Il riposo del guerriero

di Kai_Harn
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Ecco la mia seconda fanfic su Rurouni Kenshin. Stavolta è dedicata al grande Aoshi “genio silenzioso” Shinomori. L’ispirazione mi è venuta guardando due episodi della serie Tv: il breve combattimento tra Shishio e Aoshi e un’altra puntata (che non esiste nel manga) tutta incentrata su Aoshi e Misao.

Ultima cosa: il titolo è un tantino stupido, ma mi è sembrato adatto.

 

 

IL RIPOSO DEL GUERRIERO

 

Il tramonto avanzava dolcemente sui tetti della bella Kyoto, l’antica capitale del Giappone, avvolgendone le mura regali con la sua morbida luce arancione, mentre una piccola falce di luna risaltava con eleganza nel cielo reso violaceo dagli ultimi raggi di sole.

Pian piano la luce abbandonava l’atmosfera, lasciando posto alla cupa bellezza della sera.

La città, sempre in pieno fermento, cominciava a lentamente a svuotarsi, e i suoi abitanti, concluse le attività diurne, tornavano in fretta alle proprie dimore per godere del meritato riposo.

Le strade divenivano vuote e silenziose, e solo di tanto in tanto si udivano rari passi pieni di fretta.

Lungo una di quelle vie avanzava, con calma, un giovane. Alto, dallo sguardo cupo, vestito di scuro, sembrava quasi volersi confondere con le ombre della sera.

Camminò per un po’, sino a giungere di fronte ad un grande edificio illuminato, sulla cui facciata faceva bella mostra di se un’insegna: Aoiya albergo-ristorante. Lì si fermò, bussando leggermente dinanzi all’ingresso. Ad aprire fu una giovane donna in kimono, che lo salutò con deferenza.

“Bentornato Aoshi-sama”.

Lui chinò semplicemente la testa, poi entrò, chiudendosi la porta alle spalle.

Attraversò una grande sala, poi entrò nella cucina dell’Aoiya, dove, in un angolo, si mostravano una piccola tavola apparecchiata e dei piatti di vivande.

“Aoshi-sama, la cena è pronta” lo avvertì la stessa fanciulla che gli aveva aperto.

“Grazie Omasu”.

“Di nulla. Ah, Okina è uscito. Credo sia andato di nuovo a giocare”

“Già, e stavolta si è portato anche Shiro” intervenne un’altra ragazza che entrava in quel momento, con le braccia cariche di piatti “Per fortuna che il ristorante ha appena chiuso …comunque se hai bisogno di qualcosa puoi chiamare noi, oppure Kuro…o Misao….” continuò, interrompendosi subito.

“Non ho bisogno di nulla, ma vi ringrazio lo stesso”.

“Noi torniamo al lavoro allora…”

“Buona notte…” le salutò Aoshi.

Uscite le due ragazze, l’ex capo degli Oniwabanshu concluse in silenzio la sua cena e si incamminò verso il retro dell’edificio, in direzione della sua camera.

 

Salì le scale di legno con calma, sino a raggiungere il lungo corridoio degli alloggi riservati agli Oniwabanshu, situati in posizione strategica.

Da una parte la stanza di Okina, vuota al momento. Poi la stanza condivisa da Omasu e Shiro, un po’ più isolata. Vicino alle finestre ad ovest quelle di Ochika e Kuro. Infine la sua camera e, un po’ più lontana, quella di Misao…

 

Aoshi giunse dinanzi alla sua porta, ma non entrò subito. Rimase fermo, come indeciso. Il suo sguardo corse verso un’altra camera.

” mormorò, prima di entrare nel suo alloggio.

Il rumore prodotto era stato minimo, ma bastò perché la porta accanto si aprisse leggermente, lasciando scorgere al giovane il balenio di una lunga treccia nera, che subito scomparve lasciandosi dietro solo il rumore di una porta scorrevole chiusa in gran fretta.

disse Aoshi, guardando tristemente l’uscio della camera di Misao.

continuò, rivolto più a se stesso che ad altri, chiudendo la porta.

CAPITOLO 1: AOSHI

Da quando ero tornato all’Aoiya era trascorso parecchio tempo. Battosai e gli altri erano tornati a Tokyo e i miei compagni lentamente si riprendevano dalle ferite che quella spietata guerra gli aveva procurato.

Ora che tutto era finito, non avevo avuto altra scelta che rimanere a Kyoto con Okina e gli altri Oniwabanshu. Ero sfinito, nel corpo e nell’anima; uscivo da un periodo terribile che mi aveva distrutto psichicamente.

La morte di Hannya, Shikijo, Beshimi e Hyottoko.

Il mio mortale addestramento solitario.

La ricerca di Battosai.

Il tradimento dei miei compagni, che era quasi costato la vita al mio maestro.

Il senso di colpa che mi attanagliava me lo portavo chiuso nell’anima, senza che in qualche modo riuscissi a liberarmene.

Vedere i ragazzi dell’Aoiya trattarmi come se ancora fossi stato il loro capo mi faceva male, poiché non comprendevo come potessero non odiare me, che li avevo venduti a Shishio pur di soddisfare la mia sete di vendetta. Invece mi avevano accolto nuovamente tra loro, senza serbarmi alcun rancore…

Vedere ogni mattino il sorriso di Misao, che mi augurava il buon giorno, mi provocava una stretta al cuore…e mi ricordava il mio buon Hannya, che a quella piccola peste era molto affezionato.

Hannya…morto per colpa mia, per impedire ad un vile di uccidermi con quel maledetto Gatlin Gun.

Hannya….che si era fatto la faccia a pezzi per esprimere l’adorazione che nutriva per il suo Okashira. Quello stesso Okashira che ora era un uomo distrutto, ridotto l’ombra di ciò che era un tempo. Un’ombra solitaria, che trascorreva le sue giornate in silenziosa meditazione, chiuso nella sua stanza sul retro dell’Aoiya.

Non riuscivo a reagire in nessun modo, o forse, non volevo. Non volevo compiere quello sforzo mentale che mi avrebbe liberato dal passato. Ed ormai credevo che quei fantasmi sarebbero rimasti con me per sempre, pronti ad invadere ogni fibra del mio essere………lo credetti per molto tempo, sino a che non giunse una svolta che mi aprì la mente…

CAPITOLO 2:

 

Era una calda serata estiva, lunga ed afosa, come nella migliore tradizione di Kyoto.

L’Aoiya era vuota, poiché Okina e gli altri si erano recati tutti insieme all’annuale festa organizzata dal tempio dove andavo a pregare.

Io stavo nella mia camera, intento a sfogliare, senza prestarvi però la minima attenzione, un vecchio libro di filosofia occidentale.

Il pesante calore che proveniva dal pavimento mi opprimeva terribilmente, ed a nulla serviva il ventaglio che continuavo ad agitare convulsamente di fronte al viso.

Pressato da quell’afa insopportabile, mi avvicinai alla finestra, sperando di trovare un po’ di sollievo. Lì fuori soffiava una brezza leggera ed invitante, così, senza neanche pensarci troppo, mi sporsi, per cogliere al meglio la leggera frescura che mi si offriva.

Nonostante il caldo la serata era molto bella; una di quelle tipiche sere estive senza alcuna nube a turbare il cielo. Il firmamento era ricoperto di stelle luminose, mentre la luna piena stava li, immobile nella sua pallida calma.

Da quanto tempo non mi ero fermato ad osservare la volta celeste nella sua bellezza….tanto tempo, troppo.

I raggi lunari esercitavano su di me un fascino quasi magnetico, così chiari, quasi spettrali. Quella sera illuminavano dolcemente una piccola parte del cortile interno dell’Aoiya;

mentre mi rilassavo, contemplando la bianca compagna del sole, mi accorsi che, nell’ombra del piccolo porticato, qualcosa si muoveva.

Aguzzai la vista, nel timore che potesse trattarsi di un intruso, ma, per fortuna, mi sbagliavo.

Grazie ad un provvidenziale raggio di luna, mi accorsi, infatti, che, il supposto sconosciuto non era altri che Misao. Probabilmente anche lei si sentiva oppressa da quel clima impossibile, e cercava, come me, di trovare sollievo nella frescura del cortile.

Mentre riflettevo, Misao smise di camminare e si sedette quasi sotto la mia finestra. Per un po’ rimasi fermo ad osservarla; lei non parve per nulla accorgersi della mia presenza e non si mosse per nulla dalla sua postazione, anzi, si sedette sul pavimento di legno e chiuse gli occhi.

Neanche io cambiai posizione, anzi, continuai a rimanere alla mia finestra, quasi a vegliare su di lei dall’alto.

Quel momento mi ricordò qualcosa accaduto molti anni prima nello stesso luogo. Un fatto che risaliva a quasi dieci anni prima, a quando avevo lasciato Misao a Kyoto.

 

Un uomo dal volto coperto

/Misao, stai attenta o ti farai male/

Una bambina in un cortile

/Dai Hannya, voglio ancora giocare/

Me stesso affacciato ad una finestra

/Capo, convincila tu/

Uomini che ridevano

/Che carattere, sarà la disperazione di Okina/

Un infantile sorriso

/Dai, dai, dai, Hannyaaaa/

Hannya ormai rassegnato

/E va bene piccola peste/

Un visetto che si alzava verso l’alto

/Aoshi-sama, hai visto come sono brava?/

Chiusi gli occhi e li riaprii, spaventato dal passato che, tutt’ad un tratto mi aveva assalito.

Richiusi gli occhi di nuovo, e di nuovo un vortice di volti, voci, risate, mi sommerse…ricordi… che credevo di aver sepolto ormai da tempo.

Come in un caleidoscopio di emozioni, tutto tornava alla mente; rividi me stesso, poco più che adolescente, vidi Misao ancora bambina, intenta a saltellare appesa al braccio di Shikijo, lo stupore di Beshimi, gli sguardi di tutti i compagni ormai perduti.

Strano. Era da tanto che non riuscivo a ricordarli così serenamente. Per me la loro memoria era solo morte e disperazione, quasi che avessi dimenticato che insieme avevamo trascorso anche momenti felici.

Solo ora ricordavo che era esistito davvero quel tempo lontano nel quale ero stato il valoroso capo degli Oniwabanshu.

Mi sembrava che un’eternità fosse trascorsa da quegli antichi splendori…ma, stranamente riuscii a riportare tutto alla memoria. Gli eventi che in dieci lunghi anni si erano succeduti e poi quelli più recenti.

Più dolorosi.

Quelli che avrei voluto cancellare più d’ogni altra cosa.

Eppure, ora, ricordare i miei uomini non mi dava dolore. Solo una sensazione di nostalgia. Sembrava che il dolore si sbiadisse, come un foglio bagnato dalla pioggia.

Pioggia.

Forse di lacrime.

Le lacrime che qualcuno che mi aspettava da anni aveva versato per me.

Ricordavo ancora benissimo le parole di Battosai, quelle che mi aveva detto durante il nostro ultimo duello:

“Quella ragazza così forte ha pianto lacrime vere quando le ho promesso che ti avrei riportato da lei…..questo lo sai? Per quanto sia forte è pur sempre una ragazza di sedici anni…chi può rispondere alle sue lacrime…per lei in questo mondo ci sei solo tu”.

Chissà perché, in quel momento quelle frasi mi rimbombavano nella testa….

“per lei ci sei solo tu…per lei ci sei solo tu…”.

Mi sembrava quasi di vedere Battosai di fronte a me, con la spada in pugno, ripetermi sino all’ultimo di tornare me stesso.

E poi, morto Shishio, avevamo preso la strada del ritorno…verso l’unico luogo dove potevo tornare.

“Bentornato….Aoshi-sama”.

Urla di gioia, lacrime, mi avevano accolto…senza nessun rancore.

Nessuno.

Nessuno mi odiava per il gesto orribile che avevo fatto.

Mi avevano perdonato, ma io non riuscivo a fare lo stesso nei miei confronti. Mi detestavo profondamente….e così erano trascorsi quasi due mesi.

Solo ora, un flebile ricordo d’un tempo ormai perduto, mi aveva riportato alla realtà. Come se lo spirito del vecchio Aoshi fosse nuovamente tornato nel mio corpo.

E sapevo di chi era il merito.

Sin da quando era piccolissima, le ero sempre stato molto affezionato. Il vecchio capo, suo nonno, me l’aveva affidata, raccomandandomi di averne cura. E così era stato per tanto tempo.

Da bambina mi seguiva ovunque, riversando su di me e su Hannya e gli altri tutto il suo affetto.

Quando decidemmo di lasciarla a Kyoto, lo facemmo perché desideravamo che avesse una vita normale, un futuro; e che avvenire poteva avere, viaggiando senza meta con un gruppo di ninja che tentavano di mantenere saldo l’onore degli Oniwabanshu di Edo?

Per questo ce ne andammo senza salutarla…per il suo bene.

Sapevo che non dovevo preoccuparmi per lei; Okina era una delle persone di cui più mi fidavo e si sarebbe preso cura di lei come un padre.

Trascorsero quasi dieci anni senza che ci rincontrassimo, ma non per questo l’avevo dimenticata.

Anzi. L’affetto che provavo per lei non era per niente diminuito.

Era un affetto quasi paterno il mio, ma, da quando abitavo all’Aoiya, lentamente mi rendevo conto che non era più una bambina.

Lentamente, la ragazzina turbolenta che conoscevo, era cresciuta.

Stava diventando una donna. Certo, non era bella quanto Megumi Takani o Yumi Komagata, ma non mi importava affatto…

Misao era una donna. Che mi amava. Che riusciva ancora a volermi bene.

Senza accorgermene, mentre ancora la guardavo, una lacrima scese lentamente lungo il mio viso.

Lacrime di gioia? Lacrime di liberazione? O di commozione? Ancora non lo so.

Ma so che da quel momento capii che io non ero più un patetico relitto del passato.

Potevo ancora…sperare….

E scesi velocemente le scale, correndo in direzione del mio piccolo angelo……….





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