Oooookay, salve
gente :) Sono una frana con le introduzioni quidi abbiate pazienza.
Visto che 'Broken
Road' è ormai alla fine vi propongo questa nuova,
piccola storia con davvero
poche
pretese. Stavolta mi sono buttata su qualcosa di più
"leggero" (tra virgolette) cercando di sfruttare generi di situazioni
che mi piacciono. Okay, lo so che non state capendo niente e in effetti
non c'è bisogno che capiate al primo capitolo XD
L'inizio della storia è ancora un pò lento anche
perchè l'ho iniziata mesi fa e nel frattempo il mio stile
è cambiato. E' strano ma rileggendo mi sono resa conto di
come avrei scritto determinate cose in modo diverso se l'avessi
iniziata ora, ma quel che è fatto è fatto e
comunque ho davvero pochissimi capitoli pronti di questa storia quindi
non è un dramma se i primi faranno più schifo del
seguito XD lol
Coooooomunque, proprio per questo motivo inizio a dire già
da subito che non avrò un giorno fisso per postarla visto
che sono davvero incasinata con l'università, ma volevo
comunque lasciarvi qualcosa prima di terminare ufficialmente l'altra,
giusto per farvi sapere che non morirò XD Ahahaha
Intanto mi impegno a cercare di portarmi avanti il più
possibile :)
Okay, basta. Magari vi lascio al capitolo per ora e ci sentiamo in
fondo per qualche altra nota.
Buona lettura! *-*
Capitolo 1
Adrenaline
“Mi
raccomando, fatti sentire. Non sparire..”
Alzai
gli occhi al cielo. “Sì,
papà” lo tranquillizzai come facevo sempre e la
sua
smorfia fece intendere che non credeva al mio tentativo di tenerlo
buono.
“E
vieni a trovarmi quando vuoi, il biglietto te lo pago io. Magari a
Natale...”
“Dai
papà, poi vediamo. Mancano cinque mesi a Natale!”
“Lo
so, è che… ancora non mi sono abituato a non
averti a casa, anche se sono
passati cinque anni. Vorrei vederti girare per casa e prepararmi
qualcosa di
commestibile.”
Risi
prendendo le sue mani tra le mie, un gesto che non spesso mi concedevo
dati i
nostri caratteri restii a sdolcinate dimostrazioni d'affetto, ma in
quel caso
potevo anche decidere di sciogliermi un po' per fargli capire quanto
fosse
importante per me che lui fosse felice.
Quando
un mese fa gli avevo proposto di passare il mese d'Agosto insieme la
sua
emozione aveva attraversato persino la cornetta che da cinque anni
separava
Forks da Los Angeles. E ora, ora gli stavo dicendo che mi era stato
offerto uno
stage, anche retribuito (sebbene di poco), per i mesi di Agosto e
Settembre
così da prepararmi al praticantato che avrei dovuto iniziare
ad Ottobre.
Onestamente,
finito il college e neo-laureata, avrei davvero preferito passare un
mese di
relax senza fare altro che leggere, passeggiare o anche solo dormire.
Completo
e totale relax era una prospettiva decisamente migliore all'essere
intrappolata
nell'assolata e afosa Los Angeles per tutta l'estate; ma era pur sempre
un'occasione, qualcosa che avrebbe arricchito il mio curriculum e che
di certo
non poteva recar danno.
Sì,
restare era la decisione giusta.
“Verrò
a Natale, papà. Promesso! Magari anche prima...”
sorrisi scrollando le spalle.
Lui ricambiò mostrando un timido sorriso sotto i baffi per
poi attirarmi a sé e
stringermi in un nostro tipico abbraccio. Sentito ma non da film
melodrammatico.
“In
bocca al lupo, Bells. Sono… sono orgoglioso di
te… e so che te l'ho già detto
ma... Ti voglio bene.”
Sapevo
quanto fosse difficile per lui esternare i sentimenti in questo modo
perciò non
potei fare altro che stringerlo forte un'ultima volta.
“Anche
io papà” ricambiai per poi lasciarlo andare. Gli
aprii la portiera della
macchina o sapevo che non sarebbe mai andato via.
“Chiama!”
ordinò ancora mentre saliva in auto.
“Siiiii...”
mi lamentai con cadenza noiosa e gli sorrisi.
Un
ultimo saluto con la mano e infine partì.
Osservai
la macchina finché non girò l'angolo sparendo
dalla mia visuale, e potei
finalmente prendere un enorme sospiro.
Di
sollievo, di paura, di malinconia. Non lo sapevo.
Sembrava
passato solo un giorno dal diploma al liceo di Forks, dove mi ero
trasferita
sette anni prima quando mamma si era risposata, e ora avevo tra le mani
la
laurea.
Bè,
non l'avevo tra le mani letteralmente, ma era così. Ero
laureata, precisamente
da trentaquattro ore, e non potevo sentirmi più orgogliosa
di me stessa.
Presi
a camminare lentamente mentre la brezza di fine Luglio rinfrescava
debolmente
il mio viso. Mi guardai intorno cercando di imprimere ogni piccolo
dettaglio di
quel posto; mi sarebbe dispiaciuto lasciare l'UCLA,
l'Università della
California, l'Università di Los Angeles; mi sarebbe davvero
mancata.
Mi
sarebbe mancato l'albero alla cui ombra mi rannicchiavo a leggere nelle
giornate di sole, mi sarebbe mancato uscire la mattina a fare jogging
tra i
vialetti in mezzo al verde, mi sarebbero mancate la partite di basket e
forse
anche le cheer-leader; bè, forse mi sarebbe mancato
più il prendere in giro le
cheer-leader.
Nel
bene o nel male, mi sarebbe mancato tutto di quel posto dove avevo
trascorso
gli ultimi cinque anni della mia vita nella speranza di costruire il
futuro che
volevo e che, in effetti, non era tanto chiaro nemmeno a me.
Non
avevo un obiettivo preciso nella vita e quando la mia insicurezza mi
mandava in
depressione c'era Rose a consolarmi dicendo che l'avrei trovato strada
facendo
e che il mio
percorso mi avrebbe
condotta esattamente a quello che volevo diventare. Era facile per lei
dirlo.
Voleva essere un medico e lo aveva sempre saputo, fin da quando, a
cinque anni,
faceva diagnosi con le bambole affibbiando loro e inventando ogni
genere di
malattia possibile; in un modo o nell'altro però riusciva
sempre a guarirle e
quando, qualche anno fa, la sua unica nonna era morta in seguito a un
ictus
capì quello che voleva essere: un neurologo.
Lei
voleva essere un medico. Lei voleva essere un neurologo. Lei voleva
essere
qualcuno di preciso.
Io
sapevo solo che amavo l'arte in ogni sua forma e volevo seguirla.
Architettura,
disegno, musica, teatro, anche video-editing; tuttavia ero
più ferrata sulla
pittura e sulla fotografia.
Non
a caso non uscivo mai di casa senza la mia macchina fotografica,
sebbene fosse
una comune Canon da 8 Megapixel, e agognavo il momento in cui avrei
risparmiato
abbastanza soldi da poterne comprare una professionale come quelle che
usavamo
ai corsi…
Ma
per ora non era ancora il momento e chinandomi su un fiore dovetti
accontentarmi
di intrappolarlo nella sua semplicità.
Continuai
a perdermi nei miei pensieri fotografando ogni angolo che avesse
significato
qualcosa per me e quando vidi il chiosco del caffè - non
vivevo se non ne
prendevo almeno tre al giorno - non potei fare a meno di fermarmi.
“Macchiato,
con schiuma e tanto zucchero!” Steve mi anticipò
appena mi vide fermarmi
davanti il carrello.
“Mi
conosci bene” risi.
“Oh,
dopo cinque anni la tua dipendenza dal caffè diventa
nota.”
Annuii
sorridendo mentre lui preparava il caffè.
“Mi
fai anche un cappuccino?”
“Agli
ordini!”
Steve
era un uomo sulla quarantina che, da quanto ne sapevo, aveva sempre
lavorato
all'università. Ogni tanto ci eravamo trovati a parlare e mi
aveva raccontato
della sua famiglia, delle sue due bambine di tre e cinque anni e di
come non
potesse vivere senza di loro.
A
volte, nell'ascoltarlo, generava quasi un piccolo desiderio di avere un
figlio
ma abbandonavo presto lo strano pensiero.
Non
solo perché riportava a galla il ricordo del pezzo di merda
che mi aveva
tradita quindi non ci sarebbe stata materia prima per procreare, ma
anche
perché era troppo presto e la mia vita era un vero casino.
Avevo
sempre sognato di poter creare una famiglia dopo la laurea, sistemarmi,
trovare
un lavoro che mi appagasse, avere un compagno che mi amasse; immagino
che i
sogni siano spesso difficili da realizzare. Anzi, i più
semplici sono proprio i
più difficili perché lasciano l’amaro
in bocca e la delusione di aver fallito. I
sogni impossibili, invece, sono i migliori, quelli meno dolorosi e
più
consapevoli. Tutto ciò che creano è una dolce
malinconia sapendo che si
avvererebbero solo grazie a un miracolo.
Ma
quando un sogno semplice non si avvera perdi anche la speranza di
vederlo
realizzarsi.
Se
non si avverano i sogni semplici come possono avverarsi quelli che
sembrano
impossibili?
Mi
resi conto di stare decisamente divagando nei miei pensieri visto che
avere una
famiglia con Jacob non poteva certo dirsi il sogno della mia vita.. Ma
la paura
di arrivare a trenta anni senza una vita personale cominciava a farsi
sentire;
soprattutto dopo una relazione durata sette anni.
Avevo
conosciuto Jacob la primavera in cui mi ero trasferita a Forks.
Diventare amici
era stato facile e ancora più semplice era stato diventare
qualcosa di più.
Credevo…
ero convinta che ci appartenessimo e che l'esperienza universitaria
insieme non
avrebbe fatto altro che rafforzare il nostro rapporto.
Questo
fino a un mese fa quando aveva detto di non amarmi più e di
aver bisogno di
tempo per riflettere; una settimana dopo l'avevo trovato a letto con
un'altra,
a consolarsi per bene, e non facevo altro che torturami giorno e notte
chiedendomi in cosa avessi sbagliato e per quanto tempo era riuscito a
prendermi in giro così.
Rose
diceva che non era colpa mia, che lui era un figlio di puttana - e
aveva
ragione - ma faceva male. Faceva male comunque.
“Sarà
strano non vederti più qui.”
Steve
interruppe, grazie a Dio, i miei pensieri passandomi il cappuccino e il
caffè e
aiutando la mia malinconia a raggiungere il top.
Altro
che caffè, avrei avuto bisogno di un bel concentrato di
cioccolato e nutella di
questo passo.
“Magari
verrò ogni tanto per un caffè. I tuoi sono
imbattibili!” ed era la verità. O
forse era solo la verità che avevo imparato a conoscere
vivendo in quel posto
abbastanza a lungo da farne la mia vita.
“Ci
conto allora” sorrise ancora e uccise il mio tentativo di
pagarlo.
“Offro
io” mi fece un occhiolino e tutto quello che riuscii a dire
fu un debole ma
sincero grazie.
Con
l'umore ancora a metà tra a terra e al
settimo cielo mi
incamminai verso il dormitorio mentre, distrattamente, posavo i soldi
nella
borsa.
E
quello fu, probabilmente, il gesto che cambiò la mia vita
per sempre.
Girai
l'angolo e in quel millesimo di secondo in cui chinai il viso sentii
qualcosa
venirmi addosso, o meglio, sentii di andare addosso a qualcosa.
Il
caffè mi si rovesciò sulla maglietta facendomi
scottare e gridare dal dolore.
“Cazzo!”
imprecai a denti stretti lasciando cadere i caffè e
allontanando la maglietta
dal mio petto prima di restare ustionata davvero.
Alzai
il viso e vidi quello della montagna che mi era venuto addosso.
Ok,
non era una montagna in effetti ma…
“Potevi
fare più attenzione!” gli gridai contro d'istinto.
La
sua bocca si aprì in una o
di stupore
e mi fissò incredulo.
“Io?
Non stavi nemmeno guardando dove andavi! Mi sei venuta addosso! E
ringrazia che
sia stata tu a sporcarti e non io o mi avresti pagato il conto della
lavanderia!”
Stavolta
fui io a fissarlo incredula. “Spero che tu stia
scherzando!”
“Riguardo
a cosa, scusa?”
“Pretendo
delle scuse!”
“Scuse
per cosa? Non è colpa mia se non guardi dove cammini. Impara
a tenere alta la
testa bambolina…”
Bambolina?
Mi aveva appena chiamata bambolina?
“E
tu impara a farti i cazzi tuoi!” ringhiai puntando i piedi.
“Me
li stavo facendo, infatti, prima che mi piombassi addosso” mi
fece un veloce
occhiolino prima di girarmi attorno e prendere la direzione opposta
alla mia.
“Idiota!”
fu l'insulto più forte
che riuscii a
gridarli dietro mentre lo vedevo allontanarsi sempre più.
Non
si scomodò nemmeno a rispondere; alzò una mano
per snobbarmi e, ancheggiando
come un modello di serie b, continuò a camminare.
Restai
per qualche secondo a pensare come risolvere il pasticcio sulla mia
maglietta
ma, quando capii che se non tornavo in camera avrei risolto ben poco,
mi
incamminai di nuovo, senza mancare qualche eventuale imprecazione e
maledizione
qua e là.
“Ah
Bella! Dammi una mano con questi!”
Non
feci nemmeno in tempo ad entrare che dovetti accorrere in aiuto a Rose
che
stava sprofondando dietro una pila di quei mattoni comunemente chiamati
libri.
“Rose,
ma devi portarli tutti?”
“Scherzi?
Sono i libri. I miei libri!
Quelli su cui ho buttato il sangue
per cinque anni! Certo che me li porto! Sono
sempre utili e sono costati una fortuna e… che cavolo hai
fatto alla tua
maglietta?”
“Oh...”
sbuffai sistemando i libri in una scatola sul letto. “Avevo
preso un caffè, e
un cappuccino per te, ma un idiota mi è venuto
addosso.”
“Un
idiota carino?”
“Rose!”
“Bella!
E' ora di iniziare a mostrare interesse per l'altro sesso.”
“E
considerando com'è andata l'ultima volta è
decisamente la scelta migliore!”
ironizzai.
“Uno: ultima e unica
volta. Non puoi generalizzare il genere maschile basandoti
sull'unico ragazzo con cui sei stata e che si è rivelato
essere poi un pezzo di
merda, anzi un verme che striscia in un pezzo di merda in
putrefazione...”
“Rose,
che schifo...”
“Due: non sto parlando di storia seria.
Sai, c'è una cosa chiamata divertimento, mi sorprenderei se
tu la conoscessi.
Baci, lingue, petting...”
“ROSE!”
“Tre: ho solo chiesto se era carino non
se te lo saresti fatto lì sul pavimento.”
Assunsi
l'espressione più sdegnata che potessi avere.
“Hai
finito?”
“Allora,
era carino?”
Inutile,
cercare di combattere verbalmente con lei era una battaglia persa in
partenza
probabilmente perché delle due lei era sempre stata la
più loquace e io la più
pratica, purché non si trattasse di ragazzi
almeno…
Sospirai
cercando di fare mente locale e darle una risposta. Al momento non mi
ero
minimamente soffermata sull'aspetto fisico ma ripensandoci e riportando
a mente
il suo viso e il suo corpo, nell'insieme...
“Sì,
era carino...” sentenziai infine scrollando le spalle mentre
lei batteva le
mani eccitata; io, personalmente,
ne
ignoravo il motivo.
“E
comunque da quando sei diventata così schietta e
scurrile?” Domanda retorica.
Rose era sempre stata così ma ultimamente me lo faceva
notare un po' troppo.
“Da
quando sembra essere l'unico modo per avere una tua reazione! Ti prego,
non
dirmi che stai ancora male per il verme
del pezzo di merda?”
Non
potei fare a meno di sorridere per qualche secondo ma tutto
svanì al ricordo di
Jacob a letto con un'altra; appena una settimana dopo che...
Sospirai
e mi buttai a peso morto sul letto, fissando il soffitto.
“E'
ancora troppo presto, Rose...”
“Stronzate!”
disse la mia amica abbandonando quello che stava facendo e venendo a
sedersi
sul letto accanto a me. “Per lui non è stato
troppo presto, non si è fatto
nemmeno un terzo dei problemi che ti stai facendo tu. Mi dispiace dirti
queste
cose Bella, ma devi renderti conto che non ne vale la pena. Che la tua
vita è
altro e che puoi riprenderla in mano quando vuoi, anche solo per
divertirti!”
Mi
massaggiai le tempie desiderando per un secondo di aver chiesto una
camera
singola; ma il pensiero mi lasciò presto perché
senza Rose non sarei riuscita a
superare quei cinque anni senza impazzire. Eravamo state assegnate alla
stessa
camera dal primo giorno e all'inizio era stato drammatico. Sembrava che
la
convivenza non fosse scritta nei nostri oroscopi. Poi, non ricordo
nemmeno
come, a furia di incomprensioni abbiamo legato così tanto da
diventare l'una la
forza dell'altra.
“Magari
nei prossimi giorni...” restai sul vago sperando che si
accontentasse ma l’adattamento
non era esattamente una delle sue qualità più
sviluppate.
“Perché
non stasera?”
“Rose,
come fai ad essere sempre così ottimista? Ti sei resa conto
che tra due giorni
dobbiamo lasciare questo posto e ancora non abbiamo trovato un
appartamento?”
“Purtroppo
sì, ma mi rendo anche conto che non lo troveremo alle sette
di domenica sera.
Stare chiusa qui non ti aiuterà a risolvere i problemi,
Bella. E poi tuo padre
ci ha lasciato il numero di quel suo amico...”
“Non
lo so.. dovrei iniziare a mettere via la roba…”
“Uuuuuh lo farai domani! Su! Domani
è un
altro giorno! Metterai le tue cose nello scatolone, andremo a vedere
l'appartamento e potrai deprimerti quanto vuoi ma stasera…
stasera c'è la festa
di fine corsi e noi dobbiamo andarci!”
Oh
no… oh, ti prego, no...
“Non
se ne parla, Rose!” quasi urlai mettendomi di nuovo in piedi.
“Perché
no?”
“Sai
che non sono cose che fanno per me...”
“E'
solo una festa, Bella.”
“No.”
“Ti
prego!”
“No-ooo.”
“Ti
preeeeego...”
“Ho
detto di no, e sarà sempre no!”
Evidentemente
il mio no si scriveva esse-i
perché
due ore dopo ero lì, a quella dannata festa, trascinata da
Rose con la scusa
che avrebbe dovuto incontrare Emmett, il ragazzo della confraternita
che
l'aveva invitata esortandola a portare chiunque volesse.
Perché
le avevo detto di sì? Se l'avessi saputo avrei avuto un
ottimo motivo per
restare a casa visto che lei sarebbe stata ugualmente in compagnia.
“Sola soletta?” sussultai quando
sentii
quella voce già così familiare e irritante alle
mie spalle.
Mi
voltai per fulminarlo negli occhi ma non potevo aspettarmi che fissarlo
così
intensamente potesse scombussolare me. Avevo dovuto perdere quel
particolare
durante il nostro piccolo scontro ore prima ma aveva gli occhi
più belli che
avessi mai visto. Di un colore indefinito tra il verde e
l’azzurro chiaro con
qualche sprazzo di grigio.
“Ehi,
attenta che stai sbavando un po’…”
“Ehi,
attento che il tuo ego si sta gonfiando un po’ troppo.
Potrebbe ucciderti e
impossessarsi del tuo corpo!”
“Acida
già di prima mattina, eh?”
“Sono le nove di
sera” gli feci notare
perdendomi evidentemente il suo scherzo.
“Era
un modo di dire, il punto non cambia” ridacchiò.
“Senti,
perché non mi lasci in pace?”
“Come
vuoi” alzò le mani in segno di resa. “Ti
avevo solo vista qui tutta sola e
pensavo ti facesse piacere fare due chiacchiere con qualcuno e sembrare
meno
patetica di quanto appari…” sorrise come se mi
avesse appena fatto un
complimento e, scendendo il gradino, si allontanò da me.
“Ah,
bella gonna!” disse girandosi un secondo prima di perdersi
tra la folla.Mi
guardai dai piedi per ricordarmi cosa Rosalie mi aveva costretto a
indossare e
quando rammentai della gonna alta troppi centimetri sopra il ginocchio
mi fu
chiaro il suo commento.
“Chi
era quello?” Rose era magicamente apparsa alle mie spalle con
un bicchiere di
vodka al melone che finì presto
nelle
mie di mani.
“Ma
è puro?” chiesi sgranando gli occhi.
“Ti
farà bene. Mi dici chi era il tizio?” chiese di
nuovo continuando a scrutare il
ragazzo tra la folla.
“L'idiota
di oggi, quello del caffè.”
“Cazzo!
Avevi detto che era carino ma non che aveva quel corpo... Oh mio
Dio!!!”
esclamò quando lui si voltò e fu possibile per
lei vederlo in viso.
“Ma
quello è Edward Cullen!”
“Chi?”
“Lo
sai Bella, Edward Cullen! Ne hai sentito sicuramente parlare!
Madonna!”
In
effetti ora che Rosalie nominava il suo nome dovevo ammettere che aveva
un
qualcosa di familiare; sicuramente l'avevo sentito in giro ma non da
interessarmene né tanto meno ero accanita dipendente da
Facebook da essere in
grado di associare un viso a un nome o da andare a farmi i fatti degli
altri.
“Non
ci posso credere!!! Non ci posso credere!!! Awwwww”
“Rosalie,
vuoi calmarti?!”
Si
sarebbe sentita male.
“Non
capisci, Bella! Mio Dio... lui è così...
così...”
“Sbruffone?
Sì, lo so! È insopportabile!”
Rosalie
si immobilizzò e... ah, se gli sguardi potessero
uccidere.
“E'
uno dei ragazzi più sexy dell'università, Bella!
Un casino di ragazze gli vanno
dietro e lui stava parlando con te! Con te! Cioè, ti rendi
conto?! Con te!!!”
“Grazie
della stima, mi commuove.”
“Non
intendevo questo” scosse il capo. “Cazzo, Bella! Ti
devi buttare! Dicono che a
letto sia un dio!”
“E
chi lo dice.. ? Ah. No no no. Non lo voglio sapere” mi
bloccai prima che
immagini oscene occupassero la mia mente.
“Senti!
Non me ne fotte un cazzo delle tue teorie sul sesso senza amore... Ora
ti scoli
questo, vai e ti butti, capito?”
“Rose!”
“VAAAAI!”
Prima
che potessi aggrapparmi a lei mi aveva dato una piccola spinta e mi ero
trovata
tra una moltitudine di persone che si muoveva al ritmo di musica
sballottandomi
qua e là.
Fu
allora che li vidi.
Jacob
e Jessica. Avvinghiati l'uno all'altra in un piccolo angolo della sala.
Mi
ci vollero dieci minuti per
staccare
gli occhi da quella scena e dieci secondi
per scolarmi due bicchieri di vodka uno dietro l’altro e
prenderne un terzo,
insieme a tutta la bottiglia.
Mi
ritrovai in giardino, ubriaca fradicia, a denigrare la mia perfettissima
vita, il mio perfettissimo amore, quel verme
del pezzo di merda
che ora se la spassava con una quella puttana
a dieci metri da me.
La
gente mi fissava e rideva, mi fissava e distoglieva lo sguardo ma
nessuno
pensava minimamente a darmi una mano.
Non
ne avevo bisogno infatti. Tutto ciò che desideravo era un
letto ma, sebbene non
fossi del tutto lucida, sapevo che non potevo andare via senza
avvertire Rose o
le avrei fatto venire un infarto.
Mi
aggrappai alla staccionata che segnava i confini della casa della
confraternita
e mi tirai su. Barcollando, ma non troppo, arrivai all'entrata
sforzandomi di
tenere gli occhi aperti ma era difficile con i giochi di luce nella
stanza.
Chiamai
Rose rendendomi conto, dopo dieci minuti, che non mi avrebbe sentito
nemmeno
con un megafono.
Mi
trovai di nuovo tra la folla di ragazzi che ballavano sulla musica
house ma
stavolta tutto era amplificato e la testa sembrava ballare per me.
“Scusa…”
biascicai quando inciampai nei piedi di qualcuno, qualcuno che si
rivelò essere
Jacob tra le braccia di Jessica.
“Bella...”
mi sembrò di leggere il labiale.
“Oh,
perfetto...” parlai a me stessa mentre mi sentivo
improvvisamente più viva e
attiva, come se quell'imprevisto avesse risvegliato la mia rabbia e
quest'ultima stesse assorbendo l'alcool.
Era
solo un'impressione ovviamente perché appena mi mossi tutto
cominciò a girare
di nuovo ma ciò che avvertivo dentro era solo una gran
voglia di vendetta e
nient'altro.
“TI
VA DI BALLAREEEEEE?!” urlai al primo ragazzo che mi
capitò sotto mano e che si
adattò subito al mio corpo.
Solo
quando lo riconobbi sentii la testa girarmi ancora di
più…
Non
poteva essere vero, ancora lui.
Per
un secondo fui tentata di allontanarmi ma lui era lì, il
ragazzo più sexy
dell'intera università stava ballando con me,
aveva le mani sui miei
fianchi e quando si spostarono sulle mie natiche per stringerle e
avvicinare i
nostri corpi capii che dopotutto mi trovava anche in qualche modo
attraente e
poi, Jacob era a due passi e aveva sicuramente visto la scena quindi,
perché
non approfittarne?
Senza
pudore iniziai a strusciarmi sul suo corpo come una cagna in calore,
senza
nemmeno chiedermi cosa stessi facendo perché è
questa la prerogativa degli
ubriachi, no?
Ci
muovevamo insieme al ritmo di musica mentre le mie mani carezzavano il
suo collo,
il suo viso, il suo petto. Le sue vagavano sul mio corpo, avide, e
quando
raggiunsero la schiena sotto la maglietta sentii una specie di scossa
che mi
spinse a fare quello che feci.
Mi
alzai sulle punte e stringendo le braccia attorno al suo collo mi
avvinghiai a
lui e lo baciai, senza chiedere il permesso e senza aspettarmi che non
usasse
la lingua.
Non
avevo mai sentito nulla del genere, mai sentita così viva
come in quel
momento di assoluta sconsideratezza ma anche di adrenalina.
Era una cosa stupida, forse, eppure mi sentivo carica e
soddisfatta mentre le nostre lingue e i nostri corpi si muovevano
insieme.
Lanciai
un'occhiata a Jacob e lui non se la lasciò sfuggire.
“E'
il tuo ragazzo?” urlò Edward al mio orecchio.
“ERA!”
“E
stai facendo questo solo per farlo ingelosire?”
Mi
strusciai su di lui con quanta più sensualità
possibile.
“E'
un problema?”
“Affatto!”
disse praticamente già nella mia bocca e senza che me ne
potessi davvero
accorgere mi stava trascinando da qualche parte.
Tenevo
gli occhi chiusi visto che lui mi teneva vicina per farmi strada.
“Le
scale!” mi avvertì ma era troppo tardi ed ero
già inciampata.
Lo
sentii, forse, ridere e abbassarsi
per recuperarmi.
Tra
un gradino e l'altro continuava a toccarmi, baciarmi e io mi sentivo beatamente vuota. In
paradiso.
Mi
sbatté contro il muro intrappolando il mio corpo e
spingendoci il suo contro,
facendomi eccitare. L’alcool aveva sempre avuto questo
effetto su di me e lo
sapevo bene, come sapevo che non sarei riuscita a reprimerlo nemmeno
volendo.
Le
sue labbra riempirono il mio collo succhiando avidamente nello stesso
istante
in cui il muro crollò dietro di me per lasciare il posto a
qualcosa di
decisamente più morbido; un letto, sicuramente.
A
quel punto avrei potuto fermarmi ma ormai ero troppo avida di
adrenalina e
anche troppo eccitata per farlo…
Divertimento.
Dio
del sesso.
Come
avrei potuto andare via arrivati a quel punto?
Tra
l'altro non ne avrei avuto nemmeno la forza quindi tanto valeva
arrendersi fin
da subito... o forse..
Ogni
mio dubbio e preoccupazione sparì quando le sue mani si
insinuarono sotto la
mia maglietta e iniziarono a giocare con i miei seni, privi di
reggiseno.
Ansimai
già spudoratamente e non potei fare a meno di alzarmi per
liberarmi di
quell'indumento e liberare anche lui.
Lo
vidi alzarsi e sfilarsi i pantaloni mentre io mi stendevo meglio sul
letto;
torno ad aderire al mio corpo perfino meglio di prima, continuando la
sua opera
con le labbra e con la lingua.
Mi
sentivo morire e non potevo immaginare che, nelle mie condizioni,
potessi
sentire altro… E invece quando alzò la gonna mi
bagnai all'istante al solo
pensiero della sua mano sulla mia intimità.
Come
se leggesse i miei pensieri portò le dita sul mio punto
più sensibile
amplificando e unendo tutto il mio piacere.
Gemevo
e ansimavo senza sosta, muovendo il mio bacino contro la sua mano
quando spostò
le mutandine e con due dita mi penetrò facendomi arrivare
all'orgasmo.
D'un
tratto però abbandonò il tutto, lasciandomi
desiderosa di altro, e tutta la mia
attenzione fu improvvisamente concentrata sulla dura erezione che
premeva
contro la mia pancia.
“Ce…
ce l'hai un.. un preservativo..?” riuscii a dire e ringraziai
quel mezzo
neurone ancora funzionante.
“Sì,
sì, tranquilla!” si allungò al comodino
afferrando qualcosa che sfilò subito.
Un
secondo dopo lo sentii in me, grande, forte, possente.
“Ah!”
urlai quando affondò in profondità tra gemiti e
strani grugniti di piacere.
Spingeva
sempre più forte, alzando le mie gambe e dandosi appoggio
afferrando le mie
natiche.
“Ah…
ah.. si... cazzo..”
Furono
le ultime parole che ascoltai prima di rilassare i muscoli e sentirlo
crollare
su di me.
Aprii
gli occhi quando un raggio di sole mi prese in pieno viso facendomi
girare la
testa e salire il vomito.
Riuscii
a trattenere a stento lo stimolo e mi misi a sedere sul letto,
osservando la
scena attorno a me.
Edward
-
era quello il suo nome, vero?
Bè,
lui era steso sul letto accanto a me e dormiva nudo,
ovviamente.
Sebbene
fossi stata ubriaca le sensazioni di quella notte erano così
chiare ed
amplificate che non avrei potuto negarle o non ricordarle almeno in
parte.
Era
stato davvero… divino - considerando il
mio unico termine di paragone -
ma ora dovevo solo andarmene da lì prima che si svegliasse.
Mi
mossi leggermente recuperando i miei vestiti da terra.
Evitai
di andare in bagno per non far scricchiolare la porta e mi vestii
velocemente,
così come mi ero svegliata.
Stavo
per sgattaiolare via quando inciampai nel piede del letto cadendo a
terra.
Tipico
di me.
“Cazzo!”
mi lamentai sperando di non averlo svegliato ma quando mi alzai lui era
al
centro del letto, nudo e con il suo pene in bella
vista, che mi
guardava.
“Vai
già via?”
“Sì,
spiacente.”
“Pensavo
che potevi restare... divertirci ancora un po'.”
“Senti,
Edward...” azzardai. “Senza offesa per te o per le
ragazze che di solito ti
porti a letto, ma io non sono così. Ero ubriaca,
è capitato, è stato bello.
Fine della storia, okay?”
Rispose
con una smorfia discordante e scrollò le spalle.
“Quindi,
fine fine?”
“Fine.”
“Peccato...
pensavo che ti fosse piaciuto...”
“No!
Cioè sì, mi è piaciuto. Davvero. Ma
sinceramente, tu non sai nemmeno il mio
nome e credimi, non ce l'ho con te per questo. Non condivido il tuo
stile di
vita ma non voglio criticare, per me va benissimo così,
davvero. Nessuna
implicazione.”
Sembrò
rilassarsi, chissà perché. Si alzò, sempre
nudo, andò alla scrivania e
scrisse qualcosa su un foglietto.
Si
avvicinò a me, ancora nudo, e me lo
porse.
“Bè,
se cambi idea, questo è il mio numero.”
ammiccò con un occhiolino a cui risposi
semplicemente con un'alzata di sopracciglia.
“Dubito...
ma… grazie..” borbottai mentre, goffamente, uscivo
dalla stanza senza nemmeno
salutarlo come si deve.
Ma
in fondo che importanza aveva?
Tanto
non avrei rivisto quel ragazzo mai più né tanto
meno mi sarebbe servito il suo
numero, era quello che pensavo scendendo le scale, inconsapevole di
quanto
fossi lontana dalla verità.
Bè, ve lo avevo
detto che non era nulla di che quindi eravate avvertiti XD
Sono
abbastanza sicura di raccontare quasi tutta la storia dal punto di
vista di Bella e voglio tentare questa via perchè trovo
affascinante,
in un certo senso, che si conoscano i veri sentimenti di un solo
personaggio e si lasci all'oscuro l'altro. Quindi se mai ci saranno Pov
Edward lo scriverò prima del capitolo :)
Mmm, che altro dire...?
Penso nient'altro in effetti .___. Oddio, ho un vuoto di memoria e
sicuramente dopo aver postato mi torneranno in mente le atre 124.000
cose che volevo dire ma vabbè, male che vada le
dirò al prossimo
capitolo XD
Okay, allora mi ritiro e, boh, spero vi abbia incuriosito anche solo un
pochino *-*
*incrocialedita*
Alla prossima!
Fio x
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