Eccovi il seguito di "Sugisaru Mono O". Volevate
sapere come sarebbe finita la relazione tra il bel Seijuro e Ochika?
Spero vi piaccia.
Non volevate saperlo? Pazienza, ormai la fanfic c'è!
PER UNA NOTTE, PER UNA VITA
Non so in che modo dovrei iniziare a raccontare la mia vita.
Forse con uno squallido "il mio nome è…".
Peccato che io non ami per niente le cose troppo formali.
In ogni modo, il mio nome è Hiko Seijuro, ultimo successore
della scuola Hiten Mitsurugi, nativo di Kyoto e lì abitante
da circa quando la mia memoria ricordi.
Non sono più giovanissimo, anzi, ho da poco raggiunto l'età
nella quale un uomo può definirsi maturo. Ma l'aver compiuto
55 anni non mi da alcun problema. Ho intenzione di vivere sino
a che il re Enma non m'inviterà personalmente alla sua
scura dimora, cosa che spero accada il più tardi possibile.
Mentre scrivo queste cose, vedo un'ombra che si avvicina lentamente
a me.
Un corpo si muove dal buio della camera, per venirmi vicino e
dirmi
"sei ancora sveglio?".
La mia risposta è subito pronta
"aspettami, non tarderò molto".
Lei si allontana di poco, e scioglie i suoi capelli neri.
Curioso che, dopo tanto tempo, profumino ancora della medesima
fragranza di lavanda.
Lo stesso aroma di quando la conobbi, più di dieci anni
fa…
Penso spesso a quel momento, e mi chiedo se sia stato il destino
a volere quell'incontro, quasi fortuito.
Avevo vissuto sino ai 43 anni, solo, nel mio eremo in montagna,
senz'altra compagnia che una spada. Non avevo contatti con la
gente per una mia precisa scelta, poiché quella vita non
mi dispiaceva per nulla.
Il mio tempo scorreva sempre uguale, scandito dalle rare discese
in città per vendere le mie ceramiche ed acquistare quel
sakè che mi piaceva tanto.
L'imprevisto giunse un giorno di maggio, assieme alla visita del
mio stupido allievo.
Kenshin, trentenne dal viso di bambino, era giunto a Tokyo dopo
più di 15 anni di lontananza, chiedendo il mio aiuto per
scongiurare la minaccia di un uomo. O meglio, un demone dal volto
umano di nome Makoto Shishio. Un crudele relitto del passato affetto
da mania di conquista che aveva l'intenzione di sottomettere il
Giappone con un folle piano.
E così, mentre l'ex Battosai, ora redento, andava a
sconfiggere il folle Shishio, io accettai di proteggere i suoi
amici. Passai ore a cercare la base degli Oniwabanshu, ed arrivai
appena in tempo per battere l'ultimo nemico, un uomo dal corpo
gigantesco, che sconfissi senza troppe difficoltà.
Concluso il duello sarei potuto benissimo tornare al monte Amagatake,
ma decisi invece di rimanere li, ad attendere l'arrivo di Kenshin.
Sapevo che sarebbe tornato, non avevo dubbi. La sua volontà
di vivere era troppo forte e, sapevo anche per merito di chi.
La ragazza dai capelli neri che era venuta a Kyoto solo per rivederlo,
una giovane dal volto grazioso, che ora stava seduta poco lontano
da me, con gli abiti a brandelli e un'espressione stanca sul viso.
Aveva un'apparenza fragile, ma aveva combattuto contro la donna
dalla grande falce (che scoprii poi essere un uomo) insieme a
quella ragazzina magra.
Curiose creature, le donne.
Non le conoscevo molto bene, ma nell'immaginario comune giapponese
erano esseri eterei e delicati, buoni per la cerimonia del te,
per camminare con passettini aggraziati e magari cantare con voce
dolce qualche melensa canzone. O per lo meno, quello facevano
le geishe, unici esponenti del sesso femminile che conoscessi.
Le donne che in quel momento mi stavano intorno….non avevano
assolutamente nulla di tutto ciò, visto che erano state
in grado di battere ben tre delle 10 spade di Shishio.
Sapevo che Kaoru Kamiya era una maestra di spada. Le altre tre
invece erano kunoichi, le famigerate donne ninja, spesso più
spietate degli uomini, se non più forti.
Gli onesti borghesi sarebbero rimasti sconvolti nel vederle seminude,
coperte di ferite, occupate ad armeggiare tra paioli sporchi nel
tentativo di preparare il tè.
Una delle tre, la più alta, venne ad offrirmi una tazza
colma di liquido bollente.
Io rifiutai, non avevo mai sopportato quella bevanda.
Lei non si scompose, ma si inoltrò in mezzo alle rovine
del ristorante, sino a che non tornò trionfante con una
fiaschetta.
Conoscevo bene quel genere di contenitori. Era sakè, che
lei aveva cercato apposta per me.
Con grazia si avvicinò, porgendomi un bicchiere, e versandomi
il liquore con un sorriso.
"Grazie…". Mi interruppi. Non conoscevo il suo
nome.
"Ochika, Hiko-sama" rispose.
"Grazie Ochika".
Nel tempo in cui rimasi li, seduto nell'attesa, ebbi il tempo
di osservarla attentamente.
Era alta, con un bel corpo e lunghi capelli neri fermati da una
fascia blu sulla fronte.
Non so perché mi interessasse tanto, forse perché
avevo notato che coglieva troppo spesso ogni occasione per ronzarmi
intorno, fissandomi credendo di non essere vista.
Sapevo cosa esprimessero quegli sguardi, così, pochi giorni
dopo, mi presentai all'Aoiya, con una futile scusa.
Da allora in poi, quasi per scherzo, nacque una strana relazione,
fatta d'incontri furtivi, occasionali, segreti, forse, per il
resto del mondo.
Un orso solitario e una donna ninja, ambedue senza famiglia…davvero
una strana coppia, quella che formavamo.
Coppia…non si può affermare che lo fossimo davvero.
Per mesi continuammo a vederci una notte ogni sette, quando lei
sacrificava il suo unico giorno di libertà per raggiungermi
al monte Amagatake.
Notti lunghe, appassionate, che svanivano all'alba, quando con
il sole nascente, lei correva via verso Kyoto.
Nei giorni seguenti, quando attendevo che lei tornasse, mi chiedevo
cosa per me davvero significasse tutto ciò.
Io ero abituato alla solitudine, alla monotonia di una vita solitaria,
ma non per questo ero infelice. Il resto dell'umanità non
mi interessava, poiché tutto quel che poteva servirmi lo
possedevo già.
Una spada, un mestiere che mi desse da vivere, un buon fiasco
di sakè. Questo quel che mi era utile.
Quella donna, invece, così diversa dalle servili geishe
di basso rango che frequentavo, aveva portato con se qualcosa
di sconosciuto. Come un vento profumato, pronto a spazzar via
i fumi della solitudine.
Non solo perché era bella, no, ma perché con lei
potevo parlare d'armi e guerre. Aveva vissuto le guerre di fine
shogunato sia a Tokyo sia a Kyoto, e conosceva molte cose che
non sapevo.
Spesso però era fredda, scostante, a volte senza motivo,
altre volte dolce come una bambina.
Nei primi mesi non pensai mai a cosa potesse condurmi la strada
che avevo imboccato.
Avevo trovato un'amante, con la quale avevo la certezza di incontrarmi
spesso. Ma non capivo perché quello non mi bastasse più.
Volevo più di quelle poche ore notturne, ma non riuscivo
ad esprimerlo, né a lei…ne a me stesso, sino a che
fui costretto a chiarire i miei sentimenti.
Durante una notte insonne, capii che il fiero Seijuro Hiko si
era stancato della solitudine, e voleva dividere con qualcun altro
la sua esistenza.
Spada e sakè non bastavano più.
Quella sensazione d'insoddisfazione si era esplicata in qualcosa
di molto diverso.
Il mio cuore si era aperto…e sapeva ciò che cercava.
Adesso sono passati più di 10 anni.
Non sono più lo stesso. Sono invecchiato e forse anche
stanco. Ho compiuto il mio dovere tramandando le ultime tecniche
della scuola e non ho più voglia di riprendere un altro
allievo. Preferisco rimanere l'ultimo Seijuro Hiko e trascorrere
in pace il resto della mia esistenza.
Adesso non vivo più solitario, ma divido il mio destino
con la mia dolce compagna.
Lei per me ha lasciato l'Aoiya e i suoi compagni, ed io ho ricambiato
il suo gesto scendendo sino a Kyoto, abbandonando senza rimpianti
il monte Amagatake.
Viviamo insieme da nove anni, dal giorno nel quale decisi che
non volevo averla con me solo per una notte, ma per tutta la vita.
La vedo avvicinarsi di nuovo, e abbandono queste pagine che
scrivo.
Meglio raggiungerla ancora una volta nel nostro comune giaciglio.
Spengo la lanterna, ed il buio ci avvolge…
FINE
Nota finale:
spero che nessuno venga mai ad uccidermi, ma che ci posso fare
se sono una romantica sognatrice?
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