Tsugumi

di Dagon
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Capitolo III
L'uomo in nero

 

Dopo un paio di ore il cielo di Tokyo si tinge di rosa e per le strade si riversa una folla indistinta.
Un raggio di sole sfiora la mano di Tsugumi, ma l'uomo non se ne accorge e continua a scrivere sul foglio bianco. Alla fine, alza lo sguardo. Chiude e riapre gli occhi. Poi comincia a rileggere la scaletta e le annotazioni che scorrono a fiumi sulla carta.
Nelle ultime puntate, Light si è fatto chiudere da L in una cella per dimostrare la sua innocenza: non era lui che uccideva criminali col Quaderno della Morte, guadagnando così il soprannome di Kira. Ovviamente, mentiva: questo era solo un modo per depistare il temibile detective che era L. Così, lo shinigami Ryuk ha chiesto al ragazzo di rinunciare al Death Note, perdendo di conseguenza memoria di esso, e Light ha accettato.
Ora Tsugumi deve riprendere le fila, e costruire una situazione ancora più appassionante a partire dal punto di tensione raggiunto. Un punto che difficilmente raggiungerà di nuovo, se continua a scrivere sciocchezze.
Le mani dell'uomo spingono ai bordi della carta, e questa si lacera scalfendo il silenzio. Il foglio di carta si riduce presto in pezzetti sempre più piccoli, finché Tsugumi non decide di gettare tutto nel cestino e ripulire la scrivania.
Ricomincerò da capo. Ancora.
Sbuffa. Di ricominciare ne ha abbastanza, e la testa gli fa male. Gli occhi sono affaticati, e hanno bisogno di riposo. Ma no, lui deve continuare a scrivere. Non solo, deve anche scrivere meglio.
I vetri della finestra sono insonorizzati, e il rumore del traffico sempre più forte non sfiora il silenzio dello studio. Quel silenzio così lungo e assordante, che sembra una prigione e isola Tsugumi dal resto del mondo. Lui, così famoso e misterioso. Ed è famoso lo pseudonimo con cui si firma, non il suo nome reale; è famosa la storia che scrive, non la propria. Lui è solo una figura evanescente.
Non esce all'aria aperta per fare una passeggiata da troppo tempo. Non torna nel paese natale da anni. Ma è quello che voleva, arrivare a scrivere il manga più bello dello Shonen Jump. Come esordiente, poi!
La verità è che sono sempre più solo.
D'un tratto, il cellulare squilla.
Tsugumi sussulta. Risponde, e tira un sospiro di sollievo. È uno degli assistenti di Takeshi.
“Faremo un po' di ritardo” dice il ragazzo. “Mi dispiace.”
“Non preoccuparti, può capitare.”
“La ringrazio, Tsugumi-san.”
L'uomo attacca, sollevato. Guarda il registro delle chiamate:
Numero Sconosciuto. Ore: 03.21
Non è la prima volta che torna sul menu, e ormai è certo che la chiamata è stata reale, reale quella voce, reali quelle parole.
Posa il cellulare, prende una penna e un foglio di carta e ricomincia a scrivere, e a pensare. Potrebbe stravolgere completamente la sua idea iniziale, e creare una situazione tipica dei gialli: molti indiziati, un solo assassino. Che uccide col Death Note, e non è Light. Ma un'altra persona, insospettabile, che ha fini completamente diversi.
Sorride. Forse credo di aver trovato la strada giusta.
Entusiasta, guarda fuori dalla finestra e scopre quanta lucentezza ora bagni il grigiore dei palazzi, rendendoli bianchi. Solo poco prima c'erano sprazzi di luce rossastra: ma l'aurora è scivolata via già da un paio di ore e il sole è allo zenit.
Caspita.
Il suono del campanello riverbera nel silenzio. Tsugumi si alza e si dirige verso la porta: la apre, ed ecco gli assistenti di Takeshi.
Sono due ragazzi appena maggiorenni col sogno di diventare mangaka. Dicono di sapere cosa significhi: poche ore di riposo e vita sociale che finisce nello sciacquone. E tanto, tanto lavoro. Ma i due non mollano, e sono determinati, tanto che Tsugumi rivede nei loro occhi quel bagliore che animava i suoi, fino a pochi anni fa.
L'uomo conduce gli assistenti nella zona dello studio che appartiene a Takeshi, quella dove sono ammucchiati pennini, retini, chine e tavole da completare.
Prima di sedersi, l'uomo guarda dalla finestra, e nello stesso istante il telefono riprende a suonare. Lui esita. Lo sguardo degli assistenti si posa curioso sulla sua espressione. È preoccupato, e sa di apparirlo.
“Be', perché non risponde?” gli chiede uno.
Tsugumi non dice una parola e si limita a dare un'occhiata al display del cellulare. Numero Sconosciuto.
Sospira, guarda dalla finestra. Decide di lasciare squillare, vuole rimanere in pace. Gli assistenti non chiedono nulla, e prendono in mano le tavole di Takeshi. Tsugumi apre i vetri per prendere un po' d'aria, e guarda la strada. Dopo qualche secondo lo sguardo gli scivola su una persona completamente vestita di nero, una macchia scura d'inchiostro nel fiume in piena della folla. Ha in mano un cellulare, e lo avvicina all'orecchio.
Il cellulare di Tsugumi squilla di nuovo.
E' solo un caso.
Sul display lampeggia il Numero Sconosciuto, che finisce tra le chiamate perse.
L'uomo in nero alza il capo verso Tsugumi. I loro sguardi si incrociano, e mentre l'uno rimane impassibile, l'altro si contrae in un'espressione di pura sorpresa.
Quelli sono i miei occhi, pensa Tsugumi. Quello è il mio naso, quella la mia bocca. Quello sono io.
Il telefono ricomincia a squillare per la terza volta. L'uomo risponde.
“Pronto?”
Le labbra dell'uomo in nero si muovono. “Mi hai trovato.”
“Vuoi dirmi chi sei?” sbotta Tsugumi, attirando l'attenzione degli assistenti. “Perché mi tormenti?”
“Mi hai trovato. Ma non del tutto.” L'uomo in nero chiude la chiamata e si muove via a passi lenti.
“Aspetta!” urla Tsugumi, ma lo sentono solo i due ragazzi. “Aspetta!”
Il mangaka infila il cellulare in tasca e si precipita verso la porta. L'attraversa di corsa e scende lungo le scale, sbucando nel gelo invernale senza neanche avere un cappotto che lo riscaldi. Ma non importa. Vede l'uomo in nero in lontananza, e quello vede lui. Comincia a correre.
E' mio.
Tsugumi si getta nella folla e non bada agli sguardi interrogativi che la gente gli lancia. La macchia nera è come la luce che emanano i pesci pescatori negli oscuri abissi marini: è ipnotica, e l'uomo non può fare a meno d'inseguirla. Finché, dopo pochi minuti, questa si ferma in un vicolo buio. E Tsugumi la raggiunge.





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