“Kagome, dannata, possibile che quei tuoi test o come diavolo si chiamano
sono così importanti?”
“Certo che lo sono, da essi dipende il mio futuro. Ma che può saperne un
essere zotico e ignorante come te!”
“Essere zotirante a chi?!?”
“Ho detto ZOTICO e IGNORANTE! Che ce le hai a fare le orecchie da cane se
sei sordo!”
Erano alle solite. Come sempre Kagome e Inuyasha stavano litigando. Lei
doveva tornare nel futuro per un test, e lui non voleva farla andare perché lo
riteneva uno stupido spreco di tempo.
“Yawn… Quei due finiranno mai di litigare?” il piccolo kitsune(14) si
stropicciò gli occhi e rassettò la coda con le manine. Si era addormentato
cullato dal calmo respiro di Kirara e l’incrementare degli urli aveva finito
col destarlo. Non capiva per quale ragione Kagome dovesse andare sempre via,
lontano da loro, ma se per lei era importante il piccolo non si sarebbe mai
sognato di dirle niente… tranne di tornare presto. Invece Inuyasha sembrava
così ottuso!
“Shippô, tu sei troppo piccolo per capire queste cose.” Lo redarguì
Miroku. Sango annuì, ma subito dopo sentì qualcosa che viscidamente si
insinuava sul suo sedere e iniziava a palparla. L’intervallo tra il sentire
quel fastidioso tocco e lo strizzare con un pizzico micidiale la mano colpevole
del monaco fu talmente breve che Miroku si lasciò sfuggire un gemito di dolore.
“Hôshi-sama(13)… sempre a pensare a cose sconce eh? Non ti stanchi mai?”
La ragazza lo guardava irata, i suoi begli occhi colmi di sdegno, le braccia
incrociate, il dito della mano destra che tamburellava nervoso sul braccio.
Il giovane monaco sorrise, massaggiandosi la mano arrossata dal pizzico.
Sullo sfondo della radura, vicino al pozzo magico, i due litiganti sembravano
incrementare le urla sempre di più. Miroku si sistemò meglio sul sasso che
aveva scelto come sedile, e alzò lo sguardo al cielo, cercando di ricordare i
metodi di meditazione zen che il suo maestro gli aveva insegnato. Finché si
trattava di spiare una scenetta romantica non l’avrebbe mai fatto, ma
ascoltare una noiosa e ripetitiva litigata non era proprio il massimo…
In pochi attimi, le urla dei due compagni furono solo un lontano ricordo e il
monaco iniziò a rilassarsi. Notò con la coda dell’occhio un lieve fruscio in
un cespuglio accanto a loro. Voltò lo sguardo in quella direzione. Ancora
qualche momento, e un coniglio ne sgusciò fuori: dopo essersi fermato a
osservarli, quasi attonito, continuò la sua rapida corsa per tuffarsi nel
cespuglio poco più avanti. Gli uccellini cinguettavano e si rincorrevano in
rapidi inseguimenti d’amore.
[Almeno loro hanno trovato qualcuno d’amare…] rifletté il giovane monaco
mentre il suo sguardo si posava, traditore, sulla bella sterminatrice di
yôkai(17) che lo affiancava.
Il giovane amava tutto di quella meravigliosa fanciulla. Non solo il suo
aspetto, ma anche la fierezza del suo carattere, la sua caparbietà, la sua
forza di volontà. La ragazza sorrideva parlando con il piccolo Shippô e
accarezzando la sua yôkai-lince, Kirara, che manifestava sonoramente il proprio
apprezzamento con caratteristici miagolii. Poche persone sarebbero state in
grado di sorridere e continuare la propria vita dopo quello che aveva dovuto
passare lei… Miroku ammirava sinceramente il suo coraggio.
[Ma… c’è qualcosa di più. Non si tratta solo di questo. E’ anche il
suo carattere, e ovviamente la sua bellezza. E soprattutto… una forza d’animo
così grande forse potrebbe riuscire a resistere al fatto che io…] lo sguardo
del monaco continuava ad accarezzare le sinuose forme della ragazza. A passare
in rivista quei morbidi e lucenti capelli castani, che avrebbe tanto desiderato
accarezzare, quel meraviglioso e scultoreo corpo che avrebbe voluto… [Ma no,
che mi salta in mente?] si riscosse subito, arrossendo un po’ per quello che
la sua immaginazione aveva potuto partorire. Si, la ragazza aveva ragione, la
sua testa era piena di sconcezze.
Quasi avesse seguito il filo dei suoi pensieri, Sango si voltò, e restarono
a fissarsi per un lunghissimo istante. Fu lei ad abbassare lo sguardo per prima,
arrossendo lievemente e causando un sorriso divertito al giovane monaco. Ma dopo
un attimo la loro attenzione fu di nuovo attratta dal magro spettacolo che i
loro amici stavano dando. Kagome aveva preso a urlare, all’improvviso, come se
Inuyasha avesse tentato di ucciderla.
“PROVA A RIPETERLO SE NE HAI IL CORAGGIO!”
“Lo ripeto quante volte mi pare: non è che vuoi tornare nel futuro per
motivi differenti da quelli che ci hai sempre detto?”
“Ma che dici? Come ti permetti di insinuare una cosa del genere?”
“Perché allora sei scattata subito come una molla appena te l’ho
chiesto? Che per caso c’è un altro essere simile a quel lupaccio schifoso nel
tuo tempo?”
Kagome ebbe un sussulto. Di fronte ai suoi occhi apparve, fugace, l’immagine
di un ragazzo dai corti capelli castano-rossi, con indosso una divisa scolastica
della sua scuola. [Hôjô-kun…] pensò mentre le sue guance si infiammavano
per l’imbarazzo.
“Sei uno screanzato! Come puoi venirmi a fare la predica così? Kôga-kun
è un ragazzo tanto dolce e gentile, tu invece sei un bifolco maleducato e
saccente. Io me ne vado! E NON cercare di seguirmi, o ti sbatto giù per così
tante volte che ci metterai un mese per ritornare in piedi!”
“Figurati, chi ti vuole… ma vedi di non rivenire più da queste parti,
perché appena sarai tornata nel tuo amato futuro noi ce ne andremo di qui, e
non ci troverai ritornando tra tre giorni!”
“Non preoccuparti, non tornerò… non me ne frega niente né di te né di
questa maledetta Shikon no Tama(23)!” Kagome si avviò ad ampie falcate verso
il pozzo magico, furiosa come non mai. Non si accorse che alla sua risposta un
sussulto aveva scosso il petto dell’hanyô(17). Non si era accorta della
rapida occhiata colma di timore che quegli occhi dorati le avevano lanciato.
No, Inuyasha non sarebbe mai cambiato. Non la considerava altro che uno ‘Shikon
detector’, un ripiego utile solo quando Kikyô non era nelle vicinanze e buona
solo a trovare i frammenti.
[E io che mi ero illusa mi volesse un po’ di bene… invece è solo un
maledetto bastardo! Geloso di Kôga-kun… Ma figurati! Come se me ne importasse
qualcosa! Scommetto che sarebbe geloso anche di Hôjô-kun se ne venisse mai a
conoscenza. Inuyasha no BAKA(21)!]
Si fermò davanti all’entrata del pozzo, colta all’improvviso da un
dubbio… si girò a osservare di sottecchi l’hanyô, e vide che lui si girava
il più rapidamente possibile, quasi imbarazzato. [Però… se è geloso… non
si può essere gelosi di qualcuno a cui non si tiene…] restò a fissare il
ragazzo per un po’, dubbiosa. Non sapeva più che cosa pensare, da un lato
voleva andarsene perché il test di fine trimestre era vicino. In fondo Naraku
si era nascosto, per l’ennesima volta, e non c’era ragione per lei di
rimanere lì. Però… però d’altro canto non avrebbe voluto separarsi da
lui.
“Beh? Che ci fai lì impalata? Te ne vai si o no?” Kagome sbuffò, già
pentita di aver avuto quell’attimo di esitazione. Ma quando incrociò lo
sguardo dell’hanyô, questi era tutt’altro che felice nel vedere il suo
disprezzo.
[Chi lo capisce è bravo…] pensò lei, infastidita, mentre si arrampicava
sul bordo del pozzo. [ma chissà che cosa mi riserverà il futuro… anche se
non mi vuole con sé, io so bene ciò che provo per lui… vorrei tanto che un
giorno decidesse di vivere al mio fianco invece di morire con Kikyô… Sarebbe
così bello poter sapere…]
“Vuoi andartene? Siamo ansiosi di rimetterci in marcia… sei così
imbecille che non riesci nemmeno a fare una cosa tanto semplice? Vuoi che ti
aiuti io?” Lo sguardo che Kagome gli lanciò lo spaventò a morte. Quella
ragazza quando si infuriava aveva il potere di terrorizzarlo. Inuyasha si
nascose dietro una pietra mentre Kagome finalmente spariva, urlando “Se è
questo che vuoi, a mai più rivederci, Inuyasha!”
[Brutto bastardo… e io che mi preoccupavo per lui! Voglio andarmene il più
lontano possibile da quel cretino! Non me ne frega più niente. Se proprio vuole
morire con quella… che lo faccia senza rovinare la vita a me!]
La ragazza atterrò dolcemente sullo stretto e buio pavimento del pozzo,
tremante per la collera. Notò subito un paio di particolari strani… la
scaletta che suo nonno aveva messo per aiutarla a tornare in cima non era al suo
solito posto. [Quel birbante di Sôta deve aver combinato qualcosa. Ma quando lo
becco mi sente…] pensò, ancora irritata. Inoltre l’aria aveva un odore
diverso… come di chiuso. Era pesante, e per un attimo Kagome si sentì
soffocare.
Per fortuna questo l’aiutò a calmarsi, e si guardò attorno. Il fondo del
pozzo non aveva quasi più traccia di umidità, il terreno era come friabile.
La scaletta non era nemmeno stata spostata, era proprio scomparsa. Però c’erano
ancora delle vecchie radici ai lati, stranamente secche: aggrappandosi ad esse,
la ragazza raggiunse la superficie. Quello che vide la lasciò sconcertata.
Il piccolo chiostro dell’hokora(18) era stato chiuso, la porta era sbarrata
e non sembravano esserci vie di uscita visibili. Ma non fu questo che attirò
subito la sua attenzione: l’edificio che conteneva il pozzo non era più
quello che ricordava. Non era realizzato in legno, bensì in un materiale che, a
prima vista, somigliava a cemento. La ragazza si avvicinò, per osservarlo
meglio: non sembrava quasi cemento, era poroso…
“Possibile che il nonno abbia fatto abbattere e ricostruire l’hokora?
Eppure sono stata via appena una settimana!” pensò ad alta voce, stupita.
Il suo primo istinto fu quello di urlare per richiamare l’attenzione e
farsi aprire la porta. Ma la stranezza del particolare le bloccò il grido sul
nascere… com’era possibile che suo nonno sprangasse la porta dell’hokora,
ben sapendo che lei poteva uscire dal pozzo da un momento all’altro?
[E poi… questa costruzione è strana. Non sembra fatta di recente, deve
avere come minimo dieci anni, se non di più. Com’è possibile? Una settimana
fa, quando sono tornata da Inuyasha, c’era ancora la vecchia hokora di legno…]
Mille dubbi si fecero strada per la sua mente. Possibile che… fosse capitata
nel posto sbagliato? Forse quel pozzo poteva trasferire le persone anche in
altri luoghi? Ma allora poteva pure non trovarsi in Giappone…
Un brivido percorse la sua schiena al pensiero. Aveva sì desiderato di
trovarsi il più lontano possibile dall’hanyô, ma essere approdata chissà
dove… magari in un luogo dell’emisfero opposto rispetto a quello in cui
viveva, le dava un senso di malessere. Sentì un rivolgimento nello stomaco…
sola, senza uno yen né un documento d’identità… come sarebbe tornata a
casa?
Osservò il pozzo con risolutezza [Se hai potuto portarmi qui, potrai anche
riportarmi a casa, vero?] pensò mentre si avvicinava, decisa, al bordo. Saltò
dentro, e rimase alcuni lunghissimi attimi sul fondo, con gli occhi chiusi. Poi
lentamente aprì le palpebre e guardò in alto, sperando di rivedere il cielo
del Sengoku Jidai, o almeno il soffitto di legno e la scaletta che le
confermassero che era tornata a casa. Ma invece sulla sua testa troneggiava
ancora il grigio soffitto di cemento, e della scaletta nemmeno l’ombra.
Il cuore le andò in tumulto: possibile? Non funzionava più? Il pozzo non l’avrebbe
più trasportata indietro nel tempo?
Il petto le faceva male, provava un dolore quasi fisico mentre le lacrime
scendevano sulle sue guance, e lei non osava frenare il loro percorso [Inuyasha…]
pensava tra i singhiozzi.
No, non era vero… non era possibile! Che quello sciagurato avesse piazzato
di nuovo un albero nel pozzo per impedirle di tornare indietro?
[Assurdo… quella volta non fu tanto l’albero a impedirmi di tornare, ma l’assenza
della Shikon no Tama. Adesso invece ho alcuni frammenti della sfera con me…
quindi non dovrei aver problemi!]
Che cosa poteva essere successo allora? Possibile che il suo desiderio di non
vedere più Inuyasha avesse sigillato il pozzo? No, doveva esserci un’altra
ragione, quante volte era tornata nel suo tempo furiosa per il comportamento
dell’hanyô? Non si era mai trovata in una situazione simile…
[Però… tutte le altre volte mi ero sfogata in modo diverso: sbattendolo
per terra o camminando a lungo verso il pozzo mi ero calmata. Così invece…
maledizione vuoi vedere che è davvero colpa mia? Inuyasha…] mentre
rifletteva, la ragazza si aggrappò di nuovo alle radici di edera e risalì nell’hokora.
La porta era sbarrata e non c’era niente all’interno dell’abitacolo.
Diverse ragnatele alle pareti facevano capire che, sicuramente, quel posto era
in piedi da parecchio.
Kagome si guardò attorno, cercando di trovare una via di fuga. L’hokora
era illuminato da una tenue luce, quindi non poteva essere chiuso del tutto.
Notò all’improvviso una finestrella, quasi in posizione strategica per
consentire l’uscita. Era chiusa, ma non sprangata.
La ragazza tentò di aprire le imposte, ma sembravano incollate: la ruggine
aveva serrato quasi del tutto i cardini. Ci mise una buona mezz’ora, ma
finalmente riuscì ad aprirle. La ventata d’aria fresca fu come un balsamo per
il suo viso, che ormai grondava di sudore. Tenne gli occhi chiusi: erano
abituati all’oscurità dell’hokora e l’improvvisa luce l’aveva quasi
accecata. Facendo perno sulle braccia, si issò contro la finestrella e riuscì
a saltare fuori. Arrivata con un tonfo sul pavimento, sospirò pesantemente: era
libera!
Ci mise un attimo per riaprire gli occhi… non voleva vedere. Non voleva
rendersi conto di trovarsi chissà dove, lontana dalla sua famiglia… magari
dall’altra parte del mondo rispetto al Giappone.
Poi, però, fu costretta a tornare alla realtà; aprì gli occhi e, molto
lentamente, si voltò. Il suo cuore in tumulto quasi si fermò davanti allo
spettacolo che si presentò dinanzi a sé.
“Ma… non è possibile!” disse con un grido soffocato, guardandosi
attorno con stupore.
Il luogo dove si trovava era molto simile al tempio scintoista nel quale era
nata. Poteva riconoscere la vecchia casa… si trovava esattamente dove avrebbe
dovuto essere. E anche il Goshinboku(22) era sempre al suo posto.
[Però… è strano. Il Goshinboku è più alto, la casa è di un colore
diverso…] la ragazza iniziò a camminare, sorpresa, nel cortile del tempio.
Sembrava che navigasse in un sogno: la sua casa non era più sua. Che posto era
mai quello?
All’improvviso, udì un rumore di passi provenire dalla scalinata che
conduceva allo spiazzo. Si guardò intorno, come una ladra, cercando un
nascondiglio, e si mise dietro un cespuglio… appena in tempo. Saltellando
allegramente, una ragazza dai lunghi capelli corvini aveva appena salito l’ultimo
scalino della gradinata, e si incamminava verso la casa.
Indossava un’uniforme scolastica un po’ particolare, diversa dalle
solite. Non che fosse qualcosa di più di una blusa e di una minigonna… ma la
foggia con cui era realizzata non somigliava alla moda che Kagome poteva
ricordare.
“Aspettami, Ki-chan!” una voce maschile risuonò nell’aria. La
ragazzina si fermò, e si voltò verso la scalinata. Presto comparve un ragazzo
che avrebbe dovuto avere la sua età… forse al massimo un paio d’anni in
più e, terminati di salire tutti i gradini, si fermò un attimo a prendere
fiato.
“Oni-chan, che smidollato che sei… non riesci ancora a salire tutti i
gradini senza doverti riposare subito dopo? Oba-chan(10) non sarà per niente
contenta…” gli occhi di lei evidenziavano il suo biasimo.
“Ma Ki-chan! Sei tu che sei troppo veloce… io non ce la faccio ad
arrancare dietro di te!” il giovane stava ancora ansimando.
“Ma dai… sei un uomo, dovresti superarmi in ogni attività sportiva…
non hai scuse, Oni-chan!”
“E non mi chiamare Oni-chan! Non sono tuo fratello!(1)”
“Ma Onigumo… non posso farci niente se ti chiami così…” scherzò
lei, mostrandogli la lingua.
Kagome sobbalzò: Onigumo? Non era un nome molto comune…
“Kikyô… non mi prendere in giro, dannata!”
“Ah, adesso sono Kikyô eh? Quando non vuoi che io usi un diminutivo mi
chiami col mio nome intero… Oni-chan sei proprio una frana…”
“Maledetta, se ti prendo…” il giovane sembrava aver perso la pazienza,
la ragazza prese l’iniziativa, cominciando a correre verso l’abitazione.
“Vediamo se mi raggiungi!” i due si allontanarono ridendo, come due bimbi
di prima elementare, ma lo sguardo di Kagome non li seguì.
Caduta in ginocchio nell’udire quel nome, la ragazza non aveva avuto
bisogno di udire altro… Kikyô? Che ci faceva una persona di nome Kikyô a
casa sua?
Se quella era veramente casa sua… non ci capiva più niente, che cosa era
successo?
[Quei due ragazzi indossavano divise scolastiche completamente diverse da
quelle a cui sono abituata. Non è possibile che la moda sia cambiata così
tanto, e che io non me ne sia accorta… vabbè che vado e vengo da un’altra
epoca, ma per strada ci cammino…]
Un terribile dubbio stava iniziando ad assalire il cervello di Kagome. Quella
era veramente casa sua? Onigumo e Kikyô… le coincidenze della vita potevano
essere strane, sicuramente stranissime… ma le sembrava assurdo che due persone
chiamate così si conoscessero e vivessero assieme… per caso.
Con gli occhi ancora corrucciati dalla preoccupazione, si alzò in piedi e
riassettò la gonna della divisa. Voleva, DOVEVA controllare.
Prese a correre verso la scalinata, poi scese tutti i gradini con grande
rapidità e continuò dritta per la strada principale, quasi senza guardarsi
intorno. Quando raggiunse un punto abbastanza distante dal tempio, si fermò,
ansimando, e diede un’occhiata attorno a sé.
La strada che aveva imparato a percorrere, era molto diversa da quanto
ricordasse. C’erano più alberi, molto più curati, che rallegravano con il
loro verde il grigio asfalto, i marciapiedi erano più larghi, e diverse
costruzioni di vecchio stampo che ricordava, erano scomparse. Kagome non
riusciva a capacitarsene: sapeva perfettamente quante storie le famiglie che ci
vivevano avevano sempre fatto perché non fossero demolite… com’era
possibile che fossero scomparse da un giorno all’altro?
La ragazza camminava smarrita, mentre alcune persone la squadravano con
biasimo: tutti i passanti erano abbigliati in maniera buffa… o era lei ad
essere buffa? La stavano osservando come se stessero vedendo un fantasma!
C’erano alcune ragazzine che rientravano da scuola, indossavano la stessa
divisa della Kikyô che aveva visto poco prima. Chissà a quale istituto
appartenevano… e le automobili… e i mezzi pubblici! Da quando in qua c’era
una fermata della metropolitana sotto casa sua? Da quando in qua quei palazzi
così alti… e con affissi i maxi-schermi, si trovavano non al centro di
Tôkyô bensì a quattro passi dal tempio?
“Matrix 5, a partire dal dieci maggio 2015, disponibile in DVD” questa
scritta campeggiava su uno dei maxi-schermi che facevano bella mostra su un
grattacielo.
[2015? Come 2015!] Gli occhi di Kagome si allargarono per lo stupore, e il
suo viso sbiancò di colpo. Se qualcuno l’avesse punta con uno spillo non le
sarebbe uscito un goccio di sangue.
Questo voleva dire che… era nel futuro? Il pozzo l’aveva fatta arrivare
diciott’anni oltre la sua era? Perché mai? E ora… non funzionava più. Lei
si trovava in questa nuova epoca… senza un documento, senza una famiglia,
senza una casa…
[La mia famiglia esiste, ma come posso tornarvi? Non è più mia…] I volti
della gente divertita roteavano vorticosamente. Le automobili di nuova fattura,
i palazzi, lo smog, i rumori a cui non era abituata… si sentiva soffocare.
“Signorina, che cosa ci fa qui? A che scuola appartiene, come mai non è in
classe?” La voce dell’ispettore scolastico la riscosse. Maledizione, e ora
che cosa poteva fare? Mica poteva spiegargli di essere andata avanti nel tempo!
“Ehm, veramente io…”
“Non ricordo scuole che abbiano una divisa simile alla sua… qual è il
suo istituto, e come mai non è in classe. Risponda!”
Le vene sulle tempie di Kagome iniziarono a pulsare, mentre i suoi occhi
inorriditi passavano in rivista il volto dell’uomo che la stava interrogando:
era in un bel pasticcio. Quest’ispettore avrebbe potuto portarla alla centrale
di polizia. Senza un documento e senza una vera identità si sarebbe ritrovata
in prigione…
[No, non voglio! Voglio tornare a casa mia!] la ragazza prese a correre all’improvviso.
Notò con una parte dei suoi sensi che l’uomo non demordeva, e dopo averle
urlato di fermarsi aveva iniziato a inseguirla. Corse più velocemente. Cercò
di infilarsi per stradine e vicoli che nemmeno lei conosceva. Alla rinfusa.
Ormai non avrebbe più saputo dire dove si trovava.
Cartelloni pubblicitari, traffico, facce curiose. Tutti la scrutavano. La
giudicavano. La urtavano facendola vacillare. Le allegre musiche dei negozi, i
rumori della città… tutto assunse un’aria terrificante.
Voleva andare a casa. Ma dov’era la sua casa? Chi era lei? Cosa avrebbe
potuto fare per sopravvivere in quella situazione? Sarebbe sopravvissuta? Le
lacrime cominciarono a scorrerle sulle guance, unendosi alle gocce di sudore che
le imperlavano la fronte, mentre un senso di costrizione le pesava sullo
stomaco. Era al limite… non avrebbe potuto correre ancora a lungo.
Si guardò dietro, rendendosi conto che l’uomo non la seguiva più.
Rallentò la corsa, lentamente, e poi prese a camminare con un certo ritmo. Ma
all’improvviso andò a sbattere contro qualcuno e cadde.
“Oh, mi scusi io…” alzò gli occhi verso la persona che aveva urtato, e
il panico l’assalì: era di nuovo quell’ispettore. Probabilmente conosceva
una scorciatoia e l’aveva preceduta senza che lei se ne rendesse conto.
“Ora mi vuoi dire a che istituto sei iscritta? Signorina, è inutile farmi
questo bel faccino… Mi hai anche costretto a correre. Ti farò un rapporto di
quelli che ricorderai per tutta la vita, vedrai…”
“Ecco, no, è che… io, cioè…” il mondo stava crollando addosso a
Kagome. Vedeva avvicinarsi pericolosamente il momento in cui l’uomo l’avrebbe
condotta al più vicino commissariato… che disastro!
“Ehm… signor ispettore? Posso parlarle un attimo?” la matura e cortese
voce maschile costrinse l’uomo e la sua preda a voltarsi. Il volto di Kagome
sbiancò un attimo, ma subito il cuore prese a batterle all’impazzata. L’uomo
che aveva di fronte somigliava in maniera incredibile a… no, era impossibile
non poteva essere lui… che ci faceva lì?
“Mi dica, hôshi-sama.”
“Mi scuso con lei per questo terribile incidente. La ragazza era sotto ma
mia responsabilità. Me l’ha affidata una mia conoscente di Okinawa, ma io non
sono arrivato in tempo alla stazione e lei si deve essere ritrovata da sola,
sperduta… in mezzo a una città che non conosceva. La ringrazio per aver fatto
tutto questo baccano o non l’avrei mai vista fra la gente.”
[Stazione?] Kagome si guardò intorno. In effetti erano vicino alla stazione
centrale di Tôkyô… non ricordava che si trovasse così vicino al tempio
[Probabilmente l’hanno spostata…] dedusse. Doveva smetterla di pensare alla
sua epoca. Ora si trovava nel duemilaquindici! Duemilaquindici, ancora non ci
credeva! E Miroku era dinanzi a lei…
“Oh capisco Hôshi-sama… ecco perché quella strana divisa. A Okinawa la
moda deve essere un po’ retrò… mi sembra una divisa di vent’anni fa,
ricordo che…”
“Non si preoccupi signor ispettore. Come potrà capire la ragazza è
piuttosto impaurita in questo momento. Mi piacerebbe continuare la conversazione
con lei, ma sarebbe preferibile che io conduca la mia ospite al Tempio
Higurashi.”
“Certo Hôshi-sama, ha perfettamente ragione, mi scusi…” l’uomo
sorrideva a occhi chiusi, nervosamente, appoggiando una mano dietro la nuca e
inchinandosi svariate volte. Si vedeva che era piuttosto imbarazzato. Si scusò
di nuovo con Kagome, aiutandola a rialzarsi e poi si accomiatò dai due,
assicurando a Miroku che sarebbe passato a comprare un talismano al tempio,
perché sua nonna era piuttosto malata.
Miroku attese che l’uomo girasse l’angolo, continuando a sorridere, poi
assunse un’aria molto seria e si voltò a guardare Kagome.
“Benvenuta nel futuro, Kagome-chan. Ti dispiace se ti chiamo così? Ormai
sarebbe un po’ sciocco per me salutarti con un altro appellativo.”
“Oh no, no… nessun problema Miroku-sama…” la ragazza continuava a
fissare il monaco con un’espressione sorpresa e preoccupata allo stesso tempo.
Indubbiamente era molto semplice riconoscerlo, non era cambiato moltissimo. Ma
guardandolo con attenzione, Kagome notò qualche filo grigio intravedersi tra i
suoi capelli, sempre legati dietro la nuca nel solito codino, e i tratti che non
erano più quelli di un teen-ager. Indossava un kariginu composto dall’haori
bianco e hakama blu, i tradizionali abiti dei sacerdoti buddisti del suo tempo:
anche il nonno usava indossarli, ricordò. “Ma come mai…” iniziò a
chiedere.
“Shhhhh… aspetta. Sono sicuro che sarai molto curiosa di sapere perché
io mi trovi qui, ma penso che dovremmo discuterne a casa, davanti a una bella
tazza di tè. Che ne dici, ti va?” le sorrideva.
“Beh, veramente…” una parte del cervello di Kagome si rendeva
perfettamente conto che il monaco non aveva tutti i torti, anzi… non erano
cose da discutere in mezzo alla strada quelle. Però… la curiosità era tanta
e anche il sollievo. Notò di sfuggita che la mano del monaco non era più
coperta con il rosario protettivo. Inoltre pareva aver abbandonato il suo
bastone sacro. E il suo arrivo era stato molto più che tempestivo: sembrava
quasi che la stesse aspettando sul serio tanto era arrivato a fagiolo…
Poi la sentì. Qualcosa. Sul suo sedere. Ci mise un attimo per collegare la
presenza di Miroku, le sue abitudini lascive e quella mano, ma l’intervallo
tra accorgersene e schiaffeggiare il monaco fu molto ravvicinato. Miroku
sorrise, divertito.
“Vedo che, Sengoku Jidai o 2015… le tue abitudini non cambiano mai,
Miroku-sama!” gli lanciò un’occhiata fulminante prima di girare i tacchi e
incamminarsi. “In fondo hai ragione, meglio discuterne con calma al tempio.”
Disse mentre con ampie falcate si avviava.
“Ano(11)…”
“Che c’è?”
“Il tempio è da quella parte, Kagome-chan.” Il monaco indicò con un
sorriso divertito la parte opposta a quella verso cui la ragazza si era
incamminata. Kagome arrossì… non era più capace nemmeno ad orientarsi! Persa
tutta la sua boria, seguì il monaco di buon grado.
oOoOoOoOoOoOoOoOo
“Perché devo stare nascosta?” Miroku aveva condotto Kagome di nuovo al
tempio Higurashi, per poi nasconderla all’interno dell’hokora.
“Cosa pensi succederebbe se gli altri ti vedessero, Kagome-chan?
Kagome-sama è andata in città per una misteriosa visita… non ha voluto dire
a nessuno dove stesse andando, ma io qualche sospetto ce l’ho.” Il monaco
sembrò riflettere per un attimo. Poi il suo sguardo tornò a incrociare quello
stupito di Kagome. “Ma come pensi che reagirebbero gli altri? Sango, Onigumo,
Ki-chan…”
“A proposito… chi è QUELLA? Che ci fa a casa MIA?”
“Non alterarti, Kagome-chan…”
“E Onigumo? Chi diavolo è? Non è un nome comune da queste parti! Non
sarà Naraku ritornato in vita per ingannarci?”
“Calmati, Kagome-chan…”
“No, io voglio sapere!”
“Kagome-chan, non pensi che un tè ti schiarirebbe un po’ le idee?” il
monaco sembrava nervoso. Osservava sempre attorno a sé, come se cercasse
disperatamente una via di fuga. Per fortuna Kagome gli consentì di andare a
preparare il tè: era ancora stanca per la corsa, e avrebbe dato qualunque cosa
per un goccio d’acqua.
Miroku si diresse, pensieroso, verso casa. [Kagome-chan, so bene che sei
curiosa di sapere tutto quello che è successo. Mi dispiace tenertene all’oscuro,
ma non posso evitarlo. Mi dispiace davvero…]
“Tadaima!(2)” disse varcando la soglia, mentre si toglieva i sandali e li
appoggiava sul pavimento all’entrata di casa.
“Oh, okaeri nasai(3), oji-chan(7)!” l’allegra voce di Kikyô risuonò
per l’abitazione. La ragazza gli corse incontro, gli prese le mani tra le sue
e lo fece muovere in una frenetica giravolta. Il monaco aveva l’aria un po’
confusa quando finalmente lo mollò.
“Ki-chan, non crescerai mai tu… ma sono scherzi da fare a un povero
monaco?”
“Oji-chan, non fare lo gnorri. So bene che se ti avessi abbracciato come
fanno tutti e non ti avessi preso per le mani, me le avresti spalmate sul sedere…”
Il sorriso del monaco si fece nervoso [Sagace la ragazzina] pensò mentre
rideva. Kikyô non sembrava essere disposta a ridere.
“Okaeri nasai, tô-san(4).”
“Oh, tadaima, Onigumo…” l’uomo assunse all’improvviso un’aria
corrucciata. Quel ragazzo riusciva a comportarsi sempre in maniera irrispettosa.
Tese la mano verso di lui, con aria di attesa. “Mostrami la tua pagella.”
Onigumo sospirò… nemmeno prendendolo in giro era riuscito a fargli
dimenticare che oggi c’era la consegna. Il ragazzo assunse un’aria afflitta,
e alzò i tacchi per salire in camera sua. Subito dopo, tornò con in mano un
piccolo computer portatile.
Il padre lo aprì, cercando di ricordarsi come funzionava quel marchingegno…
per lui, abituato alla semplicità del Sengoku Jidai, era stato quasi un trauma
scoprire quanto la tecnologia influenzasse gli esseri umani in quell’epoca.
Il ragazzo iniziò a sperare che il padre non sarebbe riuscito a leggere i
suoi voti… ma sfortunatamente Kikyô lo aiutò, aprendo il palmare e digitando
il codice. Onigumo la prese a male. La stizza dell’occhiata che le lanciò non
lasciava dubbi al riguardo.
La ragazza gli fece una linguaccia, ma quando gli occhi del monaco si
posarono su di lui, le gambe di Onigumo divennero di gelatina.
“Tô… Chichi-ue(5)… po… posso spiegare…”
“Sono ‘Chichi-ue’ solo quando ti conviene eh? Onigumo che cos’è
questo 30/100 in storia? E quel 45/100 in matematica?” gli occhi di Miroku
lanciavano fiamme. “Quante volte devo ripeterti di smetterla di guardare le
ragazze e pensare a studiare?”
“Tô-san… ma a me le ragazze non interessano… sei tu quello che viene
sempre sgridato da Ofukuro(6)…” nell’udire il modo chiaramente
irrispettoso con cui Onigumo gli stava parlando il sangue di Miroku ribollì. Ma
purtroppo il figlio aveva detto il vero: non era lui il pervertito di famiglia…
Sango lo sgridava continuamente perché, anche dopo essersi sposato con lei, non
era ancora riuscito a scollare le mani di dosso a ogni bella fanciulla che
incontrasse.
* E meno male che non chiedi più a nessuna di partorire tuo figlio! * al
ricordo della solita esclamazione di sua moglie, Miroku non poté fare altro che
sorridere. Ma subito tornò a rabbuiarsi [Quando Sango torna dalla Dôjô dovrò
farle un bel discorso su questo scapestrato…] decise.
“Ciò non toglie, Onigumo, che da oggi fino alla fine del prossimo
trimestre la tua Play Station 4 è sequestrata… devi impegnarti nello studio
se vuoi realizzarti un giorno!”
“Ma tô…”
“Niente ma! Dritto in camera tua e non fiatare!”
Mentre il ragazzo, mestamente, si girava e si incamminava verso la sua
stanza, Miroku si affrettò in cucina e mise a scaldare l’acqua per il tè.
“Come mai prepari il tè, oji-chan?”
“Sto aspettando ospiti, Ki-chan.”
“Si tratta forse della ragazza con la strana divisa? Chi è oji-chan?”
questa affermazione strappò un moto di meraviglia al monaco: Kikyô era davvero
una ragazza particolare. Chissà come aveva fatto a capire che…
“Già, chi diavolo è? Mi è sembrata familiare…” Miroku si voltò
verso il suo nuovo interlocutore, sospirando. Non si potevano proprio tenere
segreti in quella famiglia.
“Tadaima!” la voce di Kagome risuonò nell’abitacolo.
“Oh ciao… sei tornata finalmente…” il giovane uomo in tenuta da
combattimento bianca fissò la donna con aria annoiata. Aveva le braccia
incrociate al petto e con la schiena si appoggiava a un lato della porta, mentre
con il piede faceva perno su quello opposto.
“Che bel modo di dare il bentornato a casa, tesoro…” Kagome
guardò storto l’uomo che la fissava dalla porta, e che all’improvviso aveva
scansato il piede, per lasciar passare la furia che correva verso di lei, e che
la travolse subito dopo.
“Oka-san(8)!” Kagome sorrise, stretta nell’abbraccio affettuoso della
figlia.
“Ciao, Ki-chan! Meno male che qualcuno mi saluta con gioia…” il
sarcasmo della frase non era sconosciuto dalla persona a cui era rivolto.
“Okaeri nasai oka-san!” Kikyô tese verso la madre il piccolo palmare che
conteneva i suoi giudizi. Kagome sorrise all’entusiasmo della figlia. Notò
con piacere che questa volta aveva raggiunto la sufficienza anche in inglese. La
sua allegria doveva esser dovuta a questo risultato.
“Brava, Kikyô… sono davvero contenta.” Il sorriso della ragazzina fu
come un dono. La donna si tolse le scarpe ed entrò in cucina. Teneva in mano
uno strano incarto, che attirava la curiosità di tutti. Ma momentaneamente
Kikyô decise che c’erano cose più importanti da dire.
“Sai oka-san, oji-chan ha visite…”
“Davvero? E chi sarebbe?”
“Una ragazza… penso abbia la mia stessa età. L’ho sentita dentro l’hokora
sigillato.” Kikyô vide un lampo di preoccupazione passare per gli occhi della
madre. Si rabbuiò subito, ma Miroku non le lasciò tempo di fare ulteriori
domande.
“Kagome-sama, devo parlarti.”
“Non è uno yôkai vero?”
“No, non preoccuparti.”
La donna sospirò. Per un attimo aveva temuto che qualche yôkai fosse
riuscito a superare il sigillo che lei e Miroku avevano messo al pozzo
diciassette anni prima.
“E allora chi…?”
“Ecco vedi, è che…”
“Prego, entra pure.” La cortese voce di Sango risuonò nell’ingresso.
Miroku si alzò, sperando che la sua consorte non avesse portato qualche sua
amica in visita… proprio quel giorno. Ma i suoi occhi si allargarono quando
vide Kagome-chan, che si toglieva educatamente le scarpe prima di entrare.
“Miroku…” Lo sguardo di Sango esprimeva un po’ di biasimo, ma non
così tanto come quello che normalmente sfoggiava dopo i suoi pizzichi
micidiali. “come hai potuto farla rimanere fuori, nell’hokora? Kirara l’ha
fiutata subito, e meno male! Saremmo stati molto scortesi a non farla entrare,
in fondo è casa sua…”
Miroku sospirò. Kikyô si sporse dalla porta della cucina, e poco sopra di
le fece capolino il volto della madre. Kagome fissò se stessa con stupore.
“Allora avevo capito bene… oji-chan, che fai ti porti le fidanzatine nell’hokora(9)?”
la ragazzina guardò male il monaco, mentre il volto di Miroku e Sango diventava
violaceo.
“Ma che cosa stai dicendo, Ki-chan?” urlò lui. “Come ti saltano in
mente certe idee?” gridò di rimando lei. “Eeeeeeh?” fu l’esclamazione
di Kagome, più rossa di entrambi.
“Che diavolo ci fai tu qui?” sbottò l’uomo in tenuta da combattimento,
staccandosi dalla porta. Avrebbe voluto parlare di più, ma la Kagome adulta gli
si accostò e lo cinse alla vita con le braccia, sussurrandogli qualcosa all’orecchio.
“Tesoro, non è ben educato assillare questa ragazza di domande sull’uscio
di casa… perché non entri? Puoi accomodarti in soggiorno, se vuoi!” la
donna fece strada alla se stessa del passato, guidandola nella nuova
disposizione delle stanze fino all’ampio soggiorno. Lì le diede un cuscino, e
la fece mettere seduta sul tatami.
[Tesoro? Quell’uomo… è mio marito?] Kagome-chan guardava la persona dai
corti capelli scuri. Aveva indubbiamente qualcosa di familiare… ma non
riusciva a capire chi fosse. Indossava un corto kimono bianco e dei calzoni
dello stesso colore, tenuta che di solito si usa per le arti marziali. Infatti
sfoggiava una cintura nera alla vita. Aveva un’espressione a metà tra l’annoiato
e l’incavolato, e questo poteva renderlo simile a Inuyasha.
Ma… anche se non propriamente gentilissimo non le era sembrato che parlasse
esattamente come l’hanyô… e poi come mai era umano? E quella Kikyô… chi
era? Aveva chiamato Miroku-sama oji-chan… che fosse una familiare del monaco?
Oppure era la Kikyô del passato ritornata in vita? E se avevano usato lo Shikon
no Tama per riportarla in vita… che ne era di Inuyasha?
Miroku, Ki-chan e Kagome si misero seduti vicino a lei, sui cuscini del
soggiorno. L’uomo misterioso si era di nuovo piazzato contro la cornice della
porta, con un piede sul lato opposto. All’improvviso lo scansò, per far
entrare Sango con il vassoio del tè, poi lo rimise dove stava.
“Bene, ora che non manca più nessuno all’appello, possiamo parlare.”
Sbottò Miroku.
“Ma… Onigumo?” chiese Sango scrutando il monaco con curiosità. Miroku
le passò uno strano oggetto, che Kagome classificò come un’agenda
elettronica, o qualcosa di simile. Sango azionò il meccanismo, aiutata da
Ki-chan, e strabuzzò gli occhi. “Che cosa sono questi brutti voti?” chiese
alterandosi: probabilmente era una pagella scolastica del futuro.
“E’ quello che gli ho chiesto anch’io, ma non ha saputo darmi una
ragione valida. L’ho mandato in camera sua in punizione, e ci resterà fino a
nuove istruzioni.” Sango annuì con il capo, Kikyô parve voler dire qualcosa
in difesa dell’amico, ma l’occhiataccia di Miroku le bloccò le parole sul
nascere.
“Dunque dicevo… ora siamo tutti qui riuniti e si può finalmente parlare.”
Riprese il discorso Miroku. “Oggi, mentre pulivo il giardino, ho visto
Kagome-chan sgaiattolare fuori dalla finestrella dell’hokora. L’ho seguita e
l’ho tolta dagli impicci in cui si era andata a cacciare.” Il monaco
raccontò brevemente l’incontro di Kagome-chan con l’ispettore scolastico.
Poi vide che Kikyô la stava scrutando. Ricordò che al nome ‘Kagome-chan’
la ragazza era sobbalzata per lo stupore.
“Si, Ki-chan. Quella che hai davanti è tua madre quando aveva la tua età.
Non so come abbia fatto ad arrivare, ma ora è qui, e dobbiamo aiutarla.”
“Mia madre?” disse la ragazza stupita, mentre i suoi occhi passavano
rapidamente dalla mamma alla strana ragazza dalla divisa fuori moda. “Mia
figlia?” Kagome-chan strabuzzò gli occhi. Questa davvero non se l’aspettava.
Sua figlia? KIKYÔ?
“Come posso aver dato a mia figlia il nome di… di… QUELLA????”
rifletté a voce alta, alzandosi in piedi. La Kagome del futuro sorrise.
“Ti spiegheremo, con calma. Ora rimettiti seduta, Kagome-chan.” La
ragazza arrossì, imbarazzata dal suo stesso comportamento. Non riusciva più a
guardare Kikyô negli occhi… la sua giovane figlia del futuro la stava
fissando, sconcertata.
“Vedi Kagome-chan… dopo l’ultima battaglia Sango ed io abbiamo deciso
di venire nel futuro. In fondo Sango non aveva parenti in vita, purtroppo, e io
preferivo stare con voi che con il mio vecchio maestro. Ci siamo sposati e ora
abbiamo un figlio, Onigumo.”
“Come mai proprio Onigumo?”
“Questo non posso dirtelo, Kagome-chan.” Disse il monaco dopo un attimo
di riflessione. Sango lo guardò meravigliata, ma quasi immediatamente comprese
le sue ragioni.
“Però… Onigumo era il ladro innamorato di Kikyô che aveva creato Naraku…
o no? Miroku-sama, dovresti odiare quel nome… tuo nonno e tuo padre sono morti
a causa sua…”
Miroku sospirò. Kagome-chan aveva perfettamente ragione, con la conoscenza
dei fatti che poteva avere. I suoi pensieri andarono al passato, a quella
giornata di diciott’anni prima che aveva segnato il loro destino.
Erano finalmente riusciti a mettere alle strette Naraku. Lottando tutti
assieme l’avevano quasi completamente distrutto. A nulla era valso il nuovo
corpo che era riuscito a costruire nel monte Hakurei: certo, li aveva messi in
difficoltà, e aveva procurato non pochi problemi. Ma alla fine la forza del
gruppo era riuscita a sopraffarlo.
Naraku osservava Kikyô la quale, assieme a Kagome, aveva creato una barriera
tutt’intorno, per impedirgli di fuggire.
“Tu, maledetta. Credi davvero di riuscire a sconfiggermi? L’altra volta
sei scampata per poco dal morire di nuovo.”
“Il mio unico compito e scopo, in questo mondo, è quello di distruggere
te, Naraku. Non posso andarmene in pace prima di averti ucciso con le mie stesse
mani.” La donna gli puntava contro un arco, pronta a scagliare l’ennesima
freccia spirituale, mentre dal lato opposto, Kagome sembrava il suo specchio,
assieme al piccolo Shippô. Il gruppo aveva ormai formato un cerchio attorno al
corpo straziato di Naraku, ed erano tutti pronti ad attaccarlo per dargli il
colpo di grazia.
“Hehehehe, Kikyô… guardati. Non ti reggi più in piedi. Il corpo che
quella strega ti ha costruito è ormai quasi in frantumi. Come speri di potermi
distruggere in queste condizioni? Non credi sia meglio arrendersi e ottenere in
cambio una morte rapida?”
“Naraku, dannato… Kikyô non morirà di nuovo per colpa tua! Sarò io a
vendicarla, ad ogni costo!” Inuyasha era al limite. Non si accorse che quelle
parole avevano ferito qualcuno, dall’altra parte del corpo del loro
avversario, peggio di quanto lo stesso Naraku avrebbe mai potuto fare. E non si
accorse nemmeno che l’arco di Kikyô aveva cambiato bersaglio. La freccia dell’hama
che gli passò a pochi centimetri dal volto lo colse di sorpresa. Si voltò a
guardare la miko, sconcertato.
“Kikyô… perché…” iniziò a balbettare. “Inuyasha. Non ti permetto
di rischiare la vita per questa vendetta. La tua vita appartiene a me. Solo io
posso decidere quando devi morire.” Lo rabbonì lei, gli occhi duri e freddi,
la voce gelida, la seconda freccia pronta a scoccare.
“Come vuoi…” lo sguardo del ragazzo si abbassò al suolo. Decise di
lasciare a Kikyô la possibilità di vendicarsi da sola. Ma se qualcosa fosse
andato storto, non se lo sarebbe mai perdonato.
“Hehehehe… Kikyô… che cosa vorresti fare, dimmi? Colpirmi con una
freccia? Lo sai che le tue non hanno più un grande potere.” Ma l’hanyô
sussultò quando l’ennesimo dardo di Kikyô lo sfiorò.
“La prossima volta non sbaglierò mira, Naraku!” l’arco di Kikyô si
tese di nuovo, ma nessuno si accorse che la sacerdotessa aveva vacillato un
istante.
[Maledizione… questo corpo sta collassando. Ormai ho perso tutte le anime
che mi aiutavano a muovermi, e anche focalizzare è diventato difficile.] La
vista della miko era annebbiata. Avrebbe dovuto concentrare tutto il suo spirito
purificatore in un unico colpo e tentare di trafiggere Naraku.
[Non voglio morire prima di averlo ucciso! E’ lo scopo che mi sono prefissa
quando ho continuato a vivere… e devo assolutamente riuscirci! Un solo colpo,
uno solo…] la donna barcollò più vistosamente. L’occhiata di trionfo di
Naraku fu peggio di una pugnalata.
“Kikyô… non riesci quasi più a camminare vero? Sento la tua forza
spirituale diminuire… non potrai uccidermi, nemmeno colpendomi!”
In quel momento, l’arco di Kikyô scoccò l’ultima freccia. La donna vide
che colpiva Naraku, proprio al centro del petto… producendo una luce
accecante. Si accasciò al suolo.
“Maledizione, com’è possibile che avesse ancora tutto questo potere!”
urlò Naraku mentre qualcosa in lui si spezzava. Si vide il corpo dell’hanyô
come aprirsi, e al suo interno, barcollando e con una freccia piantata nel
cuore, uscirne un uomo.
“Mus… no… Onigumo!” fu il grido soffocato di Inuyasha. L’uomo
incespicò, cadde, e la freccia che gli aveva trapassato il cuore si insinuò
ancora più profondamente dentro il suo corpo, fuoriuscendo dalla scapola. Ma si
sollevò, quasi caparbiamente e continuò a trascinarsi verso un punto preciso.
Il ragazzo si voltò e vide anche lui la sacerdotessa, in terra.
“Kikyô!” urlò nuovamente, correndo verso il corpo martoriato della
giovane donna.
“Inu… ya… sha…” balbettò lei mentre l’hanyô si chinava a
sorreggerla e la guardava, con angoscia.
“Kikyô… tu… starai bene vero? Non morirai?”
“Inuyasha… la tua è preoccupazione per me o…” un gemito di dolore
sfuggì dalla gola della miko. “oppure paura, per la promessa che mi hai
fatto?”
“Ma che dici? Ti ho mai…” l’hanyô la guardava sdegnato.
“Però… io sto morendo Inuyasha. Io muoio… e leggo solo apprensione nei
tuoi occhi.” Il ragazzo sussultò alle parole appena sussurrate della donna.
“Che cosa intendi dire, Kikyô?”
“Io sto morendo, e tu sei preoccupato. Non sei triste. Io…” la donna
alzò con enorme fatica la mano, avvicinandola al volto di Inuyasha. “Io…
non ti ho mai visto piangere per me.”
“Che diavolo c’entra questo ora?”
“Nulla Inuyasha, nulla…” la mano della miko si posò di nuovo sul
terreno. Onigumo intanto era arrivato fin lì e si era accasciato accanto a lei.
“Kikyô. Io… non volevo ucciderti. Io…” fu l’ultimo rantolo dell’uomo.
La miko si voltò verso di lui, e gli sorrise, con notevole sforzo.
“Lo so Onigumo… i tuoi sentimenti non erano puri, ma so che non avresti
voluto uccidermi. Anzi, grazie alla tua volontà all’interno di Naraku, sono
riuscita a distruggerlo.” La donna parlava con un filo di voce. Si sentiva che
ogni parola le costava molta fatica.Il corpo di Onigumo fu scosso da un fremito,
poi si rilassò: la freccia di Kikyô aveva compiuto la sua opera.
“IO NON SONO ANCORA MORTO!” Una voce tuonò dietro di loro. Kikyô
spalancò gli occhi, sentendo un’aura maligna che si avvicinava a velocità
sorprendente.
Si voltò a osservare Naraku, e comprese: l’hanyô aveva bisogno del suo
collante. Anche se morto, Onigumo era pur sempre un ‘pezzo’ necessario al
corpo di quel mostro.
Kagome lanciò un’altra freccia, che bloccò per un attimo la corsa del
loro avversario, staccandogli un braccio.
[Non ti permetterò di avvicinarti ad Onigumo!] pensò la miko, e creò, con
le sue forze residue, una barriera nella quale proteggere l’uomo, Inuyasha e
lei. Naraku tentò di sfondarla, ma non riuscì a farvi neanche una breccia.
“Inuyasha… ti prego, devi finirlo. Io non resisterò ancora a lungo.”
Disse la miko guardando l’hanyô dolcemente. Il ragazzo la posò con
delicatezza al suolo e uscì dalla sua barriera protettiva.
“Naraku, dannato. E’ giunta l’ora della resa dei conti. Adesso…”
osservò con disprezzo l’essere che aveva davanti. Il corpo, diviso a metà
dalla freccia di Kikyô, stava iniziando a scomporsi nei tanti yôkai che l’avevano
formato. Inuyasha sussultò: ma certo! Ecco perché Kikyô aveva creato quella
barriera! Naraku aveva ancora bisogno di Onigumo! Checché ne dicesse, era
sempre un essere imperfetto.
“Si, adesso è giunta l’ora della tua fine!” continuò la frase Kagome,
dietro al mostro. La ragazza scagliò l’ennesima freccia, che stavolta si
conficcò nella parte posteriore dell’agglomerato di yôkai che li
fronteggiava. Un urlo di dolore percorse il mostro.
Inuyasha sorrise sprezzante. Sfoderò Tessaiga, e si concentrò sulle onde di
energia sprigionate da Naraku.
[Si, la vedo! Vedo l’aura maligna… posso distruggerlo ora!] il ragazzo
chiuse gli occhi un secondo e si concentrò.
“Non mi sconfiggerai tanto facilmente, Inuyasha!” l’essere si avventò
verso di lui, ma era troppo tardi.
Tessaiga iniziò a brillare, mentre l’hanyô piazzava un unico fendente:
“BAHURYUHA!!!!!!!(19)” Un’enorme energia attraversò la spada e andò a
colpire in pieno l’accozzaglia di corpi che gli si stava avventando contro. Un
urlo agghiacciante, un lampo… poi più nulla. In terra erano rimasti solo
alcuni pezzi di corpo senza vita.
L’essere che aveva rovinato l’esistenza di tutti era finalmente stato
distrutto.
“E’… morto?” Inuyasha osservava di fronte a sé con aria incredula
mentre Tessaiga gli scivolava dalle mani. Il clangore della spada che cadeva in
terra fu un triste eco alle sue parole.
“E’… proprio morto…” confermò il monaco togliendo il sigillo alla
mano che ora non aveva più il kazana.
“Si! Non sento più la sua presenza!” Kagome piangeva dalla gioia. Corse
verso Inuyasha e lo abbracciò. L’hanyô ricambiò, confuso e sollevato.
“Finalmente…” un sussurro giunse al sensibile orecchio dell’hanyô.
Si voltò verso la voce, e ricordò che Kikyô era ancora lì, in terra,
morente.
Si staccò dall’abbraccio di Kagome e corse verso la miko, sorreggendola di
nuovo.
“Finalmente il mio compito su questa terra si è concluso, Inuyasha.” Gli
occhi della donna incontrarono quelli ansiosi dell’hanyô. “Anche Onigumo
ormai non c’è più… ed è giunto il momento per me di tornare nel posto dal
quale sono stata evocata.” La donna sussultò per il dolore. Avrebbe dovuto
sbrigarsi: ogni parola le succhiava il minuscolo residuo di forze che le era
rimasto.
“Bene Kikyô… Io…” la mano della miko gli si posò sulle labbra,
chiudendole.
“Shhhhh…. Non dire niente. Io… non voglio più che tu muoia con me.”
Il lampo che vide passare negli occhi dell’hanyô fu peggio di una pugnalata.
“Inuyasha… in questi mesi ho potuto vivere esperienze nuove, e
riflettere.” La mano della miko gli accarezzò una guancia, poi ricadde di
nuovo in terra, quasi senza forze.
“Sul monte Hakurei, il vecchio eremita è morto tra le mie braccia. Mi ha
detto…” un nuovo gemito di dolore attraversò il suo corpo, storpiando il
bel volto della miko in una smorfia di dolore. Doveva sbrigarsi, non aveva più
molto tempo.
“Mi ha detto cose che mi hanno fatto pensare. Sono felice che tu voglia
mantenere la tua promessa fino in fondo, ma io...”
“Ho capito… che il mio tempo è finito, il tuo no. Tu devi continuare a
vivere anche per me, Inuyasha. Continua a vivere per me… con me.” Gli occhi
della miko si rivolsero a Kagome, per un attimo senza fine. Poi si chiusero. Un
ultimo fremito la percorse, poi si vide qualcosa fuoriuscire dal corpo di
argilla ormai quasi distrutto, e rientrare nella ragazza in divisa scolastica.
Una lacrima, silenziosa, corse sulla guancia di Inuyasha: Kikyô… il suo
primo amore… era morta. Lo aveva perdonato, lo aveva lasciato vivere.
Alzò lo sguardo, e notò che i suoi compagni avevano gli occhi lucidi. In
fondo avevano temuto così tanto la sacerdotessa… ma lei si era sacrificata
per salvare tutti.
Il silenzio calò sul gruppo, mentre le lacrime che l’hanyô non aveva mai
versato per la miko finalmente erano libere di scorrere. Inuyasha abbracciò il
corpo di Kikyô. I suoi singhiozzi erano l’unico suono che rompeva la pace di
quella foresta distrutta.
“Vedi, Kagome-chan… sono molte le ragioni che…” disse Miroku tentando
di calmarla.
“Allora perché non me le spieghi, queste ragioni, Miroku-sama? Io non
posso scoprirle da me…” gli occhi della giovane Kagome erano supplichevoli.
All’improvviso l’orologio che faceva bella mostra di sé in un angolo del
salotto prese a rintoccare l’ora: erano le sei.
Ki-chan si voltò un attimo a guardare la porta, dove il padre era
appoggiato, pensieroso. Anche l’uomo si riscosse, all’improvviso, come se
avesse percepito qualcosa che non andava.
Kikyô si voltò, cercando di non farsi notare dagli altri, ma il padre non
era dello stesso avviso. L’uomo attese qualche secondo, con aria piuttosto
contrariata, poi spalancò la porta scorrevole, rivelando la ragione del suo
nervosismo. Il giovane Onigumo si bloccò, e iniziò a sudare freddo.
“ONIGUMO! Dove pensi di andare?” La gelida voce di Sango fece tremare il
ragazzo come un bimbo delle elementari.
“O… ofukuro… Ehm… io… cioè…” prese a balbettare, cercando di
nascondere qualche cosa dietro la schiena.
“Dove volevi andare, Onigumo?” Miroku era ancora più seccato. Non solo
non aveva obbedito a un suo ordine, ma continuava a parlare senza dargli il
dovuto rispetto. Sango si alzò e si avvicinò al figlio, con aria di attesa.
“Ecco… mi ha chiamato Hishida-kun al cellulare… pare che sua sorella…”
non poté continuare il suo discorso. Lo schiaffo della madre lo colse di
sorpresa, facendogli cadere il casco, che nascondeva dietro la schiena.
“Non ti azzardare mai più a inventare scuse per non obbedire agli ordini
di tuo padre!”
“Non sto inventando niente, Shiori-chan ha avuto un incidente, mi ha
chiesto di andare all’ospedale!” i due genitori si guardarono preoccupati.
Conoscevano bene la sorella di Hishida-kun, e questa notizia li aveva lasciati
sconvolti.
“Onigumo, resta il fatto che tu sei in punizione. Andremo noi all’ospedale
a vedere come sta Shiori-san. Ci scusate, non è vero?”
Nessuno ebbe qualcosa in contrario. L’uomo che Kagome aveva sposato si
offerse di accompagnare Miroku e Sango, e loro accettarono volentieri.
Probabilmente l’uomo aveva una macchina più veloce, pensò Kagome-chan.
Anche Kikyô decise di seguirli, e dopo qualche minuto il gruppo se ne andò,
e lei si ritrovò sola con la se stessa del futuro e Onigumo.
“Tzk… Tô-san… maledizione a lui! Perché è sempre così… così…”
una mano sulla spalla lo bloccò. Si voltò e vide per la prima volta
Kagome-chan, che gli sorrideva.
[Si preoccupa per la sorella di un amico… non è Naraku tornato in vita, in
fondo. E poi… è il figlio di Miroku. Non può essere cattivo.] pensava la
ragazza.
Il giovane arrossì e si girò dall’altra parte.
[Chi è questa ragazza? Somiglia a Kikyô…] pensava lui, mentre i battiti
del suo cuore aumentavano.
“Che c’è, che vuoi?” chiese cercando di fare lo sbruffone e di
nascondere il viso arrossito.
“Miroku-sama è una brava persona, Onigumo-kun. Si preoccupa per te…”
La ragazza sorrideva… quel sorriso era maledettamente simile a quello di
Kikyô e i battiti più rapidi del suo cuore gli davano fastidio.
“Che cavolo te ne frega?” sbottò. Però il suo volto aveva cambiato
colore nel sentirle dire ‘Onigumo-kun’. Kikyô lo trattava sempre come un
bambino… certo, erano come fratelli, ma lui…
“Hai ragione, non mi importa…” la ragazza sembrò rabbuiarsi, e Onigumo
si sentì mancare il terreno sotto i piedi. Non voleva ferirla, maledizione!
“N… no… è che… cioè…” iniziò a guardare con enorme interesse
le sue dita, mentre il volto si imporporava. Kagome-chan sorrise di nuovo.
“Kagome-chan, io vado un attimo a comprare qualcosa in più per la cena. Ci
pensi tu a tener compagnia a Onigumo? Noto che avete fatto amicizia.” Kagome
sorrideva ai due ragazzi con lo stesso e identico sorriso di Kagome-chan. La
ragazzina annuì, e la donna si avviò verso le scale.
“A… aspetta.” Kagome si girò alla voce di se stessa da giovane.
“Si, che c’è?”
“Ecco… prima Miroku-sama ha detto che eravamo tutti riuniti nella sala…
però…” il suo sguardo sprofondò sul pavimento e le sue guance si
infiammarono. Voleva… doveva sapere! “Però… ma… manca qualcuno…”
Lo sguardo della Kagome adulta si rabbuiò, e i suoi occhi divennero così
tristi che Kagome-chan ebbe un sussulto.
“Che… che cosa gli è successo? Devi dirmelo…” il cuore batteva all’impazzata.
Non voleva, non poteva credere al brutto presentimento che stava avendo.
Inuyasha… era morto? E quell’uomo che lei aveva sposato. Il padre di Kikyô.
CHI era?
“E’ troppo lungo da spiegare ora, Kagome-chan. Ti prego, attendi che gli
altri siano tornati, ci penserà Miroku-sama a raccontarti tutto…” la donna
si affrettò a indossare le scarpe, e uscì di tutta fretta. Ora era il turno di
Kagome-chan di schioccare la lingua e assumere un’espressione stizzita.
“Ti chiami Kagome?” chiese Onigumo, stupito.
“Si, che male c’è, Onigumo-kun?”
“Nulla… solo che somigli molto a Kagome obachan.”
“Ecco… è una lunga storia…” iniziò lei, confusa.
“E somigli anche molto a… Ki-chan…” il giovane divenne paonazzo.
“Ano… Onigumo-kun… non è che, per caso… ti piace Kikyô-san?” il
volto del ragazzo divenne più rosso di quanto Kagome potesse immaginare. Lei
ridacchiò, divertita.
“Ma… che cosa dici… cioè… io…”
“Ma va lah… smettila di fare tutte queste scene, si vede lontano un
miglio che ti piace! Che ne dici di raccontarmi tutto?” lo rassicurò lei
appioppandogli un paio di pacche dietro la schiena. Lo guardava con occhi MOLTO
interessati… ma il ragazzo non se ne accorse.
[Ahi! Devo spiegare a questa tipa che le botte così forti fanno male…]
pensò, sempre più confuso. “Ehm… cioè… sei sicura? Cioè, non…”
“Non preoccuparti, giuro solennemente di non dire niente…” per essere
più convincente chiuse gli occhi e mise una mano sul cuore. In realtà fremeva
dalla voglia di sapere… il ragazzo la fissò, un po’ dubbioso. Gli occhi
castani, così simili a quelli di Miroku la scrutavano un po’ torvi.
“Ok, voglio crederti…” concluse, e si rilassò un po’. Le sorrise, e
in quel momento Kagome si rese conto di quanto assomigliasse a Sango. Aveva la
stessa espressione luminosa, ed era davvero un bel ragazzo. “Comunque è un po’
imbarazzante parlare con te di Ki-chan… le somigli così tanto che sembra io
mi stia dichiarando… non mi sento ancora pronto a una situazione del genere!
Io…”
“Non preoccuparti, non devi dirmelo se non vuoi… pensavo solo che forse
ti avrebbe fatto bene discuterne con qualcuno!” mormorò lei, cercando di
camuffare la delusione. Ma Onigumo decise che, in fondo, poteva fidarsi.
I due ragazzi iniziarono a parlare, piuttosto animatamente. Era da molto
tempo che lui aveva iniziato a sentire Kikyô come più di un’amica. Kagome
sorrise a quest’idea… Onigumo… innamorato di Kikyô… beh, questa volta
almeno il suo sentimento sembrava puro.
[Devo finirla di pensare al passato. Questo è un ragazzo tanto dolce. Non è
un mostro! Le vuole bene davvero, guarda come gli si illuminano gli occhi quando
parla di Kikyô…] il volto di Kagome si rallegrò [Forse dovrei cercare di
aiutarlo! Si! Agenzia matrimoniale Kagome, operazione Onigumo!] la ragazza
sognava tra sé e sé, immaginando i due finalmente sposi.
Intanto, l’oggetto delle sue fantasie aveva continuato a parlare, ignaro di
tutti i piani che la ragazza stava architettando.
Quando si era accorto di provare qualcosa per Kikyô, tutto era cambiato per
lui. Non era riuscito più a concentrarsi… e i suoi voti erano calati. Inoltre
lei sembrava considerarlo sempre come un fratello. E questo gli dava fastidio.
“Ma come faccio a dirlo a tô-san?” sbottò lui fissandola. “Se lui
scoprisse una cosa del genere lo verrebbe sapere tutta la casa nel giro di
cinque minuti di orologio…”
“E’ diventato così chiacchierone Miroku-sama?” chiese Kagome
meravigliata. Normalmente il monaco non si faceva mai i fatti degli altri. Ma
non riuscì a sentire la risposta. La porta di casa si aprì rumorosamente, e
una trafelata Kikyô apparve di fronte a loro.
“Ki-chan… che succede?” “Oni-chan…” ansimò lei “Ti prego,
corri all’ospedale… Shiori-san… Hishida-kun…” il ragazzo le si
avvicinò, preoccupato e la guidò su uno dei cuscini del salotto.
“Non preoccuparti, io vado… tu riposati!” [Se un persona come Ki-chan
è così stanca vuol dire che ha davvero corso a perdifiato… devo sbrigarmi!]
le due ragazze seguirono con lo sguardo il giovane che si affrettava a prendere
il casco del motorino e correva fuori. Kikyô sospirò, sollevata, nel sentire
il rumore dello scooter che si allontanava.
“Vuoi un sorso d’acqua?” chiese Kagome osservandola ansimare ancora.
“La casa ha una disposizione un po’ diversa da quando ci abitavo io… ma la
cucina ho visto dov’è.” La ragazza non la guardò, ma fece cenno di si. Lei
si affrettò a portarle da bere. [Che occasione! Siamo sole… e potrei sondare
il terreno per Onigumo! Si! Agenzia matrimoniale Kagome atto secondo!] pensava
mentre riempiva il bicchiere. Ma tornata sui suoi passi, la sua energia si
smontò.
Kikyô bevve l’acqua e posò il bicchiere, dopodiché non accennò a
muoversi. Il silenzio che avvolgeva le due ragazze era imbarazzante, solo il
sordo ticchettio dell’orologio ricordava il lento scorrere del tempo.
“A… ano…” Kagome avrebbe voluto iniziare a parlare, ma Kikyô
continuava a non volerla nemmeno degnare di un’occhiata. Attese un altro po’.
Dieci minuti… [Nemmeno un movimento.]
Un quarto d’ora… [Inizio a odiare quell’orologio…]
Mezz’ora… [Non ne posso più!]
“Ano… Kikyô-san… per caso ti ho fatto qualcosa?” chiese un po’
dubbiosa.
“Nulla in particolare.” Disse lei, sbirciandola da dietro la frangia.
“Eppure… non so, l’aria sembra come… pesante…” ragionò Kagome ad
alta voce.
Che cosa poteva aver fatto di male? Kikyô sembrava a disagio con lei… Ma
certo! Probabilmente era imbarazzata perché si trovava di fronte sua madre…
alla sua stessa età?
“…” Kikyô sembrava sempre sbirciarla da dietro la frangia, mentre il
ticchettio dell’orologio era diventato ancora più fastidioso. La tensione
nell’aria si poteva tagliare col coltello. La sua futura figlia sembrava un po’
nervosa.
Kagome-chan decise di fare un tentativo per sbloccare la situazione:
continuando così non sarebbe arrivata a niente.
“Che… che ne dici… di fare una partita a dama? Così passiamo il tempo…”
propose. Ma proprio in quel momento la porta di casa si aprì.
“Tadaima!” la voce della Kagome adulta risuonò per l’ingresso.
Kagome-chan osservò stupita Kikyô: la ragazza non si mosse, continuava a stare
seduta, con la testa appoggiata sul polso e gli occhi che fissavano il muro dall’altra
parte della stanza, come se non avesse sentito.
“Oh, eravate qui allora… Ki-chan dov’è andato Onigumo?”
“Shiori-san è molto grave, e Oji-chan gli ha dato il permesso di andare
all’ospedale.” Rispose lei, atona, osservando sempre il muro. La madre
sembrava meravigliata dal suo comportamento.
“Ki-chan? Mi aiuti a sistemare la spesa?” chiese, cercando di ottenere
una reazione. Stancamente la ragazza si alzò in piedi e si avvicinò alla
madre, senza guardarla. Prese una busta e si allontanò verso la cucina.
“Kikyô… che succede? Non puoi essere solo preoccupata per Shiori… non
ti sei mai comportata così.” La ragazza lasciò andare la busta della spesa,
che piombò sul pavimento, e si girò. Quando i suoi occhi incontrarono quelli
della madre, la Kagome del futuro sobbalzò: erano freddi e… pieni di rancore…
“Oka-san… tu… mi odii?” fu la domanda di Ki-chan.
“Ki… Kikyô… come puoi pensare che io…” la madre era visibilmente
scioccata, il cuore di Kagome-chan aumentò i battiti.
“Quella ragazza… è te stessa quando avevi la mia età. Prima, quando ha
parlato, ha detto qualcosa che riguardava me… e sembrava essere molto
arrabbiata. Se tu odiavi ‘quella’ Kikyô… perché mi hai chiamata come
lei? Tu mi odii?” le lacrime scorrevano dagli occhi della ragazza, e
iniziarono a scorrere anche da quelli di Kagome-chan. Che stupida era stata…
altro che agenzie matrimoniali, non ne combinava una giusta! Era tutta colpa
sua, perché non se ne stava zitta?
“No, non è così Kikyô-san…” iniziò a rispondere. “Non è come
credi, Ki-chan!” disse allo stesso tempo la Kagome adulta.
“Non è come credo? Come può non essere come credo? Se tu odiavi quella
Kikyô che cosa puoi provare chiamandomi con quel nome ogni giorno?” il volto
della ragazza era rosso, i pugni stretti, il corpo teso peggio di una corda di
violino.
“Kagome-chan non sa che cosa è successo. Ho le mie ragioni per averti dato
questo nome… io non ti odio affatto bambina, come non odiavo l’altra Kikyô.
E nemmeno Kagome-chan… è solo gelosa.”
“Gelosa?”
“Si, gelosa. Perché una persona molto importante per lei non faceva altro
che pensare a Kikyô… e non a lei. Ma non la odia affatto…”
“Una persona molto importante per me… ma non per te?” la frase di
Kagome-chan colse Kagome alla sprovvista. “Come hai potuto…” la ragazza si
alzò dal cuscino sul quale era accoccolata, e guardò fisso il terreno. Le
lacrime che avevano iniziato a scendere alla frase di Kikyô continuarono a
bagnare le sue guance, sempre più numerose. “Come hai potuto sposarti ed
essere felice senza di lui?”
“Lui chi?” Kagome-chan sussultò alla voce maschile che le aveva rivolto
la domanda. Alzò gli occhi, e si asciugò le lacrime per guardare il volto di
chi le aveva parlato. Era Miroku… non si era accorta che erano tutti
rientrati, mancava solo Onigumo all’appello. Probabilmente il ragazzo era
rimasto con il suo amico all’ospedale.
Miroku, Sango, e l’uomo in divisa da combattimento la fissavano, allibiti.
“Lei sa benissimo di chi sto parlando! Prima gliel’ho domandato, e ha
fatto una faccia così triste da non lasciare dubbi! Come hai potuto sposarti se
gli è successo qualcosa? COME?”
[Maledizione, vuoi vedere che…] Kagome iniziò a sudare freddo, ma si
avvicinò a Kagome-chan e le suggerì dolcemente di rimettersi seduta.
“NO! Voglio sapere che cosa gli è successo!” la ragazza schiaffeggiò la
mano che tentava di calmarla e fissò la donna con ribrezzo.
“Cazzo lo vuoi capire che è morto? E’ morto per proteggerti va bene? E
che male c’è se noi ci siamo sposati dopo? Mica potevamo compiangerlo in
eterno!” il suo futuro marito la fissava con biasimo. Quella smorfia le era
familiare… ma chi…
“E’ morto…” Kagome-chan iniziò a guardare fisso il pavimento.
“Si, è morto… purtroppo…” Kagome stava massaggiandosi la mano che
Kagome-chan aveva colpito, il suo volto sembrava molto triste. “Però…”
“Però un CORNO! Io… Io non potrei… non vorrei… stare con qualcuno
che non sia lui. Come hai potuto sposare un altro quando Inuyasha è morto? E’
morto con quella vero? E come hai potuto chiamare tua figlia come lei? Ti odio!”
urlò, senza accorgersi della sorpresa di tutti alle sue parole. Fece per fuggir
via… ma qualcuno la bloccò.
“Lasciami! Lasciami voglio andarmene! Non so chi tu sia… Kôga-kun?
Hôjô-kun? Chi diavolo sei? Non ti voglio! Io voglio Inuyasha! Farò di tutto
per evitare che lui muoia!”
“Dannazione Kagome! Vuoi darti una calmata?” urlò l’uomo scuotendola,
ma ottenne solo l’effetto inverso e la ragazza iniziò a scalciare e a cercare
di graffiarlo.
“Lasciami brutto…”
Non poté continuare. Lo schiaffo di lui la colse di sorpresa, e si bloccò.
Lei lo fissò inorridita mentre le lacrime continuavano a rigarle il volto.
“Keh… possibile che quando attacchi con le crisi isteriche non la pianti
più? Non hai capito un cazzo di quello che è successo… ma non ti do torto,
quel deficiente di Miroku si diverte a fare il misterioso…” l’uomo l’aveva
mollata e ora la guardava fisso, con le braccia incrociate. Sembrava seccato, ma
anche preoccupato per lei.
“Non… ho capito…?”
“Già, non hai capito, Kagome-chan.” disse di rimando Miroku. Ma si
affrettò a cambiare discorso. “Però ora abbiamo cose più importanti di cui
discutere. Kagome-sama…” il monaco si rivolse alla donna adulta. “Shiori-san…
è stata aggredita.”
“Aggredita? Oddio…” Kagome sussultò, e abbassò gli occhi, in segno di
rispetto. “Ma perché dovremmo occuparcene noi?”
“Le ferite erano… quelle di uno yôkai.” Si intromise suo marito. Gli
occhi di Kagome si allargarono.
“Ma io… credevo che non ci fossero più yôkai in questo tempo da quando
abbiamo sigillato il pozzo e lo Shikon…” gli occhi del gruppo si spostarono
verso Kagome-chan, che iniziò a sentirsi in imbarazzo.
“A… no… che… perché mi fissate?”
“Kagome-chan, per caso hai un pezzo della sfera con te?” chiese Sango.
“S… si… eccola…” la ragazza prese dalla tasca della gonna una
boccetta contenente alcuni pezzi della sfera degli Shikon, quelli che avevano
raccolto fino ad allora. L’uomo in tenuta da combattimento li fissò con aria
triste.
“Dunque… ecco il motivo. Non pensavo che avrei mai più rivisto la sfera
da quel giorno…” disse con malinconia.
[Hôjô-kun non può essere: sa tutto della sfera. A meno che non si sia
ritrovato anche lui invischiato in questo casino… ma ne dubito ingenuo com’è…]
Kagome stava rimuginando. Non riusciva a capire chi fosse l’uomo che aveva
sposato. [E poi il linguaggio che ha usato era volgare… Hôjô-kun non avrebbe
mai parlato così… Inoltre Hôjô-kun era castano… ma non è questo il vero
problema. Chi può essere?] I suoi occhi si allargarono [Ko… Kôga-kun? Uhm…
non è che gli somigli molto… però… i capelli neri ci sono… e gli occhi
se fosse diventato umano potrebbero anche essere di quel colore…]
“Kagome…” l’uomo la fissò con sospetto, gli occhi ridotti a due
piccole fessure. “Si può sapere a che cosa stai pensando?”
“Nu… nulla… è che… Kôga-kun…” provò a dire. Gli occhi di lui
si allargarono.
“COME CAZZO PUOI AVERMI SCAMBIATO PER QUEL LUPASTRO, CRETINA!” urlò, ma
la sua voce fu coperta da un rumore fortissimo. Il gruppo uscì in giardino, e
inorridì: uno yôkai mantide aveva distrutto il muro di cinta.
[Ha detto qualcosa… non ho sentito…] pensava Kagome. Ma nel contempo il
cuore batteva a mille alla vista del mostro che li fronteggiava.
“Kuzo(15)… meglio se vado a prendere…” iniziò a dire l’uomo. Ma un
arto dello yôkai-mantide si alzò, e si avvicinò pericolosamente a
Kagome-chan.
“KAGOME!!!” urlò lui, e si gettò addosso alla ragazza per proteggerla.
La parte acuminata dell’arto dello yôkai lo colpì alla schiena.
“Chikusho(16)…” bestemmiò.
“Otô-san! Tutto bene?” urlò Kikyô avvicinandosi, inorridita di fronte
al sangue che macchiava il retro della casacca del padre.
“Kikyô! Allontanati e mettiti al riparo!” l’uomo cercava di mostrarsi
sicuro, ma in realtà ansimava. [Maledizione… sto sforzandomi troppo per
mantenere l’aspetto umano… però Miroku ha ragione… e non posso prendere
Tessaiga… se lo facessi sarebbe ovvio…]
“Shi… kon… no… Ta… ma…” mormorava il mostro. “Datemi lo
Shikon no tama…”
“Tzk… per una cosa del genere ha quasi ucciso la povera Shiori-san!”
pensò ad alta voce Miroku. “Maledetto… se solo avessi ancora il kazana…”
“Sei impazzito Miroku? Già una volta uno yôkai mantide ti aveva quasi
ammazzato! Se tu avessi ancora il kazana non potresti in ogni caso usarlo!”
disse Sango. La sua voce mostrava preoccupazione.
“Sango ha ragione Miroku… stai indietro, ormai è inutile fingere…”
sbottò Inuyasha fissando Kagome-chan con amarezza. “Preparati dannato! Ora
inizia il bello…” l’hanyô scrocchiò le dita e si lanciò verso il mostro
[Forse se mi trasformo mentre corro riesco a non farmi vedere] pensò osservando
di sfuggita Kagome. Quell’occhiata fu il suo errore. Non notò la zampa del
mostro che gli si avvicinava da tergo.
“Otô-saaaaan!!!!!” l’urlo di Kikyô coprì quasi quello del padre,
colpito alla schiena dallo yôkai mantide. Nel momento in cui l’aveva colpito
la trasformazione di facciata dell’hanyô era scomparsa, i suoi capelli erano
tornati d’argento, le mani artigliate, gli occhi, spalancati, erano di nuovo
color ambra.
Ma Kagome-chan non se ne accorse: la sua attenzione era focalizzata su Kikyô…
che aveva iniziato a risplendere, furiosa.
“Tu…” gli occhi della ragazza lanciavano fiamme mentre ai lati della
testa iniziavano a intravedersi delle orecchie… canine? “Tu… hai osato
ferire mio padre! NON SOPRAVVIVERAI A QUESTO!!!!!” urlò. Il sangue si
ghiacciò nelle vene di Kagome-chan. Quella ragazza… era un hanyô? Ma allora…
Cadde in ginocchio, e quasi non seguì il successivo combattimento. Con una
mossa fulminea la ragazza si avventò contro il mostro e lo distrusse in un sol
colpo, esattamente come avrebbe fatto Inuyasha. Quella sua artigliata era così
dolorosamente simile al Sankon Tessô. Fu un attimo: l’attacco di Kikyô, una
luce accecante… lo yôkai mantide era ora in mille pezzi, mentre la sua futura
figlia si era accasciata al suolo, in mezzo ai suoi resti. Sembrava esausta.
[Ma allora… suo padre era proprio lui? Ma se è morto… vuol dire che
abbiamo avuto una figlia prima che morisse? Oppure… quell’uomo…] la
ragazza cercò con lo sguardo l’uomo ferito dalla mantide. Kikyô si era
ripresa, e lo stava aiutando a rialzarsi. Suo marito era un essere umano… non
c’erano dubbi.
Ma se era Inuyasha, o Kôga-kun… era diventato umano con lo Shikon no Tama?
E com’era possibile che Kikyô fosse un hanyô se lui non era più uno yôkai?
Che mal di testa…
“Ki-chan… ma come?” chiese Kagome sbalordita.
“Non lo so, oka-san. Nel momento in cui otô-san è stato colpito ho
sentito una terribile forza esplodermi dentro, non capisco neppure io che m’è
successo.” La ragazza stava tremando. Le orecchie erano scomparse, era tornata
ad essere la stessa Kikyô di sempre.
“Sapevamo che era possibile, Kagome…” disse l’uomo, che la figlia
aveva aiutato a sedere.
“Si, c’era la possibilità, ma non ne eravamo sicuri, il suo aspetto
lasciava molti dubbi in proposito.”
“Pare che i dubbi fossero infondati…” Inuyasha osservò Kikyô con
affetto. “Grazie Ki-chan. Lo sai che mi hai salvato la vita eh?”
“Otô-san… tu sei ferito, bisogna chiamare un dottore…”
“No non preoccuparti, ci penserà la mamma a prendersi cura di me…”
“Già, davvero, Ki-chan. E poi tuo padre non è ferito gravemente.”
Concluse Miroku con sicurezza. “Comunque, Kagome-sama penso che la nostra
ospite desideri tornare nel suo tempo. Potresti aiutarmi a riaprire il sigillo
del pozzo?”
I due si incamminarono verso l’hokora, mentre una sempre più frastornata
Kagome avrebbe avuto mille domande a cui dare una risposta.
“Sango-san… almeno tu vuoi spiegarmi? Io non ci capisco più niente. Lui
ha detto ‘E’ morto’. Se non si tratta di Inuyasha, CHI è? Kôga-kun? Come
mai Kikyô è un hanyô? Se è diventa…” la mano di Sango si posò sulla sua
bocca. La donna le sorrideva, cercando di incuterle sicurezza. Le appoggiò le
mani sulle spalle e le si mise di fronte, guardandola dolcemente.
“Kagome-chan, è inutile che me lo chiedi. Non posso risponderti.”
“Ma perché? Perché?”
“La felicità spesso comporta il sacrificio di qualcosa a cui si tiene. Se
tu venissi a sapere per filo e per segno quello che è successo, potresti
cercare di cambiarlo.” Gli occhi di Sango si incupirono.
“Io… prometto che non modificherò niente! Però ditemelo, non ce la
faccio…”
“Non possiamo. E’ già troppo quello che nostro malgrado hai potuto
capire… se ti dicessimo qualche cosa di più rischieremmo di rovinare la
nostra felicità.”
“Però, se questa felicità si potesse ottenere anche senza sacrifici…”
iniziò Kagome-chan. Sango scosse la testa, tristemente.
“Purtroppo tutte le scelte sono dolorose, Kagome-chan. Quando Naraku
ingannò me e la mia gente… se l’avessi saputo… ovviamente avrei impedito
che i miei cari morissero. Ma in questo modo…” il suo sguardo corse in
direzione dell’hokora, dove Miroku stava discutendo con Kagome. “in questo
modo non avrei mai incontrato voi… e non avrei mai trovato lui, mi capisci
Kagome-chan? Volevo troppo bene a chi è morto per non fare di tutto per
salvarli.”
Kagome-chan annuì, e si diresse, silenziosamente, verso l’hokora.
“Mirai no oka-san…(12)” la voce di Kikyô la fece girare. “Perdonami
per averti frainteso…”
“No, perdonami tu Kikyô… io non ti odio. Tua madre ha ragione, non odio
nemmeno l’altra Kikyô… sono solo gelosa… perché Inuyasha pensa solo a
lei, e non a me. Non badare alle mie parole di prima.” La ragazza annuì,
mentre gli occhi dell’uomo seduto lì accanto la fissarono, con malinconia.
Kagome-chan lo osservò, per un lungo momento, poi si incamminò verso l’hokora.
Pochi secondi, una grande luce… Inuyasha si alzò, apparentemente
ristabilito.
“Pare che gli anni non diminuiscano la tua capacità di guarigione,
Inuyasha.” Concluse Sango, sollevata.
“Keh… quello era solo un graffio… se fossi stato umano ora sarei all’ospedale
in condizioni precarie, ma per me non era niente.” L’uomo si era avvicinato
all’hokora, per constatare con i suoi occhi che Kagome-chan fosse andata via.
“Si, se n’è andata, Inuyasha. Puoi rilassarti.” La voce di Miroku lo
tranquillizzò. Lentamente lasciò che il suo vero aspetto tornasse a mostrarsi.
Ricordava ancora benissimo il giorno in cui Kaede-baba gli aveva insegnato come
fare, per fingersi un essere umano. La ringraziò di nuovo, mentalmente.
“Capisco le tue ragioni Miroku… ma per poco quella mantide del cazzo non
ci faceva fuori per mantenere il segreto.”
“Lo so bene, Inuyasha… ma se Kagome-chan avesse saputo, avrebbe tentato
di salvarlo.”
“E chi ci dice che…”
“Non ce lo dice nessuno… ma anche un singolo cambiamento tra passato e
futuro può mutare radicalmente gli avvenimenti successivi. Non possiamo sapere
che sarebbe successo…”
“Però… io non volevo che morisse. Mi sono sentito così impotente quando…”
“Inuyasha… non pensi che sia giunto il momento di usare questa?” Miroku
si avvicinò all’hanyô, che ancora teneva tra le braccia il corpo straziato
di Kikyô. Gli consegnò la sfera, ormai completa.
“La Shikon no Tama… per colpa di questo gioiello…” il ragazzo lo
prese in mano. Si, doveva impedirgli di causare altre disgrazie. Non voleva che
procurasse altro dolore… e l’unico modo per evitarlo era…
[Io desidero… essere una persona normale… per quelli a cui voglio bene.
Vivere una vita normale, con la donna che amo.] il suo sguardo cadde su Kagome
mentre si concentrava su questo pensiero con tutto se stesso. Chiuse gli occhi,
e una luce accecante lo avvolse. Ma quando li riaprì, vide che tutti lo
fissavano con stupore.
“Ano… Inuyasha… che cosa hai desiderato?”
“Di essere una persona normale…” rispose lui, stupefatto. Osservò le
sue mani… erano ancora provviste di artigli. “Perché non ha funzionato?”
“Io… che cosa hai pensato esattamente?” anche il monaco era sbalordito.
Inuyasha osservò la sfera: si era ridotta di dimensioni, ed era diventata quasi
bianca. Era cambiata! Ma perché LUI era rimasto uguale?
“Di essere una persona normale per quelli a cui voglio bene… e di vivere
una vita normale…” il volto dell’hanyô cambio colore “con la donna che
amo…” diede una rapida occhiata a Kagome e notò che anche il suo viso era
diventato paonazzo a quelle parole.
“Probabilmente la Shikon no Tama ha esaudito il tuo desiderio.” Concluse
Miroku.
“Ma come? Sono ancora un hanyô!” le braccia di Inuyasha tremavano per la
rabbia, mentre i pugni si stringevano con tutta la forza che gli era rimasta.
“Inuyasha… tu per noi SEI GIA’ una persona normale. Hanyô, yôkai o
umano… a noi non importa.” Lo sguardo di Sango era di una dolcezza unica. Il
ragazzo iniziò a fissare il pavimento, imbarazzato. Non ci aveva pensato, o per
meglio dire non aveva *voluto* crederci… che loro l’accettassero veramente
per quello che era, senza remore.
“Però… la seconda parte…”
“Probabilmente il gioiello ha solo fatto in modo che tu potessi condurre
una vita normale, senza trasformarti completamente in un umano.”
“Ma… come potrò vivere con Kagome e sposarla, se resto così?” chiese
lui. Si accorse subito dopo di quello che aveva detto, e il colore della sua
faccia si confuse con quello del suo kariginu. Lei era ferma, come paralizzata.
“Tu… vuoi vivere con me, Inuyasha?”[Vuole sposarmi? Ho capito bene?]
senza guardarla l’hanyô annuì. Lacrime di gioia iniziarono a scendere dagli
occhi di Kagome, mentre correva ad abbracciarlo.Il piccolo Shippô, felice,
saltellava dalla testa dell’uno alle spalle dell’altra, strappando a tutti
un sorriso.
Restarono per un po’ così, uniti. L’hanyô, quasi con timore, circondò
con le braccia le spalle della ragazza che aveva capito di amare, quella ragazza
che era stata per lui un’amica, una confidente… una casa. Si, la sua casa…
quella che non aveva mai avuto.
Poi Kagome si alzò, e iniziò ad incamminarsi verso Shippô-chan. Il
cucciolo aveva cominciato a correre in direzione del villaggio di Kaede e,
allegramente, li incitava a sbrigarsi. La ragazza sorrise, e il suo sguardo
cadde sul corpo della giovane miko, adagiato in terra accanto al cadavere di
Onigumo.
“Inuyasha. Che ne dici di scavare una fossa per loro due? Oppure vuoi
portare almeno lei al villaggio di Kaede?”
“Si… penso che la riporterò al villaggio… merita di stare lì non
trovi?” gli occhi del ragazzo erano di nuovo fissi al suolo, tristi. Decisero
assieme di riportare prima Kikyô al villaggio, e poi di tornare a seppellire
Onigumo: in fondo se non fosse uscito dal corpo di Naraku non l’avrebbero mai
distrutto… glielo dovevano.
Con delicatezza Inuyasha prese il corpo della donna che aveva amato sulle
spalle, e si incamminò per raggiungere Kagome.
Ma all’improvviso si udì un sibilo.
“KAGOME!!!! ATTENTA!!!!” Un tentacolo si avvicinava a velocità
supersonica alla ragazza. Lei non fece in tempo a girarsi, e si accovacciò a
terra, cercando di coprirsi, urlando.
“Ti proteggo io, Kagome!” Il piccolo Shippô si frappose tra il tentacolo
e lei “Kitsune bi!(20)” ma il fuoco fatuo non fu abbastanza potente…
“SHIPPÔ-CHAN!!!!!””Shippô!” in pochi attimi, tutto il gruppo fu
accanto a Kagome, mentre Sango distruggeva con hiraikotsu l’ultimo rimasuglio
di quello che era stato Naraku.
“Tzk… per colpa di questo…”
“Shippô-chan! Parlami…” gli occhi della ragazza in divisa scolastica
erano pieni di lacrime mentre tentava di far riprendere i sensi al kitsune. Il
corpicino del piccolo era abbandonato, quasi senza vita, ma sembrava respirare
ancora. Anche Inuyasha cercava di farlo riprendere. Non si era mai reso conto di
quanto amasse quel cucciolo… ed ora era troppo tardi.
“Kagome…” Shippô aprì gli occhi, e parlò a fatica. La macchia rossa
sul petto si allargava sempre più. “perché sei triste? Sono stato bravo, ti
ho salvata…”
“Si, Shippô-chan…”
“Sono riuscito a proteggerti… questo vuol dire che sono grande, vero?”
“Sei grande, si…” la ragazza gli accarezzava dolcemente il viso mentre
parlava: il piccolo impallidiva sempre più. “Starai bene, Shippô-chan... ah
no, Shippô-kun. Una cosa del genere non può uccidere uno yôkai forte come te,
vero?”
“Kagome… sono un cucciolo, ma non sono mica stupido…” la mano della
ragazza scivolò dalla guancia, mentre si chinava a piangere abbracciandolo. “Non
fare così, io sono contento… però… devi promettermi una cosa, e anche tu
Inuyasha.”
“Che?” pure l’hanyô aveva gli occhi lucidi. Non era stato in grado di
proteggere Kagome. E per colpa sua ora Shippô… un piccolo che aveva tutta la
vita davanti a sé…
“Io… voglio rinascere come figlio di Kagome. Quindi vedi di farla felice
va bene? Non mi va di avere una mamma triste.”
L’hanyô allargò gli occhi a quella semplice richiesta. Annuì, e strinse
più forte il pugno che conteneva la sfera, desiderando con tutto se stesso che
il sogno di Shippô si avverasse.
“Miroku…”
“Si?”
“Anche tu devi promettermi una cosa…” la vocina di Shippô era sempre
più flebile, quasi un sussurro.
“Dimmi.” Il monaco non riusciva più a parlare, il groppo alla gola era
troppo forte. Anche lui voleva molto bene al piccolo kitsune.
“Devi promettermi che non farai più piangere Sango, che ti metterai con
lei.”
“Shippô-chan…” l’interessata arrossì e distolse lo sguardo.
“Sango, non fare così… perfino io so che ti piace Miroku.”la ragazza
arrossi ancora di più, e lanciò una breve occhiata al monaco. Shippô sorrise.
Anche Miroku, ora, sembrava imbarazzato. Avrebbe voluto spezzare la tensione
con una delle sue solite toccatine… ma si contenne: non era il momento di
scherzare. Annuì molto seriamente al piccolo Shippô, che sembrò più sereno.
“Kagome…” sussurrò il kitsune. La ragazza si avvicinò, cercando di
ascoltare quello che avrebbe voluto dirle. Ma nient’altro uscì dalle labbra
del cucciolo.
Miroku recitò una preghiera a Buddha e gli chiuse gli occhi, che erano
rimasti fissi su Kagome.
Le due ragazze scoppiarono in lacrime. Il monaco intonò un canto funebre,
con voce malferma, mentre l’hanyô sbatteva il pugno per terra e si alzava per
allontanarsi. Voleva apparire stizzito, ma le sue labbra stavano tremando.
“Non è stata colpa tua, Inuyasha…” Kagome gli mise le braccia intorno
al collo, da dietro, cercando di consolarlo. Anche per lei il ricordo era ancora
troppo doloroso.
“Ma… se io avessi fatto più attenzione…” una mano della donna gli
chiuse le labbra. Avvicinando la bocca al suo orecchio, gli sussurrò:
“Smettila di caricarti sulle spalle le colpe di tutti. Non è stata colpa
tua, non avresti potuto fare niente, nemmeno volendo…”
“Però… lui voleva rinascere come tuo figlio. Io ho sperato che il suo
sogno si avverasse e quando ho aperto la mano con la sfera, non l’ho più
trovata. Pensavo che si fosse distrutta per esaudire il suo desiderio… e
invece…”
“Beh, ci ha messo qualche anno in più del previsto, però…” la donna
sciolse il suo abbraccio, e si mise di fronte a lui, mostrandogli un sorriso
obliquo.
“Che cosa intendi dire, Kagome?”
“Kagome-sama, oggi sei andata a fare una misteriosa visita… e quando sei
tornata avevi un incarto strano in mano. Con tutto il subbuglio causato da
Kagome-chan me ne ero scordato. Non sarà che…”
La donna sorrise di nuovo e mise una mano sul ventre, guardando di sottecchi
Inuyasha. Il volto del marito cambiò colore.
“Vuoi dire che…”
“Esattamente!” il sorriso si fece più radioso mentre lui la prendeva in
braccio facendole fare una giravolta, e poi l’abbracciava, cautamente. “Quindi
vedi di mantenere la tua promessa… tô-chan…”
oOoOoOoOoOoOoOoOo
Kagome-chan stette per un po’ con gli occhi chiusi, sul fondo del pozzo.
Aveva quasi paura ad aprirli… e se non fosse tornata nel suo tempo, o nel
periodo Sengoku? Se fosse arrivata ancora una volta nel periodo sbagliato? Che
ne sarebbe stato di lei?
“Inuyasha, non pensi che potremmo almeno andare a fare un giro di
perlustrazione qui nei dintorni?”
“Già… credo anche io che dovremmo farlo, in fondo Kagome-chan non è mai
stata via per meno di tre giorni.”
“Baaaaaah… quella scema… non che me ne freghi niente di lei però…
non mi va di muovermi, ecco.”
“Inuyasha… dì la verità, vorresti andare nel futuro da Kagome e
riportarla qui…”
Le voci dei suoi amici risuonavano dalla superficie. Quindi era tornata… e
nell’epoca Sengoku! Non aveva sbagliato di nuovo…
I battiti del cuore di Kagome aumentarono rapidamente. Inuyasha aveva detto
che se ne sarebbe andato via subito… e invece era ancora lì ad aspettarla. La
botta che aveva seguito il commento del kitsune e il pianto subito successivo
non lasciavano dubbi sulla reazione dell’hanyô, ma a lei non importava.
Quasi con urgenza si aggrappò ai rampicanti che adornavano il pozzo, e uscì
allo scoperto. Il cucciolo smise subito di piangere.
“Kagome, sei tornata!”
“Hai fatto presto stavolta, Kagome-sama!”
“Ma non avevi quel test del cavolo? Keh… non abbiamo manco fatto in tempo
a muoverci che sei tornata…” l’hanyô non la guardava, e appariva seccato,
ma gli occhi di Kagome si riempirono di lacrime.
[E’ di nuovo davanti a me… è vivo. E’ il solito scemo di sempre… ma
è davanti a me.] il ragazzo si voltò a guardarla e rimase come sconcertato
mentre lei gli volava tra le braccia. Piangeva… ma erano lacrime di gioia.
“Kagome… ma… che…?”
[Non so che cosa mi riservi il futuro, e francamente non m’importa. So
soltanto che, qualunque cosa accada… qualunque… voglio stare al tuo fianco,
Inuyasha!]
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