Profezia

di Emma Berenyi
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La stanza. Normale. Banale. Pareti spoglie, il letto però è pulito, per quanto possa esserlo un letto umano.
Ricordo altre stanze. Una grande baita tra le montagne. Pietre, drappi arancioni, candele. Era una stanza calda. Avrei voluto portarci Yobai.
Ricordo l’uomo sul letto.
Rideva.
Quando gli ho chiesto quello che chiedo sempre, dopo l’amore. Non mi serve. Non serve a niente. Non serve a una dea. Lo faccio per divertirmi. Fammi una profezia. Lui aveva riso. Lo avevo guardato mentre soffocava. Mi è piaciuto soprattutto quel lampo negli occhi. Quella domanda, come poteva essere. Come può essere che un uomo giovane e forte come me stia soffocando mentre tu ridi.
Io ridevo.
Un’altra stanza, lusso, velluto e seta, un lampadario con le gocce di cristallo. Lui si è acceso una sigaretta. Gli ho spezzato il collo. Invece di rispondere mi guardava attraverso il fumo. Gli somigliava. Capelli lunghi, neri.
Capita di chiedermi se davvero mi diverta, in questo modo.
Guardo quest’uomo. Non è stato diverso dagli altri. Eppure lo è stato.
«Avrai un figlio e lo chiamerai… lo chiamerai come me, perché ho dato un senso a questa sera. E troverai la pace.»
Ha aggiunto. Troverò la pace. Ma io non voglio la pace.
«Figlia.» dico. «Avrò una figlia.»
Lo guardo mentre si riveste. Molti capelli in meno. Molti anni in più sulle spalle. Non lo ucciderò.
«Si chiamerà Tanit.»




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