Il Circo Della Notte - concorso
"Ça n'est pas la réalité, c'est un rêve..."
-Il Circo Della Notte-
Vienna,
Agosto 1899.
Quella bambina dai ricci ribelli e dai profondi occhi scuri si era ormai trasformata in una bellissima donna.
Accompagnava il padre, il famoso Prospero l'Incantatore, nei suoi
spettacoli di illusionismo da anni. Con lui aveva girato i teatri di
tutto il mondo; danzando, sorridendo e prestandosi nei suoi numeri
migliori.
Lui la faceva sparire, la faceva riapparire, la faceva volare; e la
parte preferita dal pubblico era sempre la stessa. Il finale. Dove lei,
meravigliosa e con un trionfante sorriso sulle labbra, apriva le
braccia al cielo al suono dei piatti e dei tamburi, segno che il numero
era andato a buon fine. C'erano applausi, grida e sempre una buona
quantità di rose rosse o bianche che le venivano lanciate dai
suoi giovani ammiratori in platea.
Ma quel tardo pomeriggio Celia aveva deciso di sparire nel vero senso
della parola. Ogni tanto aveva strane idee simili; se ne andava in giro
per la città, dovunque fossero, in India, Canada, Inghilterra o
Francia, e ritornava solo pochi minuti prima dell'inizio dello
spettacolo, giusto in tempo per indossare il suo costume, mettersi un
fiore fra i capelli e truccarsi.
Eccola lì, sul marciapiede mentre nel suo vestito di seta
camminava a passo spedito verso la porta dell'albergo. Aveva un
pacchetto in mano.
Prospero non si mosse, rimase sulla sedia a dondolo continuando ad osservarla fuori dalla finestra fumando la sua pipa.
Sentì i suoi passi sulle scale di legno.
"Dove sei stata?" le chiese quando aprì la porta.
Celia rimase indietro, non perdendo il suo sorriso.
"Ehm... A comprare un nuovo paio di calze per lo spettacolo, le mie si sono bucate."
"Sul serio?"
Il mago si alzò, voltandosi finalmente verso la figlia cresciuta e muovendo qualche passo verso di lei.
"Eppure sono proprio sul tuo letto, ben piegate e pronte per essere indossate questa sera."
Celia rise, rendendosi conto che la sua scusa non era stata poi
così geniale, dato che le calze che indossava sul palcoscenico
erano già colme di buchi: erano a rete.
"Potevo inventare qualcosa di meglio vero papà? Hahaha. Hai ragione."
"Cosa nascondi dietro la schiena?"
"Non ti sfugge proprio niente!" e gli mostrò il pacchetto incartato e chiuso da un semplice spago.
Celia corse verso il divanetto al centro della stanza, buttandocisi
sopra elettrizzata. Slegò il laccio e strappò quella
carta grezza, rivelando un libro.
"Che cos'è?" chiese di nuovo il mago avvicinandosi.
Die
Traumdeutung
von
Dr. Sigmund Freud
Prospero aveva soltanto poche nozioni di francese, usate spesso per
definire trucchi o elementari strategie illusionistiche; ma aveva comunque
saputo riconoscere la lingua di quelle poche parole. Tedesco. Del
resto, erano in Austria.
"Cosa c'è scritto?" le chiese.
"L'interpretazione dei sogni, del dottor Sigmund Freud."
"Oh, ci risiamo." commentò il vecchio, sedendosi a fatica di fianco alla figlia, "Ancora questa storia dei sogni."
"E'
stato pubblicato circa un mese fa, ne avevo sentito parlare quando
eravamo a Parigi la settimana scorsa. Mi ha incuriosita molto, dicono
che l'autore sia uno dei migliori..."
"Celia." Prospero interruppe il suo entusiasmo.
"Magari qui ci sono le rispose. Le risposte a tutte quelle cose strane che accadono."
"No."
"Perché no? Spesso le vedo in sogno. Si, è vero, molte volte semplicemente le
immagino ed accadono, addirittura altre volte accadono senza che io lo
voglia. Ma i sogni,
secondo me c'è qualcosa di più in loro, sono un segnale,
un messaggio. Non possono soltanto essere fandonie o sciocche fantasie. Devono essere
sicuramente legati a..."
"I sogni sono soltanto sogni. Niente di più. Tutto è un'illusione nei sogni. "
"Anche ciò che noi facciamo è tutta un'illusione." ribatté lei.
Il mago la guardò negli occhi, vedendoci la curiosità,
la testardaggine e la determinazione che avevano caratterizzato anche la sua giovinezza. Le carezzò il viso,
sorridendo.
"Celia. Sei proprio figlia di tuo padre. Sei più testarda di un mulo."
La ragazza sorrise.
"E va bene. Vieni qui. Ti racconterò una storia."
Celia si strinse al padre.
"Quando
ero bambino ed accompagnavo mia madre nelle sue commissioni, per la
strada spesso vedevo giovani che si improvvisavano prestigiatori o che
dicevano addirittura di essere illusionisti. Si guadagnavano quelle
poche monete, lo stretto necessario per sopravvivere, mostrando i
loro giochi ai bordi dei marciapiedi. Beh, spesso avevano un socio, un
compagno che si fingeva uno spettatore e che sborsava la gente che stava
attorno al tavolo del mago stupita e con gli occhi fissi sulle sue
mani, sulle carte, o su qualunque cosa usasse per i suoi piccoli
trucchi."
Celia ridacchiò.
"Si, era più che disonesto. Ma era bellissimo. Era curioso."
commentò Prospero, continuando a fumare la sua pipa, "Poi un
giorno qualcosa si mosse in città. Ne parlavano in tutti
i villaggi nel raggio di qualche miglio. Era comparso all'improvviso,
nessuno l'aveva visto arrivare. Ma era... Era straordinario."
"Che cos'era?"
L'uomo sollevò le labbra in un sorrisetto.
"Il circo."
"Il circo??" ripeté Celia, stupita.
"Si. Ed io pregai mia madre affinché mi ci portasse. Era un
mondo che io volevo e
dovevo conoscere. Equilibristi, domatori, giocolieri, cantastorie, ma
soprattutto maghi. Veri illusionisti. Questo io volevo vedere. Ma quello non
era un circo come gli altri, no! Niente
affatto. Non appena le luci dell'insegna si accesero nel buio di quella notte d'inverno, tutta la folla che si era
creata davanti a quei tendoni alzò gli occhi al cielo, leggendo
le parole che quelle luci sfavillanti avevano creato. Io afferrai la
manica del vestito di mia madre, chiedendole cosa volessero mai dire
quelle lettere."
"E lei cosa rispose?"
Prospero sembrava rivivere le stesse emozioni nel ricordo. Era solo un bambino. Un
bambino che instancabile batteva le mani davanti a quello spettacolo di
luci e che continuava a gridare di gioia con gli occhi puntati verso l'alto.
"Le Cirque des Rêves."
Celia alzò lo sguardo sul padre.
"Il Circo dei Sogni."
Per lei questo era un nome abbastanza curioso da generare più di
mille domande. Prospero annuì, guardando nel vuoto e soffiando
il fumo fuori dalla bocca.
"Già." ed alzandosi sulle ginocchia deboli il mago camminò fino alla finestra.
"Il Circo dei Sogni..." continuava a ripetere Celia, ormai invaghita di quel nome.
"Prima di andarmene da questo mondo ti voglio portare in quel posto. E' lì che sicuramente troverai le tue risposte."
"E cosa c'è in quel circo?"
"Tutto ciò che non c'è scritto in quel libro."
"Come fai a saperlo? Nemmeno l'hai letto."
"I sogni non esistono. O meglio, non come tu credi che esistano."
"Come fai a dire che non esistono? Sono proprio lì, davanti ai tuoi occhi, ogni notte."
"Ci sono tanti modi per intendere i sogni, Celia."
La ragazza cominciava a capire che forse c'era qualcosa che suo padre non le aveva mai raccontato.
"Tutto ciò che accade dentro quel circo va
oltre l'immaginazione di una mente umana, per quanto questa possa
essere intelligente o fantasiosa. Tutto ciò che si vede oltre
quel tendone va al di là di ciò che tu possa mai
immaginare, o meglio, sognare."
Celia ascoltava rapita, nonostante fosse ancora un pò confusa.
"E' sorprendente. Strabiliante. Tutto ciò che tu credi
realtà, tutto ciò che ritieni assolutamente spiegabile, tangibile,
è tutto quanto un sogno." si voltò verso la figlia,
spegnendo la pipa e posandola sullo scrittoio, "Nulla; nulla è
reale lì dentro."
-E' meraviglioso.- pensò Celia sbattendo più volte le lunghe ciglia.
"Ed
è stato lì, proprio lì che ho scoperto che
tutto ciò che io credevo magico... era
tutto assolutamente vero, reale. Tutto ciò che c'era di magico attorno a me, i
prestigiatori per strada, i saltimbanchi nelle piazze, l'illusionista
che io volevo diventare, era tutto quanto assolutamente concreto. Niente era surreale. Niente era realmente 'magico'."
"Ma allora realtà e magia sono..."
"Sono e non sono la stessa cosa. Guardami. La differenza è che
io gioco con la realtà; trucchi più o meno complessi,
scoperte scientifiche, illusioni ottiche. La mia arte è
strettamente materiale, appunto, reale."
Celia rabbrividì.
"Ma questo non riguarda te."
"E questa sarebbe la spiegazione al fatto che quando cammino sulla fune ad ogni passo si rompe un bicchiere, ad esempio?"
"Si, ad esempio."
"E i libri che si aprono, le pagine che si staccano e cominciano a
volare per tutta la stanza e che poi ritornano al loro posto come se
nulla fosse successo?"
Il mago annuì.
"Ed i fiori che compaiono nei vasi ai lati del palco ad ogni piroetta?
Il fuoco che si accende, i quadri che prendono vita, gli oggetti che
cominciano a muoversi??"
"Tutto quanto."
"E dove si trova questo circo?" chiese, già fremendo d'impazienza.
"Oh, difficile da dire con certezza. E' sempre in movimento. Ed
è... silenzioso. Misterioso, agli occhi di chi non l'ha mai
visto. E non passa mai due volte nello stesso posto."
"E allora come facciamo a trovarlo?" domandò lei delusa.
Il mago rise divertito, sedendosi di nuovo di fianco a Celia,
osservandola e ricordando quando per la prima volta manifestò
le sue doti, allora enigmatiche, del tutto indomabili ed imprevedibili; come una
tazza di te che si frantuma ed immediatamente si ricompone. Quasi 26
anni prima. Com'era passato il tempo.
"Ti prenderai cura di questo povero
vecchio?"
La ragazza sorrise, stringendogli forte la mano fra le sue.
"Fino al suo ultimo stupefacente numero di magia."
Prospero sorrise, date l'impossibilità della cosa e la dolcezza di Celia.
"Sono sicuro che domattina tu stessa mi saprai dire con esattezza dove si trova ora le Cirque des Rêves."
"Vuoi dire che..."
Il mago annuì.
"Lo... lo devo sognare?"
"Esatto. Credo che ora sia venuto il momento per me di adempiere alle parole della lettera."
"Quale lettera?"
"Quella che ho scritto al direttore del Circo dei Sogni, molti molti anni fa."
"E cosa gli hai scritto?"
"Che io, io avevo la sua regina."
"La-la sua re...?" tentò di dire Celia, ma troppe altre domande
continuavano ad assillarla, "Ma non capisco, come hai fatto a spedire
una lettera ad un circo che viene, va, sparisce e che soprattutto non
è... reale?"
Prospero rise.
"E' il Circo dei Sogni, Celia. Te l'ho detto, non è un circo come
gli altri. Tu pensi ancora con troppa ragionevolezza. Tutto è possibile una volta che varchi il suo
cancello. Ed è quella la tua strada."
La ragazza rimase senza parole.
"Ma ora su, vai a cambiarti! Lo spettacolo comincerà a momenti!"
"Si, si, papà vado subito!" e corse nella sua stanza.
Il mago seguì i suoi passi fin quando non sparì oltre quella porta. Sospirò. Era giunto ormai il momento.
Celia aveva quasi sei anni quando aveva cominciato ad esibirsi insieme
a lui. L'aveva preparata, le aveva insegnato i trucchi del mestiere
lasciando spazio alla sua passione per la fune, per la danza, per
l'equilibrismo. Ma poche settimane di pratica non erano sufficienti per
prepararla ad affrontare il suo destino. La giada deve essere scolpita
accuratamente prima di poter essere definita una gemma. E questo
richiede tempo. Pazienza. Devozione.
Ed ora lei era pronta. Pronta per brillare come una stella nella notte
al centro di quella pista dalla forma circolare. La sua pista.
Nel Circo dei Sogni. Dei suoi sogni.
Lo spettacolo andò a meraviglia. Celia saltellava e piroettava,
compiendo ad ogni passo piccole magie. Respiri strozzati, stupore e
tanti applausi accompagnarono la sua danza magica e gli incredibili
trucchi di Prospero L'Incantatore.
Quei piedini leggeri, in un paio di scarpette di lucidissimo raso nero,
continuavano a muoversi vivaci sul palco realizzando piccoli
miracoli e lasciando il pubblico a bocca aperta.
"Com'è possibile?" si chiedevano gli spettatori, ammaliati dalla grazia e dalla bellezza di quella figura femminile.
Celia
sparì, per ricomparire dall'altro lato del palco, secondo
l'abilità di suo padre, il grande maestro; conquistò il
pubblico con il suo numero di equilibrismo sulla fune, enfatizzato
dalla sua innata capacità di riuscire a rompere qualunque cosa
fosse di vetro ad ogni passo, destando lo stupore delle signore in
platea.
Una volta terminata l'esibizione con una capriola scese dalla fune e
corse aggraziatamente verso il centro del palco raggiungendo il mago e
stringendo la mano nella sua.
Un inchino.
Il vellutto nero del mantello di Prospero L'Incantatore risplendeva
rendendo la sua figura ancora più misteriosa ed ambigua; ed i
gioielli di smeraldi al collo e ai lobi di Celia brillavano sotto le
luci del teatro, fra gli applausi, le grida e le persone che si
alzavano in piedi manifestando la propria gioia.
Calò il sipario. Gli applausi andarono via via affievolendosi e
la gente, soddisfatta, cominciò a dirigersi verso l'uscita del
teatro. Prospero diede un bacio in fronte a Celia.
"Deliziosa." le disse.
"Grazie papà." sorrise lei in cambio, incosciente del fatto che
quello sarebbe stato il suo ultimo spettacolo ordinario...
Quella sera Celia rifletté più e più volte sulle parole del padre.
Indossò la sua camicetta da notte e legò i lunghi capelli
riccioluti in una treccia. Si mise a letto, coprendosi con il lenzuolo
leggero, alla luce
flebile della candela sul comodino. Il suo libro era proprio lì,
chiuso, con il titolo scritto d'inchiostro argentato sulla copertina
blu oltremare.
L'interpretazione dei sogni.
Lo afferrò, aprendolo alle prime pagine e leggendole con il cuore che batteva all'impazzata curioso e, forse, intimorito.
"Dimostrerò nelle pagine
seguenti che esiste una tecnica psicologica che consente di
interpretare i sogni, e che, applicando questo metodo, ogni sogno si
rivela come una formazione psichica densa di significato..."
Rimase sveglia fino a tardi, divorando molte pagine; perdendosi nel fascino di quelle righe.
Ma forse, suo padre aveva ragione. Per quanto questo Sigmund Freud
potesse essere perspicace, intelligente, uno studioso ed un medico,
forse ciò che aveva scritto era ancora troppo... razionale. In
effetti nel titolo stesso del libro si dava ad intendere l'intenzione
di voler dare una spiegazione a quei pensieri, a quelle visioni e a
quegli incubi che accompagnano il sonno.
Questo poteva essere un buonissimo inizio per comprendere, ma Celia ora
sapeva che non bastava soffermarsi sull'oggettività, sulla
logica e sulla verità. Sapeva di dover andare oltre la
realtà; e di non dover necessariamente dare una spiegazione a
ciò che avrebbe visto.
Prese la matita sul comodino e col sorriso sulle labbra, sicura della
grandiosità del sogno che l'avrebbe guidata quella notte,
scrisse qualche appunto sulla prima pagina del libro, completamente
bianca.
Ça n'est pas la réalité, c'est un rêve.
Tous ce que nous sommes n'est qu'un rêve dans un rêve.
C'est...le Cirque des Rêves.
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