L'ANGELO MITSUI
By Kgchan
Era il
tramonto di un giorno di maggio. Il cielo infuocato rendeva la spiaggia ancora
più romantica di quanto non lo fosse già. Uno spettacolo per
chi lo guardava.
Ma non lo era per Kaori. Lei stava passeggiando sul lungomare, ma il suo cuore era
dilaniato. Le sembrava che qualcuno glielo avesse strappato dal petto. Stava
camminando da ore, ma non aveva idea nemmeno lei di dove andare. Sentiva
soltanto il bisogno di allontanarsi, di scappare…
‘Ma scappare da cosa? Non si può scappare da tutto questo! Eppure… Avrei preferito non sapere nulla!’ Stava pensando.
Nel
frattempo si era seduta sulla spiaggia, aveva appoggiato la testa sulle
ginocchia ed aveva iniziato a piangere sommessamente.
“Tutto
bene?” chiese una voce al suo fianco.
Lei alzò
lo sguardo sul proprietario di quella voce. Era un ragazzo alto, occhi scuri,
capelli neri che con la luce rossa del tramonto avevano dei riflessi viola ed
aveva una cicatrice sul mento. Doveva avere all’incirca la sua stessa età.
“Io… sì,
sto benissimo.” Ma dai suoi occhi continuavano a
scendere copiose lacrime.
“Non sei
granché come bugiarda.” Disse con un sorriso rassicurante. “Se hai bisogno di
sfogarti, puoi farlo con me.”
“Non
voglio annoiarti con i miei problemi. Non so nemmeno chi sei.”
“A volte
ci si confida meglio con uno sconosciuto che con qualcuno che si conosce.”
Kaori
non era mai stata una persona che si fidava facilmente. Ma
sentiva il bisogno di parlare. Di dire a qualcuno ciò che tutto il suo corpo e
la sua mente ancora non volevano accettare. E se lui si offriva di starla a sentire perché non
approfittarne? Non era lei a costringerlo.
“Da
qualche tempo…” iniziò, ma poi si bloccò cercando la forza per parlare. Fece un
respiro profondo e ricominciò. Nel frattempo il ragazzo le si
era seduto di fianco.
“Da
qualche tempo non mi sento bene. Ho molto spesso dei dolori alla testa.
All’inizio pensavo fossero delle normali emicranie e non ci badai
troppo. Poi le cose iniziarono a peggiorare. Insieme al mal di testa si
aggiungeva sempre una forte nausea. Un giorno, durante
uno di questi attacchi, il dolore si fece talmente forte da farmi
svenire. La cosa accadde mentre ero a casa da sola. Quando mi ripresi e mi accorsi di ciò che era successo mi
spaventai tantissimo. Così mi decisi ad andare in ospedale per fare dei
controlli e capire cosa avessi. Ho fatto un mucchio
d’esami. Più passava il tempo più avevo paura di ciò
che potevo avere. In casa e con gli amici mi comportavo come il solito. Nessuno
sospetta che io stia male. Poi ieri il medico che sta
seguendo il mio caso mi ha chiamato dicendomi che
aveva i risultati dei test e voleva vedermi. Mi ha dato appuntamento per oggi.”
Fece una
pausa perché le era salito un groppo in gola che faticava ad andarsene. Poi
quando riuscì di nuovo a parlare continuò. “Mi ha
diagnosticato un cancro al cervello. Non operabile. Ha detto che mi restano da vivere soltanto tre mesi.” Disse tra i singhiozzi. “Io ho
solo 18 anni. Tra quattro mesi avrei dovuto compierne 19. Ma
non ci arriverò mai. Non potrò fare più niente.” Ormai non tentava nemmeno più
di controllare il suo pianto. “Stavo cominciando a pensare al mio futuro, a
cosa fare nella mia vita… Volevo iscrivermi
all’università, laurearmi in psicologia, trovarmi un ragazzo. Ero sicura che
non mi sarei sposata e non avrei avuto bambini, ma quella era una decisione
mia. Con il tempo avrei potuto cambiare idea. Volevo poter decidere io, non
volevo essere costretta a rinunciarci per un motivo del genere.”
Il
ragazzo le poggiò un braccio sulla spalla e l’attirò verso di sé. Lei appoggiò
la testa sul suo petto e si sfogò. Per tutto il tempo lui la cullò dolcemente,
senza cercare di calmarla. Sapeva che era impossibile calmare qualcuno che
aveva appreso una notizia del genere. Inoltre, sarebbe stata peggio se avesse
cercato di trattenere le sue emozioni. Lui voleva soltanto che si sfogasse il
più possibile.
Quando
Kaori smise di piangere era diventato buio e guardando
l’orologio notò che era passata un’ora.
“Scusami.
Ti ho costretto a rimanere qui a consolarmi per tutto questo tempo e tu magari
avevi altri impegni.” Disse la ragazza
mentre si alzava.
“Nessun
impegno. Non preoccuparti. E poi non mi hai costretto
tu. Sono io che l’ho voluto fare. Ce la fai ad andare a casa da sola? Vuoi che
ti accompagni?” Chiese, alzandosi anche lui.
“No,
grazie. Hai già fatto molto per me. Non voglio approfittare troppo della tua
gentilezza.”
“Come
preferisci.”
Si guardarono per alcuni istanti negli occhi, poi fu Kaori a
parlare.
“Grazie
di tutto. Davvero.” Disse con un leggero sorriso sulle labbra.
“Non ho
fatto nulla.” Le rispose ricambiando il sorriso.
“Hai
fatto più di quanto tu possa immaginare.” Detto questo
si alzò sulle punte dei piedi e gli diede un bacio sulla guancia. Poi si girò e
corse via.
Il
ragazzo continuò a guardare verso la direzione in cui si era allontanata. Poi
delicatamente si accarezzò il punto dove le labbra di Kaori l’avevano sfiorato.
Quel gesto decisamente l’aveva stupito.
Kaori
era arrivata davanti alla porta di casa sua.
‘Forza Kaori. Tira fuori un bel sorriso, così come hai
fatto in questi mesi. Non è cambiato niente. Loro non devono
sapere.’ Si spronò mentalmente.
Si
stampò in faccia un sorriso ed entrò in casa.
“Sono
tornata.”
“Bentornata tesoro. La cena è pronta.” Sua madre la raggiunse
nell’ingresso.
Kaori la
guardò negli occhi. No. Decisamente in quel momento
non se la sentiva di giocare all’allegra famigliola felice dove tutto va bene.
“Scusa
mamma, ho mangiato un panino poco fa. Ho ancora dei compiti da finire, ti
spiace se vado in camera a farli?”
“Sicura
che non vuoi niente? Ho fatto il pollo arrosto, il tuo piatto preferito.”
“Sono
sazia per ora. Eventualmente se me ne lasciate un po’, lo mangio più tardi.”
“E va bene. Te lo lascio nel forno.”
“Grazie.”
Così dicendo salì al piano superiore e si chiuse nella sua camera. Si buttò di
schiena sul letto e rimase così a lungo, fissando il soffitto, non pensando a
niente. Finché si addormentò.
Il giorno seguente, quando le lezioni erano appena finite, Kaori
voleva tornarsene subito a casa. Non le andava di fare nulla. A che pro? Entro poco tempo
tutto sarebbe finito.
Aiko, la
sua migliore amica, aveva altri progetti in mente.
“Dai, ti
prego!” le stava dicendo.
“Ma perché non ci vai da sola?” chiese Kaori scocciata.
“Non
posso! Sarebbe come ammettere di esserci andata solo per lui!”
“Perché, non è così?”
“Sì. Ma
se sono con un’amica, posso anche dire che ci sono capitata per caso.”
“Secondo
me lo capirebbe subito che è una balla.”
“Ma non
potrebbe averne la certezza se tu mi reggessi il gioco.”
“Aiko,
non ho molta voglia di andare per locali.”
“Ma tu sei la mia migliore amica.”
“Com’è
che ‘sta storia la tiri fuori sempre quando ti fa più
comodo?”
“Andiamo
Kaori. Non ti comporti mai come una ragazza della nostra età. A volte mi sembra
quasi che tu sia una vecchietta con un piede nella fossa.
Possibile che non hai mai voglia di divertirti? Alla nostra età non ci si
dovrebbe limitare a sopravvivere. Si dovrebbe vivere.”
“Vivere…”
ripeté Kaori.
“Già,
vivere.” Le fece eco Aiko.
“E va bene. Verrò.” Acconsentì.
Le due
ragazze uscirono quindi dalla scuola e si diressero verso un bar.
Il
ragazzo di Aiko, o meglio il suo ex ragazzo, si
riuniva sempre lì con i suoi amici. I due avevano litigato recentemente e si
erano lasciati. Aiko però continuava ad essere pazza
di Hiroshi e Kaori era certa che anche lui volesse ancora molto bene ad Aiko.
Subito
dopo essere entrate avevano già individuato la posizione di Hiroshi. Anche lui le aveva viste.
“Ci ha
viste! Cosa faccio? Dovrei andare da lui? No, è lui
che ha frainteso. Quindi è lui che deve venire a chiedere scusa, se gli
interesso ancora.” Iniziò a blaterare Aiko.
Il
motivo della loro lite era stato un malinteso. Lui l’aveva vista insieme ad un ragazzo. Camminavano abbracciati per strada e
sembravano molto in confidenza. Solo che il ragazzo in questione altri non era
che il cugino di Aiko venuto a trovarla dopo tanti
mesi di lontananza. Il cugino, studiando ad Osaka, non riusciva a vedere molto
Aiko ed entrambi per questo sentivano molto la
mancanza l’uno dell’altra. Fin da bambini erano sempre stati inseparabili e si
amavano come fratelli.
Comunque a Hiroshi il loro atteggiamento non era piaciuto ed era andato da
lei dicendole che era una traditrice e che tra loro era finita. Non le aveva nemmeno dato il tempo di spiegare perché era subito corso
via. Il giorno seguente Kaori, dopo essere stata messa al
corrente dei fatti da Aiko, era andata a spiegare come stavano
esattamente le cose a Hiroshi. Sia lui che la sua amica, però, erano troppo orgogliosi e testardi.
Decise
di aiutarli ancora un po’. Si alzò dalla sedia dicendo ad Aiko di aspettare lì
e andò da Hiroshi.
“Aiko è
lì. O vai da lei adesso e le chiedi scusa, o tra voi ho la sensazione che
finirà sul serio.” Gli disse.
“È stata
lei a mandarti?”
“No, è
stata una mia iniziativa. Perché non sopporto di vedere due miei amici star
male.” Disse seria. Poi le sue labbra si curvarono in un sorriso. “Non farla
aspettare. Avete già perso troppo tempo.”
Lui la
ringraziò e si avviò verso Aiko per fare pace. Kaori rimase ad osservarli
finché non li vide baciarsi. Almeno a loro era andata bene.
“È bello
quello che hai fatto.” La voce arrivava dalle sue spalle. L’aveva riconosciuta
subito. Si voltò ed ebbe conferma. Era il ragazzo della spiaggia.
“Non
credevo che ti avrei rivisto.” Disse felice di essersi sbagliata.
“Io
invece lo speravo Kaori.”
“Come
sai il mio nome?”
“Sei
stata tu a dirmelo.”
Kaori
era convinta di non averglielo detto. Lui sembrò intuire i suoi pensieri.
“Probabilmente
eri talmente stravolta che non ci hai fatto caso.”
“Sì, può
darsi.” Poi pensò che lei non sapeva il suo nome, o non lo ricordava. “Potrò
sembrarti scortese, ma qual è il tuo nome? Devo essermelo dimenticato.”
“No, non
te lo sei dimenticato. Non te l’avevo ancora detto. Mi chiamo Hisashi Mitsui.”
“Mitsui
posso offrirti qualcosa? Come ringraziamento per ieri.”
“Solo se
mi fai compagnia.”
I due si
sedettero ad un tavolino un po’ in disparte dove la musica arrivava meno forte
consentendo di parlare.
“Abiti
qui a Kanagawa?” gli chiese Kaori.
“Sì, mi
ci sono appena trasferito. Sono arrivato ieri.”
“Che bel
benvenuto che hai avuto.” Disse ironicamente. “Dove abitavi prima?”
“A
Hokkaido.”
“Ti sei
trasferito qui con i tuoi?”
“No,
sono da solo.”
“E i
tuoi genitori?”
“Sono
orfano. Non li ho mai conosciuti.”
“Mi
dispiace. Non dovevo essere così impicciona.” Disse preoccupata per la gaffe
fatta.
“Tranquilla.
Non mi da fastidio parlarne.”
Rimasero
a lungo a chiacchierare. Finché Kaori si accorse che non vedeva più in giro né
Aiko né Hiroshi. Si diresse dagli amici del ragazzo seguita da Mitsui per
chiedere se sapevano dove fossero finiti.
“Sono
andati via. Aiko ha detto che ti aveva cercata ma non ti ha trovata e se ti
vedevamo ci ha chiesto di avvertirti.”
Dopo
averli ringraziati, Kaori notò che si era fatto tardi e Mitsui si offrì di
accompagnarla a casa.
“Secondo
te cosa succede a chi muore? Viene mandato in paradiso, o all’inferno a seconda
dei casi?” chiese di punto in bianco la ragazza.
“Io
credo che ci sia un posto dove le anime di chi muore possono trasformarsi in
energia che raggiunge poi i cuori delle persone a lui, o lei, care. Diventando
parte di loro.”
“Trasformarsi
in energia e diventare parte dei propri cari.” Ripeté. “Mi piace molto di più
che l’idea del paradiso.” Disse dopo averci riflettuto.
Nel
frattempo erano arrivati davanti alla casa di Kaori. I due si salutarono.
Quando Mitsui vide la ragazza entrare e chiudere la porta, si voltò e si
diresse verso un vicolo buio. Vi entrò e… scomparve.
‘Devo
stare più attento. Non devo più commettere errori come quello di prima. Mi sono
lasciato sfuggire il suo nome come un idiota!’
“Che
stai facendo Mitsui?” chiese una voce alle sue spalle con tono duro.
“Che
vuoi dire Miyagi?”
“Sai
benissimo a cosa mi riferisco. Il tuo compito non è quello di diventare suo
amico. Devi limitarti a toglierle l’energia vitale.”
“Ma è
così giovane! Ha in sé tanta vitalità! Ha appena saputo che sta morendo e si
preoccupa lo stesso di aiutare i suoi amici.”
“Dimmi
che non è come penso.” Disse Miyagi. Il suo tono per niente mutato.
“E cosa
pensi?”
“Che ti
stai affezionando a lei.”
“Sarebbe
così sbagliato?”
“La
prima regola del nostro lavoro è proprio quella di non affezionarsi alle
persone che ci vengono affidate. Dovresti saperlo.”
“Lo so
ma…”
“Niente
ma. Tu sei un angelo della morte e lei è la persona a cui devi
togliere l’energia vitale per farla morire. Se non riesci a farlo sarà affidata
a qualcun altro. Fine della discussione.”
Il
giorno seguente Mitsui si fece trovare fuori dalla scuola di Kaori alla fine
delle lezioni.
“E tu
che ci fai qui?” chiese la ragazza piacevolmente stupita di trovarselo davanti.
“Volevo
vederti.” Disse tranquillamente.
“E come
mai?”
“Non c’è
un motivo particolare. Volevo vederti e passare un po’ di tempo con te. Sempre
se non hai altro da fare.”
“Sono
libera.”
I due si
incamminarono verso la spiaggia.
“Come
vanno le cose con la tua famiglia?”
“Intendi
se gli ho detto del tumore?”
“Sì.”
“Non ho
detto niente. Se lo facessi mi ritroverei continuamente intorno delle facce
disperate. Io non voglio passare i miei ultimi giorni piangendomi addosso. Ieri
Aiko ha detto una cosa che mi ha fatto riflettere. Mi ha detto che secondo lei
mi sono sempre limitata a sopravvivere, senza mai vivere veramente. Ho capito
che aveva ragione. Anche prima di sapere del tumore quello che facevo non si
poteva certo definire vivere. Andavo a scuola, tornavo a casa, studiavo,
mangiavo e dormivo. Giusto ogni tanto mi concedevo un’uscita con le amiche. Ma
saranno state una al mese al massimo. Non voglio passare così anche gli ultimi
tre mesi della mia vita. Voglio fare tutte quelle cose che non ho mai fatto in
questi anni. Voglio divertirmi, stare con gli amici, far capire alla mia
famiglia quanto io la amo e…” si interruppe.
“E?” la
incitò Mitsui.
Lei
arrossì. “Non posso dirtelo.”
“Mi
pareva ti fidassi di me?”
“E mi
fido, ma… è imbarazzante.”
“Che
cosa può essere per imbarazzarti così?” era curioso ed iniziò a tormentarla per
farsi dire cosa fosse.
“Uffa!
Va bene! Te lo dico!” Disse per farlo smettere. “Voglio avere un ragazzo.”
Lui
parve stupito.
“Non hai
mai avuto un ragazzo? Eppure carina come sei è difficile crederlo.”
Kaori
arrossì a quel complimento. Poi spiegò. “Ho avuto un paio di ragazzi, infatti.
Ma io intendevo che voglio avere un vero ragazzo.”
“Perché
gli altri erano donne?” la prese un po’ in giro non capendo cosa intendesse.
“Bah,
possibile che non capisci? Intendevo dire che voglio avere un ragazzo con cui
stare… fisicamente.” Disse a bassa voce. Il viso ormai scarlatto.
“Oh,
capisco.”
“Il
fatto è che… non voglio morire vergine.” Spiegò sempre più imbarazzata.
“Quindi
ti va bene un ragazzo qualsiasi?”
“Non ho
detto questo. Deve essere un ragazzo verso cui provo oltre a della semplice
attrazione fisica anche un certo coinvolgimento emotivo.”
“Sai già
con chi vorresti…?” chiese anche lui con un certo imbarazzo.
“No, non
è una cosa facile.”
Entrambi
si sentivano imbarazzati dopo quella chiacchierata. Così quando Kaori vide un
chiosco che vendeva bibite, andò a prenderne un paio dicendogli di aspettarlo
lì.
‘Ma cosa
mi è saltato in testa di dirglielo? Avrà capito che io stavo parlando di lui?’
‘Ma cosa
mi succede? L’idea di lei che fa sesso con qualcuno mi fa ribollire di rabbia.
Eppure non posso innamorarmi di lei. Io devo farla morire… Maledizione! E
pensare che ci sono certi che ci godono ad essere angeli della morte e a far
morire la gente… Ma che sto dicendo? Certi che ci godono? Tutti gli angeli
della morte ci godono. Anch’io fino a non molto tempo fa godevo nel togliere la
vita alle persone. Perché cavolo adesso dovrebbe essere tutto diverso? Adesso
quando torna inizierò a succhiargli la vita… E poi tra tre mesi… lei non ci
sarà più… Ma perché proprio lei? Ci sono tante persone che meritano di morire…
E allora perché fra tutti proprio lei? Datemi una risposta!’
“Ecco la
tua aranciata.” La sua voce lo riportò alla realtà.
La
ringraziò e continuarono a camminare.
Continuarono
a vedersi anche durante le tre settimane successive. Le loro uscite avevano
risollevato un po’ il morale di Kaori. Certo continuava a pensare al tumore che
aveva e si disperava all’idea di dover morire. Ma Mitsui le aveva ridato un po’
di gioia di vivere. Quando era con lui riusciva a non pensare alle cose tristi.
Era inutile negarlo. Si stava innamorando di lui.
Anche
quel giorno avevano un appuntamento. Avevano deciso di andare al luna park
appena fuori città.
Come da
accordi Mitsui passò a prenderla a casa alle 14. Suonò al campanello e fu sua
madre ad aprirgli ed a farlo accomodare in casa.
“Mia
figlia arriva subito. Sta finendo di prepararsi. Vuoi qualcosa da bere? Un
caffè magari? L’ho appena fatto.”
“La
ringrazio. Accetto volentieri.”
Mentre
la donna gli versava il caffè, gli parlò.
“Credo
di doverti ringraziare Mitsui.”
“Perché?”
chiese stupito e confuso.
“Perché
grazie a te mia figlia ha ritrovato parte del suo buonumore. Era da qualche
mese che mi sembrava sempre triste. Kaori è il tipo di persona che se ha
qualche problema tende a tenersi tutto dentro. Non parla con nessuno e soffre
da sola. Lei pensa che io non me ne sia accorta, che basti farsi vedere
sorridente per far credere che tutto vada bene. Ma il sorriso che sta mostrando
in questo periodo non è il suo vero sorriso.”
“Cosa
vuole dire che non è il suo vero sorriso?”
“Sorride
con le labbra, ma i suoi occhi rimangono velati di tristezza. Ho come la
sensazione che si stia allontanando da me. In modo definitivo.”
Mitsui
non disse niente. Si limitò ad abbassare lo sguardo.
“Scusa.
Ti sto annoiando con dei discorsi assurdi.” Disse la donna fraintendendo il
motivo del suo silenzio.
“No, non
mi sta annoiando. Mi interessa ciò che riguarda Kaori.” Si stupì, quando si
accorse che ciò che aveva detto corrispondeva alla verità.
La madre
di Kaori gli sorrise.
“Ti
mostro una cosa.” Lo condusse in sala e gli fece vedere una fotografia di Kaori
in primo piano. Stava ridendo. Dai suoi occhi sembrava sprigionarsi una luce.
In quella foto si vedeva chiaramente che era felice.
Quegli
occhi avevano incantato Mitsui. La madre di Kaori lo guardò sorridendo, mentre
lui osservava rapito la foto della ragazza.
Era
ancora intento a guardare la foto, quando Kaori arrivò.
“Ciao
Mitsui. Scusa, se ti ho fatto aspettare.”
“Oh,
nessun problema.” Disse rimettendo a posto la foto.
Dopo
aver salutato la madre di Kaori uscirono da casa e si diressero al luna park.
Si
divertirono molto. Il luna park era talmente grande che ci misero diverse ore
per girarlo tutto.
Al
tramonto decisero di fare un giro sulla ruota panoramica.
Nella
cabina c’erano soltanto loro.
“È
stupendo vedere la città al tramonto.” Disse Kaori guardando fuori.
“Hn.” Fu
l’unica risposta che ricevette.
Kaori si
voltò verso di lui.
“Che
cos’hai? Sei molto silenzioso.”
“Non è
nulla.” Disse guardandola negli occhi.
Rimasero
a fissarsi alcuni attimi.
‘Quando
mi guarda così mi sento strana. Mi ci perderei nel suo sguardo. È così
misterioso. Sembra che ti trasporti in un altro mondo.’
‘Non
posso continuare così. Prima o poi dovrò farlo. Assorbire la sua energia… Ma…
Non voglio! È più forte di me. Io… È inutile nasconderlo anche a me stesso. Mi
sono innamorato di lei. Della persona che devo uccidere!’
“Che
c’è? Ti sei incupito improvvisamente.”
“Non è
nulla.” Ripeté per la seconda volta.
“Non ci
credo.”
“Perché?”
“Perché
è tutto oggi che hai degli sbalzi d’umore incredibile. Prima ridi e scherzi,
poi, all’improvviso, ti rabbui.”
“È che…
pensavo.” Rispose vago.
“A
cosa?” insistette lei.
“Mentre ti aspettavo, ho parlato con tua madre.”
“Di cosa?”
chiese preoccupata.
“Mi ha
detto che da qualche mese ti vede triste. Ha detto che si è accorta che stai
cercando di farle credere che vada tutto bene… E che ha la sensazione che tu ti
stia allontanando definitivamente da lei.”
“Tu le
hai detto qualcosa?”
“No. Ma
tu dovresti farlo.”
“Te l’ho
già detto! Non voglio!”
“Non
pensi che i tuoi abbiano il diritto di saperlo?”
“E cosa
dovrei dirgli? Ciao mamma, ciao papà sono tornata a casa. A proposito tra un
paio di mesi circa la vostra unica figlia morirà.” Disse in tono sarcastico.
“Non mi pare proprio il caso.”
“Ma
almeno potresti iniziare a prepararli. Non pensi che soffriranno di più non
sapendo nulla, quando tu…” la sua voce si spense. Non riusciva a dirlo.
“Lo so.
Ma dirglielo ora potrebbe essere anche peggio. Vedere le loro facce tristi…
Sarebbe come morire rimanendo viva. Il mio potrà sembrarti un discorso
egoistico, ma non ci posso fare niente.” Disse, mentre alcune lacrime
iniziavano a scorrere sulle sue guance.
“Kaori…”
Mitsui le si avvicinò e l’abbracciò. “Mi dispiace. Sono stato un idiota a
parlarti in quel modo.”
“Lo so
che vuoi aiutarmi.”
“Kaori…”
le diede un bacio sui capelli continuando ad abbracciarla.
“Io…”
iniziò Kaori interrompendosi subito.
“Parla
tranquillamente con me. Non tenerti tutto dentro.” La sua voce era rassicurante
come il suo abbraccio.
“Io non
ce la faccio! Non voglio morire! Non voglio lasciare la mia famiglia, i miei
amici… E non voglio lasciare te!”
Mitsui
sentì il suo cuore smettere di battere per un attimo per poi riprendere più
veloce del normale.
“Neanche
io voglio perderti.” Disse in un sussurro.
“Mitsui?”
“Dimmi.”
“Credo
di essermi innamorata di te.” Disse tutto d’un fiato.
“Credo
di avere il tuo stesso problema.”
Si
allontanò leggermente da lei. Quel tanto che consentisse loro di guardarsi
negli occhi. Poi Mitsui abbassò il suo viso su quello di Kaori e si baciarono.
Dapprima
fu un bacio timido. Poi divenne sempre più profondo. Kaori allacciò le sue
braccia dietro il collo di Mitsui, mentre lui la stringeva per la vita. In quel
bacio riversarono tutti i loro sentimenti: l’amore appena scoperto, la
disperazione di sapere che avevano poco tempo e la paura per il futuro.
Quando
Mitsui la riaccompagnò a casa, un paio d’ore più tardi, Kaori si sentiva meglio.
Indossò come al solito la sua maschera felice e dopo averlo salutato entrò in
casa. Si accorse, però, che non dovette sforzarsi troppo per mostrarsi felice.
Intanto
Mitsui si incamminò verso il vicolo buio vicino a casa di Kaori e scomparve.
Quando riapparve
nella sua dimensione, si trovò davanti Miyagi. Lui era il suo migliore amico ed
anche il controllore degli angeli della morte. Il suo compito era assicurarsi
che gli angeli assorbissero l’energia vitale dalle persone loro affidate.
Spesso poteva sembrare duro nei suoi confronti, ma Mitsui sapeva che lo faceva
perché ci teneva a lui.
Senza
preamboli Miyagi iniziò a parlare. “Mitsui se continui così, ti metterai nei
guai. Sono un tuo amico e non voglio fare la spia, ma se continui ad evitare di
assorbire la sua energia, mi vedrò costretto a farti togliere l’incarico.”
“Miyagi,
ti prego, non farlo. Lo so che è sbagliato quel che sto facendo, ma è più forte
di me. Non ti è mai capitato di incontrare una persona che ti facesse provare
sensazioni mai sperimentate prima?”
“Ti
riferisci all’amore?”
“Sì.”
Dopo
qualche attimo di silenzio, Miyagi decise di confidarsi con Mitsui. “Mi è
capitato una volta sola. Quando non ero ancora un angelo della morte. Lei si
chiamava Ayako. Era bellissima. Io ero innamorato di lei, ma lei non si
accorgeva nemmeno della mia esistenza. Eravamo compagni di classe. Lei era la
manager della squadra scolastica di basket. Per farmi notare mi c’iscrissi.
Diventammo amici…” Si fermò.
“E cosa
successe dopo?” chiese curioso Mitsui.
“Fu il
mio primo incarico.” Disse in sussurro.
“Mi
dispiace.” Mormorò Mitsui.
Gli
angeli della morte prendono coscienza della loro identità dopo aver assorbito
l’energia vitale di qualcuno. In genere la prima volta non sanno nemmeno come
fanno. Solo dopo un angelo più anziano si affianca a loro per spiegare
l’origine del loro potere e il compito che avevano. Gli angeli anziani in
realtà controllano fin dalla nascita coloro che diventeranno poi angeli della
morte. Li potevano riconoscere grazie ad una particolare aura che li
distingueva. Non appena venivano alla luce, uno degli angeli anziani sentiva la
loro presenza ed iniziava a tenerli d’occhio.
Miyagi
era stato l’angelo anziano assegnato a Mitsui. Era in questo modo che si erano
conosciuti ed erano diventati amici.
“È successo tanto tempo fa. Comunque, per ora non dirò
niente. So quanto sia difficile da fare, ma devi farlo. O preferisci che lo
faccia qualcun altro?”
“No. Lo
farò io. Mi serve solo un po’ di tempo.”
Miyagi
annuì e poi scomparve lasciandolo da solo.
‘So che
dovrei farlo… Ma davvero non esistono altre soluzioni?’
Erano
passate tre settimane da quando si erano scambiati il primo bacio. E in quel
tempo se ne erano scambiati molti altri. Mitsui non aveva ancora iniziato ad
assorbire l’energia di Kaori.
Quella
mattina il ragazzo era passato a prenderla a casa.
“Dove
vuoi andare oggi?” le chiese dopo averla salutata.
“Ci
sarebbe un posto che vorrei vedere.”
“Quale?”
“Casa
tua.” Disse tranquilla guardando davanti a sé.
“Casa…
mia?”
“Sì, non
l’ho mai vista e vorrei vederla. E poi…” arrossì imbarazzata e si interruppe.
“E poi?”
“Non ci
arrivi da solo?” disse diventando ancora più rossa.
Mitsui
ci mise un po’ ad arrivarci. “Intendi…? Vuoi…?” iniziò a balbettare.
“Stare
con te.” Finì per lui la frase guardandolo negli occhi.
Notando
che lui stava zitto, pensò di aver sbagliato ad essere così diretta.
“Certo
se tu non vuoi, possiamo anche andare da qualche altra par…”
“No!” La
interruppe. “Per… per me va bene.” Disse anche lui alquanto imbarazzato.
Si
presero per mano e camminarono in silenzio fino a casa di Mitsui.
Era un
piccolo appartamento situato al quinto piano di un palazzo. Era composto da un
salotto, dalla cucina, dal bagno e da una camera da letto.
Mitsui
le fece fare un giro della casa. Quando le mostrò la camera da letto, entrambi
rimasero imbambolati sulla porta.
“Senti,
ti va di bere qualcosa?” domandò Mitsui.
“Sì
grazie. Se è possibile, gradirei un tè.”
“Ho del
tè nero e alla menta come lo preferisci?”
“Alla
menta.”
Mentre
Mitsui preparava il tè in cucina, Kaori lo aspettò in salotto.
‘Come
sono tesa! In fondo credo che sia normale. Certo che anche lui non sembra molto
esperto. Dopo avergli detto ciò che volevo fare, pensavo che mi avrebbe portata
di corsa a casa e si sarebbe dato da fare… Certo che ho scelto proprio una
brutta espressione: darsi da fare. Comunque sia sono felice che non l’abbia
fatto. È ancora più dolce di quanto pensassi. E mi fa sentire ancora più sicura
della mia scelta.’
‘Non
riesco ancora a crederci. Kaori è di là e vuole…’ I suoi pensieri furono
interrotti dall’apparizione di Sakuragi, un altro angelo della morte.
“E tu
che cavolo ci fai qui?” gli chiese Mitsui bisbigliando.
“Che
accoglienza!” disse a voce alta.
“Abbassa
la voce!”
“Hai
ospiti?”
“Sì.
Perciò gradirei che te ne andassi fuori dalle scatole.”
“E chi
è? Uomo o donna?”
“Sakuragi
ti ho detto di andartene!”
“Se sei
così suscettibile, mi viene da pensare che sia una donna. Fammela conoscere.”
“No!”
gli disse fulminandolo con lo sguardo.
“Che
antipatico! Vorrà dire che non ti farò più conoscere le mie conquiste.”
“A parte
il fatto che tu non hai mai fatto conquiste e sei stato scaricato da 50
ragazze, se non ricordo male, ti assicuro che non mi fa né caldo né freddo la
tua minaccia. Sempre se si può considerare una minaccia.” Disse acido.
“Sei
cattivo.” Piagnucolò.
“Sakuragi,
non è aria oggi. Se hai bisogno di parlarmi, torna domani. Oggi non ho tempo.”
“Quasi,
quasi non ti riferisco il messaggio.”
“Che
messaggio?!” Iniziava decisamente a spazientirsi.
“Il capo
mi ha ordinato di venire a prenderti. Ti vuole vedere subito.”
“E
perché cavolo non me l’hai detto subito?”
Sakuragi
si limitò a fare spallucce.
“Vai
avanti e digli che arrivo. Mi invento una scusa e ti raggiungo.”
“Fai in
fretta. Lo sai che, se si arrabbia, sono guai.”
“Se te
ne andassi, potrei fare anche più in fretta!”
Sakuragi
lo guardò male, ma decise che era meglio andarsene e quindi scomparve.
Subito
dopo Mitsui uscì dalla cucina con un vassoio su cui erano poggiate due tazze, qualche
biscotto e la teiera. Appoggiò tutto sul tavolino davanti a Kaori.
“Kaori
ti posso lasciare qui per un po’ da sola?” le chiese.
“Come
mai?”
‘E
adesso che mi invento?’ pensò Mitsui poi disse: “Devo andare a comprare una
cosa. Non ci metterò molto.” ‘Almeno spero.’ Aggiunse mentalmente.
“Non
posso venire con te?”
“Beh…
ecco…”
Kaori
fraintese il motivo dell’imbarazzo e arrossì mentre parlò. “Ho capito.
Comprarli con una ragazza ti imbarazza.”
“Cosa?”
chiese confuso.
Lei
sembrò non sentire la sua domanda perché continuò nel suo monologo.
“In
effetti ti ho detto io che volevo stare con te, ma non avevo pensato a
comprarne.”
“Di cosa
stai parlando?” chiese sempre più confuso.
“Dei
preservativi. Tu non stavi parlando di quelli?”
“S-sì,
certo. Stavo parlando proprio di quelli. Sarò di ritorno tra poco.”
“Ti
aspetto qui.” Disse Kaori regalandogli un sorriso fiducioso. Subito dopo Mitsui
uscì.
‘Sono un
bastardo! Lei si fida di me, mentre io la sto ingannando!’ Pensò Mitsui subito
prima di infilarsi nell’ascensore e sparire subito dopo che le porte si
chiusero.
“Mi hai
fatto chiamare?” chiese Mitsui al cospetto del suo capo.
“Sì
Mitsui. Mi sono giunte alcune voci. Voci che non mi piacciono per niente.”
“A che
riguardo?” disse cercando di restare calmo.
“Riguardo
al fatto che in questo mese e mezzo tu non abbia ancora assorbito energia dalla
persona che ti è stata affidata. È vero?”
Mitsui
non rispose. Si limitò ad abbassare lo sguardo.
“Voglio
fidarmi di te. Sei sempre stato un ottimo angelo della morte. Perciò mi
limiterò ad un avvertimento per ora. Ma vedi di iniziare il tuo lavoro.
Altrimenti…” lasciò volutamente in sospeso la frase. “Ora vai. E non
deludermi.”
“Sì,
Akagi.” Rispose con un accenno d’inchino. Dopodiché scomparve per tornare a
casa, fermandosi prima al market.
“Sono
tornato!” Disse entrando in casa e chiudendo la porta.
Nel
salotto non trovò nessuno.
‘Che se
ne sia andata?’ pensò con una fitta al cuore.
“Kaori?”
provò a chiamarla, mentre posava il pacchetto del market sul tavolino.
La porta
del bagno si aprì ed apparve lei con indosso soltanto un asciugamano.
“Spero
che non ti dispiaccia, ma, mentre ti aspettavo, ho pensato di fare una doccia.”
“N-non
c’è problema.” Sussurrò balbettando non riuscendo a distogliere lo sguardo da
lei.
Rimasero
a fissarsi per alcuni istanti. Poi Mitsui si avvicinò lentamente a Kaori.
La
baciò. Subito sentirono nascere la scintilla della passione.
La prese
in braccio e, senza staccare le labbra dalle sue, la condusse in camera da
letto. Dimentico di tutto. Della sua missione, di ciò che era in realtà e del
pacchetto lasciato sul tavolo. Entrò in camera e si chiuse la porta alle
spalle.
Era
quasi ora di pranzo, quando Mitsui si svegliò. Si sentiva bene come mai in vita
sua. Si sentiva felice. Era nel suo letto stringendo tra le braccia Kaori, il
suo amore. Eppure c’era qualcosa che non gli tornava. Aveva la sensazione di
essersi dimenticato qualcosa. Ripensò a ciò che era successo subito dopo essere
tornato a casa.
‘Allora
vediamo… sono entrato in casa e ho visto che non c’era nessuno. Ho chiamato
Kaori ed ho appoggiato il pacchetto del market sul tavolo poi l’ho vista e… Un
momento! Il pacchetto del market. L’ho lasciato sul tavolo! Non ho usato
protezioni!’
“Merda!”
disse.
Kaori si
era appena svegliata, quando sentì l’esclamazione di Mitsui.
“Che
succede?” chiese con voce assonnata.
Lui si
voltò a guardarla.
“Ecco…
non so come dirtelo.”
Kaori
iniziò a preoccuparsi. “Qualunque cosa sia dimmela e basta.”
“Non ho
usato protezioni.” Le disse guardandola negli occhi.
Lei
abbassò lo sguardo e si limitò a mormorare un: “Oh.”
“Oh? È
tutto quello che sai dire?”
“È che
mi hai colta alla sprovvista.” Spiegò lei.
Mitsui
non disse niente, ma la strinse a sé più forte.
Rimasero
così per diversi minuti. Dopodiché dovettero dare ascolto ai loro istinti
primordiali che in quel momento reclamavano cibo.
Mentre
erano seduti a tavola, Kaori stupì Mitsui parlando di ciò che era successo.
“Non
credo sia il caso di preoccuparci. È successo solo una volta. Non credo ci
saranno conseguenze.”
“E se
fossi rimasta incinta?”
Kaori si
rabbuiò. “Il problema non si pone. Anche se fosse, ti ricordo che non riuscirei
a portare a termine la gravidanza.”
Quella
frase li fece piombare entrambi in uno stato sofferente.
Quello
che era successo tra di loro li aveva avvicinati ancora di più. E se prima
l’idea della sua morte era difficile da accettare, adesso era diventata
impossibile.
Dopo
aver pranzato e lavato i piatti, si sedettero sul divano a guadare la
televisione.
Mitsui
era seduto normalmente, mentre Kaori aveva le gambe sul divano e la schiena
appoggiata al suo petto. In quel momento avevano bisogno di sentire l’uno il
calore dell’altra.
Il loro
rapporto dopo quel giorno si era approfondito e ogni qualvolta s’incontravano,
finivano sempre per andare nell’appartamento di Mitsui, ma non c’erano più
state dimenticanze.
Fu così
che passarono altre tre settimane.
Da un
paio di giorni Mitsui aveva notato che Kaori era più nervosa del solito. Aveva
pensato fosse dovuto al fatto che i tre mesi datigli dal medico stavano
giungendo al termine. Per lo meno questo era ciò che credeva lei. Mitsui,
infatti, non aveva ancora iniziato ad assorbire la sua energia.
Quel
giorno, subito dopo averlo salutato, lei gli aveva detto che doveva parlargli.
L’aveva condotto al parco vicino a casa sua. Si sedettero sulle altalene.
Kaori, però, non parlava. Così Mitsui la incoraggiò ad iniziare.
“Hai
detto che dovevi parlarmi. Coraggio. Sono tutt’orecchi.” Le disse sorridendo.
“Te lo
dico perché penso che sia giusto che tu lo sappia.” Fece una pausa e dopo un
respiro profondo riprese. “Ricordi la prima volta che abbiamo fatto l’amore?”
“Come
potrei scordarla? È stato il giorno più bello della mia vita.” Il suo tono era
dolce.
Kaori
non poté impedirsi di sorridere. “Lo è stato anche per me.” Ammise. Poi
tornando ad avere un’espressione seria continuò a parlare. “Ti ricordi anche
quello che è successo?”
“A cosa
ti riferisci?”
“Ad una
certa dimenticanza.”
“Sì, me
la ricordo.” Disse diventando anche lui serio.
“Quando
ne parlammo ti dissi che probabilmente non ci sarebbero state conseguenze.”
“Dove
vuoi arrivare?” chiese. Ma aveva già intuito qualcosa. ‘Ma no, non è possibile.
Non può essere…’
“Sono
incinta.” I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di Kaori.
“Ne sei
sicura?”
Lei
annuì con la testa. “Ho un ritardo di una settimana. All’inizio non ci ho fatto
caso. Poi ho iniziato ad avere un sospetto che mi è stato confermato
stamattina, quando ho fatto il test.”
Mitsui
non disse niente. Era rimasto shockato dalla notizia. Quando l’assorbì si alzò
in piedi e, dopo aver fatto alzare anche lei, l’abbracciò.
Lei
iniziò a piangere silenziosamente.
“Non
sapevo che fare. Non sapevo se dovevo dirtelo o stare zitta.”
“Hai
fatto bene a dirmelo. Non voglio essere tagliato fuori. Tu come stai?”
“A parte
la nausea bene.”
“E cosa
ne pensi?”
“Che
cosa devo pensare? Dentro di me sta crescendo un bambino che non vedrà mai la
luce del giorno perché gli è capitata come madre una ragazza che tra poco
morirà.” Faceva fatica a trattenere i singhiozzi.
“Mi
dispiace.” Disse accarezzandole la testa.
“Non è
colpa tua.”
“E
invece sì.”
“Forse
te l’avevo già detto una volta. Fino a qualche tempo fa non volevo né sposarmi
né avere figli. Però, da quando ho saputo che dovevo morire entro poco, non ne
ero più tanto sicura. E oggi quando ho avuto la conferma di essere incinta ho
capito che vorrei averlo questo bambino. Vorrei crescerlo con te… Il nostro
bambino… Nostro figlio…” Il suo era un pianto disperato ormai.
Mitsui
non riusciva a trovare nulla da dire per consolarla. Perciò continuò ad
abbracciarla in silenzio.
Erano
sulla porta di casa di Kaori quando la madre li notò e li chiamò in casa
entrambi.
I due
ragazzi si scambiarono uno sguardo confuso ed entrarono.
I
genitori di Kaori li fecero accomodare al tavolo in sala e gli si sedettero di
fronte.
“Che
succede?” chiese Kaori.
“Questo
credo che dobbiate dircelo voi.” Disse il padre.
“Non
capisco. Cosa vuoi dire?”
“Vediamo
se questo ti dice qualcosa.” Disse la madre, mostrandole il test di gravidanza.
“Hai
frugato nella spazzatura?” disse in tono accusatorio Kaori.
“Non ho
frugato! Mi sono limitata a cambiare il sacchetto. Era stato buttato via senza
preoccuparsi di nasconderlo sul fondo.”
‘Accidenti!
È vero! Nella fretta di parlare con Hisashi non ho pensato a nasconderlo e l’ho
messo semplicemente dentro il cestino.’ Pensò. Poi chiese: “Avete… avete visto
già il risultato?”
“Sì.
Perché non ce l’hai detto? Ci siamo confidate sempre tutto.” Disse la madre.
“Avevo
paura.” Ammise.
“Di cosa
tesoro?” disse il padre con tono dolce.
“Di
quello che avreste potuto dire. Avevo paura che mi avreste impedito di vedere
Hisashi. Avevo paura che vi sareste arrabbiati per la gran delusione.”
Fu il
padre a parlare. “Tesoro tu non ci hai delusi. Non l’hai mai fatto. In quanto a
Mitsui, non ti avremmo impedito di vederlo. Per ora c’interessa sapere se hai
intenzione di prenderti le tue responsabilità.” Finì rivolto a Mitsui.
“Sì. Non
intendo abbandonare Kaori.”
La madre
della ragazza annuì. Poi si rivolse alla figlia.
“Sai già
di quanto sei?”
“Tre
settimane.”
Yukari,
la madre di Kaori, fece un rapido calcolo.
“Quindi
nascerà in aprile.”
Kaori
sentì una morsa attanagliarle il cuore, mentre copiose lacrime presero a
rigarle il viso.
Mitsui
la prese subito tra le braccia.
Yukari e
Toshio, il padre di Kaori, li guardarono confusi.
“Che
succede? Ho detto qualcosa di sbagliato?” chiese preoccupata la madre.
Kaori
non rispose.
“Devi
dirglielo.” Disse ad un certo punto Mitsui.
Kaori lo
guardò negli occhi, mentre il padre chiedeva cosa dovesse dire loro.
La
ragazza li osservò per qualche istante. Poi chiese loro di aspettare un attimo.
Salì in camera sua e prese dal fondo di uno dei suoi cassetti i risultati degli
esami che aveva fatto alcuni mesi prima. Quindi tornò al piano inferiore e si
sedette di nuovo al tavolo con i fogli davanti a sé.
“C’è una
cosa che non vi ho detto. Una cosa importante. So che avrei dovuto farlo, ma…”
S'interruppe e cercò lo sguardo di Mitsui per farsi coraggio.
Lui
intuì la sua difficoltà e le poggiò una mano sulla sua. Lei gliela strinse e
tornò a guardare i suoi genitori.
“Sono
ormai diversi mesi che non mi sento bene. Avevo dei forti mal di testa
accompagnati da nausea. Qualche tempo fa, senza dire niente a nessuno, sono
andata in ospedale per capire cosa avessi. Ho fatto molti esami. Circa un mese
dopo, il medico che mi aveva preso in cura mi ha chiamato per darmi i
risultati.”
Consegnò
ai suoi genitori i fogli degli esami con i risultati.
I suoi
genitori guardarono il tutto, poi le chiesero chiarimenti.
“Mi ha
diagnosticato un cancro al cervello. Non operabile. Ha detto che mi rimanevano
tre mesi di vita.”
“COSA?”
chiese il padre.
“Ehi, un
momento. Hai detto che questi esami e i risultati non sono recenti. Quanto…”
chiese con un filo di voce la madre.
“Stando
ai calcoli del medico, adesso mi dovrebbero rimanere tre settimane.”
“Tre…
settimane?”
La madre
iniziò a piangere e si precipitò dalla figlia. Anche il padre andò ad
abbracciarla e, seppur non volesse farsi vedere debole, non poté trattenersi
dal piangere.
In mezzo
a quella scena Mitsui si sentì un intruso. Perciò cercò di accomiatarsi.
“Credo
che vogliate stare con vostra figlia. Io torno a casa.”
“Hisashi…”
Kaori avrebbe voluto che lui rimanesse lì, ma sapeva che in quel momento i suoi
genitori avevano bisogno di sentirla vicina.
“Non ti
preoccupare. Noi ci vediamo domani.” Dopo aver salutato i genitori di Kaori e
lei stessa, uscì da casa loro. Si diresse verso il solito vicolo e sparì.
Andò da
Miyagi. Era l’unico di cui si fidasse.
Quando
il capo lo aveva fatto chiamare e gli aveva detto di aver sentito voci
riguardanti la sua negligenza, Mitsui aveva avuto il dubbio che fosse stato
Miyagi a metterle in giro. Ma parlando tra loro, i due amici si erano chiariti.
Poco dopo si era scoperto che era stato un altro angelo della morte a tradirlo.
Questi lo aveva spiato a lungo per cercare un modo per metterlo nei guai.
L’aveva sempre odiato, ma Mitsui non aveva mai capito perché. Almeno fino al
momento in cui si erano affrontati. Mitsui aveva scoperto che una delle persone
che gli erano state affidate per assorbirne l’energia era la ragazza dell’altro
angelo. Questi non l’aveva mai perdonato per avergliela portata via.
Fortunatamente
dopo quella faccenda non si era più intromesso nella vita di Mitsui.
“Miyagi,
ho bisogno d’aiuto.” Disse.
“A
proposito di Kaori?”
“Sì. Ci
sono stati degli sviluppi imprevedibili.”
“Vale a
dire?”
“È
incinta.”
“Mi
dispiace. Eri innamorato di lei. Non deve essere piacevole sapere di essere
stati traditi…”
“Ma che
vai blaterando?”
“Come?”
chiese confuso.
“Era
sottinteso che il bambino è mio.”
“Tu
l’hai messa incinta?”
“È
quello che ti sto dicendo da mezz’ora!”
“Questa
sì che è una notizia! E bravo il papà!”
“Smettila
di fare l’idiota! Quel bambino non potrà venire alla luce, se non trovo una
soluzione. Se prima non riuscivo ad assorbire la sua energia adesso mi sarà
ancora più impossibile.”
“Aspetta!
Sai che significa questo, vero? La assegneranno a qualcun altro.”
“Non
possono!”
“Sì che
possono e lo sai bene.”
“Ma ci
deve essere un’altra soluzione!”
Miyagi
lo guardò, poi disse: “Sentimi bene Mitsui. Io posso continuare a reggerti il
gioco e tenere nascosta la faccenda ancora per poco. Nel frattempo o trovi
un'altra soluzione o dovrò informare il capo.”
“Miyagi…”
“Mancano
tre settimane alla sua morte. Sfruttale al meglio. Io non posso fare altro.”
“Farò in
modo di farmele bastare. Grazie amico.” Scomparve e riapparve in casa sua.
‘Non ti
farò morire! Troverò un modo per salvarti! Te lo prometto Kaori! Ti salverò…
anzi, vi salverò! Perché siete le uniche cose al mondo che io ami davvero.’
Pensò.
Il
giorno successivo verso le 16 Mitsui, Kaori e la sua famiglia arrivarono a
destinazione.
I
genitori della ragazza avevano insistito per andare con la figlia nella loro
casa di montagna. Volevano passare il fine settimana insieme, senza nessuno che
li disturbasse, nel luogo che in tutti quegli anni li aveva visti felici
durante le vacanze. Kaori non voleva, però, restare lontana da Mitsui. Perciò aveva
chiesto ai suoi genitori il permesso di far venire anche lui e loro avevano
acconsentito.
Il
paesaggio era stupendo come Kaori lo ricordava.
Davanti
all’ingresso principale dello chalet c’era un piccolo piazzale in terriccio.
Intorno alla casa ed al piazzale c’era una grande distesa d’erba. Poco
distante, sul retro della casa, si formava un laghetto sullo sfondo del quale
si ergevano le montagne. Quando il cielo era sereno come quel giorno, le
montagne si rispecchiavano nell’acqua creando un paesaggio degno di un quadro.
Sul lato sinistro della casa, dietro ad un piccolo bosco, si innalzavano altre
montagne.
Entrarono
in casa. Dentro tutto era ordinato e pulito. Questo perché ogni settimana una
signora che abitava lì vicino andava a fare le pulizie. La tenevano sempre in
ordine in caso avessero una voglia improvvisa di passare il week-end lì.
Kaori
fece fare un giro della casa a Mitsui.
Subito
oltre la soglia d’entrata, si apriva il salotto con angolo cottura. Di fianco
ad esso c'era una porta che conduceva allo scantinato. In fondo al salotto
c’era la porta del bagno e di fianco le scale che portavano al piano superiore.
Di sopra c’erano tre camere da letto più un altro bagno ed un piccolo
ripostiglio.
Kaori
accompagnò il suo ragazzo in quella che sarebbe stata camera sua. Dopo che
ognuno ebbe portato le proprie cose nella sua stanza, scesero al piano
inferiore.
Kaori e
Yukari sistemarono le provviste che avevano portato per quei due giorni, mentre
Mitsui e Toshio andarono nello scantinato per allacciare la corrente, l’acqua
ed il gas.
“Questo
posto è veramente bello.” Disse Mitsui per rompere il silenzio imbarazzato che
si era creato. Dopo la sera precedente non avevano più parlato. E, tra l’altro,
quella era stata anche l’unica volta.
‘Non
devo aver fatto certo una buona impressione. Non l’avevo ancora visto e quando
ci incontriamo la prima volta parliamo del fatto che ho messo incinta sua
figlia.’ Aveva pensato.
“È vero.
Sai, appartiene alla nostra famiglia da tre generazioni. È stato in questo
posto che Kaori ha fatto i suoi primi passi.”
“Davvero?”
“Già. E
una volta cercando di scendere la scalinata ripida della cantina è caduta. Si è
fatta male alla caviglia. Avevamo paura se la fosse rotta, invece,
fortunatamente, era soltanto slogata.” Mentre Toshio raccontava, sul volto gli
si era disegnata un’espressione felice ripensando a quel periodo della sua
vita. “Era una bambina. Invece ora è una donna. Ed aspetta un bambino che non
nascerà mai.” Disse, mentre la sua espressione diventava triste.
Si voltò
verso Mitsui che rimaneva zitto e lo vide con la testa bassa. Anche lui
un’espressione sofferente sul viso.
“Anche
per te non deve essere facile questa situazione. Potrò sembrarti insensibile,
ma vorrei chiederti cosa provi per mia figlia.”
Mitsui
alzò la testa per guardare Toshio negli occhi. “Io l’amo. Amo lei e il bambino
che porta in grembo.”
Toshio
gli mise una mano sulla spalla.
“Mia
figlia mi ha detto che sei orfano. Se avessi bisogno di parlare con qualcuno,
vieni pure da me. Non sono tuo padre, ma potrei esserti amico.”
Mitsui
lo ringraziò. Dopodiché finirono di sistemare le cose e tornarono di sopra.
“Era
ora! Ma quanto ci avete messo? Ormai la cena è quasi pronta.” Disse Yukari.
“Scusate,
non ci siamo accorti del tempo che passava. In compenso dopo cena abbiamo una
sorpresa.” Disse Toshio.
“Che
sorpresa?” domandò Kaori curiosa.
“Se
dicessimo cos’è non sarebbe più una sorpresa.” Le rispose sorridendo Mitsui.
“E dai
non fare il cattivo. Dimmi cos’è?”
“È
inutile che fai le moine. Ho la bocca tappata.” Disse, mentre andavano fuori a
prendere una boccata d’aria.
Ispirata
da quelle parole. Kaori si sollevò sulla punta dei piedi e lo baciò. Come al
solito non ci volle molte perché il bacio diventasse più profondo. Mentre
stavano ancora lottando per avere il controllo del bacio, arrivò Yukari a dire
che la cena era pronta.
“Non mi
sembra sia molto tappata.” Disse Kaori mentre entravano.
“Che
cosa?” chiese Mitsui non capendo.
“La tua
bocca.” Rispose lei sorridendo maliziosamente.
Cenarono.
Dopo cena Kaori iniziò a sparecchiare con insolita celerità.
“Come
mai tutta questa fretta?” domandò il padre sorridendo.
“Voglio
la sorpresa.” Disse senza giri di parole Kaori.
Quando
ormai aveva quasi finito di sparecchiare, Toshio fece un cenno a Mitsui e i due
scesero in cantina a prendere ciò che poco prima avevano trovato.
Si
trattava di un proiettore. Lo portarono in salotto e lo poggiarono sul tavolino
centrale.
Quando
Kaori lo aveva visto, ne era stata entusiasta.
Tolsero
uno dei quadri appesi alla parete per creare lo schermo. Chiusero le persiane e
si sedettero.
Per
comodità avevano spostato una delle poltrone e l’avevano messa di fianco al
divano.
Toshio
si era seduto sulla poltrona, Yukari sul divano di fianco al marito, Mitsui sul
lato opposto del divano, mentre Kaori era seduta tra la madre ed il suo ragazzo
con la schiena poggiata al petto di Mitsui che l’abbracciava.
Videro
per primo il filmino di quando lei era appena nata.
“Eri
dolcissima anche da bambina.” Le sussurrò all’orecchio Mitsui. Ricevendo in
compenso un bacio.
Mentre
lo guardavano però su tutti calò un velo di tristezza. Il bambino che era nel
grembo di Kaori non avrebbe potuto ridere come quella bambina sullo schermo.
Questo
pensiero sembrò cogliere contemporaneamente sia Mitsui sia Kaori perché nello
stesso momento poggiarono una mano sulla pancia della ragazza. Accorgendosi di
ciò, Mitsui l’abbracciò più forte.
Poi
guardarono il filmino sul matrimonio dei genitori di Kaori. Ogni volta che lo
guardava, la ragazza si commuoveva. E naturalmente accadde anche quella volta.
Nel
momento dello scambio degli anelli Kaori intrecciò le dita con Mitsui.
Lui
capì. Quella era un’altra cosa che non avrebbe potuto fare.
Arrivò
poi l’ora di andare a dormire. Salirono al piano superiore e, dopo essersi
scambiati la buonanotte, ognuno entrò nella propria camera.
Sia
Kaori sia Mitsui, però, non riuscivano a prendere sonno. Ad un certo punto
Mitsui sentì bussare alla sua porta.
“Hisashi
sei ancora sveglio?” quel bisbiglio apparteneva a Kaori.
“Sì,
vieni pure.” Disse, mentre accendeva la luce sul comodino.
Kaori
entrò e si richiuse la porta alle spalle.
“Non
voglio disturbarti. È che non riesco a dormire.”
“Nemmeno
io.”
“Posso
rimanere qui con te?”
“I tuoi
cosa diranno?”
“Non se
ne accorgeranno. Cercherò di svegliarmi presto domattina e me ne tornerò nella
mia camera. Ti prego.”
Mitsui
si arrese e sollevò le lenzuola facendole spazio. Lei si sdraiò, spense la luce
del comodino e appoggiò la testa nell’incavo della spalla di Mitsui. Lui la
strinse a sé.
I genitori di Kaori erano ancora svegli ed avevano sentito
la figlia entrare in camera di Mitsui.
“Dobbiamo
fare qualcosa secondo te?” chiese Toshio.
“Credo
sia inutile. Lasciamoli stare.” Rispose
la moglie.
Intanto
Mitsui non si era ancora addormentato e stava riflettendo.
“Kaori
stai dormendo?” sussurrò.
“No,
sono ancora sveglia.”
“Stavo
pensando una cosa. Una cosa che riguarda anche te.”
“Cioè?”
“È una
cosa che mi frulla in testa da quando abbiamo visto i filmini. E più ci rifletto,
più penso sia la cosa migliore da fare.”
“Vuoi
spiegare anche a me?”
“Mi
chiedevo…” si voltò verso di lei per guardarla negli occhi. “Kaori mi vuoi
sposare?”
Lei
spalancò gli occhi. Non se lo aspettava. Si alzò su un gomito per guardarlo
meglio in faccia. Voleva capire se stesse scherzando o meno. I suoi occhi
sembravano sinceri.
“Stai
scherzando?” chiese per conferma.
“Sono
serio.”
“Io… non
so che dire.”
“Allora
dì di sì.” Disse lui sorridente.
Lei lo
guardò ancora per qualche attimo. Poi gli buttò le braccia al collo.
“Sì, sì,
sì.” Ripeté ridendo.
Anche
Mitsui iniziò a ridere. Poi si rese conto che avrebbero potuto svegliare i
genitori di Kaori e lo fece notare anche a lei.
Kaori
per tutta risposta lo baciò. Riaccendendo istantaneamente la passione tra loro.
Non lo
avrebbe mai detto, ma da quando aveva saputo del bambino aveva iniziato a
pensare seriamente al matrimonio. Ma a causa del poco tempo che le mancava non
credeva che avrebbe mai potuto sposarsi davvero. E invece era proprio ciò che
lui le stava chiedendo.
Un’oretta
dopo erano ancora svegli e teneramente abbracciati.
“Credi
che i tuoi faranno obiezioni.”
“Non
credo. Mi hanno sempre lasciato prendere le mie decisioni da sola.”
“Speriamo
allora che continuino così.”
Il
giorno successivo quando Kaori e Mitsui scesero a fare colazione, trovarono
Yukari e Toshio già a tavola.
Mentre
si sedettero anche loro, Kaori prese la parola.
“Mamma,
papà dovrei… dovremmo parlarvi.” Disse, mentre stringeva la mano di Mitsui.
“Diteci.”
Li incoraggiò Yukari.
Questa
volta fu Mitsui a parlare.
“Ho
chiesto a Kaori di sposarmi e vorremmo che ci deste il vostro consenso.”
Yukari e
Toshio rimasero un po’ sorpresi.
“Ragazzi,
il matrimonio è una cosa seria. Prima di decidere una cosa del genere dovreste
rifletterci molto seriamente e a lungo.”
“Ci
abbiamo riflettuto tutta la notte. Se fossimo in un’altra situazione
aspetteremmo, ma date le circostanze…”
Ne
parlarono a lungo. Poi i genitori di Kaori si decisero a dare la loro
benedizione.
Quando
tornarono a Kanagawa iniziarono subito i preparativi.
Avevano
parlato con il parroco che aveva acconsentito a celebrare la cerimonia la
domenica successiva.
Per il
vestito da sposa Kaori aveva deciso di indossare quello della madre. Con delle
piccole modifiche sarebbe stato perfetto.
Avevano
deciso che sarebbe stata una cerimonia per pochi intimi.
Avrebbero
partecipato soltanto i genitori di Kaori, Aiko che avrebbe fatto da testimone
alla ragazza, e Hiroshi il ragazzo di Aiko che aveva accettato di fare da
testimone a Mitsui.
Arrivò così
il giorno della cerimonia. Sia Kaori sia Mitsui erano tesi.
Quando
però il prete arrivò alla fatidica frase “Vuoi tu, Hisashi Mitsui, prendere
Kaori Otonashi come tua legittima sposa e promettere di amarla e onorarla
finché morte non vi separi?” più che tesi erano emozionati.
“Sì, lo
voglio con tutto il cuore.” Fu la risposta di Mitsui mentre infilava la fede al
dito di Kaori.
“Vuoi
tu, Kaori Otonashi, prendere Hisashi Mitsui come tuo legittimo sposo e
promettere di amarlo e onorarlo finché morte non vi separi?” riformulò la frase
il prete.
“Lo
voglio.” Rispose lei mettendo la fede al dito di Mitsui.
“Bene.
Vi dichiaro marito e moglie. Può baciare la sposa.” Disse al ragazzo.
Mitsui
non aspettava altro.
Dopo la
cerimonia si spostarono a festeggiare al ristorante. I due ragazzi erano
felici. Anche se ogni tanto sul volto di entrambi appariva un’espressione
triste.
Quando,
quella sera, arrivarono a casa di Mitsui, che da quel momento era diventata
casa loro, il ragazzo, come voleva la tradizione, prese in braccio sua moglie e
la portò in camera.
Mitsui
fu il primo a svegliarsi la mattina seguente. Rimase a guardarla incantato.
Quando
dormiva, Kaori assumeva un’espressione dolcissima, e il suo modo di dormire
abbracciata a lui, come se si sentisse protetta, gli faceva stringere il cuore.
‘Lei ha
piena fiducia in me, mentre io la
sto ingannando. Cosa farebbe se sapesse chi sono?
Sono certo che mi odierebbe. Manca una settimana di tempo, ed io ancora non ho
trovato una soluzione. Possibile che io non possa salvarla in alcun modo? Sarei
disposto a tutto per farla continuare a vivere…’
Quella
settimana Kaori era rimasta assente da scuola. Voleva godersi la sua vita di
moglie per qualche giorno. Il lunedì seguente, però, ci tornò.
Mentre
Mitsui era solo in casa, decise di andare da Miyagi.
“Non
dovevi venire.” Gli disse l’amico non appena apparve.
Mitsui
lo guardò confuso.
“Ero
sicuro che saresti venuto qui.” Sentì la voce di Akagi provenire dalle sue
spalle.
Si voltò
verso di lui.
“Mi hai
proprio deluso… Ti credevo davvero il migliore angelo della morte, Mitsui. Ero
stato disposto anche a concederti più tempo senza intervenire. Ma ormai il
tempo è scaduto e tu non le hai ancora assorbito nemmeno un po’ d’energia. Mi
dispiace, ma sono costretto ad assegnarla ad un altro angelo della morte.”
“NO!
Aspetta fammi spiegare! Non puoi assegnarla a qualcun altro!”
“Osi
darmi ordini?” disse Akagi con tono furente.
“No.”
Mormorò abbassando la testa.
“Ti sei
lasciato coinvolgere emotivamente. Non vorrei che decidessi di intralciare il
lavoro al tuo sostituto. Per questo motivo ho deciso che, da adesso fino a
quando la tua affidata non sarà morta, non potrai uscire da questa dimensione.”
Disse Akagi scomparendo.
“NOOO!”
ma il suo urlò non servì a nulla.
“Mi
dispiace.” Mormorò Miyagi.
“Devi
aiutarmi!”
“Non
posso. Lo sai.”
“Non può
finire tutto così! Non posso neanche rivederla per dirle addio. Non le ho
nemmeno detto la verità su di me.”
Quando
Kaori tornò a casa quella sera non trovò nessuno.
Intanto
che aspettava il rientro di Mitsui, preparò la cena. Ma a mezzanotte non era
ancora arrivato. Rimase sveglia tutta la notte. Verso l’alba si addormentò
vinta dalla stanchezza. Quando alle sette la sveglia suonò, si accorse d’essere
ancora sola in casa.
Il
telefono di casa Otonashi squillò.
“Pronto?”
rispose Yukari.
“Mamma…”
“Kaori,
che succede. Hai la voce strana. Stai male?”
“No, ma…
Hisashi non è tornato... Non so dove sia... Ho un brutto presentimento.”
Dopo
pochi minuti Yukari era già da lei.
Cercò di
tranquillizzarla, ma arrivata la sera Mitsui non era ancora tornato.
La madre
si trasferì momentaneamente da lei. Avevano chiamato la polizia, gli ospedali,
tutti quelli che lo conoscevano, ma nessuno aveva notizie.
Erano
passati cinque giorni. In tutti quei giorni Kaori aveva dormito poco e niente e
sembrava distrutta. Anche i dolori alla testa e la nausea, che per qualche
periodo sembravano svaniti, erano tornati più forti di prima.
Mitsui
dal canto suo non stava meglio. Nella sua prigionia non poteva nemmeno sapere
come stava Kaori. Non sapeva se l’altro angelo della morte avesse già portato a
termine il suo compito o se ancora non l’avesse concluso.
‘No, non
l’ha concluso. Sono sicuro che Kaori è ancora viva. Lo sento…’ Stava pensando.
“Mitsui?”
lo chiamò Miyagi apparendogli davanti.
“Lei
come sta?” chiese con un filo di voce.
“Ecco…
non potrei dirtelo.”
“Miyagi
ti prego!”
“Rukawa
sta ancora assorbendo la sua energia.”
“COSA?
L’hanno affidata a Rukawa?”
“Sì,
perché?” chiese l’amico stupito dalla sua reazione.
“Non è
possibile! Ti ricordi che ti parlai di un angelo che mi odiava perché avevo
tolto l’energia alla sua ragazza?” il suo tono era una via di mezzo tra il
furibondo e il disperato.
“Quello
che fece la spia con Akagi?”
“Esatto!
Il suo nome era Kaede Rukawa!”
“Mitsui…”
“Ha trovato
il modo per vendicarsi. Ed io non posso fare niente! MALEDIZIONE!”
“Cerca
di calmarti.”
“Calmarmi?
E come potrei? A cosa mi servono i poteri se non posso nemmeno salvare la
persona che amo.” Gli disse fissandolo negli occhi.
Miyagi,
però, abbassò subito lo sguardo. Il che non era da lui. Riusciva a rimanere
tranquillo anche quando fronteggiava Akagi.
“Miyagi…”
lo chiamò. Ma l’altro rimase con lo sguardo basso. “Cosa
mi stai nascondendo?”
“Io…”
era titubante.
“Parla!”
gli ordinò.
Miyagi
tornò a guardarlo negli occhi.
“Non
volevo dirtelo per non farti star peggio dandoti una falsa speranza.”
“Che
vuoi dire?”
“Ho
trovato un modo per salvarla.”
“E cosa
aspetti a dirmelo?”
“Non è
così semplice da attuare. E credo che ormai sia troppo tardi.”
“Vuoi
dire che l’ha già uccisa?” chiese in un sussurro.
“No. È
ancora viva.”
“Miyagi
mi stai facendo incazzare! Parla e dimmi qual è questo modo per salvarla!”
“Dovresti
sacrificarti per lei.”
Mitsui
sembrò rifletterci un po’ sopra. Poi disse: “Sono disposto a farlo.”
“Aspetta!
Hai capito cosa ho detto? Devi morire tu al suo posto!”
“Non
sono idiota! Ho capito perfettamente! Ma se devo scegliere tra vivere senza di
lei e morire per farla vivere, io scelgo la seconda.”
“Mitsui…”
“Miyagi
portami da Kaori!” il suo era un ordine perentorio.
Miyagi
lo fissò negli occhi per accertarsi che Mitsui fosse sicuro della sua
decisione. Poi lo accontentò. Gli poggiò una mano sulla spalla e lo portò nella
dimensione di Kaori. Gli spiegò ciò che avrebbe dovuto fare e lo lasciò andare
verso casa sua. Da Kaori.
Il
campanello di casa Mitsui suonò.
Kaori
andò ad aprire e si trovò davanti un ragazzo molto alto con i capelli neri e
gli occhi tanto azzurri e freddi da sembrare due pezzi di ghiaccio.
“Posso
esserle utile?” chiese educatamente, anche se istintivamente sentiva un leggero
timore.
“Sto
cercando l’appartamento di Hisashi Mitsui. Ma forse ho sbagliato piano.”
“Non ha
sbagliato. Lei chi è?”
“Mi
chiamo Kaede Rukawa. Sono un suo vecchio amico. Sono venuto a fargli visita da
Hokkaido.”
Kaori
rifletté un attimo, poi si ricordò che Mitsui le aveva detto di essersi
trasferito da Hokkaido.
“Mi
dispiace, ma al momento non è in casa.”
“Sa
dirmi quando lo posso trovare.”
“Per la
verità è da qualche giorno che non torna. E non ho idea di dove sia.”
Gli
occhi le si stavano incominciando ad inumidire di lacrime.
“Tutto
bene?”
“Io...
sì.”
“Non mi
sembra. Forse è meglio che si sieda.”
“Credo
abbia ragione.”
“Non
vorrei disturbarla, ma mi lascerebbe chiamare un taxi?”
Kaori lo
fece accomodare e gli mostrò dove era il telefono.
Mentre
Rukawa faceva la sua telefonata, Kaori si sedette. Ogni momento che passava si
sentiva peggio. Avrebbe voluto ci fosse sua madre, ma era appena uscita per
andare a fare la spesa. Iniziava a girarle la testa, faceva fatica a respirare
e le sembrava che tutto diventasse nero.
In quel
momento qualcuno entrò in casa. Era Mitsui.
“Maledetto!
Lasciala stare!” Disse prima di utilizzare i suoi poteri per allontanarlo da
Kaori che a quella voce si riprese un po’. Vide l’uomo che amava avvicinarsi a
Rukawa e mettergli una mano sulla fronte.
Quest’ultimo
con voce strozzata ed un sorriso crudele sulle labbra disse: “Ormai è inutile.
Il processo finale è già iniziato.”
Pochi
attimi dopo Kaori vide Rukawa scomparire.
“Ma
cosa…?” domandò con un filo di voce.
Mitsui
senza risponderle la raggiunse e l’abbracciò. Aveva avuto paura di arrivare
tardi. Fortunatamente aveva fatto in tempo. La sentì, però, molto debole. Segno
che ormai mancava veramente poco.
“Kaori,
ti chiedo di perdonarmi. Ora ti farò stare bene.” Detto questo poggiò le labbra
su quelle di Kaori e la baciò.
Mentre
lui continuava a baciarla, lei iniziava a sentirsi meglio.
Quando
il bacio finì, Mitsui si accasciò a terra.
Kaori lo
prese tra le sue braccia.
“Che cos’hai?”
“Perdonami. Ti prego.”
“Per
cosa? Se è perché sei stato via per alcuni giorni….”
“Non è
per quello.” La interruppe.
“E per
cosa allora?”
“Per
averti nascosto la verità. Io… io non sono una persona normale. Io sono un
angelo della morte.”
“Angelo
della morte?” ripeté confusa.
“Sì. Il
nostro compito è quello di assorbire energia vitale dalle persone che ci
vengono affidate, in modo da farle morire.”
“Io… io
ero una di queste persone.” Non era una domanda quanto una constatazione.
“Sì. Eri
stata affidata a me. Ma non sono mai riuscito ad assorbire la tua energia.
All’inizio non capivo perché, ma col passare del tempo mi si è chiarito tutto.
Non ci sono riuscito perché mi sono innamorato di te. Il mio capo ha scoperto
che non stavo eseguendo il mio lavoro e mi ha tenuto prigioniero in questi
giorni nella nostra dimensione, mandando da te un sostituto.”
“Rukawa?”
tirò ad indovinare.
“Esatto.”
“E cosa
gli hai fatto prima?”
“Ho
assorbito… la sua energia… per evitare… che lui assorbisse la tua.” Mitsui
iniziava a risentire dello sforzo di parlare.
Una
fitta di dolore lo obbligò a trattenere il fiato.
“Che ti
succede?” chiese preoccupata Kaori.
“In
tutto questo periodo... ho chiesto ad un mio amico... di trovare una
soluzione... per fare in modo che tu non morissi... E lui l’ha trovata.”
“Che
soluzione?”
“Avrei
dovuto assorbire io il tuo male...”
“È per
questo che improvvisamente mi sento meglio?”
“Sì.”
“Ma cosa
succederà a te adesso?”
Mitsui
si limitò a fissarla negli occhi lasciando che tutto l’amore che provava per
Kaori trasparisse dal suo sguardo.
“Morirai
al posto mio.” Disse Kaori in un sussurro. “Non morirò io, perché sarai tu a
morire? È così vero?” chiese sconvolta.
“Sì, è
così.”
“Perché?”
chiese piangendo.
“Perché
non potevo vivere senza di te.”
“Ed io
allora? Come pensi che possa farlo io, se tu mi lasci da sola.”
“Tu non
sarai sola... Avrai la tua famiglia... I tuoi amici... e nostro figlio...”
Anche dagli occhi di Mitsui incominciarono a scendere delle lacrime. “Io non
potrò vederlo nascere... ma sarò sempre con voi... Ricordi cosa ti dissi sulla
morte?”
“Che le
anime si trasformano in energia e raggiungono le persone care diventando parte
di loro.”
“È la
verità... Essere un angelo della morte... ti da la possibilità... di sapere
cosa succede... dopo la morte... Io sarò sempre con te... e con il nostro
bambino... perché... voi siete... le persone... che... io amo.”
“Anch’io
ti amo Hisashi.”
“Vorrei
che... esaudissi... un mio... desiderio.”
“Tutto
quello che vuoi…”
“Baciami.
È... l’unico modo... in cui... voglio andarmene.”
“Hisashi...
io non voglio lasciarti andare!”
“Devi...
amore mio... Ormai... è troppo tardi.”
Kaori si
abbassò e poggiò le sue labbra su quelle di Mitsui.
Pochi
secondi dopo allontanò le sue labbra e lo guardò.
Non si
muoveva.
“Hi...Hisashi?”
lo chiamò sottovoce.
“Hisashi?”
disse un po’ più ad alta voce, mentre lo scuoteva.
“HISASHIIII...”
Stavolta stava urlando tutto il suo dolore.
Continuò
a chiamarlo, mentre, tenendolo abbracciato, piangeva disperatamente.
UN ANNO E OTTO MESI DOPO.
Una
ragazza stava passeggiando sul lungomare al tramonto. Teneva in braccio un
bambino. Questi aveva gli occhi scuri, capelli neri che con la luce rossa del
tramonto avevano dei riflessi viola.
La
ragazza si sedette sulla spiaggia con suo figlio.
“Hisashi,
lo sai? Qui è dove ho conosciuto il tuo papà. Era un uomo stupendo. Sia
fisicamente sia spiritualmente. Lui mi ha salvato, ed ha salvato te. Tu me lo
ricordi ogni giorno... Sento che non mi ha mentito. Sento la sua presenza.
Sempre. Non ci ha abbandonati. È con noi. Nel nostro cuore. Nel nostro amore.”
FINE