Titolo:
Hurt
me.
Genere: Introspettivo; Romantico; Malinconico
Rating:
Arancione
Avvisi: OneShot
Riassunto: Ma allora
prendimi, se è questo quello che vuoi. Prendimi tutta.
Bruciami la pelle, strappami le labbra, penetrami fino a sfiorarmi le
ossa e stringimi il cuore finché non riesci a farmelo
scoppiare in mille brandelli di tessuto muscolare.
Ti
voglio.
Hurt
me.
“Puttana.”
Dimmelo,
dimmelo ancora. Lo
so che lo pensi.
“Ti
piace?”
Si, mi
piace. Mi piace un
sacco; mi piace come nient'altro.
Coprifuoco
a mezzanotte. Ora
effettiva: 00,30.
“Vuoi
andartene?”
No. O
forse sì.
Voglio
scappare, voglio
andarmene, voglio fuggire, voglio dormire.
Voglio
te.
*
Voglio
addormentarmi e non
svegliarmi più. Come sarebbe bello, riesci ad immaginarlo?
Andarsene
sotto le coperte
gelate, rabbrividire al solo contatto col lenzuolo di flanella e
rannicchiarsi di lato, preferibilmente con il volto girato verso il
muro vicino al letto, chiudendo lentamente gli occhi e spegnendo in
un attimo il cervello. Addio razionalità. Addio a
tutti.
Allo
stesso tempo ho pensato
di iniziare a drogarmi seriamente. Sai, quelle poche canne che mi
fumo saltuariamente insieme a te non riescono mai a sedarmi
veramente; gira il capo, gira il mondo, giri tu, giri
io.
Ma questo senso di oppressione, questo mattone che ho sopra il cuore
non se ne vuole andare; e sai, sinceramente lo vorrei proprio
distruggere, prima che inizi a diventare la fondamenta di un edificio
ben più grande.
Allora
che scelgo? Ecstasy,
cocaina o anfetamina?
Mi sono
documentata: non c'è
niente che faccia al caso mio. No, non esiste proprio nulla di
adibito alla funzione atipica di sopprimere la mente; nessun “dormire
per una settimana” né “apatia
e trasformazione
graduale del proprio cuore in marmo”. Mi rendo
conto di essere
fregata nell'istante in cui mi arriva un tuo messaggio. Il display
del cellulare s'illumina con il tuo nome lampeggiante. Pigio qualche
tasto a caso e con un certo timore; “usciamo
stasera? Ho voglia
di vederti”.
Quanti
convenevoli, a dir la
verità mi stupisci. Con un “ho voglia di
scoparti, troia”
saresti stato perlomeno sincero.
*
“Uhm,
sei Claudia,
vero?”
Si,
sono io. E tu sei
Simone.
“Vieni
che ti offro un
drink, dai.”
No,
io non bevo.
Cazzo, questo Negroni che mi hai già messo in mano non lo
voglio!
“Andiamo
a ballare
insieme, ti va?”
Forse.
Ma mi fanno
male i piedi.
Ma sono
astemia ed ubriaca
marcia.
Ma
barcollo.
Magari
svengo.
Sicuramente
mi baci.
Non è un po' troppo presto?
“Quando
una cosa
mi piace non posso resistere. Devo averla.”
Allora
eccoti la
cosa servita su un piatto d'argento, munita di
patatine
arrosto ed insalata. Fatti pure una bella scorpacciata, mio caro
commensale. Inutile dirti di no, vero?
Dai,
portami su nel cesso
sporco e puzzolente di questa penosa discoteca. Sarà un bel
ricordo, quando ripenserò al primo posto in cui abbiamo fatto
l'amore. Io, te e un qualcosa che già non mi
convince;
forse i miei ansimi troppo pronunciati a causa della sbronza o magari
le gambe che mi cedono per la posizione scomoda. Molto probabilmente
l'assenza di un tuo bacio.
“Prendi
la pillola?”
Ti
stacchi. Non
mi guardi, distogli lo sguardo a scatti, mentre ti lavi
frettolosamente le mani nel lavandino accanto.
“Si.”
Mi
stacco. Ti guardo:
il tuo viso è lievemente rosso, hai il fiato corto e la
camicia bianca che fuoriesce dai jeans ancora sganciati. I tuoi
capelli impomatati e venti minuti fa perfetti adesso ti cascano
disordinati sul viso; vorrei toccarteli ma sento che non mi
è
permesso. Cazzo, sei bello.
“Potevi
dirmelo prima.
Almeno non mi sporcavo le mani.”
Sai, mi
sei entrato dentro
senza chiedere il permesso; prima con due dita,
successivamente
col tuo uccello e poi direttamente con tutto te stesso. Questo
processo potrei semplicemente chiamarlo col nomignolo di “alienazione
graduale di una ragazzina”,
una di quelle classiche che anche se
sbaglia in
continuazione non impara mai dai propri errori. Ma adesso ho capito:
quella sera avrei dovuto darti un grosso schiaffo a cinque dita ancor
prima che tu sfiorassi le mie labbra con quel bacio, il più
velenoso che io abbia mai ricevuto. Avrei dovuto urlarti “Vaffanculo”
senza perdere tempo a guardare in quei tuoi occhi, potenti
ladri
d'anima. Avrei dovuto non toccare il tuo corpo fin troppo magro in
quel ballo scoordinato, non sentire mai la consistenza della tua
pelle sotto l'urto delle mie mani affamate. Avrei,
il problema è questo.
La
parola adesso è
quasi sempre sinonimo di troppo tardi.
Ti
voglio, te l'ho
già detto? Cerco ogni segno di te, qualsiasi cosa ti
riguardi.
Aspetto per giornate intere un tuo messaggio, troppo impaurita per
mandartene uno io; tanto, come tuo solito, non mi risponderesti.
Guardo le tue foto immaginandomi accanto a te, in uno scatto che
racchiuda dentro sé l'essenza di qualcosa che non posso e
non
devo spiegarti a parole. Ascolto la musica che ha fatto da colonna
sonora a quelle poche sere in macchina insieme, parcheggiati vicino
ad un laghetto desolato a drogarci, scopare e ridere, ridere e ancora
ridere. Ecco la realtà più amara di
tutte.
Con
te sto bene. Sto
bene da morire, bastardo.
Altro
che cocaina o ecstasy,
o qualsiasi altra merda chimica da spararsi dentro al corpo; io mi
sono riscoperta tossica di un'altra sostanza ancora
più
dannosa. Mi ritrovo come una stupida a desiderare la tua presenza
più
di ogni altra cosa presente nella mia effimera esistenza. Mi ritrovo
ad accontentarmi del più assoluto niente,
del mio corpo
eccitato solo a pensarti come quello di una dodicenne alle prime
armi. Mi guardo allo specchio e vedo il mio riflesso travestito da
puttana: questo è quello che tu vuoi. Non c'è
Claudia,
davanti a te. Non c'è una ragazza, né tanto meno
una
donna. Mi vedi? Sono la tua dolce sgualdrinella;
adesso sono
ai tuoi ordini, ti cinguetto frasi romantiche e cerco di assecondare
ogni tua voglia.
Poi
m'incazzo, cancello il
tuo numero e sparisco dalla tua vita. Corro, casco, mi rialzo e fuggo
con tutte le mie deboli forze. Sto quasi arrivando al traguardo;
sì,
lo vedo all'orizzonte, poco più di trecento metri e lo
trapasso. Ma tu mi riacchiappi, sempre.
Mi
catturi sfiorandomi la
guancia con quel tuo naso pronunciato, aggiungendoci una frase
maliziosa che mi sussurri prontamente nell'orecchio, succhiandomi il
lobo. Poi passi alla costruzione della mia personale gabbia: innalzi
sbarre laccate d'oro toccandomi appena il seno, saldi un lucchetto
ben piazzato allargandomi le cosce. Infine butti via la chiave; le
tue dita sono sicure ed il tuo colpo di reni ha un che di micidiale,
lo ammetto. Non posso fare altro.
Sono
intrappolata, te ne
sei dimenticato?
Ma
allora prendimi, se è
questo quello che vuoi. Prendimi tutta. Bruciami la pelle, strappami
le labbra, penetrami fino a sfiorarmi le ossa e stringimi il cuore
finché non riesci a farmelo scoppiare in mille brandelli di
tessuto muscolare.
Prendimi,
ti do questo
permesso. Ma non lasciarmi anche se sbaglio, anche se “mi
basta
il tuo cazzo, perché so di non poter avere il tuo
cuore.”
è l'unico messaggio che ti faccio recepire, accettando i
tuoi
inviti e non reagendo alla notizia che esci anche con altre. Lo so
che non è solo mio quel tuo vitino ossuto, che non
è
mio quel sorriso da sbarbatello che nasconde alla perfezione i tuoi
ventiquattro anni d'età, che non sono miei quei gemiti e
quei
respiri.
Ma
toccami, vorrei
comunque dirti. Pregarti di lasciare su di me un'impronta, un
qualcosa di te che mi appartenga per sempre. Implorarti di farmi
male, di farmi soffrire fino a non potercela fare più. Fino
a
quel basta di cui necessito, di cui ho bisogno.
Fino allo
sfinimento di questo mio cuore innamorato di un'illusione che si
regge sopra pochi punti di stallo.
Feriscimi
dai, che ti
riesce bene farlo.
*
“Quanto
eri di fuori
sabato sera?”
Siamo
in macchina, musica a
tutto volume. Hai rollato a fatica una canna d'erba e me la passi con
fare svogliato anche se il suo contenuto si limita a soli tre o
quattro tiri massimo.
Mi
guardi, e conosco
quell'occhiata abbastanza bene da poter constatare che fra meno di
dieci minuti le tue labbra saranno attaccate alle mie.
“Perché?”
Inspiro
una boccata; subito
il sapore mi gratta la gola ed a stento riesco a non mettermi a
tossire.
So a
cosa ti riferisci, ma
faccio finta di niente.
“Bah,
mi hai mandato
un messaggio.. c'era scritto mi manchi, e un sacco di altre cazzate.
Quanto avevi bevuto?”
Il tuo
tono è divertito, quasi scherzoso. Sei convinto della tua
idea
e il pensiero che quel messaggio possa essere stato sincero non ti
sfiora nemmeno. Perfetto.
“Almeno
tre drink. Ma
non ricordo bene, ero ubriaca marcia.”
La
mia risposta ti soddisfa, ed il discorso è da ritenersi
chiuso
qui. Mi levi di mano il porro senza spiccicare parola e lo butti
fuori dal finestrino, avvicinandoti pericolosamente alla mia bocca
con una nonchalance che mi provoca una certa invidia. Mi
baci.
“Sabato
notte non ho
toccato alcol.”, vorrei dirti. Ma la
verità è che
non lo saprai mai.
Note:
Dopo
un anno e passa sono riuscita a riscrivere qualcosa. Più
passa
il tempo, più mi riesce difficile trattare argomenti a me
distanti; sono sempre più autobiografica.
Ah,
è sempre la
tristezza a farmi vomitare parole. Farò una festa il giorno
in
cui scriverò qualcosa di felice, nel frattempo mi crogiolo
nel
marcio che mi circonda.
AintAfraidToDie
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