Anything else.
«
JOHN! »
Sherlock
irruppe nel salotto quel pacato martedì pomeriggio,
sbattendo la porta in quel
modo che poteva annunciare una sola cosa: aveva un caso.
John
ormai lo capiva senza nemmeno aver bisogno di guardarlo –
impegnato com’era a
controllare il suo blog – e immaginava benissimo la scena:
era corso su per le
scale saltando circa quattro gradini alla volta con quelle sue gambe
smisuratamente lunghe, sfrecciando
via
dalle grinfie di una signora Hudson nervosa che voleva chiedergli
quando lui e
il suo coinquilino avessero intenzione di pagare l’affitto;
era arrivato nell’appartamento
senza nemmeno aver avuto bisogno di aprire, dato che ormai la porta
rimaneva
aperta per abitudine, ma comunque l’aria che aveva mosso
nell’irruzione l’aveva
fatta sbattere
contro il muro; ora
si stava togliendo di corsa la sciarpa con un unico gesto e si stava
liberando
dell’impiccio nei primi bottoni della sua camicia
perché – John sapeva anche
questo – lo faceva ogni qual volta che si sentiva esaltato,
nonostante fossero
nel bel mezzo di febbraio e la temperatura a Londra non fosse delle
migliori.
John
sapeva tutto questo ed era pronto a scommettere che se avesse alzato
anche solo
lo sguardo alla sua destra avrebbe trovato il suo amico fermo,
immobile, con un
sorriso che andava da un’orecchio all’altro e
qualcosa da dire. E i sorrisi di
Sherlock – aveva imparato anche questo – non
promettevano mai niente di buono,
se con “buono” si intende passare un pomeriggio
tranquillo senza sangue,
uccisioni o strani piani di sabotaggio.
Ma
ciò che non aveva imparato ancora, a diverso tempo passato
come coinquilino di
Sherlock Holmes, era fidarsi delle proprie deduzioni. Perché
lui sapeva, sapeva
che appena avrebbe alzato lo sguardo e si sarebbe mostrato interessato
a
Sherlock, quest’ultimo avrebbe avuto un cattivo influsso per
la restante parte
della giornata, se era fortunato.
Eppure
lo fece. Come un ragno che si incastra nella propria ragnatela, fece il
fatale
errore di concedersi il privilegio di alzare lo sguardo su di lui.
Come
volevasi dimostrare.
John
sbuffò più a se stesso che a qualche
interlocutore, tornando a fissare il
monitor del suo portatile senza leggere davvero ciò che vi
era scritto. « Non
parteciperò a nessuno dei tuoi inseguimenti, Sherlock,
sappilo » disse,
tentando di assumere un’aria decisa. Come se la
determinazione servisse a
qualcosa, in quei casi.
«
E io non starò a pregarti, visto che prima o poi ti
arrenderai e verrai con me
» pronunciò infatti Sherlock, cominciando ad
andare avanti e indietro per la
piccola sala. « Stasera usciamo. »
«
Certo che usciamo » disse John irritato « Io
uscirò con Clare, andremo
ad una intimissima cena a lume di candela; tu
uscirai con chi vorrai,
non è un mio problema. »
Sherlock
sembrò aver udito solamente un ronzio lontano.
Lo
odiava quando faceva così. John ci provava, ci provava
davvero, ma con Sherlock
era impossibile. Probabilmente Mycroft
da bambino l’aveva influenzato malamente, o
probabilmente era scivolato
sulla nave mentre giocava a fare il pirata.
«
Sai che giorno è oggi, vero? »
John
immaginò il computer che il suo amico aveva al posto della
mente decifrare le
cifre 14/02.
«
Il quattordici febbraio. »
«
E non ti dice niente questa data? » tentò John,
immaginando già la risposta.
«
Non mi interessano le stupide celebrazioni degli umani, sai che ho
questioni
più importanti di cui occuparmi. » disse
passivamente Sherlock.
Ovviamente.
«
I tuoi piani da supereroe del mistero dovrai sbrigarli da solo, allora
»
annunciò John « Oggi è san
Valentino e stasera uscirò con la mia
ragazza…
»
Avrebbe
giurato di averlo sentito ridacchiare. Una flebile, quasi
impercettibile risata, uscire da quelle labbra che non poteva vedere,
perché ostinato
a non osservarlo troppo per non cadere nella trappola di quegli occhi
sorprendentemente azzurri che riuscivano sempre a farla franca.
«
Un’altra? Avrei giurato che fossi rimasto a Janette. Sono
quasi sicuro che si
chiamasse così l’ultima. »
John
trattenne a stento le urla e mormorò un
“sì” mordicchiandosi le labbra per non
scoppiare, mentre con il mouse scendeva con la pagina per controllare i
commenti dei lettori del suo blog. C’era gente che pretendeva
casi in tema
romantico, come una scena del crimine a lume di candela, o chi
ipotizzava una
cenetta romantica tra l’imbattibile Sherlock Holmes il suo
fidato John Watson,
il tutto allegato ad una gran quantità di cuoricini che
avrebbero fatto venire
il voltastomaco anche al più freddo calcolatore di tutti i
tempi. Persino a
Sherlock.
John
sbuffò una seconda volta, quel pigro martedì
pomeriggio.
«
Qual è il caso, questa volta? » domandò
chiudendo e riposando il suo portatile.
Vide
Sherlock sorridere di nuovo, soddisfatto, consapevole del fatto che
ancora una
volta una sua deduzione era stata giusta.
Prima
o poi ti arrenderai e verrai con me.
Sì,
si era arreso. Con Sherlock era così da sempre, ormai
avrebbe dovuto
abituarsi all’idea di essere comunque succube delle sue
decisioni. Non poteva
controllarlo, era come se soggiogasse la sua mente con un astuto gioco
d’intelligenza,
che lo costringeva davvero a seguirlo ovunque andasse, qualsiasi cosa
facesse.
Era un legame, un filo ideale, come la forza di attrazione
gravitazionale.
La
verità era che, per John, avrebbe potuto essere San
Valentino tutti i giorni
dell’anno, ma non avrebbe scambiato un’avventura
con il suo migliore amico per
nient’altro
al mondo.
Alla
mia sfigatona del cuore, anche se questa "cosa" ti farà
cagare
ti
voglio bene.
Buon San
Valentino. <3
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