D
In fondo lo sapeva che a Mrs Hudson non erano mai piaciuti quei
proiettili conficcati nella carta da parati, o i pollici in
putrefazione accanto al barattolo della maionese. Rientravano in quel
concetto tutto particolare di disordine che lui non riusciva proprio a
focalizzare: in fondo, il disordine taceva. Ecco, lui aveva sempre
trovato più disordinata la padrona di casa, con quel
farfugliare cose a vanvera sullo zucchero da mettere nel tè
o sulla disposizione perfetta della poltrona e del tavolino: Mrs Hudson
era il Disordine col dono della parola, e quindi l'unico caos che lui
riuscisse a concepire come tale.
John
talvolta riusciva a fare silenzio - di norma proprio quando glielo
chiedeva lui, e forse era proprio questo che ne faceva il suo unico amico. Certo era proprio
strano che non riuscisse a tacere di fronte a una lapide, e la scienza
della deduzione poteva fare ben poco di fronte a un soldato fuori di
senno: parlare col marmo era un'azione che neanche Sherlock Holmes
avrebbe mai contemplato come possibile, o dotata di causa e
conseguenza. Ecco, era quasi più probabile che qualcuno si
gettasse dal tetto di un ospedale, che si schiantasse al suolo con
tanto di sangue denso e scuro schizzato sul selciato e che quel
qualcuno prendesse il tè delle cinque il giorno dopo, e
quello dopo ancora.
Molto
probabilmente John Watson non sapeva che accarezzare una pietra non
l'avrebbe fatta stare meglio, altrimenti non si sarebbe avvicinato
impacciato a quelle lettere dorate cercando di sfiorare il ricordo che
celavano. C'era da ammettere che Sherlock un filo di vento tra i
capelli l'aveva sentito - o forse era un brivido, o forse era
direttamente il suo polso - mentre quell'indice
tamburellava incerto sul marmo liscio. Era un po' un insieme di cose -
quello sguardo da animale ferito, quei passi che andavano e venivano e
andavano e venivano -, era un po' quella voce che indugiava contro il
palato e poi si apriva un varco tra le labbra, era un po' quella
preghiera, erano forse tutte quelle D, e quella fatica per
pronunciarle... Forse era la D, ecco, che mentre si schiantava contro i
denti e con la lingua aveva spostato quell'alito di brezza, quell'aria
che tra un ricciolo e l'altro gli aveva chiesto di farla finita.
«
Don't » e le guance
che si gonfiavano, mentre inspirava il coraggio di chiedere
l'impossibile « Be » essere, era quello il
problema, no? Sherlock non era, non era per nessuno, tranne che per
lui « Dead » e l'ultima
onda, quella D che ruzzolava fuori senza che John avesse più
la forza di spremerla, e di dargli l'intonazione che forse avrebbe
voluto - che Sherlock avrebbe voluto, perchè non si trema,
no? Non si trema neanche di fronte alla morte.
«
Just stop it. Stop this. »
E
un singhiozzo - e quello cos'era, un accenno di saluto militare? - e
poi le spalle, e poi i passi sulla terra smossa, e avrebbe giurato di
poter sentire un accenno di tachicardia, e la respirazione accelerata,
e la giacca che oscillava - diamine, John, le lavanderie non sono
chiuse per lutto - e un accenno di zoppia - di nuovo, ti manca la paura?
E
poi si sentì mentre calpestava un rametto secco. E l'altro,
poco più avanti, si voltò.
"Good
morning, John."
Breve What If, perchè ho sofferto come un cane
per John in QUEL finale di puntata.
E breve precisazione... perchè i dialoghi sono in inglese?
Solo tre parole: "Don't be Dead". Se mi trovate un modo per dirlo
meglio, in italiano, sono disposta a cambiare ogni virgola di questa
flashfic inutilissima. XD
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Partecipa alla Prima
Giornata dello SherlockFest e abbassa di
parecchio il livello delle storie già scritte. :)
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