THE
ANCIENT HARP’S MELODY
Non
era bella, Helga Hufflepuff.
Decisamente no, anzi.
Il suo ideale di
bellezza era molto più vicino a Rowena: alta, dalla pelle
diafana che brillava alla luce, con i lunghi capelli neri che,
impreziositi da un velo di perline, le ricadevano in morbide onde sulla
schiena, incarnava la regalità e l’acutezza
d’ingegno che Salazar ricercava in una donna.
Helga, invece, era
tutto il contrario.
Bassa e grassottella,
somigliava più ad una sguattera piuttosto che alla
fondatrice di una più che rinomata Scuola di Magia e
Stregoneria.
Era una strega molto
potente, certo, ma nel suo aspetto tutto gridava il contrario.
Rotonda –
troppo – sui fianchi, con i capelli castano chiaro raccolti
in un morbido chignon intrappolato in una retina dorata, spiccava per
le guance paffute e il sorriso gentile.
Se lui sceglieva
allievi Purosangue, Godric i più leali e coraggiosi e Rowena
accettava nella sua Casa solo coloro dotati di acume ed intelletto,
Helga apriva le braccia a tutti gli altri, senza distinzione,
richiedendo soltanto impegno e costanza nello studio.
Eppure…
Già,
perché c’era un ‘eppure’.
Helga, con quei suoi
occhi limpidi, azzurro cielo, e con quel suo sorriso gentile, sulle sue
labbra per essere donato agli altri, lo attraeva come l’ago
di una bussola è attratto dal Nord.
Perché?
Oh, quella
sì che era un’ottima domanda!
Salazar era tutto
ciò che Helga non era.
O, forse, Helga era
tutto ciò che Salazar non era.
Lei era generosa per
quanto lui avaro.
Era paziente per
quanto lui irascibile.
Helga aveva la
serenità, macchie nere coprivano il cuore di Salazar.
Gli occhi di Helga
erano azzurri più del cielo terso d’estate, quelli
di Salazar neri come le profondità di un pozzo, torbidi come
le sue acque.
Lei era dolce, lui la
dolcezza non sapeva nemmeno cosa fosse.
Lei era il sorriso che
gli studenti in difficoltà ricercavano, quando lui era il
terrore che essi rifuggivano in ogni momento.
Helga era pura,
Salazar era sporco.
Helga era buona,
Salazar era crudele.
Eppure, nonostante
fossero distanti come il Sole e la Luna, come la luce e la tenebra, si
attraevano.
O meglio, era Helga
che attraeva Salazar, come con una calamita.
E questo non andava
bene.
Non per Salazar
Slytherin, non per un uomo come lui.
Era una melodia dolce
e leggera, quella che invase l’ufficio del mago mentre era
assorto nei suoi pensieri.
Note leggiadre si
diffondevano penetrando dal soffitto, sino a raggiungere le orecchie di
Salazar, tanto disabituate ad un suono simile.
Spinto dalla
curiosità, egli seguì la musica fino al piano
superiore: proveniva dallo studio di Helga, la cui porta era socchiusa.
Salazar
sbirciò dentro, intrigato, ed individuò subito la
fonte di quel suono così dolce.
Al centro della
stanza, arredata con il buon gusto tipico di una dama, stava Helga.
In terra,
inginocchiata sul curato parquet, le gonne aperte a raggiera attorno a
lei, rosse come i petali di una rosa appena dischiusasi.
Le sue dita paffute
pizzicavano, delicate, le corde di un’arpa di squisita
fattura.
Era senza dubbio
originale egiziana, all’alta circa un metro, con fregi e
decorazioni geometriche che correvano lungo la cassa armonica, in legno
ricoperto d’oro.
Ne erano sopravvissuti
pochissimi esemplari in tutto il mondo, ed uno di essi lo possedeva la
famiglia Hufflepuff da molte generazioni.
Salazar rimase
lì, come uno sguattero che spia curioso la sua padrona, a
guardare la donna, rapito ed incapace di distogliere lo sguardo da
quella figura così strana, particolare.
Come faceva una donna
simile a generare qualcosa di così stupendo?
Come facevano quelle
dita, non affatto magre e delicate, a pizzicare con tanta leggiadria e
dolcezza le corde di uno strumento tanto regale?
Come era possibile che
una donna come Helga, così imperfetta, non bella, fosse in
grado di dar vita ad un qualcosa che, invece, trasmetteva proprio
perfezione, bellezza, regalità?
- Messer Slytherin,
potete accomodarvi, se vi aggrada.
- Non volevo recarvi
disturbo, madama.
- Oh, nessun disturbo,
anzi. Mi fa piacere che qualcuno possa trarre giovamento dalle mie
modeste note.
Helga fece un sorriso
gentile prima di tornare a dedicare la sua attenzione allo strumento.
Salazar, desideroso
senza un motivo preciso di continuare a lasciarsi cullare da quella
melodia, entrò ed occupò una morbida poltrona in
velluto marrone, con delle decorazioni in pizzo verde scuro.
In effetti,
rifletté il mago, quella musica donava tutto ciò
che donava la sua esecutrice: serenità,
tranquillità, una dolce pace interiore, uno strano bisogno
ancestrale.
Era impossibile, in
quella stanza, avere cattivi pensieri, pensare a problemi o
preoccupazioni.
Quel susseguirsi di
note, quel rincorrersi di toni e semitoni, quel risolversi di
quarte… quella melodia era Helga.
Helga era la musica.
Era quella musica che
lo cullava tra le braccia come la madre che non aveva mai avuto, che lo
carezzava dolcemente come la più premurosa delle amanti, lo
stava lentamente portando in uno stato dove il languore e
l’estasi avevano il sopravvento sul razionale e sul terreno.
Quasi non si accorse
di chiudere gli occhi e di schiudere le labbra, lasciandosi andare in
balia di quelle note, come un ciocco di legno si lascia trasportare
dalle maree.
Era una melodia
ancestrale, una melodia che andava a scavare nell’animo di
chi la udiva, che ne metteva a nudo il cuore, i problemi, i desideri
dello spirito, le bramosie del corpo.
Salazar si
sentì scoperto.
Si sentì
spogliato, nudo, vulnerabile come mai era stato.
Era come fare
l’amore con una persona che lo conosceva meglio di se stesso,
con qualcuno che sapeva tutto di lui e che non lo giudicava, che lo
amava.
Ad occhi chiusi,
Salazar vide Helga davanti a sé.
La vide bella, leggera
sopra di lui, più una presenza eterea che la donna in carne
ed ossa.
Immaginò di
amarla, di amarla lì su quella poltrona, sul tappeto, sulla
scrivania.
Si vide farla sua con
languore e con bramosia, fino a raggiungere entrambi l’apice,
con la consapevolezza di essere maledettamente perfetti insieme.
Con la consapevolezza
che il giorno e la notte, in fondo, sono complementari, e che
l’uno non può esistere senza l’altra.
Quando
riaprì gli occhi, Salazar era ancora sulla poltrona di
velluto marrone, leggermente scivolato in avanti, il volto appoggiato
alla mano ossuta.
La musica era cessata,
ed Helga lo guardava dal basso della sua posizione sul parquet, con un
sorriso strano sulle labbra carnose, il sorriso di qualcuno che sa.
- Spero di non avervi
tediato con la mia musica, messere. È particolare, molto
antica, e solo persone con l’animo di un certo tipo possono
comprenderla.
- Non mi avete affatto
tediata, madama Hufflepuff, anzi, tutt’altro. Devo
ringraziarvi per questo intrattenimento più che piacevole.
Con movenze eleganti,
Salazar si alzò e si inchinò, facendo un perfetto
baciamano alla dama sul parquet, per poi lasciare la stanza.
Era quella la vera
magia che Helga era in grado di sprigionare?
Aveva avuto un
assaggio della grande potenza magica della strega?
Chissà.
Forse, un giorno,
l’avrebbe compreso.
***
Vavvina's
Corner
Oh, beh... che dire?
E' la prima storia riguardante i Fondatori che scrivo, e devo dire che
non mi dispiace più di tanto. Non avevo mai scritto su di loro,
men che meno su questo pairing, ma mi è venuto questo spunto, perciò l'ho presa come una
sfida, e mi sono divertita a farlo.
E' un po' particolare, me ne rendo conto, ma spero possa piacere!
Vavvina ^^
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