When you crash in the clouds - capitolo 26
Capitolo 26
I was broken ... but it's over now
soundtrack
Quando mi svegliai quella mattina, fu una sensazione strana ad accogliermi. Piacevole, ma strana.
Allison dormiva ancora,
sdraiata accanto a me, respirando profondamente e abbracciata al suo
cuscino, in posizione fetale. Sembrava un cucciolo in letargo e
sospettavo che non l’avrebbe buttata giù dal letto neanche un cannone:
era stata una lunga e stressante giornata quella che precedente, che ci
aveva scossi ed elettrizzati entrambi. Benché in un primo momento
l’euforia avesse preso il sopravvento, ero ben consapevole ancora di
quanto fosse accaduto in realtà e quanto ci aspettasse nei giorni che
sarebbero seguiti: a seguito la denuncia di Allison, ed il suo arresto,
la polizia avrebbe aperto un’indagine, ci sarebbero stati altri
interrogatori, deposizioni, tutte quelle cose che fanno tanto film
poliziesco. Era assurdo pensare che fosse quella l’unica soluzione che
Allison avesse per liberarsi definitivamente del suo passato.
Ma il pensiero di
qualcuno che avrebbe potuto minacciarla, farle del male o rivendicare
diritti assoluti su di lei, mi inorridiva: non avrei mai permesso che
le accadesse niente di male; avevo lottato fino a quel momento affinché
fosse al sicuro e non mi sarei certo fermato ora. Mosso da un
improvviso istinto di protezione l’abbracciai, avvolgendola
completamente, e posando un bacio quasi impercettibile dietro
l’orecchio, laddove era più sensibile. Ed il suo profumo mi invase e mi
accolse, proprio come se fosse l’odore di cucina che pervade le case
durante il pranzo della domenica: sapeva di famiglia, di benvenuto; era
stato sciocco pensare, quando credevo di non avere speranze, che avrei
mai saputo farne a meno.
Al suo risveglio e per il
resto della giornata i brutti pensieri erano ormai un’ombra lontana,
che tenevo ben alla larga pensando ad altro ma soprattutto pensando a
lei e alla soddisfazione immensa di aver raggiunto quel tanto agognato
traguardo. Aidan tornò a casa per cambiarsi e ci trovò più o meno come
ci aveva lasciati: lei seduta sulle mie gambe, al tavolo della cucina,
che beveva una tazza di caffè. Non disse molto, oltre ad alzare gli
occhi al cielo, finché lei era rimasta con noi. Ma sapevo che non mi
avrebbe risparmiato, quando lei non ci fosse stata.
“E così l’hai spuntata,
eh?” chiese, sulla strada per l’università. Avevamo lasciato Allie nel
vagone della metro, dal quale non sarebbe scesa prima di un’ altro paio
di fermate. Da casa mia a casa di mia madre c’era un bel po’ di strada,
ma non ti puoi lamentare se paghi 500$ d’affitto rispetto al doppio che
pagherei ad abitare in un quartiere più vicino al centro e più
raffinato.
Cercai comunque di non
dare a vedere ad Aidan quanto facevo fatica a lasciare andare Allison,
nonostante sapessi che l’avrei rivista a sera..
“Sì …” risposi, con una
punta di fierezza, forse eccessiva date le circostanze. È risaputo che
i maschi adorano vantarsi delle proprie conquiste, ma il nostro era un
caso ben diverso: quella con Allison non era una relazione a tempo
determinato, di quelle che quando le inizi sai già che finiranno; ci
siamo trovati quando tutto attorno a noi c’era buio e ci siamo
reciprocamente guidati fuori dalle nostre nebbie. Una volta fuori, era
stato naturale per entrambi, capire che il legame che ci univa era
qualcosa di più del mero istinto di sopravvivenza.
“Bene …” commentò,
impacciato “immagino che ora dovrò fare l’abitudine ad avere una nuova
coinquilina in giro per casa” Per lui non doveva essere facile vedermi
con Allie, anche se sentivo che ne era segretamente felice: eravamo
sempre stati solo noi due in quell’appartamento, al lavoro, a scuola,
che dividermi con un’altra persona sarebbe stata dura da digerire. Non
si preoccupava certo di mantenere un certo contegno dei modi –
conosceva troppo bene Allison per dar peso a certe cose, visto che lei
era il primo scaricatore di porto – ma conoscevo la sensazione
nauseante che si prova ad essere il reggi moccolo della situazione.
“Non più di quanto lei
non lo fosse già” lo rassicurai, dandogli una pacca sulla spalla. Forse
non sarebbe stato esattamente come gli stavo promettendo, ma mi sarei
impegnato affinché non si sentisse troppo a disagio.
Non feci in tempo a
mettere piede in università e a trovarmi un posto nell’aula perché mi
vibrasse il cellulare. Era Allison, mi avvisava che mia madre mi voleva
a cena per quella sera. Nient’altro. Né un mi manchi, né un bacio,
nulla. Mi rendevo conto che per lei era difficile lasciarsi andare e
quello che avevamo raggiunto fino ad allora erano passi da gigante,
rispetto a quando nemmeno riusciva a guardarmi in faccia per parlarmi,
ma un po’ incominciava a diventare pesante quel portare pazienza. Per
fortuna fu sufficiente ripensare a quanto dimostrasse di amarmi quando
eravamo insieme, oppure a quel ti amo sussurrato sulle mie labbra
quella stessa notte, quando era convinta che io fossi addormentato. E
ero ben sicuro che non fosse un sogno: doveva solo abituarsi,
comprendere che era una situazione normale e non c’era niente di male
ad essere affettuosi.
<<Ok>> le risposi <<… e cmq anche tu mi manchi ;-) >>
Lei forse non sapeva come
ci si comportava in una relazione, ed io non ero un maestro in
relazioni durature, ma qualcosa ne capivo e quindi risolsi di
insegnarle quel poco che ne sapevo.
Arrivati a sera mi
presentai a casa di mia madre con la carica di un bimbo che torna da
scuola con dei bei voti, con l’unica differenza che mia madre non
avrebbe mai ficcato il naso nel mio libretto universitario e tutto
quell’energia veniva in realtà dal fatto che finalmente non avrei
dovuto più fare recite davanti a mia madre e Les. Sapevano già cosa
provassi per Allison, l’avevano capito fin dall’inizio, forse pensavano
addirittura che tra noi ci fosse già qualcosa in corso – senza contare
che tecnicamente era la verità visto che andare a letto insieme è già
qualcosa – ma visto che non c’era nulla di ufficiale e di moralmente
accettabile da una persona adulta dovemmo mentire e tacere per un po’.
Naturalmente supponevo i fatti della vigilia di Natale fossero
diventati di pubblico dominio e continuare a fingere per la quiete di
Allison era diventato davvero difficile. Ora però niente più recite,
finalmente, e glielo dissi ben chiaro quando, a pranzo, le telefonai.
Non sembrava particolarmente entusiasta all’idea, ma se n’era fatta una
ragione e probabilmente già si aspettava da me una simile richiesta,
tanto che la sua risposta affermativa arrivò all’istante.
Feci per suonare il
campanello e sentii la voce di Allison avvicinarsi e avvertire mia
madre che sarebbe venuta lei ad aprire la porta.
“Ehi … ciao!” sussurrò,
portando dietro le orecchie una ciocca ribelle, con una dolce timidezza
che era sempre più visibile in lei e che stava soppiantando la sguaiata
e volgare Mallory dai trampoli volgari e le collant bucate.
“Diane è Tyler!” disse
lei a volume più alto, mentre io entravo. Ancora con il giaccone
addosso mi avvicinai a lei per abbracciarla e darle un bacio, che erano
oltre 10 che non ci vedevamo e mi era mancata da morire.
“No dai!” disse, quasi infastidita, ritraendosi dal mio abbraccio e scansandomi.
“Che c’è?!” domandai,
perplesso. “Non me la sento ... se ci vede tua madre? O Caroline …
pensa se ci vede Caroline?” domandò. Oh amore mio … ma come devo fare
con te?! Possibile che non riesci a fare nulla senza rimuginarci su
ogni volta!
“Ma chi vuoi che ci veda
scusa?” ribattei “e poi che ti frega?!”. Non volevo essere severo con
lei o esigere che si comportasse con nonchalance dal primo minuto, ma
mi sentivo in dovere di farle capire che non aveva bisogno di essere
così impacciata proprio in casa di mia madre, dove c’erano persone che
ormai erano la sua famiglia. La attirai a me con decisione e le cinsi
la vita, cercando e ottenendo che mi guardasse dritto negli occhi. Lei
sembrò essere ancora titubante, ma si lasciò plasmare a mio piacimento:
era una di quelle cose mi fecero capire che neanche lei riusciva a
starmi troppo lontana, come io non riuscivo a staccarmi da lei.
“Ehi!” mormorai,
scotendola un po’ da quel broncio che aveva ogni volta che le cose non
la convincevano “Prima di tutto … credi davvero che mia madre e Les non
sappiano nulla? Devo ricordarti della notte di Natale? Non dovrei dirlo
ma insomma … ieri sera Les non c’era per riportarti a casa, se n’è
andato quando mi ha visto ad aspettarti e ti risparmio il commento
sarcastico”. Con la battuta su Les riuscii a strapparle un sorriso,
seppure lieve e mi accorsi che le sue braccia, prima rigide e ferme
sulle mie come pronte a respingermi, ora erano finite dentro la mia
giacca, oltre la camicia, ad afferrare la mia maglietta all’altezza dei
fianchi. Pensai così che mancava poco a farla cedere, così sferrai
l’ultimo attacco.
“E Caroline non è mica così impressionabile sai …” continuai “si vede quanto poco la conosci”
“Sarà …” disse lei
annuendo, ancora poco convinta “… so che te lo avevo promesso, ma per
me è difficile … non so come spiegarlo …”
“Dimmi a parole tue …” la incoraggiai “lo sai che non devi tenermi nascosto nulla”
“Io … io … non so darmi
una misura” spiegò, sebbene non capissi cosa volesse intendere “voglio
dire … non voglio essere una di quelle oche appiccicose e che sbavano
in continuazione appresso al loro ragazzo, non voglio essere petulante
e asfissiante con te … ma nemmeno apatica e frigida, perché non mi
sento così. Ma non so cosa sia giusto. Quando siamo soli è tutto più
facile, naturale … ma con altri davanti è un problema … e non ho
intenzione di rimanere chiusa in camera da letto per il resto della mia
vita …
“Per quanto sarebbe una
bellissima prospettiva” scherzai ed anche lei si lasciò trascinare
dalla mia risata. Ora capivo quale fosse il problema. Certo non era
facile trovare un equilibrio tra la ragazza appiccicosa e quella
distaccata e non certo potevo dirle io come essere, perché non sarebbe
stata lei stessa ma solo ciò che io avrei voluto che fosse. Povero
cervello mio … a volte non mi seguo da solo per quanto corri veloce!
“Ciao Tyler!” una voce mi
salutò alle spalle di Allison. Era Caroline, scendeva le scale per
andare in cucina, ma sembrava proprio non curarsi di noi.
“Ciao maestro!” contraccambiai. “Cosa fai ancora con il giubbotto?” domandò.
“Ah sì … no, niente, lo
stavo levando …” dissi, ma lei era ormai già sparita dietro la porta va
e vieni della cucina. Mi resi conto solo in quel momento che io ed
Allison non ci eravamo minimamente staccati l’uno dall’altro e la
piccola, per fortuna, non aveva fatto una piega. Avevo detto ad Allison
che Caroline non era sensibile a certe cose, ma non ne ero poi tanto
sicuro; la cosa che più temevo non era la rabbia, visto che voleva bene
ad Allie, quanto piuttosto un’imbarazzante euforia.
“Visto!” le dissi, stringendole forte la mano. Che culo! pensai. “Vieni … ti mostro una cosa”
La portai con me nel
ripostiglio delle giacche, all’ingresso. Mentre io mi spogliavo lei
stava allo stipite ad aspettare, a braccia conserte, come se fosse in
attesa di qualcos’altro.
“Vieni qui” le dissi a
bassissima voce, disgustosamente roca – anche se alle sue orecchie
doveva suonare altamente sensuale visto che si accese letteralmente
come un cerino. La spinsi verso di me, quasi schiacciandola contro il
muro e fui fortunato che nell’impeto incontrollato non si fece male,
grazie alle giacche imbottite che fecero quasi da air bag. Prese a
ridacchiare in quel modo timido e decisamente poco innocente che aveva
lei, ormai perfettamente conscia del fatto che, anche solo con quella
risata, riusciva a far suonare la cavalleria ai piani inferiori.
Prima le stampai un bacio
sulle labbra, innocuo e anche fastidioso. “Questo” spiegai e la voce
uscì dalle mie corde vocali quasi spiritata, che mi misi paura da solo
“è un bacio a stampo”. “Non mi piace” confessò lei, stuzzicandomi
“anche in Via col vento fanno di meglio”
Allora fu lei a prendere
l’iniziativa; le sue mani risalirono dal mio collo fino al volto, e
sentii distintamente il sangue ribollirmi fin dentro le arterie più
interne. Si arpionò ai lobi delle mie orecchie e prese a giocarmi:
tanto bastava per annebbiarmi la vista. Nonostante tutto riuscii a
vedere come mi guardava, come riuscisse a farmi sentire nudo sotto il
suo sguardo indagatore e perennemente sbalordito, ed era una sensazione
meravigliosa. Mi sentivo suo e mi sentivo come un privilegiato; vederla
guardarmi come se fossi il suo miracolo mi riempiva i polmoni di aria
calda. Poso un bacio leggerò sulle mie labbra, ma era tutto fuorché
innocente. Rincarò la dose e sembrava quasi che avesse intenzione di
divorarmi le labbra. Ed ero ben felice di sottopormi a quel genere di
cannibalismo, nonché di sdebitarmi.
“Così va decisamente
meglio …” pronunciò, mentre per un secondo, le posavo un bacio sul
collo. “Solo che così non mi so fermare …” mi lagnai, ma sapevo di non
crederci più di tanto. Le sue mani erano finite in un nano secondo tra
i miei capelli e le mie erano già sulla linea di partenza per la
staffetta tra seno ed il sedere, visto che ritenevo un’ingiustizia
decretare un vincitore tra quelle due meraviglie, anche se dovetti
combattere un bel po’ con me stesso per rimanere al di sopra i vestiti.
In poco tempo, in quel piccolo stanzino l’aria divenne bollente e irrespirabile.
“Tyler! Allison!” arrivò
la chiamata di mia madre e fummo costretti a staccarci, a malincuore, e
a ricomporci, più facile a dirsi che a farsi. Ma non potevo presentarmi
a tavola con un cuscino tra le gambe a nascondere il pacco lievitato.
Così optai per levarmi la camicia e farle il nodo sui fianchi, sperando
che potesse bastare e che il signorino rientrasse nei ranghi al più
presto.
“Mi piace quella stanza”
disse Allison, ancora un po’ accaldata, mentre attraversavamo il
corridoio di ingresso “dovremmo starci più spesso”. “E non dimenticare
la lavanderia …” rincarai la dose. “Tu.sei.un.genio” affermò, mentre
entravamo in cucina, tenendoci per mano.
“Buonasera a tutti!”
salutai, visto che anche Les era lì. Per fortuna, altrimenti chi se le
sarebbe sentiti i che ti avevo detto di Allison, diedero tutti per
scontato il fatto che io ed Allison eravamo entrati nella stanza mano
nella mano e, visto che era impossibile che non l’avessero notato, non
potei far altro che apprezzare la loro discrezione ancora una volta.
“Che fine avevate fatto?”
chiese mia madre “sei arrivato 10 minuti fa e non sei venuto nemmeno a
salutarmi”. Eccola che ricominciava … fosse stato per lei mi avrebbe
dato il biberon con il latte e i Plasmon per cena. Io ed Allison ci
scambiammo uno sguardo fugace di incredulità, che nel mio caso si
traduceva piuttosto nel girarli al cielo, sgomento.
“Ehm … siamo andati
sopra, mamma” le dissi, dandole un bacio per farla contenta mentre era
ancora ai fornelli “avevo bisogno del bagno”
Potei giurare di aver sentito Les borbottare “sì..adesso si dice così” ma non indagai.
La cena passò abbastanza
tranquillamente, io ed Allison riuscimmo a non creare scandalo e a
contenerci, senza neanche essere troppo distaccati. Parlammo del suo
viaggio ad Indianapolis, della sua amica Abigail che aveva rincontrato
dopo tanti anni e del negozio di torte dove l’aveva portata suo padre
per festeggiare il compleanno. Non toccammo l’argomento Lois, sapevo
che per lei era ancora complicato parlarne.
“So che il tuo compleanno
è passato da qualche giorno ma volevo festeggiarlo comunque” disse mia
madre ad Allison “buon compleanno tesoro!”
E così estrasse da una
scatola per dolci una torta a forma di cupcake gigante e che
probabilmente avremmo impiegato un anno per finire. Era tipico di mia
madre andare alla ricerca delle torte più strane; ricordavo ancora la
torta per i miei 18 anni: il classico pan di spagna circondato di
KitKat e ricoperto da M&Ms. Era entrata nella leggenda ormai!
“Esprimi un desiderio!”
le gridammo quando, dopo averle cantato Tanti Auguri, doveva spegnere
le diciotto candele. Così, dopo averci pensato su qualche secondo,
soffiò sulle candeline, facendo esplodere gli applausi.
Mi avvicinai, cauto,
sperando che nell’allegria e nell’atmosfera generale di festa non mi
respingesse con la scusa che eravamo in pubblico.
“Io … io non ce l’ho un
regalo a dire il vero” ammisi. Con il trambusto della partenza, il
litigio e poi tutto il resto non avevo avuto tempo per comprarle nulla
e sinceramente non avevo avuto nessuna idea in mente che non fosse
scontata e banale. “Sai che non ho bisogno di niente da te … mi hai già
dato tutto quello che potessi chiedere” disse e mi sentii inorgoglito.
“Non avrei avuto nemmeno bisogno di esprimere un desiderio … con te li
ho avverati tutti!”
Quello che mi stava
dicendo andava ben oltre chiamarsi amore e darsi dei vezzeggiativi.
Sapevo bene che non eravamo quel genere di coppia, che non era nemmeno
necessario per noi prenderci per mano perché l’importante era dirsi in
faccia quello che provavamo; e quello ci veniva benissimo.
“Posso dirti una cosa?”
domandai. Annuì. “Ti amo” le dissi e non mi importava che mia madre e
gli altri fossero lì a guardarci “e anche se mi odierai per avertelo
detto … ieri notte ti ho sentito mentre lo dicevi a me”. Feci
l’occhiolino e le sorrisi, ma non sembrò fortunatamente essersela
presa; anzi, prendendomi per la nuca, mi abbassò alla sua altezza
“mmm…non mi importa” disse “perché tanto è vero. Ti amo”
E così non potei resistere e le lasciai un bacio … sulla fronte. “Grazie” sussurrò.
Dopo cena mi ritirai per un po’ nello studio con Les, per capire qual
era la situazione di Allison e come sarebbero andate le cose d’ora in
avanti per lei che tecnicamente non era libera, ma in libertà vigilata.
Soprattutto volevo accertarmi che non era pericoloso, per lei, aver
denunciato i suoi aguzzini. Allison nel frattempo stava al piano
di sopra a lavare i capelli di Caroline.
“Purtroppo non so
rispondere a questa domanda Tyler” mi rispose, onesto “vorrei dirti che
non corre pericoli, ma non ne sono sicuro … sono cose che vedremo man
mano che vanno avanti le indagini. Però tu ad Allison non dire nulla”
“Ci mancherebbe altro …”
risposi. L’ultima cosa che volevo era che Allison si preoccupasse
inutilmente. Les andò avanti, spiegandomi che, dato che avevamo pagato
la cauzione, ovviamente Allison non era in libertà a tutti gli effetti,
e avrebbe dovuto presenziare alle varie udienze che lo stato avrebbe
intentato contro di lei, ma al contempo non c’era da preoccuparsi
perché avevano assolto gente per cose molto più gravi di un documento
falso.
“E le altre accuse?”
chiesi, non completamente sicuro “lo spaccio … il furto … la
prostituzione … tutte quelle cose di cui lei si è accusata?!”
“Farò in modo di portare
la questione a nostro favore … Allison ha appena compiuto 18 anni, a
nessuno verrà in mente che lei possa aver fatto tutto questo di
spontanea volontà”
Il problema era che, per
quanto incredibile che fosse, per quanto spinta dalla fame e dalle
necessità, lei si era gettata volontariamente nelle braccia del suo
protettore. Che poi lui non era stato ai patti che aveva preso con lei,
quello era un altro paio di maniche.
“C’era un’altra cosa che
volevo chiederti” proseguii “Allison era preoccupata per mamma? Temeva
di procurarle problemi una volta che verrà fuori che lei vive qui”
“Dille di stare serena … tua madre sa destreggiarsi da sola, lo sai che è un Marines”
Tranquillizzato, fino ad
un certo punto, me ne andai al piano di sopra, dove sentivo ancora il
rumore del fohn e le loro chiacchiere, il tutto condito da musica
chiaramente adolescenziale, scelta evidentemente da mia sorella. Stare
lì a guardarle era uno spettacolo, una seduta sullo sgabello di fronte
al grande specchio del bagno, l’altra intenta a passare la spazzola e
il fohn a quelle ciocche bionde, lunghissime e lisce. Sembravano un
quadretto familiare terribilmente spontaneo e naturale, che quasi viene
da ridere a quei primissimi giorni quando Caroline non voleva saperne
nemmeno di incontrarla. Ed ora sembravano due sorelle. Chissà come
doveva sentirsi Allison a prendersi cura di quella bambina che aveva la
stessa età di sua sorella: conoscevo bene la sensazione di trovarsi di
fronte alla tomba del proprio fratello, ma trovarsi un surrogato,
qualcuno a cui vuoi bene ma non è mai quel lui o quella lei che hai
perso, doveva creare un tumulto interiore non indifferente. Ne avrei
parlato con lei, al più presto.
Mi sarebbe piaciuto
restare lì fuori a guardarle, spiarle per qualche minuto magari,
carpirne qualche segreto. Ma lo specchio era davvero grande e, anche se
ero alle loro spalle, non ebbero difficoltà a scorgermi dal riflesso.
“Tyler!” gridò la mia sorellina “che ci fai lì! Lo sai che non si spia!!!”
“Io?!” finsi di cadere dalle nuvole “di cosa stavate parlando?”
Con quell’asciugacapelli
a pieno regime saremmo finiti tutti sordi a forza di urlarci, ma faceva
caldo in quel bagno e si stava bene, c’era una atmosfera che non
respiravo da tempo, da quando io e Michael eravamo dei ragazzini e
mamma faceva il bagno alla piccola Caroline. La piccola di casa ancora
indossa il pigiama e la vestaglia azzurra dopo il bagno e le pantofole
sono sempre quelle profumate con i pupazzi di peluche: non è cambiato
nulla da allora … o quasi.
Mi sedetti allo spigolo
della vasca da bagno, curandomi che l’avessero svuotata e che fosse
tutto asciutto: non era proprio il momento di rompersi la testa.
“Parlavamo male di te ovviamente” rispose sarcastica Allison “di quanto baci da schifo”
“Ah sì?” dissi, con fare
minaccioso e feci per alzarmi ma mi ritrovai una folata di aria
bollente di faccia a mo’ di pistola così alzai le mani, e mi arresi.
Allison e Caroline
esplosero in una risata complice ed io con loro “la verità è che tua
sorella mi sta facendo il terzo grado a proposito di questa novità …
riguardo a noi due”
“E chi te l’ha detto a
te, signorina?” le domandai. “L’uccellino … chi vuoi che sia stato
Tyler! Mamma ne parlava con Les e poi vi ho visti a cena …
piccioncini!!!”
Ti rendi conto che stai
diventato vecchio quando la tua sorellina, dieci anni e mezzo, ti parla
con quello che ha tutta l’aria di essere una bozza di sarcasmo. E ti fa
male, perché allora capisci che non potrai fargliela sotto al naso, e
non potrai più prenderla in giro o farle scherzi. Rimasi di sasso.
“Tornando a noi Allison
…” continuò mia sorella nel terzo grado alla povera Allison “ahia mi
hai bruciato l’orecchio!” “Scusa piccola ma te l’ho detto che dovevi
levarti gli occhiali … che mi danno fastidio” rispose Allie. “Sì ma poi
non ci vedo …” rimbeccò mia sorella. “Stiamo parlando non hai bisogno
di vedermi ma di sentirmi” ribatté Allison. “Sì ma con il fohn non ti
sento … almeno leggo il tuo labiale..no?”
Se mia sorella si era
messa in mente qualcosa era difficile farla desistere, perché l’ultima
parola doveva andare a lei. Ed Allison lo sapeva; così, dopo qualche
schermaglia iniziale, se ne stava zitta, sorridendo. Chissà quanto
dovevano esserle mancate quelle polemiche tra sorelle tra un colpo di
spazzola e un altro.
Io guardai Allie
affascinato, perché se quella era la donna per me, quella che è per
sempre, avrei fatto di tutto per tenermela stretta, straordinaria
com’era in ogni pregio e anche in ogni difetto. Forse vide una veda di
scetticismo nel mio sguardo, del tipo ma come fai a sopportarla, che in
parte corrispondeva a verità visto che io, a stare con un tipo come
Caroline tutto il giorno e occuparmene come fossi una balia, non avrei
resistito più di 24 ore.
“E tu non ci hai viste quando le passo la piastra …” disse lei, ironica. Risi perché me le immaginavo e sinceramente avrei voluto vederle.
“Comunque” riprese Caroline “visto che ora sei la ragazza di Ty te ne andrai da qui? Andrai a stare con lui”
Mia madre mi disse
sottovoce, durante la cena, che non avevano detto nulla a Caroline
dell’avventura di Allison in gattabuia, quindi non sospettava che ci
sarebbero potuti essere altri motivi a spingere Allie a cambiare
indirizzo.
“Ma no tesoro!” le disse
Allison, protettiva e amichevole “potrà capitare” e lì ci sfuggì
un’occhiata nei miei confronti “che io rimanga a dormire da Tyler
perché si da tardi … ma non me ne vado. Perché dici così?”
Si avvertiva tutto il
disagio della mia sorellina all’idea di perdere un’amica vera, una
confidente, forse l’unica che abbia mai avuto, a parte me.
“E comunque” mi venne
spontaneo aggiungere “anche se Allison non dovesse abitare qui non è
che ti lascia … ce la porto io qui a pedate se solo ci prova”
“Ehi!” si lamentò lei e
mi arrivò una spazzola sulla testa “non mi piacciono i tipi violenti”
Così mi alzai e la baciai e lei si arrese al bacio sin dal principio e
fu un crescendo di emozioni.
“Bleah … che schifo” osservò mia sorella, fintamente inorridita.
Ma non ci curammo di lei,
che infatti si arrese uscendo dal bagno, i capelli ormai completamente
asciutti e ben piegati. Il bacio crebbe piano piano, quasi metafora di
quel nostro rapporto difficile e sofferto, diventato da poco qualcosa
di più. Ma una volta costituitosi qualcosa di concreto, quel bacio era
diventato forte e generoso, regalando soddisfazioni immense.
Mi chiedevo se mi sarei
mai abituato o se baciarla avrebbe perso col tempo quel carico di
emozioni che ci trascinavamo dietro da un po’.
Al momento però, non mi interessava più di tanto.
NOTE FINALI
Salve ragazze! Sono riuscita a darvi il capitolo come promesso. Buon
anniversario a me, a voi, ma soprattutto a Tyler ed Allison che ci
accompagnano in questa avventura da un anno ormai. Non credevo che
sarebbe durata tanto ... ma soprattutto quando ho iniziato non credevo
che sarebbe stata tanto apprezzata e seguita.
Grazie Grazi Grazie!!!
Non mi dilungo perché non c'è
nulla da spiegare. Volevo dare loro un attimo di respiro, un momento
per godersi questa giovane storia. Come dice la canzone che da il
titolo al capitolo, erano "rotti" ma ora è finita. Ora si sentono
entrambi capaci e degni di amarsi, hanno trovato una persona con cui
poter esprimere sé stessi senza vergogna. Ed è una cosa meravigliosa.
Spero abbiate apprezzato ... ma credo di sì-
Per il momento vi dico
arrivederci, non so quanto ci risentiremo, perché devo decidere come
evolvere la storia per la volata finale e avendo poco tempo non voglio
scrivere capitoli frettolosi e brutti solo per rispettare date ... non
è una cosa che fa per me.
Infine chiedo scusa se non
rispondo alle recensioni, ma veramente non riesco a trovare un momento
per sedermi a rispondere. Ma sappiate che leggo e apprezzo ogni singola
parola. Vi voglio bene!
à bientot
Federica
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