mosuta3
Un
paio di avvertimenti... il rating è arancione per il linguaggio
e per le scene violente. E' possibile che ci sia sangue, un bel po' di
sangue, perciò se siete amanti del peace&love vi conviene
cambiare pagina. N è paurosamente OOC. In altre parole, qui non
è il ragazzo sognatore, un po' contorto ma sostanzialmente
buono del videogame, bensì un personaggio sadico e violento che
apparentemente odia qualunque forma di vita al di fuori di se stesso,
pokemon compresi. Non ha semplicemente la capacità di parlare
con i pokemon, ma anche quella di piegare le loro menti e
costringerli a obbedire a qualunque suo ordine.
Per il resto, buona lettura....
The Dark Resurrection
Prologue
Era
una giornata solare e luminosa, la tipica giornata di metà
giugno. Il sole splendeva alto nel cielo e una brezza leggera
scarmigliava i rami carichi di boccioli e i miei lunghi capelli biondi,
già sufficientemente arruffati per conto loro. Tutto sembrava
innocuo e tranquillo, come sempre; nulla lasciava presagire che, quel
giorno, la mia vita sarebbe stata sconvolta per sempre.
Io
e mia sorella Hinata eravamo a giocare in giardino, come facevamo
spesso. Abitavamo a Quattroventi, in una casetta piuttosto anonima ma
graziosa e confortevole. All'epoca, io avevo appena compiuto dieci
anni, mentre lei ne avrebbe fatti nove il mese successivo. La maggior
parte della gente pensava che fossimo semplicemente amici,
perché non ci assomigliavamo per niente: io avevo ereditato gli
occhi nocciola di papà e i capelli biondi della mamma, mentre
Hinata, al contrario, aveva gli occhi verdi e ballonzolanti ricci
castani. Eravamo ancora piccoli, terribilmente piccoli, e ingenui,
spaventosamente ingenui. Sapevamo così poco del mondo.
Certo,
eravamo a conoscenza del fatto che da qualche parte, fuori da Unima,
esistessero strane creature chiamate pokemon. A scuola i nostri
insegnanti ce li dipingevano come mostri violenti e pericolosi, fatti
di pura malvagità, che non esitavano a uccidere chiunque
capitasse a tiro con i loro oscuri poteri. Ma né io né
Hinata ci credevamo: quando saltava fuori l'argomento, i nostri
genitori ci parlavano di creature meravigliose, figlie predilette della
natura, certe così nobili da incutere rispetto in chi
semplicemente le guardava. Non avevo mai visto un pokemon, ma
desideravo ardentemente averne uno.
Al
momento, comunque, cose più importanti occupavano la mia mente:
io e Hinata eravamo ninja in missione e dovevamo infiltrarci nel Tempio
del Drago del Sole, a.k.a. casa nostra. Il nostro obiettivo era un
antico tesoro, il nettare degli dèi che conferiva vita eterna a
chiunque lo assaggiasse. Hinata strisciò sulla pancia fino a
quella che nella nostra immaginazione era una fitta boscaglia, ma che
in realtà era la siepe spelacchiata che contornava il recinto.
- Svelto, Kei! - sussurrò.
Io
annuii e m'affrettai a seguirla, sempre rasoterra. Un po' strisciando e
un po' correndo, a tratti appiattendoci contro i muri di casa,
sgattaiolammo in silenzio fino alla porta posteriore, quella che dava
sulla cucina. Eccolo, il nostro tesoro: il vassoio di biscotti che la
mamma aveva incautamente lasciato a raffreddare sul davanzale della
finestra. Mi guardai intorno, assicurandomi che lei non fosse nelle
vicinanze.
- Il guardiano del tempio non c'è - bisbigliai.
Hinata annuì. - Ottimo, entriamo in azione! -
Da
veri ninja, ci appostammo sotto la finestra e, dopo un'ultima occhiata
di sicurezza, rubammo una decina di biscotti, avvolgendoli nel
fazzoletto di stoffa che mi ero saggiamente portato dietro. Il tepore
dei biscotti appena sfornati mi riscaldò le mani. Una volta
preso il bottino, scivolammo via con la stessa circospezione con cui
eravamo arrivati. Corremmo a rifugiarci nella siepe, e lì ci
spartimmo il nostro tesoro.
-
Il nettare degli dèi! - esultò Hinata, sollevando un
biscotto e brandendolo con orgoglio, come se fosse stato chissà
quale oggetto prezioso. - Ancora una volta, la coppia ninja Hinata
& Kei ha completato la missione con successo! -
- Puoi dirlo forte! -
Ci
gettammo sul nostro piccolo banchetto, ma non eravamo ancora arrivati
al terzo biscotto che una voce bassa e maschile ci fece sussultare.
- Ah, ecco dove vi eravate nascosti. Belle lo sa che avete trafugato i suoi biscotti, vero? -
Per
un attimo rimasi paralizzato, ma quando alzai lo sguardo la mia
preoccupazione si trasformò in sollievo: l'uomo che ci osservava
dall'alto della siepe non era che zio Komor, elegante e impeccabile
come sempre, gli occhi azzurri brillanti di divertimento dietro gli
occhiali rotondi alla Conan. Non era veramente uno zio, ma era come se
lo fosse: era un amico d'infanzia di mamma e papà, e anche se lo
vedevamo di rado (lavorava come capo ispettore della polizia di
Mistralopoli) era praticamente uno di famiglia. Secondo Hinata era un
tipo 'affascinante', però non si era mai sposato. Una volta,
avevo chiesto alla mamma per quale motivo; lei aveva abbassato gli
occhi e accennato qualcosa riguardo a una ragazza bellissima, di cui
lui era innamorato fin da bambino, ma dalla quale era stato separato
molti anni prima.
- Zio Komor! - cinguettò Hinata, illuminandosi tutta.
-
Ciao, principessa. - Lui le sorrise, e lei diventò rossa come un
pomodoro. - E ciao anche a te, campione. - Mi scarmigliò
affettuosamente i capelli. - Un uccellino mi ha detto che il sette di
giugno è stato un giorno speciale per te. -
- Sì, il mio compleanno - dissi allegro.
- E quanti anni hai compiuto? -
- Dieci! -
-
Dieci? - Il sorriso di zio Komor si allargò. - Oh, ma allora sei
quasi un uomo! E per un vero uomo serve un vero regalo, non pensi? -
Mi
mise in mano una sfera bianca e nera, delle dimensioni di un'arancia.
La osservai per un secondo, perplesso, poi ricevetti una folgorazione:
le avevo già viste, sfere del genere, nel film Mostri del passato. Le usavano alcune persone, chiamate allenatori, per evocare i loro...
- Pokemon! - squittii, stupefatto. - Contiene un pokemon? -
Zio
Komor mi fece cenno di abbassare la voce. - Sì, ma non farti
vedere da nessuno. Resterà il nostro piccolo segreto. -
- Ma Kei non può tenerlo, è pericoloso - si allarmò Hinata. - E se qualcuno lo vede? -
-
Infatti, dovrete fare molta attenzione - disse Komor serio. - Apritela
solo quando siete sicuri di non essere visti. E ricordate, nessuno
dovrà mai notare o anche solo immaginare la sua presenza,
neppure ai vostri amici. -
-
Però... - Hinata era ancora dubbiosa, ma io la misi a tacere: -
Eddai, Hina, staremo attentissimi! Lo terremo in camera e nessuno si
accorgerà di niente. -
Nascosti
la sfera sotto la felpa. Mi batteva il cuore all'impazzata: un pokemon,
finalmente avevo un pokemon! Non avevo la minima idea di cosa o come
fosse, ma sentivo di adorarlo già. Sarebbe stato il mio migliore
amico, dopo Hinata. Non importava se gli allenatori di Mostri dal passato erano
cattivi e spietati: io avrei allevato il mio pokemon con tutte le cure
del mondo e se necessario avrei anche lottato al suo fianco.
Dovevo
avere una faccia totalmente estasiata, perché zio Komor rise di
cuore. - Confido nel vostro buonsenso, piccoli ninja. -
In
quel momento, la porta di casa si aprì e apparve nostra madre,
Belle, in tenuta da casa e con la testa piena di bigodini. I suoi caldi
occhi verdi scintillavano come smeraldi.
- Komor, sei tu? Prego, entra! Spero che i bambini non ti abbiano dato noia. -
- Ma che noia e noia. - Komor ci strizzò l'occhio e si diresse verso di lei. - Come stai, Belle? Ti vedo in gran forma. -
-
Grazie, caro, anche tu hai un aspetto splendido. Touya arriverà
a momenti, gradisci un po' di tè nel frattempo? - Fece
accomodare Komor in casa, dopodiché tornò a rivolgerci un
sorriso luminoso. - E voi due restate in giardino, d'accordo? Non
allontanatevi. -
- Tranquilla, mamma - rispose Hinata, in quel tono innocentemente docile che avevo imparato a temere.
Morivo
dalla voglia di correre in camera e aprire la sfera, ma zio Komor era
stato categorico: avrei dovuto aprirla di sera. Oltretutto, se ci
avesse visti tornare in casa troppo presto, la mamma probabilmente si
sarebbe insospettita. Così, seppur di malavoglia, io e Hinata
continuammo a giocare ai ninja per un po', fino a quando il tramonto
non tinse di rosso l'orizzonte. Papà Touya era tornato a casa
poco dopo l'arrivo di Komor e si era eclissato insieme a lui e alla
mamma in salotto, per discutere di quella che Hinata chiamava
sdegnosamente 'roba da vecchi': la possibile formazione di sacche di
ribellione, la crisi economica che da qualche tempo affliggeva Unima,
le ultime mosse politiche di re N Harmonia.
Sì,
perché dovete sapere che Unima era un regno. Lo era diventato da
piuttosto poco, forse una ventina d'anni. A scuola ci avevano
spiegato che N Harmonia era salito al trono dopo aver sconfitto una
strega malvagia e il suo terrificante pokemon drago. Suo padre, il
ministro Ghecis Harmonia, era deceduto pochi mesi dopo la sua ascesa;
ufficialmente era stata colpa di una febbre fulminante, ma c'era chi
mormorava che fosse stato fatto assassinare da N in persona. Pochi
giorni dopo, N si era sposato con Touko, una giovane donna tanto
incantevole quanto coraggiosa. Allora non sapevo ancora chi fosse
realmente, né quanto in seguito sarebbe stata importante per me.
Non potevo nemmeno immaginare che quella Touko era la sorella di mio
padre, nonché l'amore segreto di zio Komor.
Era
da poco calato il sole quando lo zio uscì di casa. La mamma gli
propose di fermarsi per cena, ma lui declinò gentilmente
l'invito. Doveva tornare a Mistralopoli. Feci appena in tempo a
nascondere la sfera sotto un cuscino del salotto prima che papà
chiamasse me e Hinata perché apparecchiassimo la tavola. Mentre
disponevamo i piatti e le posate, colsi brevemente l'immagine dei
nostri genitori in salotto, intenti a parlare fitto fitto tra di loro.
Per quanto gravi, però, le loro voci erano troppo basse
perché potessi capirci qualcosa.
- Hai nascosto la sfera? - mi chiese Hinata.
Io annuii e feci un cenno verso il salotto. - Secondo te di cosa stanno parlando? Sembra un affare serio. -
- Probabilmente roba da vecchi. -
Quando
rientrarono in cucina, però, i nostri sembravano tranquilli e
sorridenti come al solito e nessuno vi diede più peso. Per cena,
nostra madre aveva preparato del pollo con le patate al forno.
Papà cominciò a servirci, prima Hinata, poi me, poi la
mamma e infine se stesso, da vero cavaliere. Mentre m'abbuffavo di
pollo, però, alle mie orecchie giunse qualcosa... un suono
ritmato, dapprima distante, ma poi più vicino di minuto in
minuto. Nel giro di poco, quello che era cominciato come un vago flup-flup-flup
divenne un cupo boato, così forte che pareva provenire
direttamente dal tetto della nostra casa. Perplesso, sollevai il viso
dal piatto, e vidi che i miei erano di colpo impalliditi. Si
scambiarono un'occhiata allarmata.
- Sono venuti con gli hovercraft...? - sussurrò mia madre, bianca come un lenzuolo.
Papà
scattò in piedi e si diresse a rapide falcate verso il divano.
Lo spostò leggermente di lato, rivelando uno sportello segreto:
combaciava così perfettamente con la parete che, se non l'avesse
aperto, sarebbe stato indistinguibile.
Si volse verso me e Hinata, asciutto. - Presto, ragazzi, nascondetevi. -
Io
e mia sorella ci guardammo, allibiti. Nel frattempo, la mamma stava
preparando in fretta e furia due zainetti, infilandoci borracce, fette
di pane e pezzi di formaggio. Ci le consegnò ansiosamente e
papà quasi ci spinse a forza nella nicchia. Io e Hinata ci
accoccolammo come potemmo. Sebbene fossimo entrambi piuttosto piccoli,
eravamo così stretti che faticavamo a respirare.
- Cosa succede, papà? - fece Hinata, spaventata.
A
risponderle fu la voce squillante di un megafono, da qualche parte
all'esterno: - Sappiamo che siete lì dentro, traditori! Deponete
le armi e uscite con le mani in alto, e forse non vi uccideremo! -
Nostro
padre strinse i denti. I suoi occhi nocciola erano duri come l'acciaio.
- Hinata, Kei... qualunque cosa vi dicano, non fidatevi di loro, mai.
Potete fidarvi solo di Komor e del team di Nardo. Kei, so che Komor ti
ha dato un pokemon... usatelo per andarvene via da qui, appena ne avete
l'occasione. Lui saprà dove trovare Nardo e i suoi. -
Sapeva del pokemon? - Aspetta un attimo, papà! Chi è questo Nardo? E tu e la mamma dove andate? -
Papà
sorrise, un sorriso triste. - Nardo è un amico. Ci rivedremo da
lui, quando tutto questo sarà finito. - Ci prese ciascuno per
una spalla. - Siate forti. Diventate allenatori forti che non piangono
e non s'arrendono mai. So che potete farcela. -
Mamma
ci abbracciò tutti, con forza. Sarebbe stato il suo ultimo
abbraccio. Noi non lo sapevamo, ma lei sì. - Vi voglio bene,
miei cari. Vi vorrò bene per sempre! -
Nostro
padre chiuse lo sportello. Io e Hinata sprofondammo nel buio, un buio
interrotto solo da una sottilissima fessura luminosa. Vi accostai
l'occhio, cercando di vedere qualcosa, e scorsi i nostri genitori in
piedi l'uno di fronte all'altro. La mamma aveva il viso rigato di
lacrime.
-
Grazie, Touya. Senza di te, la mia vita sarebbe stata piatta e priva di
significato. Tu mi hai salvato. Mi hai difeso da mio padre, mi hai
donato il tuo amore e mi hai regalato la gioia di diventare madre.
Senza di te... -
Papà
la strinse a sé e le baciò la fronte. - Shh, Belle...
sono io a dover ringraziare a te. Mi hai sempre sostenuto, sempre,
pur sapendo che la mia era la guerra di un uomo solo contro il mondo, e
mi hai dato due figli bellissimi. Sei stata la mia luce nel buio. -
Continuarono
ad abbracciarsi in silenzio per quelli che parvero secoli, ma che in
realtà furono pochi minuti. Poi la porta di casa fu brutalmente
sfondata. Udii il cigolio secco del legno che cedeva, subito seguito da
una voce fredda e crudele.
- Ha! Allora in questa fogna c'era qualche topo, dopotutto. -
Il
giovane uomo che aveva parlato si fece avanti. Indossava una strana
divisa nera e argentea e aveva il volto celato da un grande cappuccio;
tra le mani stringeva due pistole semiautomatiche, una delle quali
puntata verso i miei genitori. Papà si pose subito davanti alla
mamma con fare protettivo.
- Rainer! - ringhiò.
L'altro
rise. - Ti ricordi di me, Touya? Splendido! Sai che anch'io ti ricordo
a meraviglia? - Sospinse indietro il cappuccio. Io trattenni a fatica
un grido: il suo viso era per metà regolare e addirittura
gradevole, e per metà sfregiato da una lunga cicatrice che gli
percorreva le carni dalla fronte all'angolo della bocca,
attraversandogli l'occhio. Sulle sue labbra si delineò quello
che un tempo sarebbe potuto essere un affascinante sorriso da
seduttore, ma che ora appariva solo come una smorfia oscena. - D'altro
canto, è difficile scordarsi del bastardo che mi ha tolto un
occhio e privato della mia dignità. Sì, credo proprio che
comincerò con te. Logan, tienilo fermo! -
-
Sissignore, capitano Rainer! - esclamò una voce profonda. Nel
mio limitato campo visivo comparve l'uomo più grosso che avessi
mai visto. Doveva essere di tutta la testa più alto di
papà, che pure non era basso di statura. Lui e papà
ingaggiarono una breve lotta, ma fu inutile: Logan lo stordì
facilmente con un pugno in pieno volto e lo sollevò come se
fosse stato leggero come un burattino.
- No! - urlò mia madre, in preda al panico. - Non potete ucciderlo! Lui è il fratello della regina Touko! -
-
Oh, davvero? - L'uomo chiamato Ruiner sogghignò e puntò
la pistola in mezzo agli occhi di mio padre. - Beh, adesso non lo
è più. -
Chiusi
gli occhi e strinsi a me Hinata. L'aria fu squarciata da un singolo
sparo, a breve seguito dal rumore di un corpo che s'afflosciava per
terra. Tappai la bocca di mia sorella con una mano per impedirle di
gridare, ma non servì: l'urlo di disperazione di nostra madre
avrebbe coperto qualunque suono. Quando osai guardare di nuovo, vidi
che Rainer si era voltato verso mia madre.
- E adesso è il tuo turno, dolcezza. -
La
mamma continuava a gridare e a singhiozzare, scossa da un tremito
incontrollabile. Il mio cuore era straziato da artigli invisibili.
Avrei voluto spalancare lo sportello e gettarmi a testa bassa verso
Rainer, ma ero pietrificato dall'orrore. Hinata, rannicchiata contro il
mio petto, piangeva in silenzio.
Rainer
sollevò la pistola dalla bocca ancora fumante. - Ma prima,
c'è una cosa che voglio sapere... dove sono i vostri
bastardelli? Re N sa benissimo che tu e questo maledetto qui -
toccò con lo stivale il cadavere di mio padre - vi siete dati da
fare, negli ultimi anni. Allora, dove sono quei piccoli figli di
puttana? -
Lei
non smise un attimo di singhiozzare. Il suo petto s'alzava e
s'abbassava, s'alzava e s'abbassava, freneticamente. Rainer le
sferrò un manrovescio, tanto brutale da farla cadere a
terra.
- Dimmelo e avrai salva la vita! -
Mamma si tirò su lentamente, puntellandosi con le mani. I lucenti capelli dorati le velavano il viso.
- In... in soffitta - balbettò.
Rainer
rise. - Molte grazie, troia, mi hai semplificato il lavoro. - Premette
di nuovo il grilletto. Stavolta non distolsi lo sguardo abbastanza in
fretta. Vidi mia madre ciondolare, quasi fluttuando, e per un attimo le
ciocche bionde si scostarono dal suo viso, rivelando tutto il dolore
inciso nei suoi lineamenti delicati. Poi un fiore rosso sbocciò
in mezzo al suo petto, impregnandole la veste. S'accasciò sul
pavimento quasi con grazia, come una farfalla che si posa dopo il suo
ultimo volo.
Rainer infilò entrambe le pistole nelle fondine e si rivolse all'uomo che l'aveva seguito. - Andiamo, Logan! -
Attesi
che i loro passi risuonassero su per le scale, poi in qualche modo
trovai il coraggio di aprire lo sportello. I corpi dei nostri genitori
giacevano immobili in una pozza di sangue. Mi si contrasse lo stomaco e
dovetti farmi forza per non rigettare.
-
Coraggio, Hina - sussurrai, prendendo mia sorella per la mano e
trascinandola via. Lei sembrava aver perso coscienza di sé;
rossa in viso, gli occhi gonfi di pianto, si limitava a seguirmi
mollemente, come una bambola ambulante.
Sbirciai
fuori dalla porta, ma mi resi subito conto che tentare la fuga da
lì sarebbe stata una follia: uno strano velivolo metallico (la
cosa che la mamma aveva chiamato 'hovercraft', dedussi) era
parcheggiato lì davanti e almeno una mezza dozzina di uomini
bighellonava per il giardino, con le armi spianate. Corsi allora in
salotto e afferrai la sfera che avevo nascosto nel divano nemmeno
un'ora prima, dopodiché mi lanciai verso la cucina, sempre con
Hinata al seguito. Controllai rapidamente la finestra: sembrava che
fuori non ci fosse nessuno. Aprii la finestra e la scavalcai per primo,
poi mi protesi verso Hinata e l'aiutai a fare lo stesso. Avevo il cuore
in gola: per quel che ci riguardava, i due assassini potevano tornare
in qualsiasi momento.
Non
mi accorsi di stare piangendo fino a quando non sentii le lacrime
gocciolarmi giù dal mento, calde, impetuose. Me le asciugai con
rabbia: dovevo essere forte, per i miei e per Hinata. Era stato
l'ultimo desiderio di papà, no? Lui avrebbe voluto
che diventassi un allenatore. Afferrai la sfera di zio Komor e la
lanciai a mezz'aria, come gli allenatori del film. Un lampo di luce
rossa saettò davanti a me, e un momento dopo al mio fianco si
era materializzata una creatura: era un quadrupede, grande e imponente,
una sorta di cavallo dal lucido pelo azzurro. Si curvò verso di
me, studiandomi con i liquidi occhi scuri. In altre circostanze forse
ne avrei avuto paura, ma adesso il mio unico terrore era che gli
assassini dei miei genitori ci scoprissero e facessero del male a
Hinata.
Appoggiai una mano contro il fianco della creatura. - Dobbiamo andare da Nardo. Ci aiuterai? -
La
creatura annuì. Io caricai Hinata sul suo dorso (era davvero in
alto, ma il pokemon piegò le zampe per aiutarmi) e salii subito
dietro di lei, aggrappandomi alla folta criniera della nostra
cavalcatura. Il pokemon scattò in piedi e cominciò a
correre.
- Eccoli, sono laggiù! - urlò una voce alle nostre spalle.
-
Corri, corri! - gridai, implorante, e il pokemon parve spiccare il
volo: le sue zampe sfioravano appena il terreno mentre sfrecciava a
tutta velocità attraverso Quattroventi, percorrendola da cima a
fondo e lasciandosela alle spalle nell'arco di pochi secondi. In breve,
le case sparirono, sostituite da dense muraglie di fogliame e
oscurità. La creatura azzurra si muoveva a rapidità
ultraterrena, agile e leggera come il vento. Io abbassai le palpebre e
strinsi un braccio intorno a Hinata. Tra me e me, giurai che gli
assassini l'avrebbero pagata cara: per la morte dei miei genitori e per
il dolore che avevano inflitto a mia sorella.
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