1° Capitolo
Asuka picchiettava un piede sul pavimento da almeno un quarto d’ora.
Si reggeva sulla scopa che l’era stata assegnata per le pulizie settimanali,
fissava fuori dalla finestra e non sembrava minimamente interessata a svolgere
il proprio compito.
Uno dei suoi compagni di classe, di quelli assai diligenti, se ne era
accorto, quindi si avvicinò con grande cautela: “Ehm, Soryu, dovresti pulire il
pavimento sotto la lavagna”.
La risposta di Asuka fu uno sguardo misto d’irritazione, senso di superiorità
e minaccia, che ottenne l’effetto da lei desiderato: il poveretto batté subito
in ritirata.
Shinji e Mana stavano parlando tranquillamente, intenti a pulire i vetri
della finestra, e si sorridevano a vicenda.
Toji, anche lui con una scopa in mano, se ne accorse. “Guarda guarda, a
quanto pare abbiamo una nuova coppia di piccioncini!”
“Non c’è che dire, Shinji sceglie sempre le migliori”, incalzò Kensuke.
Udendo una serie di mugugni divertiti da parte degli altri compagni, Shinji
arrossì, perché, in effetti, non si era reso conto di come potevano essere
interpretati certi suoi atteggiamenti in classe.
Senza contare che lui già conviveva con Asuka e soprattutto Misato, cosa che
Toji e Kensuke gli invidiavano parecchio.
Shinji fece per replicare, quando un panno sporco volò in faccia a Toji, che
per la sorpresa spalancò le braccia e con il manico della scopa colpì a sua
volta Kensuke in pieno viso, facendolo cadere per terra.
“Doppio centro!”, esclamò soddisfatta Mana, suscitando le risate della
classe.
Una mano pallida tolse il panno dal volto stupito e bagnato di Toji.
“Oh, grazie, Ayanami”, disse il ragazzo.
L’incipiente sorriso di Suzuhara, speranzoso che dietro quel gesto di
gentilezza ci fosse un’attenzione particolare dell’albina nei suoi confronti, si
spense quando vide Ayanami sciacquare quello stesso panno in un secchio d’acqua,
perché il suo era ormai troppo sporco, e poi continuare con le pulizie.
“Lasciamo perdere”, mugugnò Toji aiutando Kensuke a rialzarsi e tornando a
lavoro, cosa che fecero anche Shinji e Mana.
La capoclasse si avvicinò a Soryu. “Senti Asuka, posso chiederti un favore?”
Asuka si destò dai suoi pensieri e le sorrise. “Dimmi pure”.
L’altra allora le sussurrò qualcosa nell’orecchio.
La proposta doveva aver scandalizzato Asuka, a giudicare dal grido che
lanciò, ma Hikari la supplicò, piegando il capo e unendo le mani a mo’ di
preghiera.
La rossa ci rimuginò sopra e proprio allora Shinji e Mana uscirono dalla
classe con Ayanami.
“Ti farò sapere entro l’ora di pranzo”, rispose Asuka andando alla finestra e
cominciando ad armeggiarci intorno.
Con un’espressione assai soddisfatta, sembrò raccogliere qualcosa di molto
piccolo da una fessura, afferrò la sua cartella e uscì di corsa salutando Hikari.
“Shinji! Asuka! Sono a casa!”, annunciò Misato rientrando in tempo per l’ora
di pranzo.
“Bentornata”, rispose Shinji dalla cucina.
Misato si accorse del silenzio che regnava nel soggiorno. “E Asuka?”
“In camera sua a fare chissà che cosa”.
Mostrando una certa sorpresa, Misato andò a bussare alla porta della ragazza,
che solitamente a quell’ora trovava sempre davanti alla televisione del
soggiorno. “Asuka, tutto a posto?”
Non giunse risposta, quindi il maggiore della Nerv aprì di poco la porta:
vide Asuka stesa sul suo futon e con ancora indosso l’uniforme scolastica, le
mani dietro la testa, gli occhi chiusi. La cartella era abbandonata in un
angolo.
Sembrava che la giovane dormisse, ma nelle orecchie aveva le cuffie di un
walkman*, quindi stava ascoltando con attenzione un nastro.
Il maggiore concluse che doveva trattarsi di musica, e sembrando tutto a
posto, richiuse l’uscio.
Poco dopo Asuka si tolse le cuffie e guardò il calendario.
“Capita a fagiolo”, disse tra sé e sé recuperando il cellulare dalla
cartella. “Hikari? Sì, sono io. Volevo dirti che accetto e che faremo alle
quattro e mezza. Digli che o si fa così o niente! Ciao”.
“Sì! E’ davvero questo il modo migliore per cominciare un pranzo!”, esordì
Misato scolandosi in un solo sorso mezza lattina di birra.
A tavola con lei c’erano anche Shinji, che per un momento la osservò
rassegnato, e Asuka, del tutto disinteressata.
Misato decise di rinviare il secondo sorso. “Sembra che oggi abbiamo tutti da
fare”.
“Infatti”, rispose Shinji apparendo alquanto corrucciato, soprapensiero,
Asuka, sentendo quella punzecchiatura, alla fine si degnò di guardare in
faccia Misato, sfoggiando un mezzo ghigno. “Se davvero ci fosse un rischio
simile, allora preferisco restare zitella per sempre. D’altronde ho proprio qui
in casa un ottimo esempio di zitella quasi trentenne!”
Essendo colpita e affondata da tale affermazione, Misato poté solo decidere
di finirla lì, riprendendo a mangiare.
Quello era un argomento delicato, specialmente per una donna che quel
pomeriggio doveva andare al matrimonio di un amico d’università, e doveva
andarci insieme al suo ex-ex-ex fidanzato.
Arrivò il fatidico primo pomeriggio: Asuka, Shinji e Misato uscirono uno dopo
l’altro, salutando Pen Pen che restava a fare la guardia alla casa.
Maaya, con indosso un grembiule, stava pulendo il bancone di legno, con sopra
la cassa, usando uno strofinaccio.
Gli incassi giornalieri fino a quel momento erano stati esigui: pochi clienti
in giro, pertanto iniziò a pensare di chiudere in anticipo, nonostante fossero
solo le quattro e mezzo del pomeriggio.
Fu allora che entrarono Shinji e Mana.
“Benvenuti!”, esordì Maaya, resa raggiante da quella vista. Saltando
agilmente sopra il bancone, corse a stringerli entrambi con un abbraccio assai
poderoso.
“Gr-grazie”, mormorarono i due ragazzi tentando di respirare dopo quella
presa mozzafiato. Maaya li fece accomodare a un tavolo e, dopo aver preso nota
dell’ordinazione di Mana, passò a quella di Shinji.
“Che ti porto, cucciolo?”
“Cu-cucciolo?”, ripeté Shinji facendo una buffa faccia sorpresa.
“Sì. Non ti piace? Hai ragione, cucciolotto, suona molto meglio”,
corresse Maaya con grande naturalezza.
“Ecco… veramente preferirei che non mi chiamasse in nessuno dei due modi. Mi
accontento di Shinji”.
“Come vuoi”, rispose l'altra prima di annotare anche la seconda ordinazione.
Quando poi si recò in cucina, rimasti soli, Shinji e Mana cominciarono a
parlare. Erano uno di fronte all’altra e il ragazzo vedeva molto bene la cucina,
inclusa la proprietaria del locale che maneggiava tre grossi barilotti da birra.
Maaya si voltò fugacemente verso Shinji, come se si fosse accorta di essere
osservata da lui, e tirando fuori uno strano sorriso di complicità cominciò a
far volteggiare con gran naturalezza e senza alcun problema i tre barilotti,
nonostante dessero l’impressione di essere assai pesanti, come fosse un
giocoliere con dei birilli.
Poi rientrò un momento e collocò i tre barili sotto il rubinetto della birra
alla spina, provandolo un momento e dimostrando così che quei contenitori erano
pieni.
“Shinji? Ehi Shinji?”, lo richiamò Mana.
“Che… che c’è?”
“Io non ho niente. Invece tu sei rimasto a bocca aperta. Mi sembri persino un
po’ impallidito. Va tutto bene?”
“Oh sì, certo”.
Maaya ci mise poco tempo ad arrivare con le pietanze. “Ecco qua. Uno alla
fringuella e uno al cucciolotto. Ops, scusa, dimenticavo che non vuoi essere
chiamato cosi”.
“No, non fa nulla”, rispose Shinji mettendo le mani in avanti. “E poi lo
trovo un aggettivo simpatico.”
Maaya, assai soddisfatta, gli mise una mano in testa e gli arruffò capelli.
“Ti ringrazio”.
I due clienti iniziarono a mangiare con gusto,
parlando tra di loro, per poi uscire una volta pagato il
conto.
“Eh, mi dispiace ma affibbiare nomignoli è uno dei pochi passatempi che ho”,
disse tra sé e sé Maaya mettendo i soldi in cassa.
Qualche minuto dopo l’uscita della prima, una seconda coppia entrò nel
locale: una bella ragazza con lunghi capelli rossicci e un ragazzo
dall’espressione strana, che sembrava non capacitarsi del suo atteggiamento.
A prima vista, infatti, potevano sembrare la classica coppietta, ma era lei a
trascinarlo per mano, per poi costringerlo a sedersi. Infine si sedette a sua
volta, spazientita. Il ragazzo pareva non sapere proprio come comportarsi.
Maaya andò loro incontro per servirli.
“Un piatto di spaghetti!”, tuonò la ragazza.
“Ehm… ed io?”, accennò timidamente il ragazzo.
“Oh sì. Spaghetti anche per lui”.
Maaya, finito di scrivere le ordinazioni, ritornò in cucina.
Essendo dei piatti molto semplici, ci voleva poco tempo per cucinarli, e nel
frattempo tentò di ascoltare cosa si dicevano i due avventori. Ma il loro
silenzio era totale, e al suo ritorno vide che la ragazza si era messa sul
grembo una borsetta a tracolla e armeggiava con qualcosa che stava all’interno
di quest’ultima.
L’altro, invece, ogni tanto si guardava intorno, oppure teneva lo sguardo
basso.
“Tipico atteggiamento di chi non sa proprio che pesci pigliare”, realizzò
Maaya inarcando un sopraciglio.
Poggiò il piatto davanti al ragazzo, facendogli un sorriso, e poi servì
l’altra cliente: “Eccoti gli spaghetti, chica”.
“Chica?!”, esclamò la cliente fulminando Maaya con uno sguardo inceneritore,
ma senza ottenere un gran risultato, poiché l’altra sostenne con grande
tranquillità quella occhiata, e lo fece fino a quando i due non cominciarono a
mangiare, in un silenzio di tomba.
A quel punto Maaya se ne ritornò in cucina e rimase appoggiata alla porta,
per godersi lo spettacolo di quel duo così particolare.
In realtà il giovane sembrava desideroso di parlare, ma l’atteggiamento della
sua compagna prometteva fuoco e fiamme se avesse provato anche solo a fiatare.
Pareva, semmai, aver fretta: finì gli spaghetti per prima, e quando posò sul
tavolo le posate, piuttosto bruscamente, il suo accompagnatore sobbalzò e fece
cadere il contenuto del suo piatto in parte per terra e anche sui suoi
pantaloni.
“Bah, ma guarda cosa hai combinato!”, tuonò lei.
“Ma… ma io…”, provò a obiettare lui cercando di raccogliere il piatto.
Un dito minaccioso indicò la porta dei bagni. “Niente ma! Vai a sciacquarti!
Subito!”
Il poverino, rassegnato, obbedì.
Rimasta sola, la ragazza andò a sedersi al bancone. “Un bicchiere d’acqua”,
chiese con fare scocciato, e fu prontamente esaudita.
“Il tuo lui non sembra andarti molto a genio”, osservò la ristoratrice
iniziando a mettere in ordine tra i bicchieri che stavano sotto il bancone.
La cliente scoppiò a ridere. “Il mio lui?! Tsk, quello è un povero stupido
che mi ha fatto compassione, tutto qui!”
“Se tratti così quelli di cui hai compassione, allora tremo all’idea di cosa
fai a quelli che odi”.
“Si può sapere perché ti prendi tutta questa confidenza?”, domandò allora la
cliente squadrandola.
“Io cerco sempre di prendere confidenza con chi viene nel mio locale. Specie
se lo fa più di una volta”.
L’altra sbuffò. “Spero che non tenterai di prendere confidenza anche con
quell’idiota che mi porto appresso. Quello rischia solo di attaccarti la sua
stupidità. Fai attenzione!”
“Farò attenzione.” Maaya ammiccò con lo sguardo. “Ho una certa esperienza
nello scegliere gli uomini”.
“Gli uomini? Per favore! Gli uomini sono soltanto degli stupidi pervertiti
che pensano solo a cose sconce”.
“Guarda, il tizio che ti accompagna non mi sembra uno stupido pervertito.
Magari è un bravo ragazzo”.
“Non lo è. Ne sono sicura!”
“Su che ti basi?”
“Sul mio istinto femminile. Gli uomini sono porci e basta!”
Maaya la guardò con interesse. “Ne hai avuto un esempio?”
“Certo! Una volta, ad esempio, mi stavo cambiando sotto una scala, e uno di
quei pervertiti si è messo a spiarmi dalla rampa superiore!”, spiegò indignata
la ragazza.
“Non è detto che l’abbia fatto per quei motivi. Forse era solo curioso di
sapere cosa stessi facendo”.
“E’ impossibile!”
“Perché? Tu gli avevi detto cosa stavi facendo?”
“Be, no”.
La cliente abbassò per un momento lo sguardo. Ma solo per un momento.
“Comunque sono sicura che volesse spiare una bella ragazza che si cambiava.
D’altronde, solamente un ingenuo non avrebbe capito cosa stavo facendo lì
sotto!”
Maaya si portò una mano al mento. “E se invece il tizio in questione fosse
davvero un ingenuo?”
La cliente poggiò un braccio sul bancone, e con una mano prese a
giocherellare col bicchiere, facendolo scivolare sulla superficie di legno. “In
effetti, sì. E’ probabilmente la persona più ingenua che conosco”.
“Colpa dell’educazione subita in famiglia?”
“Non l’ha mai avuta una famiglia quello lì. La madre è morta quando aveva
solo quattro anni, e il padre, un bastardo, l’ha abbandonato subito dopo come si
fa con i cani per strada”.
“E allora che colpa ne ha lui? Se ha sbagliato a causa dei problemi per la
sua situazione famigliare…”
La cliente sembrò restare scandalizzata. “Ma ha comunque sbagliato! Ed è
sbagliato voler assolvere sempre!”
“Infatti. Ma se i suoi errori derivano dalle sue esperienze del passato,
allora significa che la sua ingenuità non è propria della sua natura. Quindi
vuol dire che non è destinato a essere così per sempre. Può migliorare. Magari
con una persona forte al suo fianco”.
“Ed è qui un altro esempio della sua ingenuità! Si è messo con una ragazza
ingenua come lui! Ti sembra che una coppia del genere possa funzionare?!”
“Oh no! Sono gli opposti che si attraggono!”, rispose prontamente Maaya.
“Esatto!” La giovane con i capelli rossi piantò le mani sul bancone e si
sporse sempre più in avanti. “Una coppia del genere non può funzionare, non può
esistere! Quegli stupidi finirebbero solo col rovinarsi a vicenda! Un ingenuo
come lui ha bisogno di una compagna adatta, sempre ammesso che riesca veramente
a trovare qualche disperata che lo voglia. Ha bisogno di una forte, che parli
senza peli sulla lingua, che non si lasci intimidire da nessuno, che sappia
alzare le mani quando occorre per difenderlo!”
“Giusto!” assentì Maaya “E magari questa compagna dovrebbe anche avere una
sensibilità nascosta che gli permetta di capire veramente il ragazzo!”
“Sì. Perché hanno avuto esperienze similari!”
“Brava!” applaudì la ristoratrice: finalmente la sua sempre più infervorata
cliente, che ormai sporgeva così tanto in avanti da essere quasi faccia a faccia
con lei, era giunta alla giusta conclusione.
In quel momento si sentì un tenue segnale sonoro, la ragazza tornò a sedersi
correttamente, guardò nella borsetta, bofonchiò un’imprecazione, lasciò alcune
banconote sul bancone, corse nel bagno, degli uomini, e trascinò il suo
accompagnatore fuori dal locale.
Maaya recuperò i soldi e prese a contarli. “Forse avrei dovuto aprire
un’agenzia per cuori solitari. Certo che quella ragazza anziché quattordici,
sembra averne solo dieci di anni. Se ne esce con discorsi così stereotipati
sugli uomini…”
Quando terminò il conto, un’espressione birichina si disegnò sul suo volto, e
cominciò subito a chiudere il locale.
Arrivò infine la sera, e Maaya, che aveva riaperto il suo ristorante, vide
rientrare la cliente con cui aveva discusso quel pomeriggio.
La ragazza con i capelli rossi aveva un’aria sconsolata.
“Buonasera, chica”, salutò la proprietaria, intenta a pulire il bancone.
“Com’è andata la giornata?”
“Male”, rispose la cliente. “Ricordi la coppia di ingenui di cui ti ho
parlato? Forse sta davvero nascendo qualcosa…”
Maaya sospirò volgendo gli occhi al cielo, e la invitò a sedersi davanti al
bancone, allo stesso posto del pomeriggio.
L’altra obbedì senza fare obiezioni. “Hanno passato tutto il pomeriggio
insieme, e sono andati un po’ dappertutto. Per ultimo, al parco”.
“E il ragazzo che ti accompagnava?”
“L’ho mollato davanti alle giostre”.
Maaya inarcò un sopracciglio. “Capisco… Però può darsi che corri troppo. Non
hanno fatto altro che parlare, tranne per quel bacio sulla guancia quando si
sono salutati”.
La cliente la fissò sorpresa. “Come… come fai a saperlo?!”
“Sai, ti devo ringraziare. I soldi che mi hai dato prima erano molto più di
quelli che mi dovevi. Con quell’extra, senza toccare i soldi in cassa, sono
potuta andare in quella gelateria, poi in quel cinema e infine in
quel parco. Il tutto è stato davvero molto divertente!”
“Tu…. Tu ci hai spiati!”
Maaya fece un sorriso birbone. “Mi sa di sì”.
La cliente strinse i pugni. “E come…. Come ti sei permessa?!”
“Adesso ti arrabbi, ma ti faccio i miei complimenti per l’autocontrollo che
hai dimostrato mentre pedinavi quella coppia d’ingenui. Temevo che potessi
compiere qualche sciocchezza”.
La cliente arrossì. “Non… non lo avrei mai fatto!”
“Ah no?”
Maaya con passo deciso si avvicinò alla ragazza, le strappò la borsetta a
tracolla e vi frugò dentro, tirandovi fuori quello che sembrava un piccolo
schermo portatile.
Cominciò a rigirarselo tra le mani. “Un mio amico era molto esperto di queste
cose. Questo è un rilevatore di posizione, di quelli che si usano per le auto in
caso di furto. Non m’interessa dove l’hai rubato, ti basti sapere che, avendo
fatto questo, è normale sospettare che tu possa spingerti molto più in là”.
L’altra ragazza abbassò lo sguardo e fece per andarsene.
“Quell’ingenuo non si accorgerà mai di te, se non ti fai notare”, le disse
infine Maaya.
Asuka sedeva nella sua camera, fremente di rabbia e rossa in volto.
Il piccolo microfono direzionale piazzato nella finestra che quegli stupidi
dovevano pulire… Il rilevatore di posizione con relativo micro segnalatore
rubato dall’auto di Misato, quella Ferrari che non usava quasi mai perché
l’Alphine le piaceva troppo… Il pedinamento a distanza grazie al rilevatore…
“Che merdata! Che vergogna! E che ingenua che sono stata! Come ho fatto a non
capire che le ho spifferato tutto davanti a quel maledetto bancone!?”
Qualcuno bussò alla sua porta.
“Chiunque tu sia, fila via!”, tuonò la ragazza.
“Asuka, sono io”, disse Shinji dall’altro lato della porta. “Volevo chiederti
se avevi visto la cintura della mia divisa scolastica”.
Asuka si alzò e aprì la porta con violenza.
Shinji sobbalzò, e quando la vide infuriata, con la sua cintura in mano,
temette il peggio. “Prenditela, la tua maledetta cintura!”, gridò
lanciandogliela addosso. “E guai a te se mi fai fare un’altra figura vergognosa
come oggi!”
“Eh? Di che parli?”
“Idiota!!”, sbottò Asuka chiudendogli la porta in faccia.
Shinji rimase interdetto, preferì non pensarci e andò a letto, passando
affianco alla stanza di Misato, caduta in un sonno profondissimo dopo il suo
ritorno dal matrimonio, accompagnata dal signor Kaji.
****
Qualcosa era cambiato.
Da quanto tempo si trovava lì?
Da circa sei mesi.
Era ormai da sei mesi che stava in quella cella vuota dalle
pareti bianche.
Perché si trovava lì?
Perché aveva ucciso alcuni dei suoi fratelli, e gli scienziati
dei suoi padri lo avevano rinchiuso non per punizione, ma perché temevano che
potesse fare la stessa fine, ignorando quindi che era lui il colpevole.
Chi era lui?
Era se stesso, perché ora ricordava il suo nome e il suo
passato.
Chi lo aveva rinchiuso lì?
Questo lo sapeva già da qualche tempo…
Chi lo aveva creato, deluso dal risultato finale, non credendo
che sarebbe stato all’altezza.
Sarebbe uscito da lì?
Oh sì.
Ci avrebbero pensato le sue sorelle.
“Ehi, si è sdraiato”, comunicò l’addetto ai rapporti.
Il suo collega dei monitor si era alzato per prendersi un caffè, quindi lui
l’aveva sostituito per un momento.
Sentendo quelle parole, l’uomo tornò subito al suo posto per controllare.
“Sì, si è sdraiato per dormire. Meglio così, vorrà dire che sta tornando
normale”.
L’altro non era dello stesso parere. “Era da sei mesi che non lo faceva.
Dormiva sempre restando in posizione meditativa, e chissà come faceva e a cosa
pensava da sveglio”.
“Non dirmi che sei preoccupato! Non starai andando in paranoia?”, domandò
l’uomo dei monitor.
“Spero di no. Dico solo che mi sembra… sospetto”.
“Sì, stai diventando paranoico”, concluse il collega.
*Forse sembrerà strano che si utilizzi un walkman in una storia ambientata
nel 2015, quando già adesso i walkman manco li fanno più e gli Ipod dominano.
Però io ci tengo a rispettare il più possibile la serie base, e siccome nella
serie Tv si utilizzano regolarmente, ho deciso di farlo anche io.