Un
grazie grosso come una casa (e anche di più) a mia cugina di
328479732764 grado essie.
All'inizio l'idea per questa one shot era sua, poi per mancanza di
tempo me l'ha ceduta (se così si può dire) e io ho scritto. Ho preso
spunto da Breaking Dawn per alcune scene, come vedrete.
Ci sono voluti due mesi per scriverla. E' la mia prima storia. Buona
lettura ^^
Nontiscordardimè
Isabella prese un respiro profondo, preparandosi psicologicamente a ciò
che stava per fare, gli occhi scuri rivolti fissi davanti a sé. Era da
pazzi, lo sapeva, ma le era impossibile evitarlo: quando, dopo essersi
svegliata ancora una volta
sul tappeto color panna che ricopriva il pavimento dinanzi al divano su
cui si spesso si addormentava, aveva visto la tempesta incombere
minacciosamente sulla città, aveva cercato di prepararsi per il lavoro
il più presto possibile, per evitare l’apocalisse.
Inutile dire che aveva miseramente fallito.
Il temporale, carico di impenetrabili nuvole nere, si era abbattuto su
Londra, investendo la città con una pioggia fitta e continua e un vento
in grado di far volare anche un bambino appena Isabella aveva messo
piede fuori dal bagno, vestita e pettinata.
Adesso si trovava a pochi centimetri dal diluvio, il vento che le
sferzava il viso violentemente, pronta ad attraversare la tempesta per
raggiungere l’auto che aveva avuto la splendida idea di parcheggiare
dal lato opposto della strada rispetto al portone del condominio in cui
abitava – cosa che, tra l’altro, non faceva mai –, e tutto questo per
andare a lavorare da un direttore creativo che non mancava di lanciarle
occhiate languide ogni giorno e da un art director che stentava a
sopportare.
Tuttavia, Isabella amava il suo lavoro. Faceva la copywriter in una
famosa agenzia pubblicitaria, e, in breve, tutto ciò che doveva fare
era lavorare assieme all’art director e scrivere tutte le parole che
sarebbero comparse nelle pubblicità. Fino a due mesi prima l’altro
membro della coppia creativa era Alice Brandon, una ragazza con un
enorme talento che Isabella adorava. Peccato che, proprio per il suo
enorme talento, ad Alice era stato offerto un lavoro più prestigioso e
lei aveva accettato al volo, seppur infelice di dover lasciare l’amica.
Un lavoro in America, quindi non c’era possibilità di incontro.
Malauguratamente, al suo posto era arrivato Edward Cullen. Le giornate
di Isabella erano piene di scintille – di rabbia, s’intende – da quel
giorno sfortunato.
Edward Cullen aveva ventisei anni e viveva ad Hampstead. Naturalmente, aggiungeva sempre lei
mentalmente ogni volta che ci pensava. Figurarsi se il principino si mescola con
i comuni mortali che vivono in zone normali e pagano l’affitto,
sbuffava poi. Andavano d’accordo solo mentre lavoravano, altrimenti
battibecchi e frecciatine erano all’ordine del giorno. A Isabella
quell’uomo non andava a genio, proprio no. Ma, chissà come, le loro
creazioni erano sempre le migliori: le più originali, le più adatte.
Doveva ammetterlo, in coppia lavoravano splendidamente.
Fece un altro profondo sospiro, trattenne il fiato e si lanciò sotto
l’acqua pressante, le mani alzate sulla testa nel vano tentativo di
ripararsi almeno i capelli. Le goccioline penetrarono sotto la sua
sciarpa, scivolando sotto il cappotto e il vestito, scorrendo sulla sua
schiena nuda, facendola rabbrividire e infondendole una terribile
sensazione di gelo. Imprecò a gran voce quando le chiavi dell’auto le
scivolarono dalle mani bagnate e finirono in una pozzanghera. A quel
punto non si preoccupò più di coprirsi il capo: ormai era già
interamente bagnata. Recuperò le chiavi e le aprì velocemente la
macchina, la accese e azionò il riscaldamento prima ancora di sedersi.
‹‹Dio grazie›› mormorò, abbandonandosi stancamente contro lo schienale.
Osservò per qualche minuto la pioggia infuriare al di fuori, ricoprendo
d’acqua i vetri dell’auto, poi si ridestò e partì lentamente verso
l’agenzia pubblicitaria.
‹‹Buongiorno, Isabella!›› la salutò Rosalie, la bionda segretaria di
Jacob Black – il direttore creativo – dalla sua postazione. La sua voce
squillante fece sobbalzare Isabella, la quale ricambiò il saluto con un
sorriso stentato, celando uno sbadiglio.
‹‹Dovresti dormire di più›› la accolse Edward Cullen appena entrò nella
saletta riservata a loro. Non riusciva a capacitarsi di come potesse
essere sempre in anticipo, seduto al computer con una tazza di caffè in
mano ogni mattina.
‹‹Io dormo›› borbottò Isabella. Si spogliò di sciarpa e cappotto e si
versò un po’ di caffè dalla brocca che tenevano sul banco che correva
per tutta la parete destra.
‹‹Oh, certo›› sghignazzò lui, voltandosi per guardarla in viso ‹‹sono
occhiaie quelle che vedo?››.
‹‹Io dormo›› ripeté, bevendo avidamente un sorso. Per poco non lo sputò
nella tazza. ‹‹Che schifo! Non hai messo lo zucchero!››.
‹‹Io lo bevo senza››
‹‹Bene, Mr. Egoismo, la prossima volta che decidi di prepararlo cerca
di ricordartelo›› lo apostrofò Isabella, abbandonando la tazza sul
tavolo.
Edward trattenne una risata ma non disse altro, limitandosi a terminare
il suo caffè bollente e senza zucchero, come piaceva a lui: era l’unica
cosa che riusciva a farlo stare in piedi, la mattina.
‹‹Cos’abbiamo oggi?›› domandò Isabella, già dimentica del piccolo
incidente del caffè. Scostò la sedia dal lato opposto del tavolo
rispetto a Edward e vi si abbandonò, incurante del suo sguardo fisso,
prendendo il blocco appunti che teneva sempre con sé. Si ravviò i
capelli all’indietro, ormai asciutti dalla pioggia che li aveva
investiti, e tirò su di qualche centimetro le maniche del cardigan
bordeaux.
‹‹Black ci convoca nel suo ufficio per comunicarci qualcosa di
importante›› recitò lui in tono incolore.
Jacob Black era il direttore creativo: una figura a capo del reparto
che si occupava della creatività e che coordinava il lavoro di art
director e copywriter, quindi di Edward e Isabella. Tutti sapevano bene
che nutriva un qualche interesse proprio per Isabella – “la mia
copywriter preferita!” – ma che lui e Rosalie, la sua biondissima
segretaria, avevano una storia “segreta”. Ed era di pubblico dominio il
fatto che, però, Jacob Black non avrebbe mai rinunciato ai soldi che il
suo lavoro portava.
Proprio in quel momento, come se Jacob Black avesse sentito le parole
di Edward, Rosalie aprì la porta della loro saletta senza bussare;
aveva sviluppato quel comportamento recentemente, irritando entrambi,
ma né Edward né Isabella avevano intenzione di intraprendere con
Rosalie una discussione che di certo si sarebbe protratta per molte
settimane e che, erano entrambi sicuri, non avrebbe portato risultati.
‹‹Il signor Black vi desidera nel suo ufficio›› annunciò in tono
formale. Seria e composta, li condusse nell’ufficio del capo, in fondo
al corridoio: una stanza molto grande con le pareti color porpora e i
mobili di legno scuro, una grande vetrata dietro l’imponente scrivania
che mostrava la City.
‹‹Isabella!›› la accolse Jacob Black, appena lei e Edward varcarono la
soglia. Si alzò dalla poltrona dietro la scrivania su cui era seduto e
fece un gran sorriso.
Isabella fece un sorriso di circostanza e gli strinse la mano
‹‹Jacob››. Sentì Edward sbuffare piano alle sue spalle e trattenne un
risolino immaginando la sua espressione.
‹‹E c’è anche Edward!›› continuò Jacob in tono affettato, come se fosse
una grande sorpresa vederlo, stringendo la mano anche a lui.
Tra Edward e Jacob non correva buon sangue, ma il motivo per cui non
andavano d’accordo era ignoto a tutti. Probabilmente, si era sempre detta
Isabella, non si intendono e basta:
semplice. Nessuno era in grado di andare d’accordo con tutti.
‹‹Perché ci hai chiamati, Jacob?›› chiese, prendendo rapidamente posto
sulla sedia a sinistra davanti alla sua scrivania. Sia lei che Edward
avevano una predilezione per quella sedia, ogni volta che si presentava
un’occasione simile tentavano sempre di accaparrarsela senza farsi
notare.
Jacob Black si illuminò come un bambino davanti a un regalo
inaspettato. ‹‹Ho avuto una grande idea›› rivelò con un sorriso che li
fece rabbrividire ‹‹una grandissima
idea. Mi sono stupito anch’io, quando mi è venuta in mente: non sono
mai stato così originale›› spiegò con occhi sognanti.
‹‹Quale idea?››
Lui scoccò a Edward un’occhiata di rimprovero per aver interrotto il
momento di suspense, ma non commentò. ‹‹I protagonisti sarete tu e
Isabella›› disse infine dopo una pausa a effetto, il tono teatrale.
I due fissarono Jacob Black senza capire.
‹‹E la novità… dove sarebbe? Insomma, anche se non agli occhi degli
altri, Edward ed io siamo sempre i protagonisti…›› Isabella espose i
suoi dubbi, ma venne ben presto interrotta da Jacob Black, il quale
scoppiò in una grossa risata, come se lei avesse appena detto qualcosa
di molto divertente.
‹‹Cosa c’è da ridere?›› sbottò Edward.
‹‹Oh, oh, oh!›› Jacob Black ululò dalle risate, accasciandosi sulla sua
preziosa scrivania. Un attimo dopo si rese conto di cosa aveva fatto e
riappoggiò la schiena alla poltrona, continuando a ridere. ‹‹S-siete
davvero buffi, tutti e due! Vorrei farvi una foto! Ehi, ce la fate a
rimanere così per altri cinque minuti? Chiamo Rosalie, così lei…››.
‹‹Jacob›› lo interruppe Isabella, lievemente spazientita ‹‹io dovrei
andare a lavorare, quindi, se volessi gentilmente spiegarci questa tua
idea geniale, ti prego di farlo adesso››. Utilizzò lo stesso tono che
adottava con Light, il suo meraviglioso gatto siberiano. Era il suo
unico compagno di vita e lei lo adorava
letteralmente. Non credeva avrebbe potuto vivere a lungo senza la sua
presenza pacata nell’appartamento di Kennington in cui abitavano.
Jacob Black si protese verso di loro, poggiando gli avambracci celati
dalla giacca costosa sulla scrivania, un residuo della risata sul viso
abbronzato dal sole delle Hawaii. ‹‹Voi due non starete dietro. Starete al centro dell’attenzione. Tutti vi
vedranno. Tutti vi ascolteranno. Tutti vi ameranno›› spiegò, calcando alcune
parole per enfatizzare. ‹‹Voi due forse non vi rendete conto di che
cosa siete assieme. E quindi, io ho deciso di mettervi in coppia. Ma di
farlo sul serio. Non creerete nessuna pubblicità: ci starete dentro››.
Silenzio.
Poi…
‹‹C-che cosa?›› Edward sussultò, colpito da un pensiero improvviso:
‹‹v-vuoi dire che… che io e lei dovremmo… dovremmo…›› balbettò,
incapace di concludere la frase.
‹‹Voi due›› disse Jacob Black ‹‹siete la mia montagna di soldi. Voi
due›› proseguì, il tono di voce in crescendo, puntando un dito contro
di loro ‹‹siete talmente perfetti insieme che, quando me ne sono
accorto, sono rimasto esterrefatto. E neanche ve ne siete resi conto!
Sì: voi sarete gli attori di una pubblicità. Di una creazione. Di un
capolavoro. Milioni e milioni di persone resteranno incantate, quando
vi vedranno sugli schermi delle televisioni. Vi adoreranno››.
‹‹Jacob, noi… io non posso
fare una cosa del genere›› mormorò Isabella, tentando senza successo di
convincere il suo cervello a elaborare quell’informazione e a dare un
segno di vita.
‹‹Vi pagherò il triplo, ovviamente. E, cosa migliore di tutte…
trascorrerete un paio di settimane su un’isoletta poco distante dal
Brasile, l’isola che dovrete promuovere. Non dovrete pagare nulla e
alloggerete in una bella villa in riva al mare. Solo voi due, eh?››
disse Jacob Black ‹‹nessuno vi darà fastidio: girerete tutto in poco
più di una settimana e trascorrerete ciò che rimane in vacanza lì,
senza dover fare niente››.
‹‹Non pagheremo nulla?›› chiese Edward, come se non avesse capito bene.
‹‹Sarà come una vacanza?›› aggiunse Isabella.
Jacob Black li guardò, soddisfatto. ‹‹Ditelo
che mi amate››.
‹‹Non posso credere di aver accettato›› bisbigliò a se stessa, una
volta tornata nella saletta ‹‹non posso crederci. Non posso crederci››.
Si prese la testa tra le mani, ancora scombussolata, e iniziò a fare
dei respiri calmi e profondi, nel tentativo di tranquillizzarsi.
Due settimane in vacanza vicino al Brasile, d’accordo. Su quello niente
da dire, anzi. Ma… con Edward?
Con l’uomo più irritante, egoista, sarcastico, stronzo… e bello, e sexy
e ammaliante e… Isabella Swan, che
cazzo stai dicendo?!
‹‹Non lo so›› sussurrò a se stessa. Probabilmente era ancora
stralunata, sì.
‹‹Sai come si chiama l’isola dello spot?›› domandò Edward in tono
divertito, leggendo uno dei fogli che Jacob Black aveva consegnato loro
con tutti i particolari.
‹‹Come si chiama?›› disse Isabella piattamente, non realmente
interessata.
‹‹Isola Bella››
L’aveva sempre chiamata così, Edward: Bella.
Isabella non sapeva il motivo, ma, dal loro primo incontro – avvenuto
in quella stessa sala – aveva iniziato a denominarla Bella.
Che la chiamasse così per prenderla in giro, perché gli piaceva di più,
per infastidirla, non le era noto.
Isabella non gli aveva mai chiesto nulla perché, nel profondo, Bella le piaceva. Tanto.
‹‹Il tuo amico ci ha imbrogliati, sai?››
Isabella voltò pigramente la pagina della rivista e continuò a fare il
test “Quanto sei sexy?” senza
prestare attenzione al suo accompagnatore, accomodandosi meglio sui
sedili della prima classe. L’aereo che li stava portando in Brasile, a
Rio de Janeiro, procedeva con tranquillità; durante il viaggio che
sembrava non sarebbe finito mai, Isabella si era impegnata nelle
attività più disparate: aveva sonnecchiato, letto, dato fastidio a
Edward, ascoltato musica, fatto i cruciverba, dato fastidio a Edward,
studiato il primo foglio dei dettagli sul piccolo film che dovevano
girare sull’isola, dato un’occhiata al programma che trasmettevano
sullo schermo davanti a lei, dato fastidio a Edward, mangiucchiato
qualcosa, chiacchierato con un ragazzo molto gentile seduto nella fila
parallela a quella in cui stava lei, dato fastidio a Edward… e adesso
aveva iniziato a leggere una rivista acquistata poco prima
dell’imbarco.
‹‹Bella?››
Segnò la risposta alla domanda numero dieci con una X e iniziò a
leggere la undicesima con attenzione.
‹‹Bella››
Terminò il test e calcolò il punteggio con attenzione. Wow, sono “moderatamente sexy”. Ora sì che
sono felice, si disse con ironia, ma sorrise.
‹‹Bella››
‹‹Qual è il tuo colore preferito?›› gli chiese distrattamente quando si
ritrovò davanti il "Test dei colori:
dimmi il tuo colore preferito e ti svelerò il tuo profilo sessuale".
Edward parve un attimo confuso, ma rispose: ‹‹Il blu. Perché?››.
‹‹Ah, come me, perfetto: non dovrò fare il test due volte›› mormorò
Isabella, cercando il profilo degli amanti del blu tra gli altri.
‹‹A che cosa serve il mio colore preferito per un test?›› disse Edward
in tono divertito.
Lei gli lanciò una breve occhiata. ‹‹Tu mi dici il tuo colore
preferito, io ti dico il tuo profilo sessuale›› rispose con
nonchalance. Non badò alla sua espressione incredula e iniziò a
leggere: ‹‹Gli amanti del blu sono
compagni molto intensi, a volte innovativi, spesso dolci e affettuosi,
decisamente sensibili ai bisogni del compagno. Gli uomini che amano il
blu sono come pianisti che entusiasmano la loro compagna come se
stessero suonando il pianoforte ad un concerto. Le donne che amano il
blu sono… beh, con te ho finito›› mormorò frettolosamente ‹‹non
credo ti interessi il mio profilo sessuale››.
‹‹Ah, no! Tu conosci il mio, io devo conoscere il tuo›› ammiccò Edward,
e ridacchiò piano.
‹‹No, no, io… ehi! Dammela subito!›› quasi urlò, quando lui le
sottrasse la rivista dalle gambe con uno scatto agile ‹‹Edward!›› si
lamentò, e non poté fare nulla se non osservarlo con impotenza mentre
lui leggeva ciò che Isabella non voleva che leggesse.
‹‹Le donne che amano il blu sono
compagne eccitanti, ma la loro passione è simile a una marea, ad un’
onda piuttosto che a una focosa aggressione›› si interruppe per
un momento, tentando di non scoppiare a ridere, e Bella gli lanciò
un’occhiataccia ‹‹ma le donne che
amano il blu godono pienamente del sesso. Sia gli uomini, sia le donne
amano i preliminari e i momenti seguenti l’amplesso tanto quanto l’atto
in sé. Nel matrimonio un amante del blu è un compagno meraviglioso, che
non cerca interessi esterni alla coppia›› concluse.
Né lui, né Isabella commentò. Edward si limitò a porgerle la rivista,
in silenzio, e Bella la prese, chiudendola e rimettendola nella borsa.
Deglutì nervosamente e guardò fuori dall’oblò il Brasile che si
avvicinava sempre di più, improvvisamente sensibile alla presenza di
Edward accanto a lei.
Fu dopo che avevano ritirato i rispettivi bagagli, in aeroporto, e si
erano seduti nell’auto arrivata a prenderli che Edward decise di
riprendere il discorso che Isabella non gli aveva permesso di iniziare
sull’aereo.
‹‹L’hai letta la trama del nostro spot?›› le chiese con cautela.
‹‹Sarebbe meglio chiamarlo film››
sbuffò Bella.
‹‹Più uno spot è lungo, maggiore è la probabilità che la gente lo
ricordi. Spot più lunghi hanno più opportunità di essere seguiti ed
elaborati, e questo aumenta la possibilità di apprendimento da parte
del pubblico. Lo sai meglio di me››
‹‹Comunque, no. Non ho letto la trama, ma Jacob mi ha assicurato che
sarà una cosa che richiederà poco impegno, anche perché lo spot non
contiene battute››
Edward fece un respiro profondo e la osservò: era appoggiata al sedile,
il capo rivolto verso il finestrino dell’auto, gli occhi scuri immersi
nell’animata serata di Rio de Janeiro. Era bella. La sua non era una
bellezza falsa o costruita, ma semplice e pura.
‹‹Due ragazzi arrivano sull’Isola Bella lo stesso giorno. Alloggiano
nello stesso albergo in riva al mare, e appena si vedono scatta il
colpo di fulmine, ma allora si limitano a guardarsi. Lei è timida,
arrossisce spesso, e a lui questa cosa pare molto dolce. Per alcuni
giorni non si incontrano da nessuna parte, credono quindi che
probabilmente una loro possibile storia non sia destino…››
‹‹… ovviamente si incontrano poco dopo, dico bene?›› lo interruppe
Isabella.
‹‹Sì›› Edward sorrise ‹‹si ritrovano a Rio, per le vie, nel bel mezzo
di una festa. Si guardano, si sorridono, ballano assieme, parlano, e
infine si scambiano un passionale,
struggente, lungo bacio›› sussurrò, citando le parole dei
documenti.
Bella alzò gli occhi di scatto e sentì il cuore accelerare follemente.
Sentiva le guance ardere a causa del calore visibile che aveva deciso
di fermarsi un attimo sulla sua pelle, tanto per metterla in imbarazzo
ancora di più.
‹‹La prima parte si conclude con la porta della stanza d’albergo di lui
che si chiude dietro entrambi››
‹‹Oh, beh… non perdono tempo›› commentò Bella nervosamente.
‹‹Lo penso anch’io›› Edward rise per smorzare l’atmosfera imbarazzata
che regnava nell’abitacolo e per qualche secondo si perse tra le vie
allegre di Rio. Era così diverso da Londra. Un diverso meraviglioso. Fu
la voce di Bella a richiamarlo.
‹‹E poi? Che cosa succede?››
‹‹Poi ci sono varie scene sull’isola Bella: loro due al mare, nei
boschi, sulla spiaggia, alle cascate, al ristorante. Fino a che non
arriva il momento di separarsi, all’aeroporto. Una scena che commuoverà milioni di
persone, le quali rimarranno in trepidante attesa per conoscere il
futuro dei due›› spiegò.
‹‹E lì finisce lo spot?››
Edward fece un gran sorriso. ‹‹Lo spot finisce con i due ragazzi, un
po’ più grandi dell’ultima volta, che trascorrono ogni estate
sull’isola Bella. Si vedrà l’anello di fidanzamento alla mano di lei,
poi le fedi all’anulare, lei incinta, e infine la famiglia felice che
arriva all’isola Bella per trascorrere lì un’altra estate. E allora
apparirà la scritta: “Isola Bella:
una passione è per sempre”››. Questa volta, anche Isabella si
aggiunse alla sua risata.
‹‹Carina come idea. Non esattamente originale, ma carina›› disse infine
lei con una certa timidezza. Era strano parlare così amichevolmente con
Edward, che a Londra era “il collega con cui non andava d’accordo”.
‹‹Tutti la adoreranno›› disse lui con un sospiro ‹‹ma non ho ancora
capito perché Black ha scelto
noi come attori››.
‹‹Ha detto che insieme siamo perfetti›› rispose Bella con ovvietà.
L’auto si fermò al porto e mentre scendevano, i due rimasero a bocca
aperta davanti alla luminosa vastità del cielo sopra di loro, come mai
l’avevano visto.
L’autista li condusse a un’imbarcazione piccola e affusolata, alla cui
guida li aspettava un uomo in completo scuro nonostante il caldo: Bella
indossava una canotta e un paio di pantaloncini, Edward una t-shirt e
un jeans; non appena si furono sistemati nei rispettivi posti a sedere,
partì senza preavviso, e i due si persero nella spettacolare bellezza
dell’acqua cristallina attorno a loro.
‹‹Guarda›› mormorò Edward, indicandole con un dito un punto in
lontananza.
Bella strizzò gli occhi nella notte e rimase senza fiato. Una sagoma
scura si stagliava davanti a loro, i lati irregolari che affioravano
dalle onde leggere; più si avvicinavano, più altri tratti della piccola
isola si disegnavano al loro sguardo: era coperta da palme ondeggianti
alla brezza lieve, con una spiaggia bianca e pulita che scintillava
alla luce della luna.
‹‹Wow›› disse, incapace di articolare altro, mentre la barca girava
attorno all’isola, permettendo loro di godere appieno della vista di
quello splendore.
Si fermarono a un piccolo molo di legno e Bella respirò a pieni polmoni
l’aria afosa e profumata che li circondava, cullandoli dolcemente come
il solo suono che si sentiva: il leggero infrangersi delle onde sulla
spiaggia. In lontananza intravide una calda luce che identificò subito:
era quella della villa in cui lei e Edward avrebbero alloggiato. Due
quadrati che costituivano le due finestre sul lato della casa
ammiccavano verso di loro.
Presero i loro bagagli e appena scesero dalla piccola imbarcazione,
quella ripartì immediatamente, lasciandoli soli su un’isola talmente
silenziosa che sembrava non ci fosse nessuno.
‹‹Cosa facciamo?›› domandò Isabella incerta. È strano che non ci sia nessuno ad
accoglierci.
‹‹Non saprei›› Edward aggrottò le sopracciglia, guardandosi intorno
‹‹sembra non esserci nessuno…››.
In quel momento udirono una voce maschile alle loro spalle. ‹‹Edward?
Isabella?››.
Si voltarono e videro un uomo in camicia hawaiana e bermuda che veniva
loro incontro. Aveva i capelli e gli occhi scuri, l’espressione metà
seria e metà incuriosita, il passo stanco come se avesse lavorato per
tutta la giornata. Offrì la mano prima a Isabella, poi a Edward. ‹‹Sono
Sam Uley›› si presentò ‹‹il regista dello spot. Non serve che vi
spieghi nulla, saprete già tutto››.
‹‹Lavoriamo nel campo della pubblicità da un po’, sì›› annuì Edward.
‹‹Venite, allora. Vi accompagno nella villa in cui alloggerete. L’isola
Bella non è molto abitata: ci sono pochi alberghi, tutti in riva al
mare, e un po’ di case da dare in affitto. Ma vorremmo trasformare
questo Paradiso in mezzo al mare in una località in cui la gente può
venire per rilassarsi, per godersi qualche giorno di vacanza›› disse
mentre camminavano verso le luci ‹‹l’isola è splendida, non ci sono né
animali feroci né frutti velenosi o cose del genere: è completamente
sicura. Con un po’ di pubblicità prenderà sicuramente il giusto
ritmo››.
‹‹Perché questa parte dell’isola è praticamente deserta?›› chiese
Isabella, accettando con un “grazie” che Sam si occupasse di portare la
sua valigia.
Sam si grattò la testa, l’espressione un po’ dubbiosa. ‹‹E’ stata
un’idea di Jacob, in realtà. Ha detto che avremmo dovuto lasciarvi la
giusta privacy, per permettervi di entrare in sintonia l’uno con
l’altra. Quindi noi siamo tutti su un altro lato››.
‹‹Che cosa ha detto?!››
‹‹Bella, calmati›› sbuffò Edward ‹‹domani gli telefoniamo e tu potrai
insultarlo come preferisci››.
‹‹Come l’hai chiamata?››
Lui guardò Sam con una certa diffidenza, come se gli avesse appena
posto una domanda molto personale. ‹‹Bella›› rispose infine, e Isabella
arrossì lievemente.
‹‹Mi piace›› Sam si illuminò, colpito da un’idea improvvisa. ‹‹Bella.
Isola Bella. Sì, mi piace. Isabella, posso usare il tuo soprannome per
lo spot?››.
‹‹Oh, ehm…›› le guance di Isabella divennero bollenti. Lanciò
un’occhiata a Edward. Camminava con lo sguardo fisso davanti a sé,
apparentemente perso nei propri pensieri.
Sam ammiccò. ‹‹Ho capito. Domani farò una chiacchierata con Edward››.
Le sorrise, come se avesse compreso tutta la situazione, e li lasciò
davanti alla porta di casa consegnando loro la chiave. ‹‹La villa è
dotata di ogni comfort. È pulita, il frigo è pieno, ci sono
asciugamani, lenzuola. Due camere da letto, due bagni, una bella
cucina, un soggiorno piuttosto ampio e, cosa migliore di tutte…›› i
suoi occhi si illuminarono ‹‹una grande piscina riscaldata sul retro,
davvero fantastica. Tutto ciò di cui avete bisogno è dentro. Ogni
giorno verrà una domestica a occuparsi della pulizia››.
Bella sorrise, felice di non dover sbrigare le faccende di casa anche
in vacanza; amava cucinare – gliel’aveva insegnato sua nonna, che aveva
vissuto in Italia per molto tempo e aveva appreso i trucchi migliori –
e naturalmente il suo appartamento non si puliva da solo. E Light non
poteva in nessun modo darle una mano, essendo un gatto.
Chissà come stava, il suo piccolo batuffolo! Lo aveva lasciato a casa
dei suoi genitori, Charlie e Renèe, il giorno prima della partenza,
raccomandando più volte a sua madre di ricordarsi di dargli da mangiare
e di coccolarlo. Light li conosceva: erano stati proprio loro a
regalarlo a Isabella l’estate prima che andasse al college, dandole un
compagno con cui condividere le sue serate davanti ai film ripieni di
miele e zucchero che spesso guardava la sera alla televisione.
‹‹Bene, buona serata a entrambi. Ci vediamo domani mattina alle dieci,
fatevi trovare pronti: si inizia!›› disse Sam allegramente.
Edward e Isabella lo salutarono, poi si apprestarono a entrare nella
villa.
‹‹Wow›› mormorò Bella quando entrarono nel soggiorno, trascinando le
valigie. Era una stanza vastissima, con i divani bianchi dai cuscini
colorati, un maxischermo a muro e un impianto stereo che lei non si
sarebbe mai azzardata a toccare a causa della sua imbranataggine
storica. La maggior parte delle pareti erano costituite da vetrate che
mostravano il mare: da lì, sulla destra si apriva una veranda, con
comode poltroncine dagli stessi toni dei divani all’interno, bassi
tavolini e persino un’amaca su cui rilassarsi; sulla sinistra, invece,
si accedeva alla piscina.
‹‹Che stanza meravigliosa›› sospirò tra sé quando scoprì la cucina.
‹‹Sai cucinare?›› disse la voce di Edward alle sue spalle.
Lei si voltò giusto il tempo di scoccargli un’occhiata stranita.
‹‹Certo che so cucinare›› rispose ‹‹perché?››.
‹‹Così›› mormorò lui con un’alzata di spalle, ma sembrò borbottare
qualcos’altro mentre si allontanava. Bella rimase a fissare le sue
spalle larghe e fu colta da un brivido mentre osservava la sua schiena,
celata al suo sguardo solamente dalla t-shirt che indossava, ma anche
da lì poteva vedere quanto fosse muscolosa. Le era facile incantarsi ad
osservarlo, Edward era… beh, era l’uomo più attraente che avesse mai
incontrato. La sua carnagione pallida, i capelli ramati e spettinati,
quelle maledette spalle che ogni volta richiamavano i suoi occhi come
calamite, la sua voce suadente… tutto, in lui, era perfetto. E se poi dalla schiena scendo ancora più
in basso, il panorama non può che migliorare, si disse,
ridacchiando con una certa malizia.
‹‹Bella?››
Si riscosse quando sentì la sua voce chiamarla e lo raggiunse,
guardandosi attorno con curiosità.
‹‹Che camera vuoi?›› le chiese con una certa gentilezza, indicando le
due stanza, una davanti all’altra.
La prima era arredata interamente sui toni del bianco, con un grande
letto dalle vaporose tende trasparenti, un armadio imponente, i
pavimenti di parquet e le portefinestre che mostravano il giardino,
verdissimo, e offrivano una bella visuale sulla piscina dall’acqua
limpida. La seconda, invece, era tutto il contrario: pareti color
indaco, mobili di legno scuro, ma aveva un piccolo terrazzo che si
affacciava sul mare e che faceva rimanere a bocca aperta. Era anche
vero, però, che Bella si sarebbe sentita un po’ in imbarazzo a far
dormire Edward nella stanza bianca, senza dubbio più femminile di
quella col terrazzo.
‹‹Prendo quella›› sospirò quindi, accennando alla camera a sinistra.
Mentre passava accanto a lui, gli rifilò una leggera gomitata dettata dalla sua
espressione soddisfatta. ‹‹Sono troppo buona con te›› mormorò, andando
a prendere la valigia che aveva lasciato all’ingresso.
‹‹Quindi dovrei inchinarmi e baciarti i piedi ogni giorno, giusto?››
Bella gli sorrise in modo angelico. ‹‹Perché no? Inizia domani››
propose, trascinando la valigia rossa nella stanza che sarebbe stata
sua per le due settimane che si apprestavano a trascorrere sull’isola.
‹‹Ci penserò›› scherzò Edward.
Bella tenne la porta aperta e si sedette sul letto. Morbido. Controllò
l’armadio, le finestre, la piccola scrivania nell’angolo. Tutto bene.
Si sdraiò sul letto e poggiò la testa sul cuscino. Eh no, pensò. Il cuscino era
straordinariamente duro, sembrava una roccia, e lei, ne era sicura, non
sarebbe mai riuscita a dormire con quello.
‹‹Edward?›› disse, colta da un’idea improvvisa. Si alzò dal letto ed
entrò nell’altra stanza con una certa tranquillità, l’espressione più
innocente che riusciva a tirare fuori ben stabile sul suo viso.
Edward alzò lo sguardo dalla sua valigia mezza aperta – che
probabilmente aveva intenzione di svuotare – e la guardò, in attesa, un
po’ confuso dal suo atteggiamento.
‹‹Tu dormi con un cuscino morbido o con uno un po’ meno morbido?››
domandò, e il suo tono di voce era così dolce che gli occhi verdi di
Edward si allargarono, stupiti.
‹‹Morbido›› rispose senza pensare. Sentiva la testa curiosamente vuota,
in quel momento.
‹‹Beh…›› gli occhi di Bella si fecero imploranti ‹‹sai, i miei cuscini
sembrano marmo, e io con quelli non riuscirò a dormire… e avevo
pensato, se tu sei d’accordo, di scambiarcene uno, in modo che entrambi
possiamo riposare serenamente›› suggerì, facendo scorrere la mano sulla
straordinaria morbidezza di un cuscino di Edward.
Lui la guardò per qualche secondo, muto. ‹‹E se io non volessi?››
domandò infine, con circospezione, avvicinandosi a lei senza rendersene
conto, finendo di spalle al letto.
‹‹In questo caso, allora…›› Bella gli si mise di fronte con un sorriso
angelico che non ingannava nessuno.
Edward non ebbe possibilità: quando si accorse delle sue reali
intenzioni, lei gli era già saltata addosso. A lui sembrava impossibile
che Bella, così piccola e delicata, potesse trasformarsi in un tale
strumento di distruzione! Muoveva le dita in tutti i suoi punti deboli,
facendogli il solletico, ignorando le sue risa e le sue preghiere di
smettere, divertita e concentrata.
‹‹Bella, Bella, ti prego…›› ansimò tentando di recuperare un po’ d’aria
‹‹basta, Bella›› la implorò tra i singulti.
Bella non si diede per vinta e continuò, sorridendo con allegria, non
badando alle risate ormai isteriche di Edward. ‹‹Mi darai un cuscino?››
gli domandò a voce alta.
‹‹Bella, Bella, basta, ti prego!››
‹‹Mi darai un cuscino?›› ripeté lei ridendo con Edward.
‹‹Ti darò tutto quello che vuoi!›› urlò Edward ‹‹ora basta, ti
prego!››.
Bella smise di muovere le dita e lui si lasciò andare sul materasso,
tutto rosso in volto, il respiro accelerato. ‹‹Tutto bene?›› gli
chiese, ridendo sotto i baffi.
Edward non rispose; sembrava non essere in grado di parlare, teneva gli
occhi chiusi e respirava velocemente.
‹‹Beh, allora io prendo il cuscino. Grazie!››
Edward non le diede nemmeno il tempo di arrivare in camera sua: le fu
addosso immediatamente, e, non badando al suo strillo di sorpresa, se
la caricò in spalla come se pesasse due chili e non cinquantadue.
‹‹Edward!›› Bella ansimò, senza fiato, ancora stupefatta. ‹‹Mettimi
giù!››.
Lui non le diede ascolto e continuò a camminare come se niente fosse.
Entrò nella camera da letto bianca, la superò e uscì in giardino, dove
la luna d’argento si rifletteva sulla superficie scura della piscina.
‹‹Non saresti così cattivo, Edward›› disse Bella una volta intuito che
cosa intendeva fare il collega. Lo sentì sorridere e tutto ciò che poté
fare prima dell’impatto con l’acqua tiepida fu tirare in salvo il
cuscino, lanciandolo dentro casa.
Sprofondò per un attimo, trattenendo il fiato e serrando gli occhi,
fino a che non riemerse nella notte, aspirando lunghe boccate d’aria
profumata.
‹‹Tu›› esplose poi, riaprendo
gli occhi, la voce vibrante di rabbia. ‹‹Tu. Sei. Un. Enorme.
Stronzo!››.
Edward continuò a ridere dal bordo. ‹‹Lo sai anche tu, Bella… la
vendetta è un piatto che va servito freddo››
asserì con un cenno della testa all’acqua. Lei gli si avvicinò,
appesantita dai vestiti ormai completamente bagnati, un po’ tremante
per la temperatura fresca dell’aria, i capelli incollati al viso. Se
Edward si pentì almeno un pochino, non lo diede a vedere.
‹‹Siamo pari››
‹‹No›› disse Bella. Con un movimento fulmineo lo prese per la t-shirt e
tirò con tutte le sue forze. Edward non ebbe il tempo di fare nulla, si
ritrovò sul fondo della piscina in pochi momenti. ‹‹Adesso siamo pari›› terminò lei
candidamente.
E, con un movimento rapido, uscì dalla piscina, acciuffò il cuscino e
ritornò in camera sua.
Nell’acqua, Edward sbuffò. ‹‹Le donne vincono sempre›› mormorò
soltanto, prima di seguirla in casa, grondando d’acqua.
***
La hall dell’hotel era immensa: aveva pavimenti di marmo, il lampadario
era di fine cristallo, e il banco della reception era di legno
pregiato. Era costituita da due grandi sale; sul pavimento della
seconda vi era posizionato un tappeto persiano dall’aria antica su cui
sostavano poltrone e divani dall’aspetto rigido.
Bella varcò la soglia di quell’hotel meraviglioso, guardandosi intorno
come incantata. Tutto sembrava scintillare. Recitare era impossibile:
la sua espressione era realmente sorpresa, entusiasta e trasognata.
Indossava un abitino a fiori dai colori chiari e un paio di sandali dai
tacchi alti. Le piaceva come tintinnavano sul pavimento di marmo. Si
avvicinò al banco della reception, salutando l’allegra impiegata dietro
di esso, e finse di parlare con lei; contò fino a cinque e lasciò che
la sua attenzione fosse magicamente attratta da qualcuno che scendeva
le scale proprio in quel momento.
Anche Edward era ben vestito e pettinato. Le parve fosse diventato
ancora più bello, con quel sorriso leggero e gli occhi verdi
luccicanti.
Si scambiarono uno sguardo intenso: gli spettatori avrebbero dovuto rimanere senza fiato a causa
dell’elettricità che intercorreva tra i due giovani. Non le fu
difficile arrossire, sotto i suoi occhi.
L’allegra receptionist la richiamò con gentilezza e Bella finse di
essere presa da un brivido quando Edward passò alle sue spalle. Gli
lanciò un’ultima occhiata – cercando di non soffermarsi troppo sul
sedere – e poi riportò l’attenzione sull’allegra receptionist.
‹‹Eee stop!›› gridò Sam, con un’espressione da allucinato, e tutti si
rilassarono. ‹‹Ma che cosa siete? Che
cosa siete?›› esclamò rivolto a Bella.
Edward rientrò nell’hotel. ‹‹Siamo andati bene?›› chiese, passandosi
una mano tra i capelli.
‹‹Voi due insieme siete… esplosivi! Siete andati benissimo››
‹‹Oh, grazie›› disse Bella, ma Sam si era già diretto verso alcuni
tecnici e parlottava con loro.
‹‹Bello, eh?›› Edward la affiancò, e anche lui rivolse lo sguardo fuori
da una grande vetrata, verso il mare limpido.
Era pomeriggio inoltrato, ormai; avevano provato per un paio d’ore il
mattino, avevano fatto una pausa per pranzare, poi i tecnici avevano
avuto il loro spazio per sistemare tutto, e infine Sam aveva dato il
via alle riprese. Dopo solo un paio di prove avevano raggiunto la
perfezione.
‹‹Sì›› sospirò Bella, un po’ stanca. ‹‹E ho fame›› aggiunse poi, come
ripensandoci.
Edward sorrise. ‹‹Anch’io. Non credo che potrò più fare a meno della
tua cucina, ora che l’ho provata›› scherzò.
La mattina si era svegliato immerso nel profumo di pane tostato,
marmellata di fragole, uova strapazzate, bacon, burro, ma anche muffin,
croissant e pancakes. Dopo essersi dato una sistemata, si era diretto
in cucina seguendo il profumo e vi aveva trovato Bella, vestita e
fresca di doccia, indaffarata ai fornelli.
‹‹Dobbiamo andare d’accordo per due settimane e questo è il modo
migliore per iniziare›› gli aveva detto con un sorriso quando Edward,
munito di espressione stupefatta e occhi fuori dalle orbite – e una
gran fame – le aveva chiesto cosa stesse facendo.
Bella rise divertita al ricordo. ‹‹Il cibo mette d’accordo tutti››
disse.
Edward mantenne la sua promessa: nei giorni seguenti non ebbe nulla da
ridire sui piatti che Bella preparava, anzi, mangiò tutto e anche di
più. Spesso cucinarono anche insieme, chiacchierando tra pentole e
padelle. Bella ricordò in seguito che in quei giorni lei e Edward
andavano così d’accordo che sembravano una giovane coppia di sposi.
Intanto le riprese continuavano. Giravano senza seguire il filo logico
della storia: si divertirono nei boschi, vestiti sportivamente;
girarono una scena in cui camminavano sulla spiaggia la sera, tenendosi
per mano; la scena finale all’aeroporto dovettero ripeterla un sacco di
volte, perché ogni volta che Bella doveva saltare in braccio a Edward
per il bacio di addio… i due scoppiavano inesorabilmente a ridere. Alla
fine lei poggiò solo per qualche secondo le labbra su quelle di Edward.
Si staccò e lo guardò negli occhi. Nessuno rideva più.
‹‹Quali sono i tuoi fiori preferiti?›› chiese Edward una sera. Erano
fuori in terrazza, Bella acciambellata su una poltrona come un gatto, a
leggere, mentre lui scriveva qualcosa sul retro di una cartolina.
Edward aveva preso l’abitudine di farle domande ogni volta che gliene
venivano in mente. Ormai poteva dire di conoscerla bene.
‹‹Non ne ho›› rispose lei con semplicità. Riusciva a spiazzarlo ogni
volta, e ogni volta per lui era una sorpresa. Non aveva mai conosciuto
una donna come Bella.
‹‹I fiori non ti piacciono?››
Bella si strinse nelle spalle. ‹‹Mi piacciono, ma non ho mai trovato un
fiore che mi facesse dire “oh, è lui quello che preferisco”›› spiegò.
Lanciò un’occhiata alla cartolina. ‹‹Lo sai che arriverai tu prima di
lei, a Londra, vero?››.
‹‹Mia madre adora le cartoline. Ogni volta che faccio un viaggio,
vicino o lontano che sia, prendo una cartolina e la spedisco ai miei
genitori, così loro possono attaccarla al Muro dei Ricordi››
‹‹Il Muro dei Ricordi?›› ripeté Bella incuriosita.
Edward annuì e il suo viso esprimeva dolcezza, divertimento e un po’ di
nostalgia. ‹‹E’ semplicemente una parete che da quando ero piccolo
ospita i miei disegni, delle foto… perfino le fotocopie delle mie
pagelle!›› raccontò, scuotendo la testa alla fine della frase.
‹‹I tuoi genitori devono amarti molto›› Quella di Bella era più una
constatazione che una domanda.
‹‹Sì›› concordò lui, fissando il mare. Un vento leggero scompigliò i
capelli di entrambi e Bella rabbrividì.
‹‹Ti prendo una giacca?›› chiese Edward, alzandosi. Posò la penna su un
tavolino e si stiracchiò.
‹‹No, tranquillo›› disse Bella, celando uno sbadiglio. Mise il
segnalibro tra le pagine e
sorrise. ‹‹Vado a dormire, sono troppo stanca››. Si alzò e lo
precedette in casa.
‹‹Buonanotte, Bella››
‹‹Buonanotte, Edward››
‹‹Non posso credere che tra poco dobbiamo tornare a Londra›› sospirò
Bella. Si mise più comoda sul sedile e sistemò i capelli dietro le
orecchie beccandosi un’occhiataccia dall’addetta ai capelli, come l’aveva
soprannominata.
Mancavano tre giorni al loro ritorno e quello era l’ultimo di riprese.
Dovevano girare la scena a Rio: Sam aveva spiegato loro che potevano
andare dove volevano per le vie, ma a un certo punto si sarebbero
dovuti baciare. Era curiosa la libertà che concedeva loro.
A bordo della stessa barca che li aveva accompagnati sull’isola,
arrivarono a Rio dopo circa venti minuti. Bella si stupì ancora una
volta del cielo – a Londra era impossibile vederlo così – e dell’aria
così calda, così diversa da quella che respirava di solito. Era diversa
anche da quella dell’isola. C’era della musica, e tantissima gente che
ballava per le vie che la fece sentire piena di allegria.
‹‹Potrai sempre tornare quest’estate›› disse Edward mentre scendevano.
‹‹Non sarebbe la stessa cosa››
Sam diede tempo ai tecnici di sistemare i loro aggeggi – come li chiamava
Bella –, poi fece cenno di iniziare a mescolarsi tra la folla.
Bella andò a sinistra, Edward a destra. Si fecero largo tra la gente e
l’espressione di entrambi si illuminò quando si ritrovarono uno di
fronte all’altro, come da copione. Risero e Edward le prese la mano,
tirandola verso di sé. Bella arrossì e rimase veramente incantata dai
suoi occhi: erano di un verde scintillante, dolci, allegri. Non li
aveva mai visti così.
‹‹Nontiscordardimè›› disse improvvisamente, mentre… stavano ballando?
Ondeggiando?
‹‹Come?›› fece lui.
‹‹Nontiscordardimè›› ripeté Bella, avvicinandosi le labbra al suo
orecchio per fargli capire ‹‹i miei fiori preferiti››.
Edward fece un sorriso incerto. ‹‹E l’hai capito adesso?›› chiese
incuriosito.
‹‹Sì›› mormorò Bella, pensierosa ‹‹adesso››.
Sentì il suo stomaco contrarsi quando vide Sam, da lontano, annuire
vigorosamente: era il segnale per il bacio.
‹‹Edward…››
‹‹Ho visto›› la anticipò lui, avvicinando il viso.
All’inizio le loro labbra si sfiorarono appena, insicure, esitanti.
Quelle di Edward erano morbide, calde, sapevano di menta e zucchero.
Bella sentì la mano che la teneva per la vita tremargli, mentre l’altra
si posava sulla sua guancia, accarezzandola con il pollice.
Poi Edward si staccò, la guardò negli occhi, e la baciò ancora, questa
volta più profondamente, premendo con decisione le labbra sulle sue. Il
cameraman girava loro intorno, riprendendo tutta la scena: Bella che
allacciava le braccia dietro il suo collo, gli accarezzava i capelli,
Edward che avvicinava maggiormente i loro corpi, baciandola con forza,
la mano ancora sulla sua guancia. E i loro cuori, che facevano a gara a
quale batteva più veloce.
Edward e Bella si separarono con delicatezza e si scambiarono uno
sguardo che valeva più di mille parole.
Gli occhi di lui riflettevano perfettamente ciò che albergava negli
occhi di lei.
Il mattino dopo, Bella aprì la porta della sua stanza, ancora un po’
insonnolita. Quasi non inciampò nel mazzo di fiori che era poggiato per
terra, ai suoi piedi.
Non erano comuni fiori.
Nontiscordardimè.
Bella raccolse i fiori e li portò nella sua stanza. Poi, con il sorriso
sulle labbra, andò a preparare la colazione.
Se vi è piaciuta
questa storia, sto scrivendo un'altra one shot :) Per ora voglio
concentrarmi su racconti da un capitolo solo; magari tra un po' vorrei
provare a scrivere una fanfiction vera e propria... sempre che vi
piaccia il mio stile XD
Vì |