Rabbia

di mamie
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Se n’era andato con una scrollata di spalle, una ruga di disappunto tra le sopracciglia, le labbra atteggiate più del solito ad una smorfia irata. Era stata un disastro, quella missione. Un disastro di organizzazione: pensavano di aver localizzato l’Innoncence in un posto, invece era da tutt’altra parte; erano arrivati in ritardo e se l’erano lasciata soffiare sotto il naso. I commenti di Kanda erano stati irripetibili e ora se ne stava immobile sull’orlo di quella scogliera dimenticata dal mondo mentre il vento gli frustava i capelli e le falde della giacca, Mugen ancora sguainata nella sua mano che quasi tremava dalla rabbia.
Molto più in basso, il mare si accaniva contro la roccia lanciando spruzzi di schiuma che arrivavano fino a lui come una nebbiolina che odorava di alghe e di sale.
Acqua. Cosa c’è di più cedevole dell’acqua? Con una mano la attraversi. Eppure quella forza smisurata avrebbe avuto ragione di tutto se avesse voluto: della pietra nera che si sfaldava in minuscoli granelli di sabbia, della barca che li aveva portati fin lì e che sarebbe stata facilmente spazzata via da quelle onde immense, dei loro corpi allenati che non avrebbero potuto fare nulla contro la violenza del risucchio, persino delle loro anime…  Ecco. Di fronte al mare tutti loro erano insignificanti, anche la loro guerra, le loro battaglie, le loro ferite, le loro perdite… tutto come polvere in un turbinio di schiuma. Un giorno altri avrebbero preso il loro posto e di tutte le loro pretese, le loro illusioni, il loro vivere non sarebbe rimasto forse neppure il ricordo.
Un tocco lieve, una mano sulla spalla: Linalee che lo guarda con quei suoi occhi liquidi da bambina antica.
- Andiamo?
- Sì.
Un giorno sarebbero stati come sabbia nel mare. Forse, in fondo era un sollievo.
 

Il mare
qualcosa da guardare
quando siamo adirati.
Poesia giapponese
 
  





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