Occasion
Rette parallele.
Erano
le sei del mattino di un Ottobre come tanti. Solo il freddo, fuori
stagione, era un evento inatteso in quel circolo vizioso della routine.
La solita catena di eventi scanditi da un orologio da quattro soldi
allacciato al polso destro, la solita catena di convenevoli che lo
trascinava stancamente in quelle strade congelate di quella cittadina
dimenticata nel bel mezzo dell'America.
Aveva gettato la sigaretta a terra prima di scendere per le scale che
conducevano alla metro, la solita metro, le solite cinque fermate e,
poi, il solito tratto a piedi per raggiungere l'ateneo. Aveva posato
l'abbonamento sul lettore ottico, le porte automatiche si erano aperte
e, in quel momento esatto, aveva sentito le porte della metro aprirsi,
segno che era appena arrivata. Non voleva aspettare altri cinque
minuti, quei cinque minuti avrebbero rovinato la sua routine
pressoché perfetta. Aveva sceso le scale di corsa,
buttandosi
nella metro pochi secondi prima che le porte automatiche si chiudessero
dietro alla sua schiena. Si era sentito potente, invincibile.
Si era guardato intorno con aria sorniona, sperando che qualcuno avesse
visto il suo scatto, la sua prodezza e chissà quant'altro.
Ma il
suo gesto eroico
si era
vanificato quando le porte della metro si erano aperte nuovamente,
così da far entrare la maggior parte delle persone che si
trovavano sulla banchina. Aveva sbuffato trovando, miracolosamente, un
posto libero qualche cabina più avanti. Le porte si erano
chiuse
nuovamente e lui si era voltato verso la banchina osservando
distrattamente le persone che erano rimaste fuori. Sembravano tutte
uguali, tutte assonnate, tutte prive di alcun colore strette nelle loro
giacche a vento rigorosamente grigie e tristi, proprio come le loro
espressioni alienate.
La
metro tardava a ripartire, chissà per quale motivo, e lui si
godeva quel calduccio spiando le persone ferme sulla banchina che
fremevano per entrare, per arrivare a lavoro e ripetere sempre gli
stessi gesti. Aveva tirato fuori dal borsone di pelle che portava a
tracolla un libro, uno dei tanti che amava rileggere, uno di quei libri
che lo aiutava a staccare la spina, una sorta di "Evergreen"
letterario, un libro che per
lui
non sarebbe mai tramontato, come il "Simon & Garfunkel" della
letteratura internazionale. Nonostante non fosse uscito da
così
tanto tempo. La copertina grigia e banale
gli dava sicurezza, quasi quanto l'intera filosofia che si stagliava feroce
tra le righe di quel libro scritto fitto. Pregustando le prime parole
del libro, aveva dato un'ultima occhiata sfuggevole alla banchina,
incontrando una figura diversa dalle altre, una nota di colore fra il
grigiore di quelle giacche a vento. Dei capelli rossi fuoco si
stagliavano sul volto avorio di un giovane ragazzo, quel verde
contrastava contro a quelle iridi verdi, gli ricordava vagamente la
bandiera italiana con quei colori, bandiera al quale era legato per vie
generazionali, bandiera che gli ricordava il nonno seduto dietro alla
batteria in quelle vecchie foto in bianco e nero. Il ragazzo teneva fra
le braccia, come si teneva un bambino, il suo stesso libro. Ne
riconosceva la copertina, le lettere sfocate. Aveva sorriso,
inconsciamente, sperando di veder aprire quelle porte, così
da
poter assaporare ancora un po quella macchia colorata, da poterne
sentire l'odore come facevano i cani, sua enorme passione. Ma la metro
era ripartita, scusandosi con i passeggeri per il lieve ritardo dovuto
ad un guasto. Si era pentito della corsa, si era pentito di essere
entrato su quella metro. Aveva chiuso gli occhi, crogiolandosi ancora
un po nel ricordo di quella visione celestiale.
Qualche minuto dopo aveva preso l'ipod dal taschino della giacca,
selezionando la riproduzione casuale. Il primo pezzo era "All
apologies" dei Nirvana, una melodia adatta alla lettura del libro. Si
era perso tra le parole dell'autore, ricordandosi del detto tedesco che
ispirava il libro.
"Einmal ist Keinmal", ciò che si verifica una sola volta,
non è mai
accaduto. E così credeva di aver archiviato per sempre
quell'ammasso di
colori che aveva colpito violentemente le sue cornee, abituate a tutto
quel grigiore.
{.....}
Le ore di lezione scorrevano veloci, ma il mondo intorno a lui sembrava
andare al rallentatore. Era così preso da quel disegno da
non
avere occhi per quello che gli succedeva intorno, le linee scure della
matita sporcavano il bianco del foglio, donandogli colore. Aveva visto
quel volto una sola volta e per pochi secondi, ma gli era rimasta
così impressa da saperla persino riprodurre su un foglio di
carta, di immaginare le sue millemila espressioni e le sue sfumature.
Fissava l'opera completa con estremo orgoglio, era bravo a disegnare,
bravo a ricordare e bravo a fingere che sarebbe stato in grado di
andare avanti così per anni. Così, fingendo di
poter
catalogare le esperienze nuove sotto a quel vecchio detto tedesco,
sperando di sapersi nascondere tra le pagine di un libro scritto quasi
dieci anni prima e di fingersi autista della propria vita.
"Siamo rette parallele." aveva pensato, archiviando nuovamente
quell'innamoramento fortuito e repentino sotto ad una definizione
geometrica di due linee che, viaggiando in parallelo, non si sarebbero
mai incrociate neanche
all'infinito.
Anche l'ultima ora era passata, era ora di tornare nel vecchio alloggio
studentesco, preparare la cena e giocare a "Re sotto" con quei strani
ceffi dei suoi coinquilini. Avrebbe perso, sicuramente, avrebbe finito
la sua serata abbracciato al bagno, ma gli andava bene così.
Gli
andava bene la routine.
{....}
I giorni scorrevano velocemente, le lancette del fedele orologio al
polso correvano come impazzite, come sotto all'effetto di
chissà
quale acido. La solita routine con un pizzico di pepe in
più,
l'ebrezza di notare, nuovamente, quel viso tondo e bianco contornato da
quei sottili fili rosso fuoco. Purtroppo però, era routine
anche
il non vederlo comparire stretto nel suo giaccone verde militare e
cullare quel libro dalla copertina grigia.
Ogni volta, ogni mattina, si sedeva al suo banco e tirava fuori il suo
quaderno da disegno. Fissava i vari ritratti che aveva fatto,
sospirando, cercando un teorema
che confutasse quello delle rette parallele, ma la sua conoscenza di
geometria si fermava al quadrato, o forse anche prima.
{...}
Tutto successe in un giorno primaverile. Forse marzo, forse aprile, non
ricordava, sapeva soltanto che la natura pareva risvegliarsi e con essa
anche i colori delle persone. Alcuni azzardavano un celestino, altri un
verde chiaro. Tutto intorno a lui aveva il sapore del risveglio,
persino la metro aveva un profumo diverso, il profumo dei fiori
primaverili che alcune ragazze portavano al collo, sbattendogli sul
naso la loro ricchezza con il nome ridondante degli stilisti che
avevano creato quella fragranza. Portava, insieme alla sua immancabile
borsa di pelle, il suo libro preferito. Lo aveva tirato fuori solo
perché la bottiglietta d'acqua si era rovesciata e, in mezzo
a
tutti gli appunti ed i libri, aveva voluto salvare solo quello,
perché il più importante. Si era seduto sulle
panchine
della banchina, osservando distratto il lento passare di quei tre
minuti d'attesa. La metro era arrivata, aveva aperto le sue porte,
mostrando tutta la luce accecante di quel ragazzo dai capelli argento
che se ne stava seduto accanto ad un altro dai capelli cenere. I suoi
occhi si erano illuminati, come di fronte ad un lampo notturno o al
flash di una macchinetta. Il sorriso aveva dipinto sulle sue gote un
rossore pallido, e, per via dello stupore, si era persino dimenticato
di tenersi saldamente allo corrimano della metro per non cadere a
terra.
- Vuoi sederti? - aveva chiesto il ragazzo argentato, il vecchio
ragazzo rosso fuoco.
Lui aveva scrollato la testa, ringraziando e sorridendo.
Anche il ragazzo gli aveva sorriso, continuando a parlare animatamente
con il ragazzo cenere. Mancavano due fermate e lui sarebbe sceso. Pur
consapevole di star perdendo un'occasione che non sarebbe mai
più capitata, non gli aveva detto nulla, fingendo di leggere
il
libro, ma osservandolo di sottecchi. Ancora una fermata.
La metro si era fermata di colpo, i freni avevano prodotto uno stridio
sgradevole ed il libro era scivolato dalle sue mani, cadendo a pochi
passi dal ragazzo dai capelli cenere che lo aveva raccolto.
- Tieni... questo è...- i suoi occhi castani si erano
soffermati sul suo volto prima di aprirsi ancora di più ed
illuminarsi - Frank!-
Lui aveva assottigliato gli occhi, cercando di mettere a fuoco il viso
del ragazzo, gli ricordava qualcuno, ma non riusciva a collegare quei
lineamenti spigolosi ad un nome, oppure ad un evento.
- Non sei Frank Iero?-
- Mikey, lascialo in pace! Magari hai sbagliato persona, anche
perché Frank aveva un percing al labbro.- aveva esclamato un
ragazzo dai capelli ricci che non aveva notato. Quello si che gli
ricordava qualcuno, così aveva annuito.
- Mikey... Way! E Ray Toro! Corso di chitarra? Non ti ricordi?-
Non ricordava ancora quel ragazzino dalle spesse lenti e quell'altro
dai folti capelli ricci, ma aveva finto stupore solo per conoscere
l'altro. Saltati i convenevoli, le domande di rito e vecchi ricordi che
non riusciva a riportare alla mente, finalmente l'aveva conosciuto. Le
loro mani si erano toccate per stringersi ed i loro nomi si erano
legati in uno scambio di "piacere" e di altri convenevoli.
L'altoparlante aveva annunciato la sua
fermata e lui si era congedato.
- Hey, Frank!- lo aveva richiamato Mikey
- Si? -
- Stasera suoniamo allo Spot, vuoi venire?-
Frank aveva accettato, non sapeva neanche che musica potevano suonare
quei tre, ma l'idea di incontrarlo nuovamente, di incontrare quel
Gerard dai capelli argento\rossi e gli occhi verdi era troppo
allettante per rinunciare.
- Allora ci vediamo lì. - aveva esclamato Gerard - E
complimenti per il libro, hai buon gusto.-
Era arrossito come una quindicenne in piena crisi ormonale, aveva
ringraziato e finalmente
era sceso dalla metro, svolazzando fino all'ateneo.
Quel giorno, durante una lezione di economia, un professore per
spiegare una delle tante teorie soporifere, aveva citato Euclide, anche
se la connessione fra le due cose non era ben chiara neanche a lui. Il
V postulato diceva :
«Quando una retta
incontra altre due rette e forma con esse dalla stessa parte angoli
interni la cui somma è inferiore a due angoli retti, quelle
due rette, prolungate all'infinito, devono incontrarsi dal lato dove si
trovano gli angoli la cui somma è inferiore a due retti.
»
Che riformulato con le sue parole suonava come :
Se due rette, la Retta G e la Retta F, parallele incrociano una retta M
ed una retta T, allora quelle due rette in un punto impreciso dello
spazio e del tempo si incontreranno per forza,
perché è
destino che si incontrino. Nessuno può
prevedere quello che succederà, nessuno potrà
dire a priori se quelle due rette torneranno ad essere parallele dopo
qualche metro, oppure si fonderanno in un unico segmento, ma
può scommetterci
il libro che lui farà di tutto pur di fondere, ancora, i
loro percorsi in uno unico.
Voi vi chiederete,
che diamine centrano le Rette parallele, Euclide e Dente in un sito di
fanfiction?
Ve lo dico subito :
Per prima cosa Rette parallele è un singolo di Dente, che io
vi consiglio di ascoltare perché merita, con tutto
che io non sono una vera e propria fan della musica italiana, anzi.
Euclide in parte centra, perché per mia enorme sfortuna ho
un
mucchio di cugini che vanno alle scuole medie\superiori ed ogni tanto
si intrufolano nel mio appartamento per chiedermi aiuto.
Non sono mai stata una fan della matematica\geometria, questo lo sanno
bene, ma visto che io oltre a dargli una mano, gli offro anche
cioccolata, thé, biscottini e gli faccio fare un po quello
che
vogliono, vengono anche per fare queste materie. E mentre uno dei mie
tanti cugini ripeteva ad alta voce... mi è venuta
l'ispirazione
xD
Mi scuso per aver usato sicuramente
erroneamente un postulato di Euclide, ma io l'ho interpretato a modo
mio, da studentessa di psicologia che non si ricorda un tubo di quelle
cose lì! xD
So che non ve ne fregherà nulla, ma era per farvi capire da
cosa è nato tutto questo.
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