Worst choice
[
Seconda classificata
e vincitrice del Premio Correttezza al contest
«Anche i vampiri hanno sentimenti... o no?»
indetto da BlackIceCrystal ]
Titolo: Worst choice
[ Bloody moon ]
Autore: My
Pride
Categoria: Originali
› Sovrannaturale › Vampiri
Tipologia: One-shot
[ 3784 parole fiumidiparole
]
Personaggi principali: Nathan
Doe, Giselle Storr, Miguel Rodríguez
Genere: Generale,
Vagamente
Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale
Rating:
Giallo / Arancione
Prompt
scelti: 6. Rabbia, 23. Orgoglio, 26. Arroganza
Avvertimenti:
Accenni Slash, Missing Moment,
Linguaggio a tratti un po’ colorito, Vagamente Non per
stomaci delicati
Nota: Questa
storia è uno spin off
della storia Under
a
bloody sky e fa indirettamente parte della serie St.
Louis ~ Bloody Nights, collocandosi subito dopo la one-shot Nightmare
in red. Essa verrà inoltre
raccontata da
un altro dei protagonisti principali della long fiction, ovvero Nathan
Doe.
DISCLAIMER:
All rights reserved
©
I
personaggi presenti in questa storia sono tutti maggiorenni e mi
appartengono, dal primo all'ultimo. Sono comunque frutto di pura
immaginazione. Ogni riferimento a
cose e persone realmente esistite e/o esistenti è puramente
casuale.
This
work
is licensed under a Creative
Commons Attribution-Noncommercial-No Derivative Works 3.0 License.
WORST CHOICE [ BLOODY MOON ]
Aspettare
ogni singolo giorno, per più di settecento anni, che
giungesse l’ora del
crepuscolo per poter uscire allo scoperto doveva essere un vero e
proprio
strazio.
In quanto licantropo io non
avevo
di quei problemi, ma quasi mi domandavo come avesse fatto Lewis a
resistere per
tutto quel tempo senza impazzire. Io stavo diventando matto ed erano
passate
soltanto poche ore da quando il sole aveva cominciato a calare oltre
l’orizzonte, ed ero certo che se avessi continuato ad andare
avanti e indietro
in quel dannatissimo giardino avrei scavato un bel buco nel terreno,
rovinando
così anche il prato.
Ad attendere in mia compagnia,
c’era anche Giselle che, seduta sulle scale del portico a
gambe unite,
sbadigliava di tanto in tanto mentre mi osservava con distratta
svogliatezza,
sorreggendosi il viso sul palmo di una mano. Aveva un’aria
alquanto annoiata, e
fu con quello stato d’animo nella voce che mi
richiamò, interrompendo
bruscamente la mia camminata. «Ce la fai a star fermo per
soli cinque minuti,
Nathan?» mi domandò, sbuffando pesantemente.
«Sei snervante».
Le scoccai appena una rapida
occhiata, aggrottando le sopracciglia. «Nessuno ti ha chiesto
di startene qui
fuori con me, mi sembra», rimbrottai, già nervoso
di mio senza che ci si
mettesse anche lei. Quella stessa mattina, prima di coricarsi nella
bara che
tenevo stipata in cantina, Lewis mi aveva raccomandato di non andarmene
in giro
fino a quando non si fosse svegliata, ma non era mai stata la mia
caratteristica migliore quella di attendere. Avevo dunque passato una
buona
fetta della giornata a raccogliere informazioni e a parlare con
chiunque avesse
avuto o intrattenesse ancora rapporti con quel tipo, Dante, non
cavandoci un
ragno dal buco. Sembrava quasi che tutti, nessuno escluso, temessero
quel
vampiro, e in fin dei conti un po’ li comprendevo. Avevo
avuto la sfortuna di
conoscerlo e di incontrarlo per ben due volte, e avevo ben visto
cos’era capace
di fare; nemmeno Miguel e Lewis erano
riusciti a contrastarlo.
A richiamare la mia attenzione fu
un nuovo sbuffo da parte di Giselle. Si era alzata in piedi sulle scale
e
osservava distrattamente oltre l’orizzonte, persa con lo
sguardo in un punto indefinito ma perfettamente
vigile. «Continuare ad andare avanti e indietro non
risolverà le cose, cugino»,
mi tenne presente, abbassando lo sguardo su di me prima di arcuare un
sopracciglio. «Quindi porta le chiappe dentro e aspetta con
me il risveglio di
Lewis. Mezz’ora in più di attesa non ti
ucciderà di certo», soggiunse
sarcastica, dandomi la schiena per entrare per prima.
La osservai scomparire oltre la
soglia, però non la seguii. Sapevo che in fin dei conti
aveva ragione, ma ne
andava del mio maledettissimo orgoglio. L’ultima volta mi ero
lasciato mettere
i piedi in testa da quel vampiro da strapazzo, non riuscendo a
concludere
nessuna trattativa con lui a causa della lotta furiosa che avevamo
ingaggiato.
E Lewis quello scherzetto non l’aveva perdonato a nessuno dei
due. Forse era
anche per rimediare che avevo intenzione di incontrarlo da solo, chi
poteva
dirlo.
Un forte aroma di caffè mi
giunse
alle narici come uno schiaffo in pieno viso, ridestandomi ancora una
volta
dalla moltitudine dei miei pensieri. Fu proprio quella la causa del mio
rientro, giacché avevo davvero bisogno di qualcosa di forte
che mi desse la
carica e mi tenesse sveglio. In verità avrei preferito
sfogarmi in ben altri
modi - ormai da parecchio tempo una corsa sotto la luna mi sembrava la
soluzione migliore per scaricare i nervi, vista la notte di plenilunio
appena
trascorsa -, ma sapevo che come cosa non era fattibile. Mi sarei dunque
dovuto
accontentare di una dannata tazza di caffè corretta con del
liquore, non c’era altro
da fare.
Mi diressi verso la cucina con uno
sbuffo e gettai un’occhiata a Giselle, intenta a mescolare
con un cucchiaino lo
zucchero che aveva riversato nella tazza di caffè.
Ricambiò il mio sguardo con
occhi torvi, accennando appena con il capo la macchinetta abbandonata
accanto
al lavandino. «Prendine un po’ e va’ a
sederti, dobbiamo parlare», mi disse, ma
decisi di lasciarla momentaneamente perdere per dirigermi invece verso
il
mobiletto posto contro il muro di destra.
Aprii uno sportello e mi chinai a
mezzo busto, però aggrottai subito la fronte nel rendermi
conto che mancava
qualcosa. «Che diavolo di fine ha fatto la mia bottiglia di
brandy?» sbottai,
alzando lo sguardo su mia cugina. Stava sorseggiando tranquilla il
proprio
caffè, con in viso un’espressione assolutamente
disinteressata.
«Non so proprio di cosa tu
stia
parlando», rimbeccò, facendo finta di non aver
capito. Razza di piccola strega.
«Vedi piuttosto di sederti, Nathan, io e te abbiamo una lunga chiacchierata
da fare».
«Smettila di comportarti come
se
fossi mia madre, Giselle», sbuffai, richiudendo il mobiletto
con un colpo secco
e ignorando al contempo il tremolio che sconquassò il vetro.
Al diavolo anche
quello, dannazione. «Tanto so già che cosa vuoi
dirmi, e la risposta è sempre la
stessa».
Giselle trasse un lungo sospiro e
si ravvivò qualche ciocca di capelli dietro alle orecchie,
posando la tazzina
prima di alzare lo sguardo su di me e fissarmi con attenzione. I suoi
occhi
verdi non presentavano più quella sfumatura dorata che li
caratterizzava con
l’avvicinarsi della luna piena, simbolo che la sua bestia si
era ormai
assopita. Magari avesse fatto lo stesso anche la mia e se ne fosse
andata a
nanna, accidenti a lei. «Se sai già cosa voglio
dirti, allora spiegami perché
sei così idiota da non seguire il mio consiglio».
Feci per aprire bocca e ribattere,
ma mi fermai ancor prima che le parole potessero uscire dalle mie
labbra.
Perché non volevo seguire il suo consiglio? Bella domanda,
avrei detto. Il
problema era che non lo sapevo neanch’io il dannato motivo.
Mi ritrovai dunque
a grattarmi dietro il collo con lieve disagio, borbottando qualcosa fra
me e me
prima di replicare, «L’alfa sono io e so io
cos’è meglio fare, non ti devo
nessuna spiegazione».
«Tu sei un cretino, ecco cosa
sei»,
rimbeccò lei. «Questa storia dell’alfa
ti ha dato alla testa».
Nel sentirla, aggrottai le
sopracciglia, fissandola attentamente in viso. «Non parlarmi
così, donna».
«Altrimenti cosa fai, caro il
mio alfa?»
mi domandò
sarcastica, e la vidi distintamente assumere un’espressione
più che scettica. «Tu
vuoi soltanto far vedere che vali qualcosa, Nathan, ma questa storia ti
farà
finire con qualche pallottola d’argento in corpo, ne sono
sicura», soggiunse in
tono grave, come se d’un tratto avesse voluto ricordarmi che
la situazione in
cui ci eravamo cacciati era tutt’altro che semplice.
«Non devi dimostrare
niente a nessuno, razza di stupido».
Non dovevo
dimostrare niente a nessuno? Dannazione, era il mio
orgoglio quello che ci era andato di mezzo, se non l’aveva
capito. Forse per
lei poteva sembrare un motivo tutt’altro che intelligente, ma
nel nostro mondo,
nel mondo sovrannaturale in cui lei non aveva la benché
minima intenzione di
entrare a far parte per quanto fosse una licantropa, voleva significare
molto. E
io non volevo apparire come un vigliacco. «Se cercassi di
spiegartelo non
capiresti», mi limitai a dire, e senza attendere repliche le
diedi le spalle, afferrando
le chiavi della mia Impala prima di uscire fuori casa e fiondarmici
dentro.
Sentii i passi di Giselle
nell’ingresso, poi la sua figura si stagliò sulla
soglia della porta. «Dove hai
intenzione di andare?» mi domandò in tono adirato,
sebbene in cuor suo sapesse
perfettamente che intenzioni avevo.
Misi dunque in moto, gettandole appena
un’occhiata. «Se non dovessi tornare prima
dell’alba, tu e Lewis non
azzardatevi a venirmi a cercare lì», le intimai,
fissandola attraverso il
finestrino aperto con estrema attenzione. «E’ un
ordine del tuo alfa, Giselle,
ed è valido anche se ci lascio le penne».
Con i pugni chiusi e rossa in viso
per la rabbia, sbottò, «Non contarci,
coglione».
E tanti cari saluti al mio essere
alfa in famiglia.
Le otto e mezza di sera.
Erano solo le maledettissime
otto
di sera e il sole ancora non si decideva a scomparire del tutto per
lasciar
spazio alla notte. Avevo lasciato casa mia esattamente un’ora
addietro, stanco
di stare a sentire tutte le prediche a cui mia cugina aveva ben pensato
a dar
fiato. Sapevo che cosa facevo, non avevo bisogno che fosse lei a
ricordarmi che
avrei potuto cacciarmi nei guai. In famiglia l’alfa ero io,
dunque avrebbe
dovuto lasciarmi agire come meglio credevo senza mettermi i bastoni fra
le
ruote. Ero a conoscenza del fatto che reagisse così solo
perché mi voleva bene,
però da un po’ di tempo a quella parte avevo
deciso il da farsi e niente
avrebbe potuto farmi cambiare idea. Ormai ero in ballo e dovevo
ballare, non
c’erano scuse che avrebbero retto.
Ed era proprio per quel motivo che
mi trovavo fuori al Night Club di quel vampiro da strapazzo, osservando
le
persone che attendevano in fila già da tre buoni quarti
d’ora. C’era chi
controllava di tanto in tanto l’orologio
e sbuffava, chi saltellava su un piede e su un altro per sgranchirsi le
gambe
ormai addormentate, e chi parlava semplicemente al telefono con aria
annoiata,
scoccando qualche occhiata più avanti per vedere se la fila
era avanzata.
Mi ritrovai a sbuffare e ad abbassare
lo sguardo per fissare le mie scarpe, giocherellando con le chiavi che
avevo
nelle tasche del pantalone. Quasi mi domandavo chi me
l’avesse fatto fare di
andare in quel fottuto posto, ma qualcosa, dentro di me, aveva preteso
che lo
facessi. Non avevo la benché minima idea di cosa fosse,
però ero sicuro che
incontrando Miguel sarei potuto arrivare a capo di quella dannata
situazione.
Assorto com’ero nei miei
più
disparati pensieri, non mi accorsi che qualcuno mi si era avvicinato
fino a che
non mi poggiò una mano su una spalla, facendomi sussultare;
volsi bruscamente
lo sguardo nella direzione di quel nuovo venuto, riconoscendo Dominique
- o
forse era Paul, il suo gemello? -, una delle guardie del corpo di
Miguel. Non
riuscivo a concepire il fatto che due lupi mannari lavorassero per un
vampiro -
quel vampiro,
nello specifico -, ma,
ehi, io ero l’ultimo che poteva permettersi di proferire
anche una sola parola.
Non ero forse amico
di uno di quei
maledetti succhiasangue? «Il senõr
Miguel ti stava aspettando»,
mi disse, accigliandomi. Come diavolo aveva fatto a capire che ero
lì?
Deglutii e lo osservai
attentamente in viso, decidendo semplicemente di annuire. Le domande le
avrei
fatte in seguito, forse. Cominciai dunque a seguire quel licantropo
quando mi
fece lui stesso un cenno, guidandomi verso una porta secondaria sul
retro del
locale. Attraversammo uno stretto corridoio dalle luci rosse e
intermittenti,
svoltando sulla destra per ritrovarci così nel bel mezzo del
Night Club; la
musica era assordante e il prepotente odore di tabacco mi impregnava le
narici,
ma era quello del liquore a farmi vorticare la testa per la gran
quantità
presente.
«Da questa parte»,
mi
richiamò in
tono duro, e distolsi lo sguardo dalla clientela per continuare a
seguirlo,
arrivando finalmente dinanzi all’ufficio di Miguel.
Dominique, Paul o chiunque
egli fosse, bussò brevemente tre volte prima di aprire,
senza aver atteso
nessuna una risposta dall’interno; con un nuovo cenno del
capo mi invitò ad
entrare, attendendo che oltrepassassi la soglia prima di richiudere la
porta
alle mie spalle.
Sebbene avessi già visto in
precedenza quell’ufficio, non potei fare a meno di guardarmi
intorno,
soffermandomi specialmente sulla moquette, che a quanto sembrava era
stata
cambiata. L’ultima volta era impregnata del sangue di Miguel,
ed ero stato io
stesso a ferirlo. Un gesto idiota, a detta di Lewis e Giselle, ma non
ero
proprio riuscito a frenarmi. Nel farlo avevo provato una sorta di gioia
selvaggia, e al solo pensarci mi sembrava ancora di sentire il
penetrante
sentore di ruggine di quel liquido vermiglio che mi aveva sporcato le
mani e le
labbra.
«Tornare qui dopo quanto
è
successo», mi accolse freddamente una voce, e solo in quel
mentre ricordai il
motivo per cui ero andato fin lì. Alzando dunque lo sguardo
mi ritrovai faccia
a faccia con Miguel che, seduto sulla poltrona dietro alla scrivania,
mi
osservava con quei suoi occhi vuoti e ciechi. Per quanto sapessi che
non
avrebbe potuto vedermi, sembrava quasi sondare la mia anima con essi,
tanto che
avvertii un brivido corrermi lungo la schiena. «Ne hai avuto
di coraggio, lupo».
A quel dire aggrottai le
sopracciglia, alzando persino un po’ il mento con
superiorità prima di fissarlo
insistentemente senza che lui facesse una piega. Che arrogante figlio di puttana.
Era quello il termine esatto per
definire quel vampiro, e nessuno sarebbe riuscito a farmi cambiare idea
su
quella mia convinzione. Da quando l’avevo conosciuto non
aveva fatto niente per
farmi credere il contrario, né tanto meno si era mai
sforzato di comportarsi in
modo del tutto diverso da come era solito fare. La cosa peggiore era
che
sembrava esserne piuttosto compiaciuto, o almeno a me aveva sempre dato
quell’impressione. Era infatti alquanto difficile capire con
esattezza se l’essere
etichettato con quell’aggettivo gli desse fastidio o lo
riempisse di
spropositato orgoglio, giacché secondo Lewis nessuno, per
più di settecento
anni, era mai riuscito a capire cosa passasse per la testa di quel
tipo. E se
proprio dovevo essere sincero con me stesso, beh, potevo benissimo
capirli. La
sua mente era come un covo di astrusi segreti, un luogo oscuro in cui
nessuno
avrebbe mai avuto il coraggio di avventurarsi. Allora io che cazzo ci
facevo lì
con lui?
Deglutii senza volerlo, dandomi
mentalmente dell’idiota prima di fare qualche passo verso di
lui con aria di
sfida. «E’ proprio la caratteristica che ti
è mancata quel giorno,
succhiasangue», replicai schietto, vedendolo serrare le
labbra in una linea
sottile. Un basso ringhio soffocato si levò dalla sua gola,
chiaro simbolo che
le mie parole l’avevano irritato. Beh, problemi suoi. Non ero
andato lì per
darla vinta a quel vampiro da strapazzo, stavolta.
Miguel poggiò le mani sul
bordo
della scrivania e si alzò in piedi, aggirando
quell’unico ostacolo che ci
divideva; con il solo ausilio del suo udito si diresse verso di me,
fermandosi
esattamente a pochi passi. Nonostante gli occhi azzurri fossero opachi
e
inespressivi, da quella distanza ebbi quasi l’impressione che
in essi ardesse
la fiamma dell’ira. Con quell’espressione in viso e
quel sentimento negli occhi
appariva così superbo! «Dimmi cosa ti ha spinto a
venire fin qui senza la tua
preziosa accompagnatrice,
lupo»,
rimbeccò, decidendo volutamente di ignorare le mie parole.
Certo che parlasse di Lewis, mi
ritrovai a sbuffare. «Non ho bisogno di qualcuno che mi copra
le spalle per
affrontare un succhiasangue del tuo calibro, vampiro»,
sbottai, e nello stesso
istante in cui finii di parlare, lui allungò fulmineo una
mano verso di me e mi
afferrò per il collo, impedendomi di respirare con
regolarità.
«Stai scherzando con il fuoco,
lupo», soffiò pacatamente, per quanto il suo viso
apparisse arcigno e nervoso. «Apprezzo
il tuo coraggio, per quanto esso sia stupido, ma anche la mia pazienza
ha un limite»,
soggiunse, aumentando la stretta intorno al mio collo. Portai
immediatamente le
mie mani sulla sua nel tentativo di fargli allentare la presa, provando
al
tempo stesso di riprendere fiato; mi sentivo la gola in fiamme, come se
lui
stesso la stesse ustionando, e la cosa non mi piaceva per niente.
Possibile che
fossi davvero così debole? «Se non vuoi finire tu
stesso in una bara, presto o
tardi, ti converrebbe non fare più simili idiozie. Ti
pentiresti nello scoprire
quanta rabbia si porta dietro un vampiro una volta abbandonato il suo
status
umano».
Aprii la bocca e trassi un lungo
sospiro, o almeno per quanto concessomi, abbassando poi lo sguardo per
osservarlo in viso. Rabbia? Da quel che ne sapevo, i vampiri non erano
in grado
di provare alcun tipo di sentimento. Forse Lewis era
l’eccezione alla regola,
non ne avevo la benché minima idea e probabilmente non
volevo saperlo nemmeno
con esattezza, ma se era realmente così... che diavolo
significava
l’espressione quasi addolorata che sembrava essersi dipinta
sul viso di Miguel?
Oh, dannazione. Che andassero al diavolo tutte le credenze sugli
specchi, sui
sentimenti e sulla mancanza dell’anima, accidenti.
«Vaffan...culo,
succhiasangue», sussurrai poi a mezza voce, sentendolo
stringere maggiormente
le dita. Affondò le unghie nella mia carne con furore, e non
potei trattenermi
dal farmi sfuggire un lugubre lamento; cercai di allontanarlo ancora
una volta,
graffiandolo a sangue sui dorsi delle mani, ma lui sembrò
non fare
assolutamente una piega, come se non lo stessi minimamente scalfendo.
Fu lui stesso a lasciarmi qualche
attimo dopo, scaraventandomi a terra; rotolai sulla moquette e restai
riverso
di schiena, tossendo e massaggiandomi il collo indolenzito. Con lo
sguardo
provai al tempo stesso a non perderlo di vista, trovandolo ancora
immobile allo
stesso posto. «Non ho voglia di giocare con te, lupo, quindi
vedi di andartene»,
mi disse poi in tono di superiorità, ed ero certo che, se
non fosse stato
cieco, anche i suoi occhi avrebbero assunto quella stessa sfumatura. La
sua
arroganza sembrava trasparire ad ogni respiro che compiva, e a
determinarlo non
era soltanto la postura che aveva assunto; sembrava che egli stesso
emanasse
una sorta di boria sconfinata, dovuta in special modo
all’altezzosità con cui continuava
a guardarmi dall’alto in basso. Per quanto non ci vedesse, mi
sentivo
trapassato dai suoi occhi, come se sotto il suo sguardo fossi nudo ed
inerme,
un povero derelitto che aveva osato sfidare la sua grandezza.
Tossii ancora una volta e scossi
energicamente
il capo sulla moquette, quasi volessi schiarirmi i pensieri.
Dannazione, perché
diavolo mi ritrovavo a pensare a quelle cose? Mi rimisi in piedi con
una certa
fatica, passandomi una mano sulla fronte stranamente sudata.
«Non sono venuto
per giocare, succhiasangue», ci tenni a precisare, e restai
interdetto e
scioccato nel vedere l’improvviso cambiamento della sua
espressione: dapprima
fredda e impassibile come quella di una statua di marmo, essa si
distese per
dar vita ad una quasi accondiscendente, quasi fosse alquanto divertito
dalla
situazione che si era venuta irrimediabilmente a creare.
Una sua risata
risuonò
sinistramente nelle mie orecchie, e raggelai nel rendermi conto che si
trovava
dietro di me. Quando diavolo c’era arrivato? «La
mia chica
non te l’ha mai detto che ho un
debole per i licantropi,
lupo?» mi domandò sottovoce, con tono suadente e
delicato. Se non avessi avuto
la certezza che stesse tentando di incantarmi con i suoi poteri
vampireschi,
probabilmente ci sarei cascato. E me ne sarei anche rimasto immobile se
quel
succhiasangue non avesse avuto l’ardire di far scivolare una
sua mano lungo la
mia schiena, arrivando a sfiorare con i polpastrelli delle dita le mie
natiche.
Esterrefatto e disgustato, gli
rifilai una gomitata nello stomaco e lo allontanai da me, ristabilendo
poi io
stesso le distanze per trovarmi il più possibile fuori
portata. «Non osare più
toccarmi con quelle sudicie mani, vampiro», sibilai,
digrignando i denti e
arricciando il naso, cominciando al tempo stesso a ringhiare per fargli
capire
che le mie intenzioni erano tutt’altro che amichevoli.
Lo vidi sollevare appena un angolo
della bocca in un sorriso, socchiudendo parzialmente le palpebre prima
di
trarre un lungo sospiro fintamente sconsolato. «Basterebbe
lasciarsi andare una
singola volta, lupo», mormorò con voce
accattivante. «Le gioie del sangue e
della carne non ti sembreranno più gli stessi».
«Non. Osare. Toccarmi. Mai più»,
sillabai adirato, ignorando le
parole che mi aveva appena rivolto. Non volevo sottostare ai suoi
perversi
giochetti, giacché la cosa, oltre a farmi rivoltare lo
stomaco, provocava in me
una bizzarra sensazione che non avevo la benché minima
intenzione di chiarire o
tentare anche solo di comprendere. Però lui, se possibile,
allargò
maggiormente il sorriso. Senza prestar minimamente ascolto alle minacce
che gli
avevo rivolto contro, compì qualche altro passo nella mia
direzione, allungando
una mano per afferrarmi il mento; le sue dita fredde sembravano fatte
d’acciaio, e mi serrarono la mascella in una morsa,
così da impedirmi di
distogliere lo sguardo. Ero riuscito a cogliere il suo movimento,
però non
avevo fatto niente per arrestarlo... che diamine mi stava succedendo?
«Sei come
una rosa che deve ancora sbocciare, lupo»,
sussurrò. «Vuoi mostrarti
indipendente ma non ci riesci, frenando al tempo stesso il tuo vero
io».
Inspirò a fondo con la bocca, chinandosi alla mia stessa
altezza. «E pensare
che sarebbe così semplice farla finita qui e adesso,
lasciandoti andare ai
sentimenti che scorrono nell’animo di entrambi».
Prima ancora che potessi
ribattere, imprecare o fare comunque qualsiasi cosa, sentii le labbra
di quel
vampiro posarsi sulle mie, e sgranai gli occhi non appena il mio
cervello
comprese ciò che stava succedendo. Gli artigliai le spalle
con entrambe le mani
e provai a scansarlo immediatamente da me, sentendolo infilarmi con la
forza la
lingua in bocca; con un ringhio sommesso lo colpii al petto e, sebbene
si fosse
allontanato da me barcollando, vidi distintamente sulle sue labbra
l’ombra di
un sorriso.
«Che cazzo pensavi di
fare?!»
esclamai fuori di me, afferrandolo per il colletto della bella camicia
pregiata
che indossava. «Che cazzo pensavi di fare, dannato
succhiasangue?!»
Miguel si umettò le labbra
con la lingua,
poggiando una mano sul mio polso prima di ghermirlo con una presa
ferrea; con
uno scatto felino mi fece mollare i suoi vestiti, piegandomi il braccio
dietro
alla schiena e strappandomi al tempo stesso un lamento rabbioso.
«Niente che tu
non volessi che io non facessi, lupo», mormorò,
lasciandomi andare con la
stessa velocità con cui mi aveva afferrato prima di portarsi
esattamente
dinanzi a me, quasi volesse guardarmi in viso.
Io, però, mi passai un
braccio
sulla bocca e sputai a terra, indietreggiando verso la soglia.
«Va’ all’inferno,
vampiro», gli soffiai contro in tono sconvolto, sapendo in
cuor mio quanto
quella mia maledizione fosse perfettamente inutile.
«Va’ all’inferno e restaci».
Le mie gambe si mossero ancor
prima che il mio cervello potesse mandare dei segnali ai nervi, e in
men che
non si dica uscii da quell’ufficio, riattraversando il
corridoio parzialmente
illuminato seguito dalla sinistra risata di Miguel, che sembrava
rimbombarmi
insistentemente nelle orecchie; con il cuore a mille e la testa che
scoppiava,
fui finalmente fuori all’aria aperta, respirando il fragrante
odore della notte
che si disperdeva nei dintorni e mi solleticava le guance accaldate.
Che cosa
diavolo mi era successo? Quel maledetto vampiro mi aveva rimescolato
l’animo, e
quel che era peggio era che mai e poi mai mi sarei comportato in quel
modo, in
altre situazioni.
Mi toccai le labbra un’ultima
volta, gettando un’occhiata veloce all’insegna di
quel Night Club nella parte
bassa di St. Louis che, di lì a poche ore, sarebbe stato
chiuso e avrebbe
riposato durante il giorno insieme al suo proprietario. Con quella mia
improvvisata non avevo risolto nulla, ma ero almeno giunto ad una
stramba
conclusione: in una sola nottata, Miguel era riuscito laddove molte
donne
avevano fallito, e la cosa mi faceva tremendamente incazzare.
L’unico problema
era che non ero poi così sicuro che mi dispiacesse davvero
come volevo far
credere a me stesso.
Forse solo il tempo sarebbe
riuscito a chiarire quel mio dubbio. Beh, almeno lo speravo. Per il
momento
sapevo soltanto che andare lì era stata una pessima scelta.
_Note
conclusive (E
inconcludenti) dell'autrice
Questa
storia è stata scritta per il contest “Anche i vampiri hanno
sentimenti... o no?”
indetto da BlackIceCrystal e si
è classificata Seconda
vincendo il Premio
Correttezza.
Sono gasata
per l’aver finito questa storia, anche se non è
niente di che.
Come già accennato nello
specchietto introduttivo, essa è lo spin off della long
fiction Under
a bloody sky, facente parte della serie St.
Louis ~ Bloody Nights, ed erano secoli che avevo in mente un
risvolto
Slash tra Miguel e Nathan *Ridacchia* Nel
racconto a capitoli avevo accennato qualcosa, certo, ma non mi ci ero
mai
soffermata; il contest mi ha dato
l’opportunità di farlo, e devo dire che
non mi sarei mai aspettata che venisse fuori una cosa del genere.
Ho
così potuto spiegare un lato di Nathan che non sono mai
riuscita a mostrare, e
la cosa mi ha resa molto felice. Lui è il tipico maschio
dominante, o almeno crede
di esserlo; cerca difatti di
imporre il proprio volere sulla cugina non riuscendoci affatto, e non
vuole
fare i conti con il lato nascosto che è in lui.
In
realtà è insicuro e nutre un certo interesse per
i vampiri, in special modo gli
esemplari maschi, ma non vuole ammetterlo a se stesso e ciò
lo porta dunque ad
odiare profondamente anche Miguel, che ha simili tendenze e non ha
paura di
mostrarle, così come non teme affatto di mostrare i propri
sentimenti per
quanto egli stesso non sia realmente sicuro di provarne in quanto
vampiro. Lui
comunque, al contrario di Nathan, ha la strana tendenza di baciare
qualsiasi
essere vivente *Ride*
Spero che la storia sia
piaciuta. ♥
Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo
alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di
scrittori.
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