Disclaimer: Sono
dei bambini veri, quindi possederli sarebbe legalmente piuttosto
complicato. Non conosco loro, i loro gusti sessuali, né cosa
fanno nel tempo libero. Queste non sono altro che illazioni totalmente
gratuite.
Note: Partecipa
alla Criticombola per il
prompt #78 “Una volta in più” e
all’iniziativa estemporanea di Criticoni “sbornia”.
Scritta
giusto perché sono stanca di aspettare che i due idioti si
decidano a tornare insieme *sbuffa*
Una
volta in più
La prima cosa che fai, non appena ti svegli, è sporgerti
quanto più possibile di lato e vomitare alcool e succhi
gastrici dritto sul pavimento.
Non
il miglior buongiorno che ti potesse capitare, in effetti.
Quando
finalmente finisci di svuotarti lo stomaco, torni ad abbandonarti
contro lo schienale imbottito della poltrona. Sei rimasto lì
tutta la notte, alternando veglia e sonno, alcool e sigarette.
Ovviamente adesso sei ridotto ad uno schifo totale.
A
puro titolo di sperimentazione, provi ad aprire un occhio.
Poco
al di fuori del tuo annebbiato campo visivo, il mondo sta sorgendo e il
sole si sta svegliando. O qualcosa del genere. Non sei molto in vena di
dettagli, al momento.
Ti
pulisci la bocca con il polsino della camicia, poi allunghi una mano
verso il tavolino e cerchi a tentoni qualcosa che non sai bene
cos’è fino a quando non la trovi. Ti porti il
bicchiere ancora mezzo pieno alle labbra e ingoi in un solo sorso il
suo contenuto. Hai smesso di chiederti che cosa stai bevendo circa nove
ore fa. Forse anche di più.
È
passata quasi una settimana da quando sei arrivato in questa baracca
schifosa di un hotel a cinque stelle, e sono tre giorni che ti bevi sia
il pranzo che la cena. Dovresti davvero smetterla.
E
dovresti davvero chiamare Sara, tua madre, il tuo agente, un membro
qualsiasi della band escluso Liam.
Sei
ragionevolmente certo che basterebbe avvertire anche uno solo di loro.
“Ehi,
tutto okay, sono ancora vivo”, dovresti
dire. Non è poi così complicato, pensi.
Poi
ti addormenti di nuovo.
Quando riapri gli occhi è già metà
pomeriggio. Perlomeno così dice il tuo orologio —
da quando hai un orologio, a proposito?
Scopri
di essere ancora semisdraiato sulla poltrona, e pensi che questo non
farà affatto bene alla tua spina dorsale. Con qualche sforzo
più o meno convinto riesci a metterti a sedere, e proprio in
quel momento la stanza prende a girarti intorno. La ignori e ti porti
le mani alle tempie, massaggiandole. La testa ti dà un
fastidio cane: vibra forte come se fosse un fottuto cellulare. E la
puzza di vomito ti fa venire voglia di vomitare di nuovo.
Ti
ci vogliono quasi venti secondi prima di capire che, in effetti,
è il cellulare che vibra come un fottuto cellulare, e non la
tua testa. Passa qualche altro secondo ancora e ti accorgi che la
voglia di vomitare si è trasformata in un sto
per vomitarmi addosso.
Ti
alzi e ti dirigi quanto più velocemente possibile verso il
bagno, tentando di non barcollare troppo e, soprattutto, di non andare
a sbattere contro il mobilio vario ed eventuale che si frappone
arrogantemente tra te ed il tuo obiettivo.
Strada
facendo raccatti anche il cellulare, giusto perché il suo
continuo vibrare ti sta facendo diventare matto, ma non hai veramente
intenzione di rispondere. A prescindere da tutto, questo non
è esattamente il momento più opportuno.
Finalmente
riesci a guadagnare il cesso. Abbracci la tazza e ci butti quasi la
testa dentro, lo stomaco che intanto si aggroviglia, si tende, e poi si
riannoda su sé stesso, regalandoti un’improvvisa
sensazione di solidarietà nei confronti di tutti i tuoi
vestiti che finiscono in un’asciugatrice almeno una volta al
giorno.
Il
telefono continua a vibrare nella tua mano. Metti giù la
chiamata e ti pieghi di nuovo su te stesso, pregando solo di non
vomitare fuori anche i polmoni.
Dieci minuti di agonia e poi torni a respirare.
Anche
i crampi passano più velocemente di quanto credevi, e dopo
qualche altro minuto, a parte sentirti svuotato come se ti avessero
risucchiato via l’anima dal naso, concludi di essere, tutto
sommato, ancora vivo.
Sollevato,
ti lasci scivolare all’indietro fino ad appoggiare la schiena
contro il muro.
Chiudi
gli occhi e respiri quanto più profondamente possibile,
aspettando che il ronzio nella tua testa cessi di darti il tormento.
Quando
ti rendi conto che il ronzio è orribilmente simile al
ritornello di Cigarettes
& Alcohol sei
veramente troppo stremato per stupirti. E da una parte è
anche confortante sapere che tutti questi rumori sono al di fuori della
tua testa. Dentro potrebbero causare qualche problema, effettivamente.
Sospirando
porti il telefono all’orecchio, ed il ronzio si fa
più distinto e preciso. Non è poi così
sorprendente che tu abbia schiacciato un tasto al posto di un altro,
ciò che è veramente scioccante è che
il tizio dall’altra parte sia rimasto ad ascoltare dieci
minuti di conversazione diretta tra il contenuto del tuo stomaco e la
tazza del cesso.
Ma
poi riconosci la voce che sta canticchiando ed allora
c’è davvero poco di cui sorprendersi.
«…
Liam?», ansimi, non sapendo se ridere o piangere.
«Yeah»,
risponde prontamente tuo fratello, in barba al fatto di essere stato
escluso a priori dalla lista delle persone a cui volevi far sapere di
essere ancora vivo.
«Che
cazzo—», “stai
facendo?” vorresti
aggiungere, ma la gola non collabora.
«Coprivo
il rumore dello schifo che stavi facendo con la mia soave voce,
ovviamente», risponde comunque tuo fratello.
«Ovviamente»,
fai eco con ironia.
«Quando
hai intenzione di tornare?», continua lui, ignorandoti.
«Cosa?»
«Tornare.
A casa. Quando hai intenzione di tornare a casa?», ripete
Liam. Ed è veramente ironico che sia lui a chiedertelo,
così com’è ironico che sia stato lui a
chiamarti, visto che, come al solito, è esclusivamente colpa
sua se te ne sei andato.
Anche
se, ad onor del vero, in questo preciso momento non te lo ricordi
nemmeno il motivo per cui sei arrabbiato con lui. Puoi prendere uno dei
tanti altri, comunque. Ne hai una scorta pressoché infinita
da parte, giusto?
«Allora?»,
sbotta intanto Liam, impaziente.
E
sarà la sbornia, sarà che il bastardo ti ha preso
di sorpresa, ma davvero non riesci a ricordarti un solo motivo per cui
dovresti desiderare di stargli lontano.
Ridi.
Così, senza motivo, ridi. E la tua voce è
più rauca di quanto vorresti.
«In
serata, credo», rantoli infine, prima che lui decida di
diventare petulante.
«Prima
fatti una doccia», suggerisce.
«Naturalmente»
«E
lavati anche i denti», aggiunge, in un tono quasi serio.
Sorridi
di riflesso.
«Liam…»,
aggiungi dopo qualche secondo.
«Mh?»
«Ti
ammazzerò, prima o poi», gli confessi.
E
dentro di te sei abbastanza sicuro che lo farai davvero, un giorno di
questi. Un po’ perché ce l’hai sulla
lista delle cose da fare praticamente dal giorno in cui ha imparato a
camminare, e un po’ perché se non lo ammazzi tu
sarà lui ad ammazzare te, in un modo o in un altro.
Questa
volta, comunque, è il turno di Liam di ridere.
«Anch’io
ti amo», ribatte allegramente. «Avverto Sara e la
mamma. Stanno diventando pazze. Tu muoviti a portare il tuo fottuto
culo da ubriacone a casa», continua.
Annuisci,
senza renderti conto che lui non può vederti. Prima che tu
possa aggiungere qualcosa, però, lui ha già
riattaccato.
Liam
non ha mai veramente bisogno di sentirsi dire che, ancora una volta,
tornerai da lui.
Lo
sa già.
Lo
sapete entrambi.
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