Historia
Apollinis
Aveva iniziato a piovere, il rumore dell'acqua contro le vetrate
produceva una melodia che sembrò rilassare Aro, renderlo
più tranquillo. Erano passate almeno due ore da quando era
entrato dentro la Cappella Sistina, da quando aveva iniziato quel
dialogo con Dio.
“Il viaggio fu tranquillo. Cavalcavamo appena potevamo, senza
fermarci più di tanto nelle singole città, men
che meno in quelle italiane. Quando oltrepassammo le Alpi l'umore di
Marcus cambiò, ma io e Caius non ci facemmo troppo caso.
Entrambi eravamo eccitati all'idea di questa avventura; entrambi ci
rendevamo conto che la scoperta di poter sopravvivere alla luce era un
potere di gran lunga superiore a qualsiasi abilità
individuale.
Superammo la Germania, il cui tempo nuvoloso ci permise di viaggiare
perfino di giorno indisturbati. Ormai, con grande sorpresa di Marcus,
io sapevo governare abbastanza bene la mia sete, riuscendo ad evitare
le perdite di controllo tipiche dei neonati. Superammo il confine oltre
il quale perfino l'Impero Romano si era dovuto arrestare e continuammo
la nostra ricerca. Volevamo arrivare fino all'estremo Nord e, una volta
giunti lì, iniziare una minuziosa ricerca della specie,
ritornando verso Sud.
Arrivati nell'attuale Danimarca rimanemmo sorpresi nel notare come il
porto dove ci imbarcammo per raggiungere la Norvegia non era altro che
un semplice fiordo naturale, privo di mercati, civiltà. Ci
eravamo lasciati alle spalle tutto ciò che ci aveva creato:
lo splendore, la raffinatezza, l'eleganza. I nostri vestiti leggeri,
perfino i nostri mantelli, fatti di una lana minuziosamente lavorata,
sembravano stonare con la rozzezza che ci circondava.
Gli uomini non sembravano sentire il freddo, non più di
tanto. Ci lanciavano occhiate sconvolte e sospettose: erano popolazioni
che non erano state abituate al cosmopolitismo, vivevano le loro vite
in un ambiente dove tutti si conoscevano, ben lontani dalla
vitalità e eterogeneità dell'Impero.
Nonostante gli sguardi cupi e allarmati nessuno ci disse niente,
riuscimmo a imbarcarci a poco prezzo su una nave che ci
portò, piuttosto scomodamente, fino alle coste norvegesi in
un paio di giorni.
Una volta arrivati decidemmo di non prendere cavalli con noi, ma
proseguire a piedi: non c'erano strade battute né sentieri
tracciati. Era la natura che regnava incontrastata, non l'uomo, non le
città.
Superato il piccolo paese di mare che ospitava il porto ci ritrovammo
immersi dalla più totale e assoluta mancanza di
civiltà.
Marciavamo senza fretta, percorrendo numerosi chilometri ogni giorno.
Era piuttosto piacevole poter camminare sotto il sole, perfino a petto
nudo, nonostante la temperatura bassa.
Marcus sembrava nuovamente essere tornato l'uomo spensierato e
tranquillo di sempre, che raccontava e condivideva con noi tutta la sua
conoscenza, durante quelle passeggiate senza meta; durante il periodo
trascorso in Egitto sembrava aver acquisito nozioni e storie che
né io né Caius avremmo mai potuto immaginare.
Un pomeriggio decidemmo di fermarci per fare un bagno in un
fiordo: il non sentire né il freddo né il caldo
aveva molti vantaggi; uno di questi era quello di potersi immergere in
quelle acque cristalline senza morirne congelati. Nonostante stessimo
compiendo una vera e propria impresa e nei nostri piani iniziali
fossero contemplati scontri, anche sanguinari, con altri elementi della
nostra specie, io e Marcus vivevamo tranquillamente il viaggio. In quei
giorni l'unico a essere irritato e scorbutico era Caius – non
che quella fosse una novità; la mancanza di umani ci aveva
costretto a cacciare animali, cosa che per lui era, oltre che
inaccettabile, vomitevole.
«Non capisco perché abbiamo dovuto lasciare
l'Impero» borbottò mentre ci guardava saltare da
alcuni massi più alti.
Marcus, che era appena riemerso dall'acqua ghiacciata, lo
guardò e rise: «Caius, su. Per due cervi... quante
storie!»
Risi con lui e mi tuffai al suo fianco. L'ondata che alzai
bagnò Caius, che si alzò furente.
«Cazzo, no! E smettetela di comportarvi come due bambini! Per
Zeus!»
Mi spostai i capelli da davanti agli occhi e lo guardai, divertito.
«Caius, anche a me fa schifo il sangue di animale... ma
è comunque divertente cacciare. E poi non ci sono
alternative»
«Sì che ci sarebbero» rispose irritato.
Marcus sospirò e si arrampicò sulla roccia, fino
a sedersi accanto a lui. Gli strinse una spalla sorridendo.
«Non possiamo andare in Italia, né in posti legati
all'impero» gli spiegò con calma.
«Dannazione, ma almeno in Gallia! Vi rendete conto che qui
non troveremo nessuno!? Andiamo in Oriente, allora. Avrebbe
più senso!» sbottò.
Lasciai che il mio corpo galleggiasse e guardai i due da sottosopra,
mentre mi avvicinavo lentamente allo scoglio.
«Dobbiamo far sì che si scordino di noi»
dissi. Salii a mia volta e mi sedetti di nuovo accanto a lui.
«E per quale motivo, mh?»
Marcus mi guardò, sorridendo tra sé e
sé. Strinsi una mano a Caius e i suoi pensieri divennero
anche i miei. Ormai, però, non mi procurava più i
fastidi dei primi giorni, anzi... provavo piacere e conforto
nell'essere così intimo con entrambi, di poter veramente
capirli più di chiunque altro, più di loro stessi.
«La storia del massacro di Capri diventerà
leggenda, qualcosa di cui tutti parleranno ma di cui nessuno
saprà la verità. Le voci alimenteranno le dicerie
e le dicerie alimenteranno la nostra immagine. Quando torneremo, poi,
lo faremo di giorno. Sapranno che noi possiamo camminare alla luce del
sole e a quel punto saremo veramente intoccabili, capaci di qualsiasi
cosa vorremo. Capisci, Caius? Potremmo creare un Impero, ma... non solo
per il potere. No, quello verrà, sarà la naturale
conseguenza... ma per la nostra stessa specie. Creeremo leggi, insieme
ai più saggi di noi, come Abramo, e le faremo rispettare.
Miglioreremo la vita di tutti, saremo... speciali, Caius.
Insostituibili»
Presi fiato, sorridendogli sinceramente. Vidi le mie parole entrare
nella sua mente, venire ascoltate, studiate, ponderate e alla fine
accettate.
«Caius... saremo qualcosa che non è mai esistito
prima» sospirò Marcus, stringendogli
più forte la spalla.
L'altro borbottò, roteando gli occhi.
«Sembra che ci sia un po' di cervello in quello che fate.
Anche se non capisco perché dobbiate fare i cretini nel
lanciarvi da una scogliera e sguazzare come trote
d'allevamento»
«Perché è divertente» risposi
allgro io. Dietro di lui Marcus aveva iniziato a ghignare soddisfatto,
fu un secondo e lo spingemmo entrambi in acqua, per poi scoppiare a
ridere, mentre lui ci malediceva in nome di qualsiasi dio da lui
conosciuto.
Continuammo a salire verso Nord, giorno dopo giorno, e finimmo per
convincerci che non avremmo trovato nessuno, così
trasformammo il viaggio in una semplice voglia di arrivare fino
all'estremo Nord, senza altri fini.
Ma, per fortuna, le cose andarono diversamente.
Giorno dopo giorno il gelo si faceva più pungente e le ore
di sole sembravano accorciarsi sempre di più; nell'ultimo
periodo sembravamo vivere in una notte perenne, in cui la luna piena e
le stelle si stagliavano nitide sulla volta nera del cielo.
Fu per caso, durante una caccia come tante, che sentimmo per la prima
volta dopo mesi la presenza di un altro essere pensante.
Marcus fu il primo ad accorgersene: si paralizzò in mezzo
alla foresta, guardando davanti a sé, con espressione vacua.
«Marcus, che succede?» Caius si bloccò
di scatto accanto a lui, iniziando a lanciarsi degli sguardi sospettosi
intorno.
«C'è qualcuno».
Le sue parole ci fecero trasalire ed immediatamente, spinti da un
istinto inspiegabile, iniziammo a prestare più attenzione a
tutti i rumori che la foresta produceva. Iniziammo ad avanzare adagio,
finché non ci trovammo davanti a una piana innevata. Essa
era circondata da una serie di montagne che svettavano silenziose e
taciturne.
«Vides ut alta
stet nive candidum...» sussurrò con
un sorriso flebile Marcus. Al centro della pianura stava un gruppo di
persone, tutte sedute intorno a un falò.
Erano come noi, ce ne accorgemmo grazie al profumo dolce e delicato e
cinque di loro erano umani; la fame acuta, il nostro corpo, che
sembrava estremamente bisognoso di nutrirsi con del sangue che non
fosse di animale, ci spingeva ad attaccarli, ma resistemmo. Ci
avvicinammo lentamente, spaventati all'idea che potessero vederci come
nemici. Erano più o meno una ventina, e non appena il vento
cambiò l'odore di sangue ci raggiunse come una morsa forte e
prepotente. Caius fece uno scatto in avanti, affamato, e pure io
dovetti usare molto del mio autocontrollo per trattenermi; Marcus
strinse un polso di Caius, fermandolo.
«Fermo!» sibilò, continuando a mantenere
un contatto visivo con quei vampiri che stavano iniziando a voltarsi
verso di noi.
Ci aspettavamo un attacco, come nella domus di Emiliano, ma fu ben
diverso.
Angolo autrice:
*si prostra ai vostri piedi* sono partita, non ho potuto aggiornare
;______; perdonate! Mea culpa mea culpa! Sono anche indietro con la
scrittura, perché sono bloccata su una one-shot su Ovidio,
ma spero di riuscire a preparare un altro capitolo per il prossimo
giovedì :D
Non credo ci sia molto da dire, se non che sono morta dal ridere nello
scrivere alcune parti di questo capitolo XD
Vides ut alta stet nive
candidum è una citazione di Orazio, del suo
carme sul monte Soratte. Perché l'ho messa?
Perché ogni tanto mi ritrovo a canticchiare queste parole,
mi fanno ridere e mi mettono allegria LOL La traduzione, se ne avete
bisogno (:, è: guarda come svetta il Soratte, candido per
l'alta neve.
È tutto ♥ spero vi sia piaciuto, anche se
è molto di passaggio :D
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