12 Marzo

di Melanto
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PreNota: quella che state per leggere è la prima storia per il ciclo “Love&Life”.
“Love&Life” è una raccolta di fanfiction attraverso le quali si snodano le tappe fondamentali della storia d’ammmmmore di Yuzo&Mamoru. Di seguito, potrete trovare l’elenco delle storie in ordine di lettura (che non è affatto l’ordine in cui sono state scritte XD!):

- 12 Marzo (l'avete appena aperta!)
- 20 Dicembre
- Jump!
- Family Affair
- Libertango (in lavorazione)
- Enjoy the Silence
- Sarà per i capelli!
- Forever mine, forever yours (in ideazione)

12 Marzo
(Love&Life series)

“Lo so, lo sai
il tempo vola.
Ma quanta strada
per rivederti ancora,
per uno sguardo,

per il mio orgoglio.
Quanto ti voglio...”


Antonello Venditti – Alta marea

A volte è inspiegabile l’istinto che muove i nostri passi verso una meta alla quale si ha una paura folle di arrivare. L’attraversamento della linea che demarca il passaggio tra l’essere ed il non essere, tra l’avere ed il non avere… tra il desiderare ed il perdere.
È un passaggio talmente sottile che non lo si riesce a vedere ad occhio nudo, ma il cuore, oh sì, il cuore lo vede benissimo; per questo si attesta sul limitare della soglia, senza avere il necessario coraggio (o incoscienza?) per poterlo varcare.
Poi. Ecco. Subentra un qualcosa…
Che cosa?
Oh, vi prego, non chiedetelo a me perché non lo so descrivere, ma è una specie di forza nascosta che manovra le nostre azioni come fosse un burattinaio, ed il cuore è avvolto dai suoi fili invisibili. Certe volte agisce in maniera così subdola, che nemmeno ce ne accorgiamo di aver passato il famoso ‘limite’ e ci rendiamo conto di averlo fatto quando ormai è troppo tardi per poter tornare indietro; quando l’unica cosa che ci rimane da fare è aspettare.
Ragazzi, voi non potete immaginare quanto l'attesa possa spezzare le ossa!
Altro che entrata fallosa, altro che le falciate di Soda! L’attesa ha la forza di Jito, Hyuga e Matsuyama messi insieme! E’ una vera e propria arma… e, questa volta, la mazzata è toccata a me.
Sì, sì… ridete! Ridete pure! Potessi farlo anche io con voi, potessi anche io mettermi lì, come una vecchia comare, e dire “Ma guarda quello che scemo! Sta guidando verso un luogo senza sapere nemmeno se riuscirà a suonare il campanello!”
Già. Non so se avrò il coraggio di premere il bottone una volta raggiunta la meta.
E che gli potrei dire, seppure ci dovessi riuscire? Lui mi aprirà la porta ed io che farò, a parte guardarlo con una faccia da ebete?
Certo che, se trovassi il coraggio necessario, ne avrei di cose da dire. Salterei su come una molla e comincerei ad elencare tutto quello che non mi è mai andato a genio! Roba del tipo: “Ma proprio a Shimizu City ti dovevi trasferire?! Ma lo sai quanto è lontana da Yokohama City?! Sono due prefetture diverse, cazzo. Due prefetture diverse! E lo sai da quanto tempo non ci vediamo?! Ah, non te lo ricordi?! Beh, te lo dico io: due fottutissimi mesi! E non uscirtene con la storia che ci sentiamo per telefono e per e-mail! No, non mi basta per niente e…” no, quest’ultima cosa non la direi, non credo ne avrei il tempo: lui starebbe già con la cornetta in mano a comporre il numero della Neuro…
 
Volse lo sguardo ad osservare la superficie del mare che lo stava scortando lungo l’autostrada. Era una tavola dello stesso colore della notte e ad essa si mescolava, mentre solo lo scintillio delle luci del molo indicava la presenza dell’acqua, placidamente ferma, a godersi il bagno di stelle che il cielo offriva in quella limpida serata di marzo.
Lasciò che le sue labbra si stendessero in un sorriso ironico, mentre accendeva una sigaretta.
 
Ecco qualcosa che lo fa arrabbiare. Se mi vedesse adesso partirebbe la sua solita canzone: “Ma non avevi detto di avere smesso?” e so anche cosa gli risponderei: “Veramente non l’ho mai detto.”, e lui: “Certo che sì.”, ed io: “Se l’avessi fatto me lo ricorderei…” e lui, imperterrito, incomincerebbe a stuzzicare: “Ad ogni modo, lo sai che il fumo fa male ai capelli? Raperonzolo, rischi di rovinarteli!”.
Lo odio quando mi chiama ‘Raperonzolo’. Lo odio perché TUTTI sanno che mi chiama ‘Raperonzolo’! Lo odio perché, quando gli arriva una mia e-mail, appare scritto ‘RAPERONZOLO’!
Ma lo sapete che anche Kumi e Yukari hanno cominciato a chiamarmi così? È tutta colpa sua!
Ecco, se troverò il coraggio di bussare alla sua porta, mi arrabbierò anche per questo!
 
Osservò l’orologio digitale che, dal cruscotto, proiettava l’orario sul vetro: le 22:00.
Tirò una lunga boccata dalla sigaretta, dando una rapida occhiata alla busta ferma sul sedile accanto a lui.
 
Chissà se gli piacerà il regalo… cavolo, l’ho fatto fare apposta per lui! Massì, massì. Lo so già che andrà in visibilio. I suoi gusti li conosco… però… ecco, lo vedete? L’ansia sta cominciando a giocarmi dei brutti scherzi! Tra un po’ non sarò più sicuro nemmeno del mio nome.
 
Poi si soffermò su di un anonimo bigliettino bianco, che spuntava da sotto la busta.
 
E quello? Glielo darò? Ci sto ancora pensando… ma se non ci dovessi riuscire mi sentirei un idiota: praticamente ho fatto questo viaggio solo per dargli quello.
Oddio, forse sono stato troppo di poche parole, forse gli verrà un mezzo infarto… forse non me lo perdonerà… però sarei stato sincero. Questo me lo dovrebbe concedere se decidesse di arrabbiarsi, no?
Eh, ragazzi, non fate come me. Non fatelo mai di ritrovarvi sull’autostrada con la paura attaccata al calcagno, che non ha alcuna intenzione di mollare la presa, manco fosse un cane in calore.
Io so di averlo varcato il limite se ora mi trovo in macchina e sto guidando senza sapere che cosa ne sarà, dopo. L’ho varcato nel momento in cui ho scritto quel biglietto, nel momento in cui ho deciso di venire a portarglielo di persona, stanotte, per il suo compleanno. Per festeggiarlo insieme, nel bene o nel male.
Ma lo sapete che non riesco ad immaginare la sua faccia quando lo leggerà? E voi? Riuscireste mai ad immaginare l’espressione di una persona che riceve una dichiarazione d’amore da un suo amico? Posso ridere o è fuori luogo? Forse lo è, ma sono talmente nervoso che devo sfogarmi. Concedetemelo.
 
Una risata, a labbra strette, sfuggì al suo controllo, mentre ciccava dal finestrino.
Il cartello in alto indicava lo svincolo per Shimizu City.
 
Però ci ho pensato, sapete? Se si dovesse arrabbiare intendo. Ci ho pensato a lungo e, sempre per opera di quella misteriosa forza, ho deciso di rischiare. Non chiedetemi che cosa farò se dovesse succedere, se lui dovesse andare su tutte le furie o sentirsi indignato. Non chiedetemelo perché non ne ho idea. Che dite, dovrei buttarmi sulla sbronza? Fa molto film romantico strappalacrime, di quelli che odio, quindi non credo che lo farò. Forse me ne tornerò a casa nello stesso identico modo in cui sono venuto: in macchina! E che credevate? Che dicessi ‘a piedi’?
 
Le stradine di periferia si diramavano in molteplici direzioni, ma lui sapeva quale fosse quella giusta da prendere. L’aveva già percorsa, ma in quel frangente gli sembrò più breve del solito. Forse troppo breve.
Imboccò alcuni sensi unici, poi rallentò. Il ronzio del motore si fece più silenzioso fino a cessare di botto, fermando la vettura.
Ma lui non si mosse dall’abitacolo.
La villetta era dall’altra parte della stradina. Silenziosa e dalle luci spente.
Lui non scese.
 
Sono un vigliacco, maledizione! Un dannato codardo! Perché non mi muovo? Andiamo, stacca le chiavi dal cruscotto e scendi da questa cavolo di macchina! Perché non riesco a farlo?
La forza invisibile è appena scomparsa, lo sento. Mi ha piantato in asso dall’altra parte del ‘limite’. La mia meta è questa, la sua porta è là… ED IO NON RIESCO A SCENDERE DA QUESTA FOTTUTA MACCHINA!
Mi sto comportando come se fossi in campo, nel bel mezzo di una partita: sto cercando di difendermi da una sonora sconfitta. Se fossi stato attaccante sarei sceso senza tanti complimenti, avrei sfondato la porta con un calcio, l’avrei preso per il bavero della maglia, sbattuto contro la prima parete libera e schioccato il bacio più ardente del millennio! Poco importa se lui mi avrebbe preso a pugni, spalmandomi al suolo come maionese su di un sandwich! Almeno avrei avuto il coraggio delle mie azioni, avrei tentato il tutto per tutto… invece continuo a restarmene qua, seduto, tenendomi stretto il volante.
Sono uno stronzo, ma di quelli stupidi: uno stupido stronzo senza spina dorsale, con le mani che gli stanno sudando per la tensione!
Dannazione! Non posso continuare ad umiliarmi!
 
La portiera si aprì con uno scatto secco facendo uscire una figura, dall’aria falsamente decisa, che rimase accanto alla vettura. Poco dopo si udì il tonfo di uno sportello che veniva richiuso.
La casa era circondata da altre abitazioni, piuttosto modeste e tutte vicinissime tra loro, ma solo quella cui era diretto l’individuo aveva le luci spente. Le altre avevano segni di vita al loro interno; quella che gli interessava, no.
Emise ciò che era un misto tra un sospiro di sollievo ed uno sbuffo nervoso.
 
Come è possibile che non sia in casa? Vero è che non gli ho nemmeno telefonato per dire che sarei passato, altrimenti che ‘sorpresa’ sarebbe stata? Però… non mi aspettavo che fosse uscito…
Beh, tra poco sarà il suo compleanno, perché non dovrebbe essere andato a prendere una birra con i suoi compagni di squadra? Cioè, birra… al massimo un’acqua tonica! Lui non regge nemmeno un Aperol, figuriamoci! Ed io mi sono fatto le mie belle ore di viaggio, comprese di patemi d’animo ed ansia, per nulla… e che faccio ora? Resto ancora qui alla macchina o almeno provo a bussare? E se stesse dormendo? Mmh, improbabile…
 
La forza invisibile guidò nuovamente i suoi passi, a quanto pareva non poteva ancora lasciarlo da solo, e gli diede quella spinta che aspettava per poter attraversare la strada che lo separava dalla villetta.
Era piccola, ma carina: giusta per due studenti e calciatori; ed il quartiere sembrava essere tranquillo.
Avanzò, con andatura lenta, lungo la strada deserta, fino ad arrivare al marciapiede opposto. Salì gli ultimi scalini per ritrovarsi davanti la porta, e lì si fermò nuovamente.
 
Non so se sentirmi fortunato o meno per la sua assenza. Il bello è che ora non so cosa fare. Vado via? Lo aspetto? Gli lascio il regalo, come segno del mio passaggio, e butto via il biglietto? Forse dovrei fare così… stavo per commettere un imperdonabile errore ed ho la possibilità di fermarmi in tempo. Semmai lo chiamo a mezzanotte per fargli gli auguri…
Sì, gli lascio il regalo qui davanti e me ne vado… con la mia perfetta coda tra le gambe.
Non volermene se sono il più vigliacco dei vigliacchi, magari, quando sarò davvero pronto per farlo, ti racconterò di come, una volta, abbia avuto paura di affrontare la persona più mite che io abbia mai conosciuto.
Voi state ancora ridendo, vero? Fatelo pure, me lo merito.

“Ciao! Chi stai cercando?”
Una voce si rivolse a lui, improvvisamente. Non era di chi si aspettava che fosse, anzi non la conosceva affatto, però non riuscì a non sudare freddo in quel momento.
Si volse, lentamente, ad incrociare il viso sorridente di un giovane comparso dalla villetta adiacente. Doveva avere la sua età, più o meno.
“Allora?” domandò nuovamente “Cerchi Yuzo o Takeshi[1]?” ma non gli diede il tempo di rispondere ché continuò “Takeshi è andato al matrimonio della sorella, quindi non sarà di ritorno prima di un paio di giorni…”
Rimase ad ascoltarlo, piuttosto perplesso: informato lo sconosciuto.
“…Yuzo è strano che non sia già rientrato…” e diede una breve scorsa all’orologio “…ma dovrebbe essere qui a momenti!”
Davvero informato.
“Cerco Yuzo.” Rispose lapidario, ed anche un po’ seccato a dirla tutta.
L’altro lo squadrò con piglio pensieroso “Dalla pettinatura… sei mica Raperonzolo?!”
Dopo aver udito ciò, desiderò ardentemente sprofondare sotto tre metri di terra.
“Sì.” mormorò passandosi una mano sugli occhi, massaggiandoli.
Lo sconosciuto esibì un largo sorriso. “Quindi tu sei il famoso Mamoru!”
“Oh, ma allora conosci anche il mio nome! Che bello!” rispose con una pesante vena ironica.
“Yuzo parla spesso di te!” poi allungò una mano oltre il muretto divisorio “Io sono Kurai, piacere!”
Mamoru sospirò, stringendola “Piacere mio.”
“Mi sono trasferito da poco nel quartiere, ma i ragazzi sono stati gentilissimi!”
“Non lo metto in dubbio…”
“Se vuoi puoi aspettare Yuzo a casa mia, stavo preparando il tè…”
Ma il difensore si affrettò a scuotere il capo “No, grazie… ero solo di passaggio.”
“Sicuro? Non vuoi…” ma si interruppe sentendo squillare il suo telefono di casa “Ah! Aspetta, torno subito!” gli disse prima di eclissarsi all’interno dell’abitazione “Non scappare, eh!” aggiunse agguantando la cornetta, ma quella era proprio l’intenzione di Mamoru.
Il difensore diede un’ultima occhiata alla porta chiusa.
Era così che doveva andare.
Lasciò il pacchetto attaccato alla maniglia e si allontanò senza il bisogno di fare chissà quali sforzi per ripercorrere i suoi passi.
“Allora, dicevo…” ma Kurai interruppe la sua frase a metà notando che, il famigerato Raperonzolo, non c’era più.
 
Sapevo che me la sarei data a gambe.
Non potevo fare altrimenti.
Non avevo il coraggio di fare altrimenti.
Bene, benissimo. Adesso io e la mia macchina ci buttiamo dalla prima banchina libera del molo!
Posso parlare in tutta franchezza? No, forse non serve… era piuttosto palese… Mamoru Izawa è stato colto da un attacco di gelosia!
Occhio a non ridere troppo, state per cadere dalle sedie!
Sì, il fatto che sapesse tante cose mi ha dato fastidio… enormemente fastidio. Ma chi diavolo è questo Kurai?! Mai sentito nominare! Eh, lui invece sembrava conoscere molte cose di me… a partire da quello stupido nomignolo!
 
Scosse il capo, con un moto quasi stizzito, cercando di scoraggiare i suoi pensieri dal procedere oltre. Si accese un’altra sigaretta, controllando l’orario: le 22:45.
 
Beh, ormai quello che è fatto è fatto. Ho peccato di codardia, ma forse è stato meglio così. Non avevo la forma mentis adeguata per affrontarlo. Anzi, adesso strappo anche il biglietto e Amen!
 
Infilò una mano nella tasca del bomber scuro che indossava. Aveva l’aria decisa di chi è sicuro come non mai delle proprie azioni, e la sigaretta che fumava all’angolo della sua bocca.
La mano frugava senza sosta, ma non trovando nulla cambiò tasca e, poco dopo, a cambiare fu anche la sua espressione.
 
Ma dove diavolo l’ho messo?! L’avevo qui…
 
Provò con le tasche dei jeans: niente.
 
Maledizione! Doveva essere qui! Dovevo averlo… messo… MERDA! L’ho lasciato nel sacchetto! Grande Izawa! Complimenti per l’intelligenza superiore! Sei un vero genio incompreso, di quelli che non si capiscono nemmeno da soli!
 
Rallentò l’andamento della vettura, accostando al lato della strada. E si fermò.
Prese la sigaretta, ciccando all’esterno dell’abitacolo. Poi sospirò profondamente, poggiando la fronte sul volante.
“Che razza di idiota…” mormorò “…ho segnato la mia fine.”

******

Aveva fatto tardi.
Ma con una serata così bella non gli era dispiaciuto essersi allenato ancora un po'.
Campo deserto, arietta fresca. Tra un po’ avrebbero cominciato a fiorire anche i ciliegi, all’esterno della recinzione, e questo preludio alla primavera aveva capacità terapeutiche su di lui, si sentiva pieno di energie. Meglio così: i libri lo attendevano a braccia aperte!
Sorrise.
Il cellulare trillò all’improvviso nella sua tasca, ma non era una suoneria qualunque: era la Cavalcata delle Valchirie, quindi capì immediatamente chi lo stesse cercando.
“Mamma?” rispose che ormai era quasi nei pressi di casa.
“Tesoro! Auguri di buon compleanno!”
Lui alzò gli occhi al cielo “Mamma, manca più di un’ora alla mezzanotte.”
“Oh, ma tesoro! Lo sai che bisogna giocare di anticipo!”
“E tu hai visto troppe partite in TV…”
“Non fare il guastafeste, su! Fatti dare un bacio virtuale!” e sentì lo schiocco rumoroso della genitrice “Oh il mio ometto, che sta per entrare nel suo ventunesimo anno…”
Yuzo non poté non sorridere del tono titubante che aveva usato. “Mamma, non provare a metterti a piangere ok?”
Per tutta risposta la donna cominciò a singhiozzare.
“Lo sapevo…”
“Non potevi proprio tornare per il tuo compleanno, vero?”
“Ne abbiamo già parlato, mamma. Non posso saltare un allenamento in questo periodo, a meno che non sia strettamente necessario…”
E la donna mugugnò poco convinta, tirando su con il naso “E dimmi, andrai a festeggiare con i tuoi amici?”
“No, non ho molta voglia di andare in giro; me ne starò a casa a spulciare i libri per gli esami. Non c’è nemmeno Takeshi.”
“Oh pulcino, sei tutto solo. Potevi invitare il tuo amico Mamoru, almeno avresti avuto compagnia…”
Yuzo cominciò a ridere “Mamma! Mamoru abita a Yokohama, mica dietro l’angolo! Ti sembra normale che io gli chieda di mettersi in macchina, per arrivare fino a qui, quando anche lui ha gli allenamenti a cui pensare? Suvvia… guarda che non morirò di solitudine, tranquilla.”
L’altra sembrò arrendersi, emettendo un profondo sospiro “Va bene, ma non studiare troppo intesi?! Tanti auguri anche da papà.”
“Ok, mamma. E ringrazia papà, ci sentiamo presto… ma non chiamarmi ogni santo giorno!”
La sentì ridere affettuosamente “Farò quello che potrò, ma ricorda che sono sempre tua madre. Buonanotte tesoro!”
“’Notte.” e chiuse la comunicazione, rimanendo ad osservare il display con espressione rassegnata.
Eh, mamme… che spesso non si rendono conto di come i figli crescano e li trattano ancora come se fossero bambini. La sua non faceva eccezione: lui stava per compiere ventuno anni e lei lo chiamava ancora con degli appellativi decisamente ridicoli per un giovane alto circa un metro e ottanta. Appena fosse tornato a Nankatsu gliene avrebbe parlato.
Inforcò il vialetto di casa prendendo le chiavi dalla tasca, ma la sua attenzione venne richiamata da uno strano oggetto appeso alla maniglia della porta. Si avvicinò, incuriosito: era una busta. Da dove fosse comparsa non ne aveva idea, visto che quando era uscito di casa non c’era.
“Ciao Yuzo, bentornato!” lo salutò Kurai, che stava portando fuori la spazzatura.
“Ah ciao, ma…” e lo osservò interrogativo, indicando l’oggetto “…me l’hai lasciata tu, questa?”
Il giovane vi buttò un occhio e sorrise “No, deve essere stato il tuo amico…”
“Amico?” fece eco piuttosto perplesso.
“Sì, Raperonzolo! Gli avevo proposto di aspettarti da me, ma come ho girato lo sguardo è scomparso!”
“Mamoru è stato qui?!” stavolta la sorpresa prese il posto della perplessità.
L’altro annuì, confermando “E’ andato via pochi minuti fa…”.
“Ma perché non mi ha avvisato quello scemo?!” e prese il pacco, aprendo la porta
“Ehi, Yuzo…” lo richiamò Kurai “…anche se in anticipo, buon compleanno. Anche da parte di Reika: è andata a trovare la mia ‘cara’ suocera per qualche giorno, ma si è raccomandata di farti gli auguri!”
Il portiere sorrise “Grazie mille ad entrambi.” ed entrò nell’abitazione, richiudendo l’uscio alle sue spalle.
“Stupido!” borbottò, all’indirizzo del difensore, posando il borsone vicino all’ingresso e liberandosi della giacca, abbandonandola sulla spalliera di una sedia. Rapidamente prese il cellulare e compose, ormai a memoria, il numero del suo ex-compagno di squadra. Non doveva ancora essere sull’autostrada.
Squillava.
Squillava.
Squillava.
E lo lasciò squillare fino a che non cadde la linea, senza ottenere risposta.
Sbuffò contrariato, poggiandosi contro il bordo del tavolo della cucina, prendendo la busta. Provò a richiamarlo, tenendo il telefono fra l’orecchio e la spalla, ma l’altro sembrava non essere intenzionato a rispondere. Poi sorrise vedendo il pacchetto ben incartato.
“Quel pazzo è venuto apposta per portarmi il regalo!”. Chiuse la comunicazione, mentre la voce registrata del gestore avvisava che la chiamata stava per essere trasferita alla segreteria “Accidenti, Mamoru! Perché diavolo non rispondi?!” sbuffò lanciando il cellulare sul tavolo alle sue spalle, con un gesto contrariato. Diede un’altra occhiata all’interno del sacchetto: era curioso da morire ed afferrò l'oggetto scartandolo velocemente. La svirgolino della Nike campeggiava al centro di una scatola scura. La aprì e balzò in piedi “Oh cavolo!” esclamò non riuscendo a trattenersi: c'erano un bel paio di guanti da portiere personalizzati con il nome, sul sinistro, ed il cognome sul destro.
“E' pazzo!” ripeté “Totalmente! Sono spettacolari!” poi si concentrò sulla busta bianca che aveva lasciato nel sacchetto. La sfilò, inarcando un sopracciglio, non era da Mamoru fare biglietti di auguri, chissà che stupidaggine aveva scritto. Senza pensarci due volte estrasse il cartoncino al suo interno e lesse.
Lo rilesse.
Lo rilesse ancora.
Con un gesto meccanico spostò una delle sedie e vi si sedette. La sua espressione cambiò un paio di volte e, a giudicare dal calore del viso, doveva aver cambiato anche colore.

******

La brezza serale, ancora piuttosto pungente, lo investiva con noncuranza, mentre restava in piedi poggiato allo sportello della macchina. Fumava lentamente e con lo sguardo fisso sul molo dalle luci che si riflettevano a mare.

Cosa ci faccio ancora qui, mi chiedo. Dovrei salire in macchina e guidare fino a Yokohama senza fermarmi un istante. A costo di passare mezza nottata in autostrada.
Secondo voi sarà rientrato? L’avrà visto il regalo?... l’avrà letto il biglietto? Come ho potuto essere così… così… bah, non ho neanche un termine appropriato per definirmi.

Il cellulare prese a suonare improvvisamente, attirando la sua attenzione. Lo guardò roteare, sul sedile, in preda alla vibrazione, mentre disperdeva un’allegra suoneria.
Ma non rispose, restandolo a guardare con la sigaretta tra le dita che veniva fumata dal vento.
 
Yuzo…
Non ce la faccio a rispondere…
Non ce la faccio proprio…
Perdonami…
 
E gli volse le spalle, cercando di ignorarlo in qualche modo, ma il suo cuore aveva accelerato i battiti senza che lui li riuscisse a controllare. Respirò a fondo e, finalmente, la musica cessò.
Ma fu un sollievo di breve durata, visto che riprese dopo qualche istante.
Eppure resistette ancora. Non seppe con quale forza, ma ci riuscì.
 
Che comportamento idiota. Lancio il sasso e nascondo la mano… dovrei solo vergognarmi per questa paura folle che mi sta facendo tremare le gambe… e non solo quelle, merda!
 
Lanciò il mozzicone lontano, mentre la mano gli tremava per il nervosismo.
In quel momento il cellulare si animò di nuovo, ma con un suono diverso. Era un messaggio, del quale conosceva già il mittente.
Si volse ad osservare il display ancora illuminato.
 
Posso farlo, questo. Almeno non sentirò la sua voce restando poi in uno stupido silenzio, mentre aspetto che qualcosa di intelligente da dire si faccia largo nella mia gola a generare suono.
Via il dente, via il dolore.
 
E prese il cellulare con un movimento lento, pigiò sul tasto di invio che iniziò a caricare il testo dell’sms. Sperava che ci fosse scritto ‘Scompari dalla mia vita!’, così non avrebbe dovuto fare altro che montare in macchina e dileguarsi oltre l’orizzonte e tutto sarebbe finito, in un modo o nell’altro. Ma non era così che avrebbe voluto comportarsi. Si era tanto pavoneggiato del suo essere sincero e poi non aveva concluso nulla.
‘Per favore rispondimi.’
No, non era il testo che aveva sperato.
Ed il cellulare prese a squillare di nuovo.
 
Maledizione, non farmi questo… Ma perché sei così dannatamente insistente?! Eh?! Te l’hanno mai detto che hai un pessimo tempismo?!
Sì, lo so! Smettetela di sussurrarmi all’orecchio che dovrei rispondere! Ma non è colpa mia se non ne ho il coraggio… se ho la maledetta paura di sentire la sua voce che inveisce contro di me… Cristo, non credo che lo sopporterei!
 
Il telefono squillava senza sosta.
 
Presto cadrà la linea… se devo farlo… deve essere ora…
 
Lentamente si portò il cellulare all’orecchio, pigiò il tasto verde e rimase in silenzio.
Dall’altra parte sentì un respiro che veniva mozzato, ed altrettanto silenzio.
Mamoru non seppe quantificare la durata di stallo iniziale che aleggiò tra loro, in quel momento, ma gli sembrò lunga un’eternità.
Poi un sospiro, non suo, ruppe la staticità che si era creata.
“Ne vogliamo parlare?” si sentì domandare.
No, il tono non era arrabbiato, né schifato o altro, ma non era riuscito ad individuarlo bene, forse perché il cuore gli batteva talmente forte da rimbombare, assordante, nelle orecchie.
Eppure non disse nulla, perché non sapeva come rispondere a quella domanda.
 
Lo sai che avrei tanti argomenti di cui parlare, ma in questo momento non riesco ad articolare nemmeno il concetto più semplice? Sì, forse lo sai, visto che continuo a starmene zitto.
 
“Sei già sull’autostrada?”
Questa era facile.
“No.”
“Allora fai inversione e vienimi a prendere.”
“Che cosa?!”
“Quello che ho detto: fai dietro-front. Ti aspetto sotto casa, dobbiamo parlare.”
Mamoru si passò una mano tra i capelli, tirandoli indietro “E… di cosa dovremmo parlare?”
“Mah, non saprei, del cambio di stagione, magari?!” ironizzò “Dobbiamo parlare di quel biglietto.”
“Non credo ci sia molto da dire…”
“Io penso l’esatto contrario, ma non ti sto chiedendo di tornare indietro: te lo sto ordinando! Se entro cinque minuti non sarai davanti casa mia, giuro che scendo e ti raggiungo ovunque sei! A costo di arrivare a piedi fino a Yokohama!” e non gli diede nemmeno il tempo di replicare, poiché chiuse la comunicazione.
Il difensore rimase ad osservare l’apparecchio con un sorriso sulle labbra.
 
Non mi lasci molta scelta, eh? E non voglio nemmeno mettere alla prova la tua minaccia: lo faresti! Quando vuoi le unghie le cacci anche tu, ma io non so se riuscirò a guardarti negli occhi quando sarai con me.
 
Con un gesto veloce risalì sulla vettura, facendo manovra.
Percorrere quei dieci minuti gli sembrò pari all’agonia infinita di una bestia portata al macello. Aveva la bocca asciutta, anche a causa del fumo. Era proprio vero che doveva prendere in considerazione l’idea di smettere, ma scacciò quel futile pensiero quando raggiunse la sua destinazione.
C’era una figura seduta sulle scalette che portavano all’ingresso. Una figura che, nel momento in cui la sua macchina comparve, si alzò in piedi dirigendosi verso di lui.
Mamoru non ebbe il coraggio di guardarla dalla vita in su. A dire il vero non mosse la sua testa nemmeno di un millimetro, vedeva solo ombre con la coda dell’occhio.
Uno scalpiccio ovattato si fece sempre più forte e vicino.
E quando sentì la portiera aprirsi, il difensore venne percorso da un brivido gelido.
Qualcuno si accomodò accanto a lui, senza dire una parola; chiuse lo sportello ed infilò la cintura di sicurezza, poi rilasciò un sospiro pesante.
 
Mi stanno tremando le mani. Non riesco a tenerle ferme, guarda!
Ed ora perché non parli? Per quanto non ti stia vedendo, la tua presenza accanto a me è inequivocabile. Ma quanto mi è mancato il tuo profumo? Ma quanto mi sei mancato tu? Se solo riuscissi a girarmi quel tanto che basta ad intuire almeno il tuo profilo…
 
“Sei in ritardo di cinque minuti. Sai dove potevo già essere arrivato in cinque minuti?”
Mamoru abbozzò un sorriso “All’isolato successivo?”
Sorrise anche Yuzo “Tu scherzi? A svoltare l’angolo può succedere di tutto! Che so, potrei incontrare un pazzo maniaco, un assassino… la vecchietta che abita dietro casa è pericolosa, sai?!” poi diede un’occhiata al posacenere della plancia: c’erano svariati mozziconi e qualcuno stava ancora fumando, sottilmente. Inoltre, nonostante il difensore avesse lasciato il finestrino aperto, la puzza di fumo era perfettamente percettibile. Il portiere si poggiò contro lo sportello, dipingendo un’espressione contrariata, ma non disse nulla a riguardo, si limitò a spegnere meglio le cicche ancora fumanti.
“Altrimenti continuano a puzzare.” si giustificò.
Mamoru seguì il gesto della sua mano senza rispondere, ma a quanto pareva Yuzo non era intenzionato a far scendere nuovamente il silenzio.
“Allora, che facciamo? Ne vogliamo parlare qui? Perché se è così, a questo punto possiamo anche entrare in casa. Ti faccio un caffè…”
“No.” lo fermò “Ho bisogno di aria.”. Ed era vero: improvvisamente non riusciva più a respirare a pieni polmoni o almeno così gli sembrava. Sentiva come se un macigno gli si fosse appollaiato sul petto.
“Che ne pensi del molo? È il posto più ventilato di Shimizu.”
Il difensore non disse nulla, ma si limitò a mettere in moto e ad indirizzare il veicolo nel luogo stabilito.
Yuzo gli concesse una tregua, almeno per il momento, ed abbassò il finestrino lasciando che l’aria fredda di Marzo s’infrangesse sul suo viso, smuovendo i corti capelli scuri. Tra le dita, rigirava il famoso biglietto. Un movimento che attirava le fugaci attenzioni di Mamoru.
 
Che stai pensando? Ti sei azzittito e non so come interpretare questo silenzio… Certo, non è che ti abbia dato molti spunti per fare conversazione. E perché giri quel cartoncino tra le mani? In questo momento vorrei che mi sommergessi di parole, come fai sempre, così non dovrei stare lì a pensare a quello che dovrò dirti io a breve… anche perché non so da che parte cominciare.
E se ti dicessi che è stato tutto un malinteso? Che… che quel biglietto non era indirizzato a te, ma ad una mia amica, sperduta in quel di Yokohama, e che non so come mai sia finito nella busta del tuo regalo? Credi che reggerebbe? No, vero? Avrei dovuto recitare meglio, prima, invece che farmi prendere dal panico…
Ma che diavolo sto pensando?!
Io non voglio recitare con te. Io voglio fare dannatamente sul serio!
 
“Ferma qui.” lo richiamò il portiere e lui fece come gli aveva detto. Parcheggiò la vettura nel primo spazio libero che trovò.
Mentre spegneva il motore, sentì che Yuzo scendeva dalla macchina, sbattendo la portiera. Solo allora Mamoru ebbe la forza d’animo necessaria per volgere lo sguardo alla sua figura: gli dava le spalle ed indossava i suoi jeans preferiti, quelli larghi.
 
Lo hai fatto apposta a mettere proprio quelli, per caso? Mi si accendono certi istinti quando te li vedo. E sai quante volte ho fantasticato su come toglierteli? Eh, no… ovviamente non lo sai.
 
Ma cercò di scacciare simili pensieri, non potendoseli permettere in quel momento. Meno male che fuori c’era una brezza fredda, gli si sarebbero sedati i bollori.
Vide Yuzo dirigersi verso le basse transenne che delimitavano la banchina, le scavalcò senza difficoltà e vi si sedette sopra, rimanendo in attesa.
Mamoru tirò un profondo sospiro e scese anche lui dalla vettura. Lo fece con movimenti piuttosto lenti ed affaticati, si sentiva le gambe pesanti come macigni; infilò le mani nelle tasche del bomber e si mosse per raggiungerlo.
Il portiere restava con i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani intrecciate sotto il mento.
Izawa lo raggiunse, oltrepassando le transenne, ma non si sedette accanto all’amico: preferì proseguire di qualche passo lungo la banchina, per non avvertire quegli strani brividi che sentiva quando gli stava troppo vicino. E, no, non erano dovuti al freddo. Anche quando erano in auto aveva percepito l’incresparsi della pelle, sotto la maglia.
Era una sensazione che aveva cominciato a provare da quando aveva capito di essere innamorato di lui, ma che, negli ultimi tempi, si era fatta insostenibile.
 
Mi stai guardando, là seduto. So bene che non posso vederti, ma ‘sento’ i tuoi occhi puntati sulla mia schiena. Mi mettono in tremenda soggezione, non mi rendi le cose facili. Accidenti a te!
 
Si tirò indietro i capelli in un gesto che ripeteva piuttosto frequentemente e, a volte, in maniera meccanica. Cavò poi il pacchetto di sigarette dalla tasca, ne sfilò una e l’accese. Il fumo si disperse rapidamente sotto il soffio del vento.
Era un posto tranquillo il molo. Le navi erano attraccate e silenziose, gli unici rumori erano il mare ed il suo mormorio.
Yuzo restava seduto sul bordo della transenna: osservava la schiena del suo ex-compagno di squadra, che restava fermo a qualche passo da lui. Non sembrava intenzionato a cominciare un dialogo o, forse, non sapeva da dove iniziare. Sorrise, decidendo di dargli un incentivo.
“Cosa significa?”
Mamoru mosse leggermente il viso, permettendo al suo interlocutore di vederne uno spicchio. L’altro alzò il bigliettino, indicandoglielo.
“Cosa dovrebbe significare? Non so, io ci vedo le istruzioni del tostapane…” iniziare con una pessima battuta di spirito sembrò fuori luogo allo stesso difensore, ma sul momento non era riuscito a dire nulla di più intelligente.
Morisaki divenne serio “… ‘Perché le parole, spesso, faticano ad uscire quando ne hanno l’opportunità. Per questo lascio che sia un anonimo bigliettino a parlare per me. Ti amo.’…” e Mamoru spalancò gli occhi nel riascoltare quella frase che, ormai, conosceva a memoria visto che l’aveva scritta lui.
“…queste sono parole tue, la grafia anche. Vuoi ancora offendere la mia intelligenza oppure ti decidi a dirmi che cosa sta succedendo?”
Il giovane, dai capelli lunghi, tirò una profonda boccata dalla sigaretta, senza voltarsi, ma rimase silente come se stesse cercando di metabolizzare le sue parole: le aveva dette con una glacialità raggelante.
 
Adesso gli dico del malinteso…
 
Invece si limitò a fare un’alzata di spalle, mettendosi sulla difensiva; lo faceva spesso quando si sentiva in trappola “Che vuoi che stia succedendo?!” rispose quasi infastidito “Assolutamente nulla, è solo un biglietto di auguri! Come fanno gli americani: si dicono I love you per dire Ti voglio bene, tutto qua.”
 
Ma che diavolo sto dicendo?!
 
Yuzo inarcò un sopracciglio “Quindi è un’innocente dimostrazione di affetto?” e cercò di interpretare il gesto del capo che ottenne in risposta, ma non capì se fosse un ‘sì’, un ‘no’ o un ‘vedila come ti pare’. Optò per la prima.
“Ok.” disse poi, alzandosi “Allora devo intendere che è stato tutto un equivoco, giusto?”
Di nuovo un accenno incomprensibile. Lo interpretò come un secondo ‘’ e si ritrovò ad annuire.
“Bene.” continuò “Dunque possiamo archiviare la situazione come ‘fraintendimento’ e smettere di stare qui a congelarci: è inizio primavera, mica estate.”
E Mamoru sentì un rumore di passi alle sue spalle.
 
Se ne sta andando! No, cazzo, se ne sta andando! Ma perché glielo sto permettendo? Proprio adesso che ho l’opportunità di dirgli esattamente quello che penso! Non posso lasciarlo andare via così… questa è la mia occasione… l’unica che ho, se la mandassi in fumo non credo me lo perdonerei mai.
Come dice il detto? O la va… o mi spacco!
 
“Aspetta!” s’affrettò a fermarlo prima che scavalcasse la transenna “Non è proprio così…”
Il portiere si volse nella sua direzione, mentre lui lasciò cadere la sigaretta al suolo, spegnendola con la scarpa. Non aveva ancora il coraggio di voltarsi: se ne avesse incrociato lo sguardo, probabilmente tutta la poca forza che era riuscito a raccogliere in quel momento, si sarebbe dissolta come sabbia, davanti ai suoi occhi.
“…quel biglietto…” riprese, cercando di nascondere il tremore della voce “…significa esattamente quello che sembra.”
Aleggiò una strana sospensione tra loro. Sembrava come se il tempo si fosse fermato per un istante, talmente lungo, da sembrare infinito; anche la brezza aveva smesso di spirare, come se l’aria avesse volutamente trattenuto il fiato.
Yuzo avanzò di qualche passo nella sua direzione, lentamente “Da quanto va avanti?” gli chiese.
E l’altro fece un’alzata di spalle “Da quando ti sei trasferito a Shimizu City.” abbozzando un sorriso a fior di labbra. “All’inizio eravamo tutti così galvanizzati dall’avventura in J-league, che non ci feci molto caso, ma quando cominciammo a vederci di meno… Ti ricordi che a volte passavano anche due/tre mesi prima che riuscissimo ad organizzare i rispettivi rientri, in modo da farli coincidere? E secondo te perché ho deciso di prendere la patente?” rise sommessamente “Era il modo migliore per sfruttare ogni momento libero senza stare ad organizzarsi per settimane.”. Si volse ad osservarlo soffermandosi sui particolari, tipo la giacca o la felpa: il coraggio di guardarlo negli occhi era ancora lontano. “È vero, ci sentivamo al telefono, ci mandavamo le e-mail, ma non era lo stesso. Quando ho capito che le cose stavano cambiando, che io stavo cambiando, sono entrato nel panico. Camminavo per strada e mi ritrovavo a fare paragoni con i ragazzi che mi passavano accanto. Ne guardavo uno e pensavo ‘Usa lo stesso profumo di Yuzo!’ oppure ‘Ah, quella felpa è uguale alla sua!’ oppure, ancora, mi capitava di passare davanti alle vetrine e pensare ‘Quel pantalone gli starebbe proprio bene!’… e tutto questo lo facevo senza rendermene nemmeno conto!” si smosse i capelli tornando a guardare il mare dietro di lui, mentre lasciava sfuggire un pesante sospiro “Non hai idea delle nottate insonni in cui pensavo a te, a quando ti avrei rivisto. Per poi averti vicino e desiderare di essere a mille miglia di distanza per non stare così male, perché non potevo parlarti come avrei voluto fare. Non… non potevo… prenderti la mano, toccare la tua pelle, avere un contatto… niente. Restare a guardare era l’unica cosa ad essermi rimasta e, due giorni fa, ho deciso che non mi bastava più. Così ho scritto quel biglietto perché non sapevo se avessi mai avuto il coraggio di dirti quello che provavo a parole…”
“Lo hai appena fatto.” gli disse il portiere, dopo che l’altro si fu sfogato, e Mamoru sperò ardentemente di non averlo solo immaginato il tono rassicurante con il quale Yuzo gli si era rivolto. In questi casi l’emozione poteva giocare dei pessimi scherzi.
“Pensi che io sia terribilmente patetico?” gli domandò Izawa, ma non ottenne risposta. Sospirò grave “Avanti. Se devi infierire, fallo, sono preparato.” continuò, ma, nuovamente, ci fu solo silenzio alle sue spalle. “Perché non mi rispondi?”
“Perché non mi guardi?”
“Non ne ho il coraggio.”
Lo sentì sorridere “Sì, sei davvero patetico…” gli disse, mentre il difensore aspettava il colpo di grazia. “…non è questo che vorresti sentirti dire?” aggiunse, lasciando che l’altro dipingesse un’espressione di sorpresa sul viso che Yuzo non riusciva a vedere.
“Ma io non sono bravo a mentire, lo sai.” continuò avanzando ancora.
Mamoru sentiva i passi farsi più vicini alle sue spalle senza essere in grado di muovere un solo muscolo. Gli sembrava di essere come inchiodato al cemento del molo.
Poi, due braccia lo chiusero in una stretta protettiva, mentre sentiva il petto del portiere poggiarsi contro la sua schiena.
“Ti dirò, invece…” gli sussurrò il giovane all’orecchio “…che le tue parole sono state il più bel regalo di compleanno che io abbia mai ricevuto.”
 
Lo stai dicendo davvero? O è solo il frutto della mia immaginazione… quello che vorrei che mi dicessi, ma non uscirà mai dalla tua bocca? Eppure, le tue parole sembrano così reali, che credo potrei morire di dolore se fossero solo un’illusione, se le avessi confuse con il mormorio del mare così vicino a noi da mescolare il suo odore con il tuo.
Però… sto immaginando anche le tue braccia, allora? Eppure la loro stretta è così calda…
Mi stanno tremando le mani… sono nascoste nelle tasche, ma tremano come impazzite… e mi tremano le gambe… sono molli come la gelatina… non so se reggeranno ancora il mio peso se continui ad abbracciarmi così… se continui a starmi vicino così… se continui a parlare così…
 
“Ho dovuto tirartele con le pinze, però!” continuò Yuzo con un sorriso “E’ così difficile dire quello che provi per me? O forse ti è arduo solo perché sai che non sarà facile, per noi, dopo? Perché siamo persone normali fino ad un certo punto, ed abbiamo tutti i riflettori puntati addosso. Eppure… vorrei tanto che me lo dicessi ancora…” sospirò a fondo ed il suo respiro, sull’orecchio, provocò un brivido a Mamoru che viaggiò per tutta la lunghezza della sua schiena. La stretta di Yuzo si rafforzò “Hai freddo?”
“…no…” mormorò con un filo di voce, a stento udibile, socchiudendo gli occhi.
“Ma stai tremando…”
“…non è il freddo…”
Il portiere sorrise “Ti sto mettendo in difficoltà?”
 
Non lo so… non so quello che mi sta succedendo.
Sento la pelle andare a fuoco, sotto i vestiti, ed il cuore battere così forte da farmi male, perché ancora non mi sto rendendo conto di tutto questo, e l’unica cosa che so… è che vorrei fosse eterno.
 
Ma nel momento in cui sentì l’abbraccio sciogliersi aprì gli occhi di scatto, volgendosi a lui senza quasi rendersene conto. La paura che il sogno stesse finendo, che lo avrebbe visto seduto sulle transenne e non più ad un passo, fu più forte di quella di affrontare il suo sguardo.
Non voleva che fosse nuovamente distante, lo aveva avuto così vicino per troppo, troppo poco tempo.
Ma quando i loro occhi si incrociarono, Yuzo era ancora lì. Non era scomparso, né si era allontanato di un solo respiro, non era seduto sulla recinzione del molo. Era dove Mamoru aveva sempre desiderato che fosse, accanto a lui.
Lo stava guardando con dolcezza e quel suo sorriso mite, mentre gli occhi del difensore tradivano l’emozione e l’insicurezza per la paura che aveva avuto di perderlo.
“Mi spiace se ti sto creando disagio…” disse Yuzo e lasciò che una mano scivolasse tra i capelli di Mamoru. Cavalcò quei crini scuri per poi discendere lungo il contorno del suo viso in una carezza leggera come il soffio del vento.
“Non mi crei disagio, io… sono solo…” tentò di dire il difensore, ma sentì il viso andare in fiamme e distolse lo sguardo senza terminare la frase.
Con la mano libera, Yuzo gli cinse la vita attirandolo nuovamente a sé e Mamoru si lasciò trasportare, poggiando il viso sulla felpa morbida intrisa del suo profumo. Lo respirò a pieni polmoni, come fosse l’unico ossigeno di cui avesse bisogno.
Lentamente sollevò le braccia, che erano rimaste abbandonate lungo i fianchi, lasciando che si riempissero della presenza del portiere, contraccambiando il suo abbraccio.
“Mamoru…”
“Sì?”
“…me lo diresti?”
Il difensore sorrise, rilassandosi completamente nella sua stretta.
“Ti amo.”
“Anch’io.”
 
La tua voce non tradisce incertezze, ma sento che il cuore viaggia alla stessa velocità del mio, ed anche questa piccola cosa mi fa sentire più legato a te.
Cosa importa quello che verrà dopo? Lo scopriremo insieme, un passo alla volta. Non c’è fretta, vero? Abbiamo tutto il tempo del mondo, abbiamo noi stessi. Questo basta.
 
I rintocchi della mezzanotte risuonarono solitari dall’orologio della capitaneria di porto.
Riempirono i loro silenzi per alcuni istanti, coprendo il mormorio conciliante del mare, e poi vennero trasportati lontano dalla brezza.
“Buon compleanno…” aggiunse Izawa, alzando il viso per incrociare lo sguardo di Yuzo e regalare, ad entrambi, il contatto che avevano a lungo cercato. E l’Amore, bambino capriccioso, vorticò come il vento intorno ai loro corpi uniti e vicini; ruotò come le lancette del grande orologio, scandendo attimi unici e, accompagnato dal suono del mare, prese a danzare, in punta di piedi, sulle loro labbra.

~ Fine ~


 


[1]TAKESHI: ovviamente sto parlando di Takeshi Kishida (Charlie Custer), anche lui giocatore della Shimizu S-Pulse.
 





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