Come back december

di Replay
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“A casa poi scrivevi i tuoi racconti,
sacrificavi i tuoi diciannov’anni curva su di un MacBook Pro.” 

I Cani

La sera ce ne stavamo sul divano, tu con le gambe all’indiana e io rigido che fissavo le mattonelle, come quei bruciati dalla droga che a quarant’anni non c’arrivano quasi mai.
Non sapevo se identificarlo come rifiuto della situazione, o elaborazione del lutto, dove le vittime erano la mia indipendenza e la mia libertà da perenne ragazzino.
Nonostante fossi così indisponente, tu eri sempre la Giulia ostinata che mi fissava aspettando una qualsiasi reazione.
Credevo di indurti ad alzarti, e ad andartene. Il fatto che tu non avessi ancora disfatto le valigie mi dava un barlume di speranza.
Non che non volessi vivere con te, anzi.
Poteva significare molte cose, tra cui cena calda tutte le sere, avere le camicie stirate senza doverle mandare a mia madre, non dover pulire da solo un intero appartamento.
Poteva significare molte cose, ma io ne vedevo solo una: matrimonio.
Il fantasma dell’educazione cattolica che mi era stata impartita aleggiava ormai sulla nostra casa –che effetto dire nostra, eh?- e ovunque mi voltassi, vedevo mia madre che predicava il sacro vincolo nuziale.
Mi sembrava addirittura che il pavimento mi guardasse storto, ebbi paura.
Trasalii proprio.
Te ne accorgesti, perché non mi fissasti più.
Ti sentivi indesiderata, Giulia?
Inopportuna, rifiutata, sconveniente? Forse lo eri.
Però potevi salvarmi.





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