facile trovare il quartiere dei negozi, e se mai si fosse perso
avrebbe sempre potuto chiamare un taxi.
Il problema
era che non si era accorto di essersi perso: camminavo di buona lena,
con gli occhi fissi sulla strada davanti a sè, e le mani
strette sulle banconote che avevo in tasca, visti i tempi.
Sfortunatamente
ero finito in un quartieraccio, uno di quelli che sorgeva all'ombra di
due strade pulitissime e curate, con i prati all'inglese tagliati di
fresco, un quartiere che, come molti altri, era solitamente ignorato,
quasi tenuto all'ombra per non avere a che fare con i crimini che vi
avvenivano di frequente.
Quando me ne
ero accorto era troppo tardi.
Una mezza
dozzina di ragazzi, probabilmente intorno alla mia età,
(all'epoca aveva sedici anni,) l' avevano circondato.
"Qualcuno si
è perso." Aveva detto un biondo, dando una gomitata al
ragazzo al suo fianco.
Stranamente
realizzò che fu così solo dopo che il ragazzo
aveva parlato.
"Su, Jeff, non
spaventare il ragazzino. Usa le buone maniere..." Aveva ghinato il
ragazzo .
"A lui la
mamma le ha insegnate... peccato che la mia non l' abbia fatto, vero?"
Aveva chiesto un ragazzo asiatico, ridendo.
"Peccato per
lui, non per noi, Wes."
Miaa madre era
morta quando ero piccolissimo, perciò non mi aveva mai
insegnato le buone maniere. Ma questo non lo dissi.
"Cosa volete?"
Avevo finalmente chiesto, guardandoli con una spavalderia che non
possedevo.
"Insegnare ad
un novellino com' è stare al mondo." Disse un altro ragazzo,
avanzando dalle mie spalle.
Aveva i
capelli neri e ricci, domati con del gel.
Quando i suoi
occhi scuri incontrarono i miei sentii un brivido correre lungo la
spina dorsale.
Fu allora che
capii pienamente cosa stava succedendo e cosa sarebbe potuto succedere.
Avrebbe potuto
finire parecchio male.
"So benissimo
come stare al mondo. Ci sono stato per sedici anni." Avevo risposto.
E va bene,
forse non era la mossa più intelligente da fare, ma nessuno
spingeva gli Hummel in giro, giusto? O almeno così diceva
mio padre.
Un ragazzo
nero fece per saltargli addosso, ma il ragazzo che stava parlando
scosse la testa: "Non ora, David." notai solo allora che aveva un
pesante accento italiano.
"Come ti
chiami?" Gli chiese poi.
Per un attimo
meditai di tirargli un pugno e scappare, ma l' idea era ridicola per
due ragioni: la prima, loro erano in troppi, la seconda era che non
sapevo tirare pugni.
"Kurt."
"Quindi sei
tedesco?" chiese ancora, avvicinandosi di un paio di passi.
Era
così vicino che poteva vedere i suoi occhi ad una
distanza ravvicinata.
Erano belli,
quegli occhi.
Particolari,
con delle screziature verdi all'interno.
"No. E tu sei
italiano?"
Il ragazzo
sorrise. "si."
"Blaine,"
Disse un altro ragazzo, rivolto a quello con cui stava parlando,
"cosa...?"
"Faccio
amicizia, Thad. Non avevamo parlato di buone maniere?"
Risero tutti,
tranne l'italiano, quello che si chiamava Blaine.
Lui continuava
a fissarmi.
"Tira fuori
tutti i soldi che hai. E bada che siano tutti, non mi piace che mi si
prenda in giro."
Vuotai le
tasche immediatamente, nella speranza che tutto finisse il
più in fretta possibile.
"Togliti le
scarpe."
A quella
richiesta lo guardai stranito.
"Ho detto di
toglierti le scarpe." Ripetè.
Bhè
il problema era che non potevo: erano nuove, e avevo obbligato mio
padre a prendere quelle della nuova collezione di Prada. Sarei morto,
piuttosto che consegnargliele.
"No."
Lui si strinse
nelle spalle, prima di fare un cenno ai suoi compagni, che mi furono
addosso in un istante.
Non so quanto
durò la rissa.
O meglio, non
so quanto durò il pestaggio, perchè io non potei
fare molto altro se non subire.
So solo che ad
un certo punto, dopo quelle che parvero ore, (ma che sarebbero potuti
essere benissimo secondi, ho imparato che tutto è relativo
nella mente umana, anche il tempo,) svenni.
Quando riuscii
ad aprire gli occhi mi accorsi per prima cosa del battito pulsante del
mio cuore, che segnalava che ero ancora vivo.
Fu un sollievo
saperlo.
La seconda
cosa di cui mi accorsi furono due paia di occhi che purtroppo ricordavo
bene.
"Alla fine non
sei morto, allora." Disse Blaine con un sorrisetto.
"Che cosa....?"
"Ho dovuto
fermarli, sai. Pensavo che almeno sapessi fare a pugni, visto che non
hai voluto ascoltarmi."
"Io... Mi
piacevano quelle scarpe." Risposi, guardando con nostalgia i miei piedi
scalzi.
"Ti avremmo
lasciato andare se me le avessi consegnate. Mi stavi simpatico."
"Ciò
nonostante mi hai fatto pestare."
Blaine
sospirò. "Tieni," Disse, mollando quel paio di scarpe
accanto a me.
"Che..?"
"Hai lottato
per averle." Rispose, stringendosi nelle spalle.
Mi alzai a
sedere, accorgendomi in quel momento di essere stato adagiato
sopra..."Dove cavolo siamo?"
"Nel Bronx."
All'occhiata sconvolta che gli rivolsi ghignò: "è
il nome della palestra in cui mi alleno..."
Oh. Questo
spiegava il ring su cui ero sdraiato.
"Come ci sono
finito?"
"Ti ho
trascinato io . Se ti avessi lasciato per strada non sarebbe finita
bene... Il figlio del senatore del congresso disteso senza sensi in
mezzo alla strada? Per molti sarebbe stato come Natale in anticipo."
"Oh." Aveva
detto Kurt piuttosto stupidamente.
Non poteva
farci niente, semplicemente sentiva il suo livello di quoziente
intellettivo calare a picco ogni volta che quegli occhi scuri lo
scrutavano come in quel momento.
"Su, in
piedi." Disse infine Blaine.
"eh? Nel caso
in cui tu non te ne sia accorto sono appena stato picchiato."
"Lo so. E' per
questo che ti devi alzare: farò in modo che non succeda
più." Aveva risposto l' Italiano.
Kurt l' aveva
guardato dubbioso, prima di alzarsi con non poca fatica.
Sembrava quasi
che le sue gambe avessero deciso di non reggere il suo peso.
"Tirami un
pugno."
Kurt lo
guardò come se avesse perso qualche rotella, ma Blaine gli
sorrise incoraggiante.
Non
potè fare a meno di pensare che avesse proprio un bel
sorriso.
"Sei... Sei
sicuro?"
"certo."
Kurt chiuse la
mano a pugno, piegando leggermente le ginocchia per darsi lo slancio,
ma Blaine gli bloccò la mano prima che potesse fare altro.
"Il movimento
delle gambe andava bene, ma la mano no. Guarda." Gli prese la
mano, e con delicatezza, una delicatezza che Kurt non si sarebbe mai
aspettato da quelle mani callose e grandi, tolse il pollice dalla morsa
delle altre dita, e lo posizionò sotto la seconda falange.
"Altrimenti ti rompi il pollice."
"Perchè
lo stai facendo?" Chiese d'un tratto Kurt.
"Perchè
non sai nemmeno tirare un pugno."Gli aveva risposto Blaine, come se
avesse appena fatto una domanda stupidissima.
"Perchè
mi stai aiutando? Sono confuso. Prima mi fai picchiare e poi mi insegni
a combattere? Perchè?"
"Non lo so. Ho
questa... Questa sensazione, su di te...." Blaine tacque un paio di
secondi, come riflettendo. "Adesso prova di nuovo a tirarmi il pugno."
Kurt non
insistè per sapere altro, ma gli tirò il pugno.
Mirò
al naso, e ci mise tutta la forza di cui poteva disporre in quel
momento, che non era poi molta a causa di tutti i lividi che stavano
affiorando sulla sua pelle delicata.
Blaine
parò il colpo senza difficoltà, ma questa volta
annuì: "era buono. La prossima volta mettici più
forza."
Kurt stava per
dirgli che era difficile metterci più forza,
perchè, pronto? Lui era appena stato picchiato! Ma la
risposta gli morì in gola quando vide l'orologio.
"Sono...Sono
le otto?" Chiese Kurt, ormai nel panico.
Blaine
annuì. "Si, che problema... Oh." Sembrò capire
tutto in una manciata di secondi. "a che ora dovevi essere a casa?"
"Alle sei.
E... Io non so nemmeno dove sono adesso!"
"Calma, io so
esattamente dove siamo. Arriverai a casa, in un modo o nell'altro."
"No, tu non
capisci. Mio padre avrà già chiamato la polizia!
Probabilmente il giornale serale mi darà già come
rapito o morto! Vedo già i titoli: 'figlio del
rappresentante del congresso Burt Hummel sparito questo pomeriggio. Si
pensa al peggio.' E mio padre! A mio padre verrà un infarto!
Come-"
"Okay, datti
una calmata. Adesso usciamo dalla palestra e andiamo verso una cabina
telefonica. Dopodichè ti accompoagno a casa. Semplice,no?"
Il cervello di
Kurt si era bloccato al ti riaccompagno a casa, se avesse dovuto essere
sincero, ma annuì comunque.
Uscirono dalla
palestra, Blaine con il colletto della giacca di pelle tirato su in
modo che gli coprisse metà viso, e Kurt con le mani
affondate nelle tasche dei pantaloni, sentendo la mancanza del suo
giubotto Burberry, che naturalmente si erano presi gli amici di Blaine.
Almeno aveva
le scarpe, pensò, guardando le prada nere.
Arrivarono ad
una cabina telefonica con un anta di vetro completamente rotta, e Kurt
trasalì entrandovi, mentre sentiva le suola delle sue
adorate scarpe calpestare le schegge di vetro.
Blaine
entrò con lui, chiudendosi alle spalle l'anta rotta.
La cabina era
piccola, fatta giusta perchè una persona potesse entrarci,
perciò Kurt sentì il corpo di Blaine a filo con
il suo.
Rabbrividì,
forse per il freddo, o forse per la vicinanza dell' altro ragazzo.
Perchè
Blaine era caldo, e sentiva quel calore anche attraverso i suoi
vestiti, non perchè stesse sviluppando una cotta per lui o
qualcosa del genere.
Il fenomeno
che stava vivendo si chiamava escursione termica, giusto?
Giusto.
"Non ho
monete." Disse Kurt, indicando la fessura al lato del telefono rosso.
"Lo so. Ho io
le tue." Disse tranquillamente Blaine, prima di prenderne una e
sospirare.
"Non hai una
cicca, vero?"
"Ehm... no."
Blaine si
guardò intorno, e gli occhi si posarono sulla strada deserta.
"Va bene,"
Disse, prima di inserire la monetina dentro la fessura.
Kurt lo
guardò stranito, ma digitò il numero di telefono
dell'ufficio di suo padre, e attese.
"Pronto?"
chiese la voce profonda di Burt.
Kurt sentiva
l' ansia che impregnava il tono del padre, e si sentì da
subito in colpa.
"Ehi,
papà, sono io, Kurt."
Dall'altra
parte sentì un sospiro di sollievo." Grazie a Dio. Dove sei?
Perchè non sei a casa? Ti è successo qualcosa?
Finn ha detto che sei andato da solo a comprare il-"
"Papà,
calmati. Ho avuto un brutto incontro, ma ora sto bene. Sto arrivando a
casa."
"In che senso
un brutto incontro? Kurt, cosa ti è success-" Un suono
stridulo coprì le ultime parole del rappresentante del
congresso, sostituito da una voce femminile: "La chiamata è
terminata. Se vuole richiamare inserisca nell'apposita fessura un
dollare e attenda in linea-" Anche la voce femminile si spense con uno
stridio.
Questa volta
però, il colpevole era Blaine, che aveva sferrato un calcio
al contentiore di metallo sotto il telefono rosso, che si
ribaltò e rovesciò per terra centinaia di
monetine da un dollaro.
Kurt lo
guardò incredulo.
"Che
c'è? Dovevo riprendermi il dollaro." Aveva risposto lui
innocentemente, prima di prendere una manciata di monetine e infilarle
nella tasca dei jeans. "Bhè, andiamo o dobbiamo aspettare la
polizia?"
I due ragazzi
aprirono l'anta della cabina, e si fiondarono fuori.
"Riesci a
correre?" gli chiese Blaine. "Solo per un isolato, altrimenti la
pattuglia ci prenderà."
Kurt lo
guardò incredulo. Era ovvio che non ci riusciva , e la colpa
era soltanto dell'italiano.
Blaine non
aspettò risposta e gli afferrò la mano, prima di
iniziare a correre con Kurt alle calcagna, che malediceve tutto quello
che gli passava per la testa.
Dopo un
isolato si fermarono, e Kurt si accascio sui grdini che portavano
all'ingresso di una casa. "Ti odio." Gemette.
Blaine gli
sorrise soltanto, divertito, prima di sedersi di fianco a lui.
"Allora, dove
abiti?" Gli chiese. "Ti devo riaccompagnare a casa."
"Vicino alla
Dalton, la scuola privata che si affaccia su via-"
"Si, la
conosco."
"La conosci?"
"Una volta la
frequentavo. Sei pronto ad alzarti? Abbiamo un sacco di strada da fare."
"Ma fa
freddo!" Gemette Kurt.
Blaine
alzò gli occhi, prima di alzarsi e progergli la mano. "La
prossima volta ti metterai un maglione, sopra quella camicia. E'
gennaio."
"Sopra quella
camicia avevo un giubbotto molto pesante, per tua informazione. Non
avevo previsto di essere derubato."
"Avresti
dovuto prevederlo. Non passi inosservato vestito così in un
quartiere del genere. Cosa ci facevi qui?"
"Stavo
tentando di trovare un regalo per l' anniversario dei miei genitori."
Rispose Kurt, rabbrividendo quando una folata di vento particolarmente
fredda si insinuò sotto la leggera camicia.
Blaine lo
guardò con interesse, prima di sfilarsi il giubbotto." La
prossima volta metti un maglione." Ripetè con un sorriso.
Kurt si
infilò la giacca di pelle, che era insolitamente calda e
profumata.
Un profumo che
Kurt aveva riconosciuto subito come Chanel, lo stesso che usava sua
madre.
Lo Chanel
numero cinque impregnava quasi tutti i ricordi che aveva di lei.
Kurt ricordava
benissimo di essere seduto sopra la toletta in rovere di Christinne,
mentre lei si specchiava sull' enorme specchio, sistemandosi i riccioli
scuri dietro le orecchie.
Aveva pensato
che sua madre sembrava proprio una principessa, e che se mai avesse
sposato una donna, quella sarebbe dovuta essere uguale a lei.
Poi Christinne
gli aveva accarezzato una guancia, prima di chinarsi e aprire il primo
cassetto a destra, dove teneva delle boccette di vetro dall' aria
costosa.
"Cosa sono
quelle, mamma?" Aveva chiesto, guardandole con meraviglia.
"Sono profumi;
servono per avere un buon odore, Kurt."
"Ma non basta
lavarsi?"
Christinne
ridacchiò. "Si, basterebbe. Ma a volte voglio avere un
profumo ancora più buono. Guarda, questo è il mio
preferito." Aveva detto, tirando furoi dal cassettino una boccetta. "Lo
usava una delle attrici più famose al mondo. Si chiamava
Marylin Monroe."
Kurt aveva
annuito, mentre la mamma si spruzzava sul polso qualche goccia della
bottiglietta.
"Posso averne
un po' ? Voglio un profumo ancora più buono anch'io ."
Lei aveva
sorriso, prima di mettergliene qualche goccia ai lati del collo.
"Stai bene?"
Chiese Blaine d'un tratto. "Non stai dicendo niente da un po'. Ti
conosco da qualche ora e già so che non perdi mai un attimo
per lamentarti."
"Ehi, questo
non è vero. Oggi avevo degli ottimi motivi per lamentarmi."
Blaine,
straordinariamente, rise.
Aveva una
bella, bellissima risata, e gli occhi gli si illuminavano sembrando
più verdi che marroni.
Kurt dovette
fermarsi un secondo per non rischiare di inciampare, dato che le sue
gambe quel giorno sembravano non volergli proprio ubbidire.
Questa volta
per una ragione completamente diversa dalla prima.
E per
ciò molto, molto terrificante.
Kurt si
conosceva abbastanza bene da capire come funzionasse il suo cervello.
Non capiva
perchè tutti dicessero che le emozioni fossero legate al
cuore, perchè per lui quello era soltanto un organo che
batteva, imperterrito, finchè respiriamo.
Certo, il
cuore era un organo affascinante, ma non quanto il cervello con i suoi
emisferi legati ad ogni condizione della nostra vita.
E c'era un
emisfero che particolarmente interessava Kurt, a quel punto.
L'emisfero
affettivo.
"Kurt,
siediti." Disse Blaine con voce ad un tratto preoccupata.
Lui lo
guardò, confuso. Dove doveva sedersi? Non c'era nessuno
posto dove riposarsi. Niente gradini, niente panchine.... Cosa stava
cercando di dirgli? E perchè tutto era sempre più
sfocato e confuso?
Stava forse
delirando?
Sbattè
gli occhi un paio di volte, cercando di madare via quella
fastidiosissima nebbiolina, ma quella non ne voleva sapere.
La testa era
un un po' più pesante di prima, ma non c'era niente di cui
preoccuparsi, giusto?
L'unica cosa
certa, in quel momento, era la mano calda di Blaine sulla sua spalla,
che lo spingeva giù....?
Non capiva
cosa volesse fare e perchè- Ohhhh. Adesso era seduto.
E, guarda, la
testa non sembra meno pesante, adesso?...
"Cazzo." Aveva
sentito bofonchiare Blaine.
...Avrebbe
dovuto preoccuparsi?
"Torno subito,
te lo prometto. Ma tu stai fermo e non ti muovere, va bene?"
Blaine se ne
stava andando.
Avrebbe dovuto
aspettarselo? Del resto era stato lui a ordinare di picchiarlo, no?
Magari lo stava accompagnando a casa solo per scoprire dove abitava e
derubarlo... Probabilmente ora che stava male Blaine si era spaventato
ed era corso via.
Peccato.
Sembrava
proprio un bel ragazzo.
Avrebbe potuto
innamorarsene se non fosse stato un gangster in erba.
"Mangia."
La voce di
Blaine arrivò come galleggiando dallo stato di torpore in
cui Kurt era caduto.
Così
non era scappato, dopotutto... Aveva pensato confusamente, prima che
Blaine gli ficcasse in mano qualcosa di caldo.
Senza pensare
iniziò a portarselo alla bocca, e dopo i primi tre morsi si
accorse di stare mangiando un hot dog, probabilmente preso da uno di
quegli orribili carretti, dove l'igiene era un qualche strano
miraggio....
Kurt dovette
ammettere che si sentiva molto meglio, però.
"Dovevi
proprio avere un calo di zuccheri* con me, vero?" Aveva sbottato Blaine.
Se Kurt non
avesse saputo di meglio avrebbe potuto pensare che si fosse spaventato.
"Mi
dispiace...?"
Blaine
sbuffò soltanto, prima di rialzarsi in piedi e spazzolarsi i
jeans. "Ce la fai ad alzarti? Ormai manca poco."
"Si, cer-Ew.
Mi hai fatto sedere sul marciapiede?"
Blaine sorrise
di nuovo, e gli porse la mano, che questa volta Kurt presesenza
esitazioni.
____________________________________________________________________________
Camminavano su
una stradina stretta e poco illuminata, punteggiata qua e là
da qualche lampione che gettava un cono di luche soltanto su una
piccola porzione dell'asfalto.
Ma non era
questo che gli aveva reso il respiro superficiale.
Era il fatto
che blaine non gli aveva ancora lasciato la mano.
E, sebbene le
gambe molli fossero state il sentore di un calo di zuccheri e non di
una cotta, questo non stava ad escludere che Blaine era davvero bello.
Aveva un buon
profumo, la pelle abbronzata ed era stato gentile, se non si contava il
loro primo incontro.
E Kurt aveva
addosso la sua giacca.
La sua giacca
di pelle, esattamente. Chi aveva detto che i cattivi ragazzi non
avevano fascino?
Quel qualcuno
non aveva incontrato Blaine, allora.
"Domani
pomeriggio cosa fai?"
... Non gli
stava chiedendo un appuntamento, vero? Perchè Blaine
sembrava tutto eccetto che gay.
"N-niente,
Perchè?"
"Ti passo a
prendere alle cinque. Ho promesso che non saresti stato più
picchiato, ricordi? Io mantengo le mie promesse." Rispose Blaine, prima
di girare l'angolo e trovarsi in una strada privata.
I giardini
tagliati con minuziosa precisione sembravano venire da un altro
pianeta, se pargonati alle case dei quartieri che Kurt aveva visto in
precendenza, senza contare che i lampioni, disposti a pochissima
distanza l' uno dall'altro sembravano illuminare il viottolo
pulitissimo, senza nemmeno una cartaccia, a giorno.
Kurt ci mise
qualche secondo a capire che quella era la via dove abitava.
"Riesci ad
arrivare a casa tua senza svenire o farti trovare da una banda?"
"Ci
proverò." Rispose il ragazzo con un sorriso.
Blaine gli
fece un cenno, prima di girarsi, e avrebbe imboccato la stradina dalla
quale erano arrivati, se Kurt non l' avesse fermato. "Sei sicuro di
voler tornare a casa tua a quest'ora?" Chiese timidamente.
"Nessuno mi
assalirà, te lo prometto. So difendermi." Gli aveva risposto
garbatamente, e Kurt non potè fare a meno di sentirsi un po'
stupido, prima che Blaine gli sorridesse di nuovo, prima di voltarsi e
incamminarsi lontano da lui.
Kurt, invece,
stette a fissare Blaine finchè non sparì dietro
l'angolo, e rimase lì, in quella posizione per un po',
finchè le mani non gli fecero male per il freddo.
Allora si
voltò, e infilò le mani nella tasca del giubbotto.
Oh. Il
giubbotto.
Blaine si era
dimenticato il giubbotto.
____________________________________________________________________________
"Così
si era dimenticato la giacca." La latina sbuffò.
"Così clichè."
Kurt le
rivolse un sorriso mesto, il primo che aveva fatto in sua presenza.
"Mi dispiace.
Però se può consolarla, quella sera ho frugato
nelle tasche del giubbotto, e c'era una busta indirizzata a me."
"Davvero?"
Chiese Santana, improvvisamente interessata.
"Si.
Probabilmente l'avrà messa mentre ero svenuto. C'erano i
soldi che mi aveva rubato. Non tutti, poi mi ha spiegato che quelli
erano solo i soldi che erano toccati a lui, perchè gli altri
se li erano spartiti."
"Quindi l'hai
incontrato il giorno dopo, giusto?"
Kurt
annuì. "Bhè, io ti ho raccontato una parte della
mia storia, adesso mi devi raccontare cosa ci facevi in un quartiere
così..." Sembrò cercare la parola giusta, prima
di continuare."Malfamato. In compagnia di-"
"puttane.
Con addosso novecento grammi di roba." Concluse Santana per lui. "Non
è ovvio? Mi spacciavo per una di loro, ma i nostri
acquirenti sapevano da chi andare per comprare. Ero l'unica ispanica in
mezzo alle altre."
"Si, ma
perchè l' ha fatto? Aveva un lavoro che le rendeva bene ."
"Ma non era
abbastanza. La mia fidanzata- Oh, non faccia quella faccia! Come se
fosse scandalizzato o cose del genere! Scommetto che tra lei e Anderson
ci sarà stato sesso bollente, magari in quella palestra
nella quale vi siete conosciuti..."
Kurt
arrossì visibilmente. "Avevo quella faccia perchè
è la prima volta che conosco qualcuno che lo dichiara
così apertamente. Inoltre sapevo della sua fidanzata,
abbiamo un intero dossier su Brittany S. Pearce. Altrimenti non le
avrei mai raccontato la mia storia."
"Oh." Santana
sembrava sorpresa.
"Inoltre,"
Kurt arrossì ancora di più mentre cercava di
darsi un contegno, "come faceva a sapere della palestra?"
"Palestra...?
Oh. Non lo sapevo, ma adesso voglio tutti i dettagli..."
"Non ora."La
blandì Kurt. "Lei stava dicendo perchè ha fatto
tutto questo."
"Come lei
saprà, a questo punto, Brittany è stata insieme a
molti uomini, tra cui un gangster di nome-"
"Abrams.
Arthur Abrams, si fa chiamare dai suoi tirapiedi Artie."
"Esattamente.
Bhè, non voleva lasciarla andare, ha minacciato di uccidere
me e lei, così abbiamo pensato che un soggiorno a
Puerto Rico era d'obbligo. Ma avevamo bisogno di soldi. Molti soldi.
Così
ci siamo messe in contatto con Puckerman-"
"Un altro
Gangnster? Rivale di Abrams, per giunta! Cosa stavate pensando?"
"A salvarci la
pelle il più in fretta possibile."
CONTINUA....
chiarimrenti:
*vengono dopo
un grosso sforzo, quando si consumano grosse quantità di
adrenalina o quando non si assume abbastanza cibo, o appunto, zuccheri.
^il mio angoletto^
bhè, se
qualcuno sta leggendo mi piacerebbe sapere
cosa ne pensa... devocontinuare o cancelllare immediatamente la storia?
su un altro piano, ne aprofitto
per cantarmi: tanti auguri a me , tanti
auguri a ireneeeee tanti auguri a meeeeeeeeee xD
..... non vorreste mai lasciarmi
senza recensioni il giorno del mio
compleanno, veeeeeeero?
1baci8
iry
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