"You'll never be alone anymore".
You'll never be alone anymore.
"Allora bambina mia, sei
pronta?" mi guardò con il suo sguardo materno che per me
rappresentava l'ancora, un appiglio di salvezza.
Esultai e mi diressi verso la porta.
Per una bambina di otto anni senza genitori come me, andare al parco
con la nonna, la mia unica tutrice, era la cosa più bella che
sarebbe potuta succedere nella giornata.
Arrivammo e grazie alla giornata nuvolosa, che amavo, mi accorsi di
avere quasi tutto lo spazio per me, ma non mi importava di niente, se
non di una cosa.
Quell'oggetto che dondolava, quello che ora faceva toccare il cielo,
ora il prato, quello che continuava ad oscillare contro ogni forza che
gli ostacolava il cammino, quello che mi faceva sentire libera, mentre
l'aria mi sferzava il viso.
Vedevo l'altalena come l'oggetto della mia infanzia, quello dove ogni
mio pensiero da bambina prendeva forma e si librava nell'aria,
permettendo alla mia mente di formarne nuovi.
Ci perdevo le ore, a dondolarmi.
Mi diressi saltellando verso il mio paradiso; alla fine ero una bambina
semplice. Mi sedetti comoda e iniziai ad andare prima sù e poi
giù, poi di nuovo sù e ancora giù. Più
forte per volare e più piano per riprendere energie e riposare
le mani che man mano si bruciavano contro le catene dell'altalena.
Quel giorno un bambino si avvicinò e si sedette di fianco a me.
Iniziò a dondolarsi anche lui. Guardai attorno a me, ma non
c'era nessuno.
Possibile che a otto anni un bambino fosse giunto fino a qua da solo,
in pieno inverno, in una giornata buia e fredda come questa?
Guardai tra le sue mani e mi accorsi di un braccialetto che teneva stretto a sè.
Probabilmente notò che lo stavo consumando con gli occhi e alzò lo sguardo a me.
Il mio cuore saltò un battito.
Non dimenticherò mai quegli occhi verdi screziati di grigio,
dove si rifletteva un senso di abbandono, una tristezza che non poteva
essere abbattuta, i suoi lineamenti così dolci, le sue fossette
profonde che lo rendevano così speciale, diverso e i magnifici
riccioli che gli incorniciavano il viso in modo perfetto.
Iniziò a parlarmi, mentre cercavo di riprendermi e nonostante
gli sforzi non ricordo ciò che mi disse; data l'età
è possibile che avessimo solo parlato di princepesse e
macchinine.
Una cosa che però ricordo è la sua voce, stranamente
profonda per i suoi anni e con quell'accento misterioso che mi
affascinava.
La nostra chiaccherata fu diversa da tutte le altre. Lui non sapeva
nulla di me, non mi parlava per compassione, non provava pena, non mi
trattava come un caso ammalato, contagioso e senza cure. E questo mi
rendeva libera, come non lo fossi mai stata.
Potevo iniziare a credere di avere un amico, potevo pensare di non
essere più sola. Finalmente avrei potuto avere anche io un
comapgno di viaggio. Così dentro di me si radicò la
speranza.
Parlammo per ore, credo, finchè la nonna mi dichiarò fosse l'ora di dover tornare a casa.
Già?
Riluttante mi alzai dalla ia ossessione, ma prima di lasciarmi andare, il bambino mi prese la mano e me la strinse.
Quando la lasciò, sentii qualcosa di ruvido nelle mie mani. Era
il suo braccialetto, lo guardai confusa: "Prendilo, so che ne hai
bisogno. Adesso hai una parte di me, non sarai più sola".
Non ci fu tempo di replicare. Lo guardai per un'ultima volta e gli urlai un forte "grazie, ci rivedremo presto".
Non rividi mai più quel bambino.
***
Smisi di fissare il
braccialetto, ritornai alla realtà e cancellai i ricordi. Mentre
ascoltavo la musica, una frase mi rimase impressa.
"Cause there is no garanty,
that this life is easy".
Giusto, profetico e filosofico, e giusto! La vita non era per niente facile.
Tutte le persone per me importanti, tutta la mia vita ora non c'era più.
I miei genitori morirono quando io avevo solo cinque anni, incidente
d'auto. Io viva, loro morti. Io respiro, loro no. Io ho un cuore che
batte e loro no. Io piango, tanto, loro non possono più farlo.
Mio fratello scomparve dopo la loro morte, lui poteva, aveva
diciassette anni e se ne andò. Io ero piccola e non si
preoccupò per me. Era sopraffatto dal dolore ed era convinto che
andarsene fosse la scelta giusta; nessuno lo fermò. Non
chiamò, non ritornò, non scrisse. Nulla. Non sapevo
neanche dove si trovasse. In che città, in che regione, in che
stato. E mi mancava.
La mia migliore amica. Lei fu costretta a trasferirsi. Era tutto per
me, in lei vedevo tutto ciò che non avevo mai avuto. Era la mia
famiglia. La mia vita. E ora si trovava a migliaia di chilometri da me.
Io. Io mi ritrovavo a quindici anni ad affrontare un'adolescenza completamente sola.
"Nonna, io esco".
"Va bene bambina mia, ma per favore ritorna presto e fai attenzione. Sembra stia per mandare giù il diluvio universale".
Presi il giubotto, chiusi la porta e alzai il volume della musica.
Dopo la morte dei miei fui obbligata a trasferirmi anche io, in
città. Dovetti abbandonare la mia magnifica casa di campagna,
nel silenzio e nella tranquillità, per dover andare a vivere
l'inferno della città.
Ma c'erano dei lati positivi: il dolore e il ricordo della morte non mi
assaliva ogni volta che entrava in casa e potevo essere autonoma , non
dipendere dai passaggi in macchina di nessuno.
Così avevo un'idea ben precisa quel giorno.
Una meta raggiungibile a piedi e senza problemi.
Il parco.
Nonostante fossero passati sette anni, amavo quel posto come la prima volta.
Ogni volta che ne sentivo il bisogno ritornavo a dondolarmi. Spesso i
genitori dei bimbi mi guardavano straniti, si chiedevano probabilmente
se non avessi qualche problema mentale, ma non mi importava. Io li
lasciavo pensare.
Quel giorno però mi diressi nella parte più nascosta del
parco. Quella più riparata dall'euforia dei bambini, quello di
cui pochi sapevano della presenza. Si trovava proprio dietro alla
cascata d'acqua e la maggior parte delle persone si fermavano incantate
da quello spettacolo, non sapendo che dietro ad esso ce n'era uno
ancora più bello.
Il mio angolino.
Mi stesi sull'erba, inspirai e trattenni il fiato. Una serie di immagine scorreva davanti a me, le riconoscevo perfettamente,
ognuna con una grande importanza.
Mi sorprese una goccia nel mezzo della guancia, stava iniziando a
piovere. Sentii un brusio generale intorno a me nonostante le cuffie,
ma lo ignorai.
Io rimasi stesa sotto la pioggia, che prendeva potenza.
Mi bagnai, non
me ne curai.
Mi ammalai, probabilmente, ma continuai imperterrita a
rimanere stesa lì sotto.
Speravo che la pioggia portasse via tutto il dolore, tutte le ingiustizie.
Iniziai a torturarmi il braccialetto. Le aveva subite tutte quel pezzo
di stoffa. Ci avevo anche fatto ricamare sopra una frase:
"You'll never
be alone anymore".
La frase che quel bambino mi aveva detto quel
giorno, il giorno in cui mi mentì e io, stupida, ci avevo
creduto.
Sentii la presenza di una persona.
Sentii gli occhi di qualcuno puntati addosso.
Sentii il profumo che aveva quel bimbo.
Quel dolce profumo.
La mia mente mi stava giocando brutti scherzi.
"Allora ce l'hai ancora" la sua voce, quella bellissima voce accompagnata da quell'accento che non aveva perso nel tempo.
Aprii gli occhi e mi alzai di scatto, lo guardai per quella che parve un'eternità.
Era lui.
Il bambino di sette anni prima.
Stessi occhi.
Stesso sorriso, con un velo di maliconia.
Stesse fossette.
Stessi riccioli.
Cercai di riprendermi dalla sorpresa e scrollai le spalle per sembrare indifferente.
"Si, beh, mi piaceva e l'ho tenuto".
Si sedette accanto a me e mi sorrise.
"Uhm. Capisco. Sai, sono passati tanti anni, non mi aspettavo di trovarti ancora qui".
Non capivo. "Cosa intendi dire? Mi sei venuto a cercare?"
"Diciamo così, sì, è stata una ricerca molto difficile, ma credo di avercela fatta".
Non volevo pensare a quelle parole, non avevo la forza di riempirmi di altri pensieri.
Il silenzio era calato su di noi, ma non era un silenzio di quelli
imbarazzanti. Nel nostro silenzio c'erano una miriade di parole che
prendevano forma e aleggiavano tra di noi.
Quel silenzio era pieno di significato.
Decisi di parlare, però.
"Allora? Che ci fai qua? Sei venuto ad illudermi ancora per un giorno?
Sei tornato per farmi sentire al settimo cielo e poi abbandonarmi
improvvisamente? No, dimmelo. Così almeno domani mi
sveglierò con la certezza di essere di nuovo sola".
Se lo aspettava. Si vedeva dall'espressione sul suo viso, dal suo
sorriso strafottente.
Guardammo l'infinita distesa verde davanti a noi,
mentre la pioggia ci scivolava addosso.
"No, sono tornato per restare. Sono tornato per te. Anche se ci sono
sempre stato in realtà, sono sempre stato al tuo fianco. La
gente non vive nel corpo. La gente vive nell'anima e tu hai sempre
avuto una bella parte della mia anima. Fin da quel giorno in cui ti diedi il mio braccialetto. E' giusto che tu lo sappia. Ma
ora ci sarò come intendi tu. Ci sarò fisicamente,
finchè tu mi vorrai starò qui, di fianco a te".
Non capivo il significato delle sue parole: mi era sempre stato vicino? Avevo la sua anima?
Chi era?
Ci rinunciai.
Ma fui immensamente grata a quello sconosciuto per quelle parole.
Mi voltai verso di lui e lo guardai ancora una volta negli occhi.
Questa volta era vero.
Non sarei più stata sola.
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Buongiorno :3
Allora, me ne sono uscita improvvisamente con questo one shot, non so perchè.
Mi è semplicemente balzato in testa e continuava a tormentarmi, così ho deciso di dargli vita.
Ed eccolo qua.
So che è senza senso e non si capisce nulla, ma mi piaceva così AHAHAHAH
Intanto grazie per aver letto,
grazie per le recensioni dell'altra FF,
ma soprattutto grazie a Dominique per aver praticamente ispirato l'intera storia.
Ti voglio bene.
Grazie mille ancora a tutti :3
Francy
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