Capitolo
2:
Il
giorno del dolore
"Ehi! Ehi
Mitzui!" disse la signora Anzai, scotendo Mitzui, che si era addormentato,
con la testa appoggiata sul letto d’Anzai.
Era il mattino dopo il
terremoto, verso le sei del mattino, e Mitzui non era neanche rientrato a casa
quella notte. Aveva preferito vegliare il cadavere del suo più gran punto di
riferimento per parte della notte, ma poi, spossato, si era addormentato sul
posto.
"Mitzui!"
disse la donna, riuscendo finalmente a svegliare il ragazzo.
"Sì?" disse
con voce impastata Mitzui, alzando la testa e guardandosi intorno, un po’
intontito.
"Mi hanno
avvertito poco fa che finalmente l’operazione di Sakuragi è finita. Ora è
ricoverato nel reparto Rianimazione. Perché non vai da lui? Ho saputo che non è
venuto nessuno per lui, e la cosa mi pare molto sospetta. Sai dove abita?"
disse la signora Anzai, preoccupata.
"Vado subito a
sapere come sta, ma prima chiamerò Haruko per chiederle di farsi dire da Mito
come mai i genitori di Sakuragi non sono ancora venuti a vedere come sta loro
figlio" disse Mitzui, alzandosi e stiracchiandosi.
Mitzui uscì lentamente
dalla stanza poi chiese informazioni alle persone di passaggio per trovare il
reparto dove era ricoverato Sakuragi, il telefono e l’elenco telefonico della
città.
Per prima cosa decise
di chiamare Haruko, così compose il numero telefonico di casa Akagi ed attese.
Dopo tre squilli una
voce profonda gli rispose dicendo:
"Qui casa Akagi.
Sono Takenori Akagi. Chi sta cercando?"
"Akagi, sono io,
Hisashi Mitzui. Hanno finito di operare Sakuragi poco fa, ma non so ancora come
stia. La cosa strana è che qui non c’è traccia né di genitori né di parenti d’altro
genere. Sai per caso il perché di tutto ciò? La signora Anzai si comincia a
preoccupare."
"No, mi
dispiace."
"Potresti
chiederlo a Haruko?"
"Si è
addormentata meno di un’ora fa. Era molto scossa e preoccupata per Hanamichi.
Glielo chiederò appena si sveglierà, e se non lo sapesse neanche lei, lo
chiederò ad uno dei suoi amici."
"Va bene, Akagi.
Grazie."
"Mitzui, aspetta
un attimo."
"Dimmi."
"Che ci fai all’ospedale
a quest’ora del mattino?"
"Diciamo che ho
partecipato alla veglia funebre del signor Anzai."
"Allora sai a che
ora è la funzione?"
"Si, alle 16.00 in punto, da quel che mi ha detto la signora Anzai. Ancora non riesco a credere che presto il
signor Anzai sarà seppellito sotto due metri di terra questo pomeriggio."
"Neanch’io."
"Oggi c’è la
partita, vero?"
"Sì."
"Non
parteciperemo mai al campionato nazionale, vero? Io… non me la sento più di
continuare a giocare."
"Non dobbiamo
perderci d’animo, Mitzui. Anzai non avrebbe mai voluto che ci arrendessimo
proprio ora che l’obiettivo è così vicino."
"Hai ragione tu,
dobbiamo giocare. Con il lutto al braccio e nel cuore, ma dovremo
giocare."
"Ti saluto,
Mitzui. Fammi sapere come sta Sakuragi, appena puoi. Ci vediamo più
tardi."
"A più
tardi" disse Mitzui, riappendendo.
Giunto al reparto
Rianimazione, Mitzui andò alla ricerca di qualcuno che gli potesse dare delle
informazioni.
Per caso andò a
sbattere contro un alto uomo di colore, lo stesso dottore che aveva curato
Sakuragi.
"Ehi, sta più
attento!- disse lui."
Mitzui si scusò, poi
disse:
"Lei sa come sta
Hanamichi Sakuragi?"
"Chi? Quel
ragazzo con i capelli rossi che è arrivato ieri pomeriggio?"
"Sì, proprio
lui."
"Tu sei un suo
familiare? Vi stiamo aspettando da parecchie ore. Come mai non vi siete
presentate prima?"
"No, lei ha preso
un grosso granchio. Io sono soltanto un suo compagno di squadra, Isashi
Mitzui."
"Allora non posso
dirti niente sulle sue condizioni cliniche visto che è ancora in prognosi
riservata. Solo ai parenti posso dire come sta, e fin ora non ne ho incontrato
nessuno, per cui ti conviene aspettare che arrivi qualcuno di loro ed
informarti da loro."
"Per favore. Non
ho idea di dove siano i suoi familiari e noi tutti siamo molto in pena per
lui."
"Tu e chi
altro?"
"Gli altri
componenti del club di basket e la signora Anzai, la moglie dell’uomo deceduto
ieri a causa del terremoto."
"E va bene, come
hai detto che ti chiami… ah, Mitzui. Seguimi nel mio studio. Tanto ho già
finito il mio turno. A proposito, il mio nome è Theodor Smith e sono il dottore
del Pronto Soccorso che era di turno quando è arrivato qui il tuo amico"
disse l’uomo, facendogli cenno di seguirlo.
Lo studio del dottor
Smith era piccolo ma confortevole, con una scrivania e due sedie, oltre ad uno
schedario che occupava la maggior parte della parete opposta alla porta.
Si sedette e gli fece
cenno di fare altrettanto.
Prese un respiro
profondo, poi disse:
"Il tuo amico è
giunto in condizioni critiche qui e quasi non respirava. Siamo stati costretti
a fare una tracheotomia. Sai che cos’è?"
"Non
esattamente."
"Un taglio nella
trachea per inserirvi un tubo e farlo respirare con uno specifico macchinario.
Pochi secondi dopo ha avuto un collasso cardiaco, che fortunatamente si è
risolto. Aveva anche parecchie lesioni interne. Sai, è rimasto intrappolato
sotto i calcinacci e il cemento per circa mezz’ora e quando l’abbiamo cavato da
lì sotto era ancora in uno stato di semicoscienza. Comunque, dopo aver
individuato le varie lesioni e fatto le relative lastre, l’abbiamo mandato di
sopra, in sala operatoria, e abbiamo ricucito le lesioni, ma non senza problemi.
Abbiamo fatto parecchie trasfusioni di sangue e l’abbiamo ripreso un paio di
volte per i capelli, come si dice in gergo. Aveva anche una commozione
cerebrale, che non pare troppo grave rispetto alle altre lesioni, ma purtroppo
non possiamo ancora sapere se potrà mai tornare a muovere gambe e
braccia."
"Cosa?!"
"C’è stata una
compressione sulle terminazioni nervose e non sappiamo come andrà a
finire."
"Come sta
ora?"
"Per ora, è in
coma profondo. Non sappiamo neanche se si sveglierà, un giorno."
"Allora è in
pericolo di vita?"
"Sì, lo è, ma il
suo cuore è giovane e forte. Non credo che mollerà la spugna così
facilmente."
"Grazie mille
dottore- disse Mitzui con tono meccanico, scioccato dalle brutte notizie,
alzandosi."
"Aspetta un po’.
Vorrei darti qualche altra informazione" disse lui, afferrandolo per un
braccio.
"Dica pure"
disse Mitzui, tornando a sedersi.
"Vorrei chiederti
se vuoi vederlo. Non potrai entrare nella stanza, ma potrai vedere da
fuori."
"La ringrazio,
dottor Smith. Lei è davvero molto gentile."
"Giocate a
basket, vero?"
"Sì."
"Mi dispiace
molto per quel ragazzo. Era bravo?"
"Diciamo che lui
si considera un genio, ma, per l’esattezza, è così inesperto da essere
imprevedibile. Un giocatore di basket davvero fuori dal comune, glielo posso
assicurare."
"Ti ringrazio per
le informazioni che mi hai dato. Vogliamo andare a vedere come sta?"
"Ok" disse
Mitzui, anche se con tono malfermo, alzandosi.
Sakuragi era in una
stanza abbastanza spaziosa, con una gran finestra sulla destra del letto. Era
attaccato a diversi macchinari di monitoraggio ed al respiratore artificiale, e
quasi completamente coperto da bende.
Mitzui rimase a
fissarlo per un paio di minuti, sempre più traumatizzato dalla vista di quel
tornado di Hanamichi, sempre così attivo e straripante, ora in stato di
profonda incoscienza, immobilizzato su un candido letto d’ospedale da tubi e
tubicini, attaccato a macchinari per sopravvivere.
Dopo quella visione
Mitzui si voltò e disse:
"Ora devo andare
ad informare delle sue condizioni anche la signora Anzai. Grazie di
tutto."
"Torna presto e
chiedi di me. Avvertimi se scopri qualcosa a proposito dei suoi genitori, e
soprattutto, porta qualcuno dei tuoi amici quando verrai."
"Come mai?"
"Ha bisogno del
vostro aiuto, ora più che mai. Se non vi dispiace, desidererei che veniste
spesso a trovarlo, per parlargli e dargli un’iniezione di fiducia. Di solito
sentire che c’è qualcuno che gli vuole bene, aiuta il paziente a svegliarsi dal
coma e a riprendersi prima."
"Grazie infinite.
Riferirò ciò che mi ha detto anche agli altri, ma ora devo proprio scappare.
Oggi abbiamo l’ultima partita del campionato prefettorio. Se la vinciamo,
andiamo ai campionati nazionali. Avevamo lavorato moltissimo con il signor
Anzai per essere preparati, e per lui noi lotteremo e cercheremo di
vincere" disse Mitzui, andando verso l’obitorio, dove, la sera prima,
aveva lasciato la sua borsa da ginnastica.
Prima di prenderla, un’unica,
solitaria lacrima di dolore attraversò il volto del ragazzo, in ricordo del
momento in cui Anzai gli aveva dato il primo insegnamento: il giorno dell’ultima
partita del campionato studentesco delle medie. Quelle sue parole d’incoraggiamento
gli sarebbero rimaste per sempre impresse nella mente, quel suo sorriso dolce
ed allo stesso tempo così pieno d’energia, ma soprattutto, la sicurezza che gli
aveva dato.
L’umore dei giocatori
dello Shohoku era a dir poco pessimo. Erano tutti ancora molto scossi dal
gravissimo lutto che li aveva colpiti, oltre che dalle brutte notizie sulla
salute di Hanamichi, che erano state comunque molto generiche ed
approssimative, per non rendere l’ambiente troppo teso.
Ayako aveva scure
occhiaie sotto gli occhi e quasi non si reggeva in piedi sia dal sonno sia dal
gran dolore, tanto che lasciava che Mijagy poteva comodamente starle vicino,
abbracciarla ed aiutarla senza prenderle dal suo inseparabile programma degli
allenamenti.
Mitzui era a terra,
anche se non lo lasciava intravedere dal suo comportamento. Il suo sguardo era
vacuo, assente.
Mijagy era molto
nervoso e giù di tono, nonostante la vicinanza della sua adorata Ayako.
Rukawa, nel cuore, era
in tempesta. Non aveva molta voglia di giocare, nonostante sul parquet l’aspettasse
il suo più acerrimo rivale, il grandissimo Akira Sendoh del Ryonan.
Kogure era molto
depresso, e con occhi languidi e ancora pieni di lacrime guardava i suoi
compagni.
Akagi, con il suo
sguardo penetrante, osservava la situazione e pensava:
"Non riusciremo
mai a vincere con il morale così basso. Che cosa dovrei dire? Se solo ci fosse
ancora il signor Anzai… la preoccupazione per la sorte di Hanamichi sarebbe
minore se soltanto ci fosse lui. Haruko verrà a vederci solo per incontrare
Mito, che a sua volta deve incontrare noi, dopo la partita, per parlare delle
condizioni di salute di Sakuragi e chiarirci la storia dei suoi genitori. Come
ci siamo ridotti! E pensare che meno di ventiquattro ore fa, ci preoccupavamo
che i vetri della palestra non si fossero rotti!"
All’inizio della
partita ci fu un minuto di silenzio in memoria d’Anzai e per Hanamichi
Sakuragi, in pericolo di vita. Tutti i giocatori dello Shohoku, Rukawa compreso
[NdA: miracolo!] piansero [NdA: Rukawa, proprio come il mio amico
Rikky-chan, verso solo una lacrima, ma è già un traguardo!] per il loro
allenatore, poi si misero le fascette nere al braccio, in segno di lutto, e
scesero in campo per giocare quella tristissima partita.
La previsione d’Akagi
si rivelò esatta: lo Shohoku perse 103-60, una vera e propria disfatta per la
grand’armata allenata dal grande Anzai, che giocò nervosamente e male.
"Allora volevate
sapere come mai i genitori di Hanamichi non si sono ancora presentati all’ospedale,
non è vero?" disse con calma Mito, che si era riunito con la squadra,
Haruko e l’armata Sakuragi in un bar vicino al palazzetto dello sport a
prendere qualcosa.
"Esattamente" disse Akagi.
"Voi non sapete
niente di niente della famiglia di Hanamichi?Non mi sorprende che non ve n’abbia
mai parlato" chiese Mito.
"N’avrebbe dovuto
parlare?"
"Se fossi stato
in lui mi sarei confidato a qualcuno, ma c’è problema, ve ne parlerò io. Tutto
cominciò una calda giornata di quest’estate, quando la scuola era appena
finita. Hanamichi litigò con quattro tizi, che naturalmente ne presero di santa
ragione. Prima di andare via, giurarono che si sarebbero vendicati, ma
Hanamichi non ci fece caso, erano state talmente tante le minacce che gli erano
state rivolte! Comunque sia, Hanamichi tornò a casa e lì trovò il padre a
terra. Aveva avuto una crisi cardiaca. Subito Hanamichi andò a cercare aiuto,
ma venne attaccato dagli stessi sgherri, che avevano chiamato altri quattro
tipacci di rinforzo. Venne pestato di brutto e quando riuscì ad andarsene
purtroppo per il padre non c’era più niente da fare."
"Il padre di
Hanamichi è morto per una crisi cardiaca e lui non ha potuto fare niente per
salvarlo?!" disse Haruko.
"Esatto. Inoltre
tutta la famiglia se la prese con Hanamichi, incolpandolo di essere un poco di
buono ed un bastardo. Sono arrivati al punto di trasferirsi in Europa, pur di
non vederlo mai più. Hanamichi ora vive da solo, in un appartamentino che paga
grazie al suo lavoro."
"Quale lavoro? -
chiese Kogure – Noi non ne sapevamo niente!"
"Raccoglie
cartoni per la strada, a notte fonda, e li rivende ai rigattieri. E’ con quel
po’ di soldi riesce a sopravvivere."
"Ma … ma ha
comprato quelle nuove scarpe da basket, qualche tempo fa. C’ero io quando l’ha
fatto" disse Haruko, molto sorpresa.
"Erano tutti i
suoi risparmi. Sai, i soldi messi da parte prima e dopo il giorno della
disgrazia. Lui ci teneva veramente a giocare a basket e senza scarpette non
avrebbe potuto" disse Mito.
Gli altri rimasero
stupiti da queste rivelazioni. Non avrebbero mai immaginato che Hanamichi Sakuragi,
il più gran piantagrane del liceo, potesse mai essere, una volta ogni tanto, un
tipo serio, figurarsi portare sulle spalle il peso del rimpianto, vivere da
solo, lavorare di notte e spendere tutti i suoi risparmi per un paio di
scarpette da basket!
Quello era proprio un
giorno molto triste per la squadra di basket del liceo Shohoku!
Le lacrime per il
sogno svanito si unirono a quelle di dolore quando, quel pomeriggio, vi fu il
triste funerale.
Erano presenti
parecchi colleghi d’Anzai, Taoka compreso, che immediatamente fece le sue
condoglianze anche ad Akagi.
La funzione non fu
molto lunga, così come l’omelia al cimitero.
Per tutto il tempo
Mitzui rimase fedelmente al fianco della signora Anzai, conscio del gran dolore
che provava la donna, nonostante, come lui, non lo dimostrasse apertamente.
Durante l’omelia, come
gli aveva chiesto quella mattina la signora Anzai, Mitzui prese la parola.
"Per me il signor
Anzai è stato molto più di un allenatore di basket. Lui era come un guru, una
specie di giuda spirituale che m’illuminava il cammino. Non faccio mistero che
io provavo moltissimo affetto per lui, lo consideravo quasi come il mio secondo
padre. Io non lo dimenticherò mai, così come sono sicuro che non lo
dimenticheranno mai gli altri compagni ed il povero Hanamichi Sakuragi, che sta
lottando tra la vita e la morte. Vorrei mandare un pensiero speciale anche a
lui, sfortunata vittima nel tentativo di salvare il suo allenatore."
Uno scroscio d’applausi
seguì per molti minuti quelle parole, poi, dopo la rituale preghiera, tutti se
n’andarono verso le rispettive abitazioni, tranne Mitzui, che andò con la
signora Anzai.
Lui, poco prima della
funzione, aveva fatto una promessa rivolta ad Anzai, cioè che lui sarebbe
rimasto al fianco della moglie fino a quando non fosse giunta per lei l’ora di
ricongiungersi al marito, ed era quello che aveva intenzione di fare.
"Signora Anzai-
esordì Mitzui."
"Sì?"
"Le dispiace se l’accompagno
a casa?"
"No, figurati. Ma
io credo che sia molto meglio se vai all’ospedale a trovare Sakuragi."
"Dice che dovrei
andare a controllare come sta?"
"Io dico che
sarebbe molto meglio. Scusa se mi permetto di chiamarti per nome, Hisashi, ma
per me sei come un figlio, per cui…"
"Non si
preoccupi."
"Hisashi, ormai
mio marito non c’è più e questo non può essere cambiato, ma Hanamichi Sakuragi è
ancora vivo e tu devi aiutarlo. Lo so che è difficile, più per te che per gli
altri giocatori, farti una ragione di questo fatto, ma devi continuare a vivere
la tua vita, così come tutte le altre persone che hanno conosciuto ed amato mio
marito. Hanamichi ora ha bisogno di tutte le persone che gli sono accanto di
solito, ha bisogno del vostro aiuto, del vostro appoggio, e dovete stargli
vicino il più possibile. Mitzui, so che ti parrà un paradosso detto ora come
ora da una vecchia donna che ha appena perso il marito, ma la vita è bella!
Anche in un momento del genere, la vita è sempre, sempre molto bella. Io non ho
un bisogno costante di te, ci sono persone che vogliono stare con me, che
sentono il bisogno di consolarmi in questo momento così difficile, ed io non
sarò mai sola in questo periodo, ma lui lo è, è completamente solo in quell’ospedale,
oggi l’ho visto. Da lui non c’era nessuno, neanche un familiare al suo capezzale.
Ha bisogno dell’amore dei suoi amici e dei suoi familiari per riprendersi, per
tornare alla vita di tutti i giorni, e tu dovresti occuparti di lui per un po’,
questa sera. Fallo per me. Domattina, andrò anch’io da lui, ma non posso, a
casa ci saranno parecchie persone che mi attendono. Ora tocca a te stare un
pochino con lui. Ne ha molto bisogno, Hisashi."
Le parole della
signora Anzai toccarono il cuore di Mitzui, così come lo avevano colpito le
parole del marito tre anni prima.
Mitzui annuì, poi
disse:
"Andrò subito da
lui, a fargli sentire che non è solo, e non lo sarà mai. Grazie tante signora
Anzai. Sa, lei è una persona straordinaria almeno quanto lo era suo marito,
gliel’assicuro."
"Mi fa piacere
che tu mi dica tutto ciò, ma ora devi andare" disse la signora Anzai
sorridendo.
"Permette una
cosa?"
"Certo."
Mitzui,
istintivamente, abbracciò la signora Anzai, poi andò di corsa verso l’ospedale,
per aiutare il suo amico Hanamichi.
"Come mi pare
strana questa parola, riferita a quello sciocco del Pel di Carota. Non siamo
mai andati d’accordo, eppure, sono molto preoccupato per lui. Devo ammettere
che nonostante sia fatto così, è impossibile non volergli bene" si disse
Mitzui, diretto verso l’ospedale.
Appena giunto nel
reparto di Rianimazione, chiese ad un’infermiera del dottor Smith, la quale gli
disse di andare al Pronto Soccorso e attendere che venisse a parlare con lui.
Mitzui si diresse
verso il Pronto Soccorso [NdA: quella parte dell’ospedale la conosceva fin
troppo bene!] e chiese ad un’infermiera di avvertire il dottor Smith che
Hisashi Mitzui lo attendeva.
Mitzui, pazientemente,
si sedette su una sedia e, dopo aver atteso per circa venti minuti giunse il
dottore.
"Salve
Mitzui."
"Salve dottor
Smith."
"Com’è andata la
partita?"
"Purtroppo
male."
"Mi dispiace
molto."
"L’importante è
che Hanamichi si riprenda. Allora, ci sono nuove notizie?"
"Da quel che mi
hanno riferito, la situazione è stabile, ma non so con esattezza come
stia."
"E’ un buon
segno?"
"Sì. Non è
certamente un gran bene, ma non è neanche un male."
"Capisco."
"Notizie sui
genitori?"
"Sì."
"E come
sono?"
"Pessime,
purtroppo."
"In che
senso?"
"Suo padre è
morto all’inizio di quest’estate e tutti gli altri familiari non ne vogliono più
saperne niente di lui. Sono addirittura espatriati perché non volevano mai più
vederlo."
"Perché?"
"Lo incolpano di
essere la causa della sua morte."
"Perché
mai?"
"Non è riuscito
ad avvertire in tempo i soccorsi perché fu coinvolto in una rissa. Purtroppo il
signor Sakuragi aveva avuto una crisi cardiaca."
"Capisco. Allora
non c’è nessun familiare reperibile."
"Purtroppo, no.
Dottore, permette che lo vada a trovare?"
"Per me va bene,
basta che tu ti metta i vestiti asettici per entrare."
"Cosa?"
"La mascherina, i
guanti ed il camice."
"Sì, li indosserò."
"Allora seguimi,
così ti farò conoscere il medico che sta curando ora il tuo amico."
Il dottor Smith
accompagnò Mitzui in una stanza dove, su alcuni tavoli coperti con una tovaglia
di semplice carta da cucina, stavano impilati camici, guanti e mascherine.
"Lavati le mani,
poi infilati il camice, la mascherina ed i guanti. Nel frattempo avverto il
dottor Komatsu di venire qui. Aspettami. Sarò di ritorno in pochissimi
minuti."
Mitzui annuì e si
diresse verso il lavandino. Si lavò meticolosamente le mani e gli avambracci,
poi, come aveva visto fare in una serie televisiva, chiuse la cannella dell’acqua
con un movimento di gomito.
S’infilò con cura il
camice e i guanti, poi si mise attorno al collo la mascherina ed attese.
Pochi minuti dopo il
dottor Smith tornò nella stanza, seguito da un uomo un po’ stempiato e
brizzolato, con occhi celesti molto chiari ma ricchi di calore e naso aquilino.
Non era alto ma molto magro, quasi scheletrico, ed indossava piccoli occhiali
dalle lenti rotonde. Nel camice bianco che indossava, sembrava quasi
galleggiarci.
Se fosse quasi
completamente calvo e con i capelli più chiari, potrebbe sembrare Gandhi,
si disse Mitzui, mentre quell’ometto avanzava verso di lui, sorridendo
amichevolmente.
"Così tu sei
Hisashi Mitzui, un amico del paziente arrivato ieri pomeriggio" esordì l’uomo.
"Sì" disse
Mitzui, sorridendo amichevolmente. Era strano, ma il calore emanato da quel
sorriso riuscì a riscaldare il cuore di Mitzui.
"Io sono il
chirurgo che ha operato il tuo amico, il dottor Hamaru Komatzu."
"Piacere di
conoscervi."
"Il piacere è
tutto mio, Mitzui."
"Mi scusi se sono
così frettoloso, ma potrebbe dirmi come sta il mio amico. Vorrei avvertire gli
altri, per stasera."
"Gli altri?"
"Gli altri
componenti della nostra squadra di basket."
"Ah già, il
basket! E’ vero, il dottor Smith mi aveva accennato al fatto che il giovane
Sakuragi giocasse in una squadra di un liceo cittadino. Mi ha detto che siete
dello Shohoku, se non sbaglio."
"Sì, è
esatto."
"Allora Mitzui,
vuoi sapere tutta la verità nei minimi dettagli, vero?"
"Sì, signor
Komatsu."
"Posso dirti che
il tuo amico se l’è cavata per un pelo. Pochi minuti dopo e non ce l’avrebbe
fatta. Ora è in coma, come ti avrà già detto il mio collega, e nelle sue
condizioni di salute sono ben pochi quelli che riescono a svegliarsi e
riprendersi."
"Cosa!?"
"Aspetta prima di
impallidire, Mitzui. Fortunatamente è un ragazzo giovane e molto forte, ed ha
qualche possibilità in più di farcela."
"Allora è meno
grave del previsto."
"Non
fraintendermi, Mitzui. Non ho mai detto che è meno grave del previsto. E’
ancora in condizioni critiche, non lo dimenticare, inoltre, nonostante le
nostre trasfusioni, ha poco sangue e noi non sappiamo se riuscirà a
sopravvivere per questa notte."
"Allora perché
non gli fate altre trasfusioni?"
"Non abbiamo più
sacche di B negativo."
"E del gruppo
zero?"
"Neanche,
purtroppo. Ieri non c’è stato bisogno di sangue soltanto per lui, ed ora la
maggior parte delle sacche sono finite. Ne abbiamo richieste altre, ma non
arriveranno prima di domattina."
"Io sono gruppo
zero negativo. Magari, per aiutarlo a superare la notte, potrei donargli parte
del mio sangue, sempre che possa" disse di getto Mitzui, sorpreso dalle
sue stesse parole.
E’ incredibile! Io…
io mi sono offerto volontario per donare il mio sangue a quel pollo di
Sakuragi. Se me l’avessero detto un paio di mesi fa non avrei neanche saputo chi era Hanamichi, si disse.
Komatsu e Smith si
guardarono, poi Smith sorrise e disse:
"Vado a chiamare
subito l’infermiera."
Quando il dottore fu
uscito, Komatsu disse:
"Mentre
attendiamo che Smith torni, ti parlerò un altro po’ di lui. Sarà duro per lui
accettarlo, ma molto probabilmente non tornerà più ad essere il ragazzo di un
tempo. Smith ti ha accennato alle lesione della colonna vertebrale?"
"Molto
vagamente."
"Ti ha detto che
forse resterà tetraplegico?"
"Sì, mi ha
accennato questo."
"Purtroppo devo
dirti che dopo gli ultimi esami fatti, le probabilità che si riprenda anche
sotto questo punto di vista sono molto basse. Come hanno preso la notizia i
tuoi amici?"
"Non lo sanno
ancora."
"Come mai?"
"Avevo deciso di
non accennargli niente prima della conferma, per non rischiare di perdere il
campionato nazionale, ma ora che il nostro sogno si è infranto… vale la pena di
informarli."
"Quando lo
farai?"
"Non lo so
ancora. E’ un compito piuttosto difficile da portare a termine. Soltanto ieri
mattina eravamo felici e spensierati, completamente immersi nel nostro grande
sogno, mentre ora il nostro allenatore è morto ed abbiamo perso di brutto la
partita contro il Ryonan. Il dolore è già stato più che sufficiente, per ora.
Preferisco aspettare ancora qualche altro giorno."
"Se la
prenderanno con te."
"Non m’importa più
di tanto che se la prendano. Preferisco non dargli ulteriore dolore. Ne
parleremo quando Hanamichi si risveglierà."
"Sempre che si
risvegli, ricordalo" lo ammonì il chirurgo.
"Lo so che non è
ancora fuori pericolo, ma, come avete detto voi, Hanamichi è forte, ed io sono
sicuro che ce la farà."
"Hai molta
fiducia in lui."
"No, al
contrario, non mi sono mai fidato di lui, ma conosco perfettamente quanto il
suo carattere sia fumantino, per cui, diciamo che non ho dubbi sulla sua forza
di volontà" disse Mitzui, concedendosi un altro mezzo sorriso.
"Ehi Mitzui, noi
di là siamo pronti" disse il dottor Smith, facendo capolino dallo stipite.
Mitzui, si tolse il
camice, i guanti e la mascherina, poi seguito da Komatsu si diresse verso il
piccolo ambulatorio di fronte alla stanza di Hanamichi.
Lì una bella
infermiera, forse di un anno più grande di lui, gli mise il laccio emostatico,
poi prese l’apposito macchinario e cominciò a trasferire parte del sangue del
ragazzo in alcune sacche asettiche di robusta plastica.
Era una bella ragazza
dai capelli biondo scuro, profondi occhi blu e sorriso rassicurante.
"Dottor Smith, ne
prendiamo due sacche, vero?" chiese la giovane infermiera.
"Sì Angy.
Domattina dovrebbero arrivare delle altre sacche dall’ospedale dall’altra parte
della città."
Komatsu fece cenno a
Smith di seguirlo perché doveva parlargli di un altro paziente, poi si rivolse
a Mitzui:
"Non
preoccuparti, Mitzui. Angy sa perfettamente come fare il suo lavoro. Finché sei
nelle sue mani non corri nessun rischio."
Poi uscirono entrambi,
lasciandoli soli.
Tra i due regnò il
silenzio per un paio di minuti, poi i loro sguardi s’incontrarono e l’infermiera
sorrise.
"Come ti
chiami?" chiese lei.
"Mitzui, sono
Hisashi Mitzui. Ed il tuo?"
"Io mi chiamo
Angelyka Roustemberg, ma tutti mi chiamano con il diminutivo, Angy."
"Sei
straniera?"
"Ti parrà strano,
ma sono nata qui. Mio padre è originario della Svezia."
"Capisco."
"Tu sei amico di
quel ragazzo, non è vero?- disse Angy, indicando, oltre il vetro, la stanza di
Hanamichi."
"Sì."
"E’ stato molto
fortunato, nonostante tutto. Poteva andargli molto peggio."
"Dici sul
serio?"
"Sì. C’ero io di
turno sull’ambulanza, ieri, ed ho visto in che condizioni era. Mi ha detto
anche qualche parola, sull’ambulanza."
"Era ancora
sveglio quando l’hanno estratto, perciò."
"Non esattamente,
era quasi come se vaneggiasse. Ripeteva continuamente una strana frase."
"Quale?"
"Diceva…"
disse lei prima di arrossire violentemente.
"Che c’è? Quale
frase diceva?"
"Diceva … diceva “
baciapiselli m’ammazza”" disse lei, vergognandosi del termine.
Mitzui divenne viola
come una melanzana.
"Che ti prende?
Ti senti male? Oppure ti da fastidio il temine usato?" disse lei,
guardandolo stupita.
Mitzui divenne ancora
più violaceo, ed Angy comprese.
"Sei tu la
persona a cui si riferiva, non è vero Mitzui?" disse lei.
"Sì, sono proprio
io."
Lei lo guardò e lui
ricambiò lo sguardo, poi scoppiarono entrambi a ridere nervosamente, troppo
imbarazzati per continuare la conversazione.
Quando Komatsu e Smith
tornarono nella stanza, i due stavano ancora ridendo. I due medici si
guardarono, poi Komatsu si schiarì la voce e disse:
"Vi state
divertendo parecchio, a quanto sembra."
I due si calmarono, e
pian piano smisero di sghignazzare come due iene.
"No dottore,
stavamo solo chiacchierando ed io gli ho riferito le parole dette dal paziente
prima di perdere conoscenza."
Komatsu li guardò di
nuovo, poi alzò le spalle e decise di sorvolare.
"Allora, è pronta
la prima sacca?"
"Sì dottore, ed
anche la seconda è quasi piena."
"Bene, allora
finisci poi prepara un lettino per Mitzui."
"Coma mai?"
chiese il ragazzo.
"Ti sentirai un
po’ debole e non è saggio per te sforzarti troppo."
"Mi dispiace, ma
non posso restare ancora per molto. Sono quasi due giorni che non rientro a
casa."
"Lo posso
accompagnare io. Tra meno di un’ora finisce il mio turno e mio padre ha detto
che stasera sarebbe venuto a prendermi con la macchina. Una piccola deviazione
non credo che possa disturbarlo" disse Angy.
"Ne sei sicura,
Angy?" disse Mitzui.
"Certamente."
"Allora va bene.
Mitzui, puoi restare qui con lei fino a quando non avrà finito il turno. Ti sta
bene?" chiese Smith.
"Va bene."
"Allora, io devo
andare. Non posso lasciare il mio posto così a lungo. Nel caso non dovessimo
rivederci più tardi, arrivederci Mitzui, e buona fortuna per domani" disse
Smith, uscendo dalla stanza.
"Ti saluto anch’io,
ragazzo. Devo andare a fare il mio giro di visite. Ci vediamo domattina?"
"No, domattina
no. Forse dopo l’all… dopo la scuola" disse Mitzui, rimangiandosi
immediatamente il lapsus fatto. Non aveva più una palestra in cui allenarsi, anzi,
forse non aveva più neanche un club di basket, da quel che aveva intuito quella
mattina.
Komatsu lo salutò,
lasciando di nuovo soli i due giovani.
Pochi minuti dopo la
ragazza staccò Mitzui dal macchinario e gli medicò il braccio con della garza.
Dopo aver appoggiato
in una scatola piena di ghiaccio secco la sacca, si avvicinò di nuovo a Mitzui.
"Prima volevi
dire dopo l’allenamento, vero?" disse Angy, poggiandogli una mano sulla
spalla.
"Sì."
"La vostra
palestra verrà riparata nel giro di tre settimane al massimo. Sai, mio padre ha
l’impresa di riparazione a cui sono stati affidati i lavori- disse Angy,
sorridendo dolcemente."
"Non so se servirà.
Non abbiamo più l’allenatore" disse Mitzui.
"Il vostro
capitano non potrebbe allenarvi finchè non troverete un altro allenatore?"
chiese Angy.
"Sì,
potrebbe."
"Allora?"
"La verità è che…
non credo di voler continuare a giocare a basket, e ho la sensazione che la
stessa cosa valga anche per gli altri" disse Mitzui, piano e con tono
depresso.
"Non dovete
mollare così. Se giocate a basket è perché voi amate questo sport. Non dovete
mollare."
Mitzui sorrise
mestamente, guardando gli occhi blu della dolce ragazza che gli stava accanto.
"Gliene parlerò
domani pomeriggio, nel caso ci fosse l’eventualità che il club venga
sciolto" disse Mitzui.
"Bene. Io vado a
controllare come sta Hanamichi" disse Angy.
"Potrei… venire
anch’io?" disse Mitzui.
"Va bene, se te
la senti. Seguimi, dobbiamo andare a prepararci- disse lei, aprendo la
porta."
Mitzui la seguì e si
preparò, nuovamente.
Mentre Angy cambiava
la sacca di sangue, Mitzui si sedette accanto a Hanamichi e disse piano:
"Ehi, pel di
carota, non preoccuparti, non ti ammazzo. Tu ci hai provato ed hai fatto del
tuo meglio. Non è colpa tua se è andata come è andata. Si vede che era destino.
Fatti forza, mi raccomando. Abbiamo bisogno di te, per tenere in piedi la
squadra. In fondo, sei o non sei il re dei rimabalzi?"
Hanamichi non si mosse
né diede segno di aver sentito.
"E’ bello che tu
gli faccia forza, ma credo che sia meglio andare, ora" disse Angy, alle
sue spalle.
Mitzui si alzò e seguì
Angy.
Il signor Roustemberg
rimase sorpreso quando vide un ragazzo in compagnia della figlia.
"Papà, lui è
Hisashi Mitzui, un giocatore di basket del liceo Shohoku. Ha donato il sangue a
quel ragazzo rimasto sotto le macerie ieri. Ti dispiace accompagnarlo a
casa?"
"Piacere di
conoscerti. Io sono Ralf Roustemberg. Non c’è problema per me- rispose l’uomo,
anche lui biondo e con gli occhi blu come la figlia, stringendo calorosamente
la mano a Mitzui."
Mitzui fece
altrettanto, poi gli diede l’indirizzo di casa sua.
"Ho capito, so
dov’è- disse l’uomo- Dimmi Mitzui, giochi bene a basket? Ho sentito dire che
siete molto forti!"
"E’ vero, la
nostra è una buona squadra, ma purtroppo siamo stati eliminati proprio oggi dal
Ryonan. Era l’ultima partita disponibile per qualificarci al campionato
nazionale."
"Mi
dispiace."
"L’importante è
che la squadra resista a questa catastrofe."
"Sai, anch’io
giocavo a basket, quando ero ancora in Svezia" disse l’uomo sorridendo.
"Mi piace molto
il basket" disse Mitzui, nonostante fosse una cosa scontata.
"E’ molto
bravo" intervenne Angy.
"Siamo quasi
arrivati a casa mia" disse Mitzui, vedendo che era vicino alla propria
abitazione- Può anche lasciarmi qui, non si preoccupi.
"Ne sei sicuro,
Mitzui?" disse Ralf.
"Certo."
"Va bene"
disse l’uomo, accostando.
"Ci vediamo
domani pomeriggio, allora?" disse Angy, maledicendosi all’istante per quelle
parole davanti a suo padre, che pareva un po’ offeso dalla spigliatezza della
figlia.
All’improvviso, ebbe
un’illuminazione.
"Se passi all’ospedale,
potrò informarti meglio sulle condizioni del tuo amico Hanamichi, e se lo saprà
per allora, anche su quando cominceranno i lavori, non è vero papà?"
"Certo"
disse lui con tono poco convinto.
Si salutarono e Mitzui
s’incamminò verso casa.
***
Nota esplicativa:
le scritte NdA sono le mie note personali.
Vi avviso che non
so quanto spazio prenderà ogni personaggio (non era prevista una parte molto
articolata su Mitzui, mentre, vi sarete resi conto, in questa parte è quasi il
protagonista assoluto!) ma cercherò di dedicare abbastanza spazio per rendere
giustizia a tutti questi eccelsi personaggi, nonostante ce ne sia uno che non
sopporto(non faccio nomi, ma nome: Rukawa).
Scusate se farò
qualche strafalcione culturale, ma sono ancora in fase di documentazione per
quanto riguarda i minimi particolari di usi e costumi giapponesi!