Buonasera
a
tutti. Vi presento questa mia nuova fiction a capitoli, ambientata durante la saga
di Majin Bu. Inizialmente doveva essere una one-shot, ma poi mi sono
accorta
che se l’avessi scritta tutta insieme per la lunghezza della
trama e per
il
mio essere esageratamente prolissa sarebbe stata troppo lunga da
scrivere e
da leggere, cioè
un mattone incredibile.
Il punto della storia è questo:
Vegeta si è sacrificato per proteggere la sua famiglia, una
volta morto è stato
condannato all’Inferno da Re Enma e si appresta ad affrontare
i propri fantasmi
e i propri sensi di colpa ancora da scontare e poi, come tutti sappiamo
dall’anime,
viene rilasciato e può tornare a casa da Bulma e Trunks.
[Il genere angst
si riferisce infatti solo ai capitoli dedicati alla permanenza di
Vegeta all’Inferno.
]
Probabilmente
questa idea è già stata scritta e riscritta un
megabilione di volte ma io non
sono proprio riuscita a trattenermi (oltretutto non aggiornando la mia
fiction che
attende furiosamente di essere aggiornata ancora in corso “La
Profondità
Del Buio”, leggetela se ne avete voglia^^).
Spero che vi
piaccia la trama e di essere rimasta IC.
Aspetto
tantissime recensioni =)
Mi farebbero
tanto piacere e mi aiuterebbero a migliorare (sono alle prime armi).
Fuori Dalla
Notte
#
cap. 1: nothingness
Vegeta si
era presentato al cospetto di Re Enma con aria sicura e baldanzosa,
incrociando
le braccia e reclinando il capo da una parte, mentre i suoi stivaletti
bianchi ancora
lisi dalla battaglia si confondevano con il candore delle nuvole,
pavimento del
palazzo di smistamento delle anime.
Nemmeno uno
sguardo timoroso o anche lontanamente curioso era comparso sul suo viso
dai
lineamenti schivi e alteri, nemmeno una parola o un cenno di saluto
erano
sfuggiti da quelle labbra strette, ma solo un’occhiata di
superiorità mista a
disprezzo aveva vagato sui volti dei presenti che lo fissavano con aria
preoccupata e a tratti spaventata.
- Inferno. - aveva decretato Re Enma con
aria sicura, stringendo fra le grandi mani il fascicolo contenente la
sua vita
e le sue innumerevoli malefatte, immaginando che la rabbia avrebbe
immediatamente colmato e annerito quello sguardo già
sufficientemente scuro, ma
inaspettatamente il Principe aveva riso.
Vegeta aveva
sogghignato fra sé e sé, completamente
indifferente e per nulla impaurito dalla
prospettiva che gli era stata proposta: quale
tortura poteva spaventare il Principe dei Saiyan? Certamente nessuna.
Non temeva
il dolore fisico. Avrebbe sopportato stoicamente, come sempre: nel
corso della
sua vita era stato sottoposto ad ogni genere di sofferenza ed era ormai
avvezzo
ad ogni genere di mancanza e privazione, essendo riuscito addirittura
ad abituarsi
alla sensazione di quel liquido viscoso e rossastro che gli copriva le
membra,
si spargeva fra i capelli folti e corvini e talvolta gli colava negli
occhi; senza
nemmeno sforzarsi troppo poteva facilmente risentire il sangue caldo
risalirgli
la gola e in un rigurgito purpureo spandersi sul suo petto e penetrare
nella
terra chiara e sabbiosa.
Quel
particolare odore acre e metallico era in grado di risvegliare le sue
regali
narici come nient’altro, era quello che decretava la vittoria
o la sconfitta,
se altrui innalzando la propria soddisfazione alle stelle, se proprio
strappando il proprio orgoglio in dolorose pieghe.
Vegeta non
capiva perché i presenti lo fissassero con
quell’aria preoccupata e allibita,
avrebbe forse dovuto mettersi a piangere e implorare di essere mandato
in
Paradiso per il suo estremo gesto di sacrificio? Persino lui era ormai
pronto a
riconoscere che la sua vita era stata un mero susseguirsi di omicidi e
azioni
malvagie, e certamente non si sarebbe abbassato ad implorare perdono a
nessuno
per ciò che la sua natura selvaggia e la crudele educazione
ricevuta lo avevano
portato a fare.
E, negli
spigoli più profondi della sua essenza ferina, era
terribilmente orgoglioso e
fiero della sua vita passata da guerriero valoroso e temibile. Nessuno
avrebbe
potuto costringerlo a rinnegare del tutto ciò che era stato,
ciò che si agitava
ancora, nonostante
tutto,
indomito e
furioso nelle sue vene.
- Solo la gente come
Kakaroth va in Paradiso, non certamente il Principe
dei Saiyan.
-
Aveva
pensato con una punta di insoddisfazione e sottile astio, mentre
oltrepassava con
noncuranza Re Enma guardando dritto di fronte a sé. Re Enma
osservò
attentamente il passo regale e deciso del Saiyan e non poté
impedirsi di chiedersi
come era riuscito un uomo così arrogante e presuntuoso a
cambiare al punto di
sacrificarsi per la sua famiglia, per una famiglia che oltretutto non
aveva
nemmeno desiderato e cercato. E ora era lì, di fronte alla
porta dell’Inferno,
ancora una volta ghignante e sprezzante del pericolo. Nemmeno Freezer
aveva osato
ridere di fronte al varco infernale, le sue labbra scure e violacee
avevano
impercettibilmente tremato e i suoi occhi piccoli e rossi avevano
indugiato un
attimo in più del necessario prima di andarsene
definitivamente, arreso alla
condanna.
In quei
pochi passi che lo separavano dalla soglia, l’uomo
ripensò ai motivi che lo
avevano spinto a quel gesto estremo e disperato e sorprendentemente non
si
ritrovò affatto pentito per l’atto compiuto.
- Bulma. Trunks. -
Il pensare
ai loro visi delicati, ai loro occhi azzurri come il cielo, alle loro
mani che
lo sfioravano con dolcezza, lo scosse per un attimo e lo indusse a
ripetere nei
propri pensieri quei nomi familiari e, in un modo evidente a lui solo, amati. In quel momento gli apparve
chiaro come il sole: anche se non era riuscito nel suo intento, era
valsa la
pena anche solo tentare di proteggerli, perché loro erano
stati la sua ancora
di salvezza, la sua unica occasione per smettere quella vita di
violenza e di
odio, dimostrando di essere una persona e non un freddo automa
comandato dall’istinto
di ferire e uccidere.
E mentre
valicava quella porta scura e fredda, un pensiero lo ferì
profondamente.
- Li rivedrò
mai? -
Si chiese, e
immediatamente si vergognò di quel pensiero, sentendosi
tremendamente patetico
e sentimentale. Cercò di allontanarlo da sé, e
mentre tentava di distrarsi dal
loro ricordo accadde qualcosa di inspiegabile e misterioso. Vegeta
capì subito di
essersi sbagliato, di avere per l’ennesima volta peccato di
presunzione.
Dov’è
il mio corpo?
Fu il suo
primo incredulo pensiero, quando si ritrovò nel buio,
dissolto in uno spettro
dai colori vitrei.
Le sue
abituali e bellissime sembianze erano letteralmente scomparse,
lasciando il
posto ad un essere simile ad un fragile soffio di vento. Non aveva più bocca
per urlare, umiliare, insultare; né mani per
stringere, ferire, uccidere; nemmeno un corpo per muoversi, correre,
scappare.
Gli era
stato strappata l’unica parte di se
stesso che avesse mai considerato come esistente, che aveva allenato
fino allo
stremo per renderlo una perfetta macchina da combattimento, per
diventare il
più forte e temuto dei guerrieri, per vedere dipinto negli
occhi degli
avversari un terrore profondo e irrazionale dovuto
all’avvicinarsi della morte.
Lo aveva venerato, mugugnando di piacere e soddisfazione quando vedeva
i propri
muscoli irrobustirsi e il proprio fisico diventare più forte
e robusto.
Spesso si
era ritrovato a percorrere con uno sguardo mal
celatamente orgoglioso le proprie cicatrici, segno tangibile di chi
combatte,
di chi sopravvive, di chi vince.
Perché
Vegeta lo aveva imparato a proprie spese fin dall’infanzia:
fare del proprio
meglio e accontentarsi di ciò che si ha non contava nulla in
una vita come la
sua, nella quale l’unico obiettivo era rimanere in vita a
qualsiasi costo, e
l’unico mezzo per riuscirci era combattere e uccidere, non
avendo pietà per
niente e per nessuno, riducendo la propria anima ad una fornace
illimitata di
odio e indifferenza.
Ma ora non
aveva più il suo corpo, ciò che lo rappresentava,
l’unica parte di sé che aveva
accettato.
Era rimasta
l’unica parte di lui trascurata e spesso rinnegata, la sua anima.
Vegeta era
stato certo di non aver mai provato sentimenti fuori dalla rabbia e
dalla
frustrazione e dal desiderio di vendetta fino alla morte di quel
ragazzo del
futuro che dichiarava di essere suo figlio.
Per un solo,
breve attimo, aveva sentito qualcosa muoversi dentro di lui, ma anche
in
quell’occasione non aveva dimostrato altro che ira omicida e
vendicativa.
Poi,
lentamente, era riuscito a legarsi a Bulma e a Trunks, comprendendo per
la
prima volta il concetto di amore, di calore umano, ma comunque per lui
era
rimasto un tabù l’ammettere l’esistenza
di queste persone che lo chiamavano tesoro e papà.
Talvolta se
ne vergognava, rimpiangendo la propria vita trascorsa da guerriero
fiero ed
orgoglioso, e non poteva trattenersi dal guardare fuori dai vetri della
Capsule
Corporation, immaginando di salire su una navicella alla volta dello
spazio e
trattenendo le membra frementi di combattere. Si sentiva mancare il
fiato,
mentre camminava nel giardino cosparso di astronavi e il vento fresco
gli
scompigliava i capelli scuri, e si chiedeva se davvero sarebbe stato in
grado
di farlo, di abbandonare tutto, di lasciare quella donna che lo amava e
quel
bambino il cui sguardo brillava di ammirazione alla sua presenza.
E così,
ogni
volta, si costringeva a ritornare indietro, sentendo i passi farsi
pesanti e
titubanti, reprimendo con una smorfia in volto la sua natura ferina e
spietata.
Dentro di
sé
ne era stato perfettamente convinto: se anche la malvagità
radicata dentro di
lui fosse riuscita a convincerlo a riprendere in mano la sua vecchia
vita,
sarebbe ritornato alla Capsule Corporation entro breve tempo. Eppure,
nonostante tutto questo, aveva sbagliato un’altra volta,
cedendo alle
tentazioni perpetrate dalle tenebre crudeli e disumane della sua anima,
vendendosi.
Al pensiero di quella M che gli aveva marchiato il volto Vegeta provava
un’infamante vergogna, un vivido e bruciante senso di colpa,
e non appena sentì
il proprio corpo avvolto da una luce calda e dorata disintegrarsi in un
rombo
assordante aveva finalmente compreso che qualcosa dentro di lui era davvero cambiato.
Inspiegabilmente,
immaginari aghi di ghiaccio cominciarono a trafiggerlo uno dopo
l’altro, penetrando
dentro la sua anima con una lentezza esasperante, provocandogli un
dolore
lancinante e facendolo sentire come paralizzato. Un freddo pulsante e
tagliente,
interno, psicologico, lo avvolse in un continuo crescendo, mentre un
senso di
solitudine e di abbandono gli ammorbava la mente. L’ira e la
tristezza si fecero
spazio nella sua coscienza debilitata e straziata da quella sofferenza
intestina , portandolo sull’orlo di un crollo psichico.
Devo rimanere calmo e
cercare di trovare un
modo per liberarmi da tutto questo, continuava a ripetersi nei
rari momenti
di lucidità, tentando di placare il dolore. Il non poter
sfogare i propri sentimenti
ed essere costretto al silenzio e all’immobilità
lo faceva lentamente
impazzire, lasciandolo nella più completa frustrazione e
disperazione per una
quantità di tempo indefinibile, nella quale perse poco a
poco sensibilità alla
propria esistenza.
Ma,
all’improvviso, un flash luminoso squarciò
l’apatico corso dei suoi pensieri.
Qualcosa di bianco si era impossessato della sua mente, ridotta alla
stregua di
uno squallido teatrino.
Bianco, lucido, viscido,
violaceo.
Un moto di
terrore lo scosse, risvegliandolo per un attimo dal dolore che lo stava
lentamente
torturando. Se fosse stato in possesso del suo corpo, avrebbe tremato
dal
nervosismo e avrebbe stretto i pugni nei guanti candidi fino a rompere
la loro
resistente stoffa: nonostante in quel momento Vegeta sarebbe stato in
grado di uccidere
Freezer con una semplicità disarmante avendo oltrepassato di
molto il livello
del Super Saiyan, il vederlo impresso nei propri pensieri ed essere
obbligato a
guardarlo senza poterlo eliminare lo riempiva letteralmente di orrore e
disgusto. Il corpo liscio e candido, la testa arrotondata, gli occhi
purpurei e
allungati, le fattezze piccole e delicate, le labbra scure strette in
un ghigno
di compiacimento, Freezer rideva apertamente di lui, facendo schioccare
la coda
serpentina su un immaginario pavimento e producendo quel rumore
familiare che
era solito fargli venire i brividi sulla schiena.
Lo sguardo
freddo e derisorio di Freezer lo perforava, ricordandogli
l’infamante sconfitta
subita su Namecc e la sua intera vita passata a servirlo come uno
schiavo, forzato
a piegarsi di fronte a lui in ipocriti inchini che ogni volta gli
facevano
salire la bile in gola, costringendolo a reprimere i conati di vomito.
Freezer
camminava lentamente verso di lui, godendosi la reazione di sgomento
che ogni
suo robotico passo produceva nel Principe, senza riuscire a trattenere
le risate.
Il tiranno era così vicino che Vegeta poteva scorgere le
pagliuzze nerastre che
costellavano i suoi occhi rossi e notare i suoi muscoli compatti e
sviluppati tendere
fino allo spasimo quella pelle chiara e coriacea.
L’angoscia
dentro il Saiyan aumentava esponenzialmente, mentre notava con
disappunto che
le labbra del tiranno si aprivano, schiudendo quella voce dolce e
suadente, diventata
nel corso degli anni per lui irritante come uno stridio metallico.
- Guardami, Saiyan. -
Vegeta non
capiva il senso delle parole di Freezer, perché non avrebbe
potuto distogliere la
propria attenzione da quella presenza demoniaca in nessun modo e
nemmeno allontanarsi
da lui. Si limitò a osservare Freezer diventare sempre
più impaziente e
incrociare le braccia al petto, mentre la sua espressione diventava
seria e costernata.
Ancora una volta Vegeta si arrabbiò con se stesso per non
essere in grado di andarsene
dalla presenza di quell’essere odioso che lo trafiggeva con
lo sguardo provocandogli
ancora più dolore del ghiaccio che lo avvolgeva.
- Guardami, Saiyan. Tu
sei come me. -
Una rabbia feroce
e irrazionale invase il Principe, come osava quella schifosa lucertola
paragonarlo ad un essere che aveva distrutto il suo pianeta, sterminato
la sua
razza, ucciso suo padre, riducendolo in schiavitù e
beffandosi della sua
ignoranza? Se solo avesse potuto, avrebbe spezzato volentieri quelle
membra
candide, frutto della sua colpevole immaginazione. Ma ancora una volta,
impotente, non poté sopraffare quella voce calma e sottile.
- Guardami, Saiyan. Tu sei
come me. I tuoi
occhi sono colmi d’odio e le tue mani
assetate di sangue. Anche tu godi nel vedere la sofferenza, la
disperazione, il
terrore. Anche tu ridi del panico e dell’angoscia che
provochi nei tuoi
avversari. Ti sei beato del sangue altrui che ti impregnava i guanti e
i
vestiti, hai amato quell’odore, sentendoti potente e
invincibile, hai provato un
appagamento intimo e travolgente nel gustare la vittoria,
nell’uccidere. Per
tutta la tua vita hai ucciso per puro piacere personale,
perché hai sempre
bramato quella sensazione di potere: strappare la vita, ascoltare
l’ultimo
impercettibile respiro, imprimere in occhi morenti e socchiusi la tua
immagine ridente
e vittoriosa. Le tue mani hanno tremato di piacere e soddisfazione nel
dare il
colpo di grazia al nemico, non è forse così,
Saiyan? Hai sempre goduto
fisicamente e psicologicamente nell’uccidere, esattamente
come me. Per questo,
in fondo, siamo uguali. -
Un terribile
silenzio seguì quelle parole, rotto soltanto dal continuo e
ritmico schioccare
a terra della coda di Freezer, le cui labbra scure si incurvarono in un
largo e
enigmatico sorriso.
- Io non sono come te. -
Pensò in un
moto d’orgoglio, rifiutando di accostare la propria persona a
quell’essere immondo
che aveva odiato fin dall’infanzia. Voleva urlarglielo,
desiderava con tutte le
sue forze vedere il suo viso bianco e robotico contrarsi in una smorfia
di
disappunto, ma i suoi pensieri non sembravano raggiungerlo, rimanendo
refoli di
vento di nessuna consistenza. Freezer muoveva nervosamente le dita dei
piedi,
impaziente di avere una risposta e conscio del silenzio rabbioso e
indignato
del Principe: conosceva perfettamente Vegeta, non essendo altro che la
proiezione del suo senso di colpa e della sua coscienza macchiata dal
sangue.
Freezer sgranò gli occhi colore del carminio, che si
ingrandirono
arrotondandosi e diventando neri come l’abisso.
Le tenebre,
l’oscurità, e il nulla danzavano
in quello sguardo penetrante carico di astio e di malizia.
Il più
completo
disgusto riempì l’anima del Principe,
perché lui conosceva quello sguardo più
che bene, era il
proprio. Si
rivide con
un vago senso di malessere scrutare il mondo con
quell’espressione tagliente e
intensa, profonda e malvagia, così simile a quella del
tiranno.
Vegeta si
rifiutava razionalmente di ammettere una sua, seppur minima,
somiglianza come
Freezer, anche se la sua coscienza rassegnata e per la maggior parte
ripulita
dalla cattiveria sapeva perfettamente che lungo tutto il corso della
sua vita
non aveva fatto altro che farsi dominare dalla malvagità e
dalla rabbia,
imitando inconsapevolmente il sadismo e la crudeltà di
quell’essere che fin da
bambino aveva osservato combattere, uccidere e intimare ordini con
quella voce
severa e soave.
Non poteva
più
negarlo: aveva provato una sorta di piacere perverso e libidinoso ogni
volta
che aveva ucciso qualcuno, e a volte si ritrovava a rimpiangere quella
dissoluta sensazione con tutte le proprie forze.
Dentro di
sé
sapeva perfettamente di essere parso agli occhi del mondo come uno dei
più
feroci e disumani scagnozzi di Freezer,
pervaso dalla stessa sua sete di sangue e conquista, immune ai
sentimenti umani.
E così era
stato.
Freezer
rideva sguaiatamente, mentre Vegeta tentava disperatamente di ammettere
a se
stesso che per buona parte della sua vita non era stato altro che una
copia di
quell’essere spietato e brutale. Ma il Principe
capì che cos’era stato a
renderlo diverso nel profondo da Freezer, che cos’era a
tracciare un abisso invalicabile
fra i due: il suo aver imparato, anche se stentatamente e in modo per
nulla
perfetto, ad amare. Questo pensiero
lo inorgoglì nel profondo e per un attimo gli aghi di
ghiaccio smisero di penetrare
dentro di lui donandogli qualche istante di sollievo. Si
concentrò negli occhi
ridenti e nuovamente rossi del tiranno.
- Io sono diverso da te
perché ho imparato a
provare dei sentimenti. -
L’irruenza e
l’impeto con i quali Vegeta ordinò nella sua
coscienza queste parole ebbero
l’effetto di un fiume in piena, che oltrepassò gli
argini della sua mente
labile per raggiungere finalmente Freezer e infrangersi contro le sue
membra
esili, che tremarono visibilmente, colpite dalla forza di
quell’affermazione.
Una ferita si
aprì lentamente su quel petto bianco e coriaceo, provocando
un gemito di
sorpresa e di fastidio nel tiranno, che lo guardò con occhi
sgranati e stupiti.
Quello sfregio rossastro si diramò in
un’infinità di tagli che lacerarono quel
corpo perfetto che, cadendo a terra, cominciò a contorcersi
per il dolore
straziante.
- Mi.. mi.. hai tradito,
Saiyan. -
Mormorò il
tiranno con un’espressione allucinata e sconvolta, la coda
sinuosa e inerte
ormai abbandonata e immobile fra le gambe. Le urla di Freezer
diminuirono poco
a poco di intensità, insieme alla consistenza e al colore
del suo corpo: le sue
membra divennero incolori e lo sguardo temibile ridotto ad un pallido
specchio
rosato. Svanì nel nulla, riportando le tenebre e il silenzio
nella mente del
Principe.
*
|