Dangerous toys
«Alice sei la nuova Regina del Paese delle Meraviglie, adesso!».
Alice aveva rimesso a posto
tutto quanto: tutte le creature che erano morte - fatta eccezione per
l’odioso e letale Jabberwocky - erano tornate in vita, il Paese
delle Meraviglie aveva ripreso vita e colori, tornando allo splendore
precedente il terribile regno della Regina di Cuori.
«Lo so, gatto»
replicò tagliente Alice, avanzando lungo uno degli innumerevoli
corridoi del palazzo ormai cadente a causa della dura lotta che vi
aveva avuto luogo, lo scontro che aveva visto uscire sconfitta una
Regina di Cuori ormai distrutta.
Il gatto del Cheshire le
camminava al fianco sogghignando perfido come sempre, occhieggiando
alla propria destra e alla propria sinistra, come se temesse che
qualche Guardia Reale sopravvissuta potesse sbucar fuori
all’improvviso dal muro e aggredirlo.
Il coraggio non si poteva
certamente annoverare tra le sue virtù, anche se tale mancanza
pareva essere degnamente sostituita da un’arguzia estremamente
pungente.
«Non sembri soddisfatta della vittorrrria» constatò miagolante «Non sei mai contenta. È anche per questo che risulti tanto interrrrressante...» soggiunse.
Alice lasciò vagare
gli occhi verde smeraldo su ciò che aveva attorno: i mattoni
sotto i suoi piedi erano frantumati, enormi varchi erano stati aperti
nelle pareti. Uno, poco più avanti, dal quale si poteva vedere
uno scorcio del labirinto di siepi nel giardino era circondato da
grossi detriti che bloccavano parzialmente la strada.
Le tende che avrebbero
dovuto abbellire le finestre e donare un tocco più maestoso ai
corridoi e alle sale erano stracci laceri parzialmente divelti ed
accartocciati sui pavimenti.
Lo spettacolo era a dir poco desolante, per non dire colmo di distruzione.
«Questo castello sta
cadendo a pezzi» sentenziò stizzita Alice, superando con
un piccolo salto un mattone sporgente del cumulo abbandonato nei pressi
della breccia nella parete.
La ragazza si fermò
sopra di esso, ammirando con espressione altera il giardino
sottostante. Sembrava avere la mente altrove.
Il gatto le balzò
agilmente affianco e si sporse per ammirare anche lui quello
spettacolo. Da quella posizione, la sua spina dorsale parve risaltare
ancora di più nel suo corpo scarno e scheletrico.
«È un
monumento alla caduta del tiranno» asserì, e nel tono che
utilizzò Alice fu certa di percepire una sottesa nota di
compiacimento.
«Non posso stare in
un posto così: l’integrità della struttura stessa
è compromessa. Non voglio morire schiacciata dalle macerie di questo castello» disse la ragazza, riprendendo il suo cammino nel corridoio.
Il micio la osservò
dal punto in cui si era fermato, poi svanì e le ricomparse
accanto, qualche metro più in là.
«Ci vuole ben altro che la distruzione di un edificio per ucciderti Alice... e dovresti saperrrrrlo bene» replicò l’animale.
La sua sottile allusione alla demolizione della sua casa di famiglia la punse sul vivo.
«Sono sopravvissuta ad un incendio, non ad un abbattimento edile. Sono cose diverse»
«Sei sopravvissuta a cose ben peggiori nel Paese delle Meraviglie, Alice»
«Sei solo un fastidio, stupido gatto. Vattene»
«Obbedisco a sua
Maestà Alice» la prese in giro il gatto, sogghignando
un’ennesima volta prima di svanire.
«Scocciatore» sbuffò la mora, incrociando le braccia sul petto.
Fece per proseguire, ma si
fermò nel constatare che si trovava in una parte del castello
che fino ad allora non aveva mai visto: il corridoio era ombreggiato e
s’inclinava leggermente, scendendo verso il basso.
«Dove porterà questo corridoio...?» si chiese.
Era curiosa per sua stessa
natura; per questo non si fece il minimo scrupolo ad addentrarsi, certa
che non avrebbe trovato né Jabberwocky né Guardie Reali
ad attenderla.
Il corridoio diveniva
sempre più buio man mano che scendeva. Dopo qualche metro
trovò le prime fiaccole ad illuminarle la strada, anche se le
dettagliate mani di pietra che le sorreggevano non contribuivano a
creare un’atmosfera confortante.
Il corridoio si
trasformò in una discesa sempre più ripida, fino a che
una scalinata si aprì sotto di lei, conducendola ancor
più in profondità.
Quando arrivò alla
meta, si ritrovò in una grande stanza sotterranea arredata con
numerosi marchingegni dall’aria bizzarra e soprattutto
pericolosa. Sembrava in tutto e per tutto una stanza delle torture.
La prima cosa su cui le
cadde l’occhio fu una versione ridotta di una ghigliottina, un
giocattolino che Alice non si sorprese affatto di trovare lì,
data la spiccata predilezione della Regina per le decapitazioni.
In aggiunta a ciò
c’era anche un tavolo tappezzato di grossi chiodi arrugginiti ed
incrostati di sangue raggrumato posto in mezzo alla stanza, una gogna,
un’asse munita di catene - probabilmente il luogo in cui molte
povere vittime innocenti erano state tirate fino ad essere strappate in
due o quasi - un toro di Falaride dalle forme abbastanza surreali e
molti altri strumenti di minor rilievo, alcuni dei quali talmente unici
nella loro specie da risultare sconosciuti alla ragazza.
Lo strumento che
però attirò maggiormente la sua attenzione fu una specie
di grossa bara di legno scuro appoggiata contro una parete:
dall’aspetto sembrava un oggetto innocuo.
Alice vi si avvicinò
lentamente, osservandolo con espressione guardinga, quasi avesse timore
che potesse trasformarsi in un mostro da un momento all’altro.
Raggiunto lo strumento,
vinta ancora una volta dalla curiosità, la fanciulla
cercò di forzare l’apertura. Per far ciò si
servì della sua inseparabile Lama Vorpale, che apparve
prontamente nella sua mano destra.
Alice infilò la lama nella fessura ed iniziò a far pressione.
Dopo un paio di tentativi a
vuoto riuscì nell’impresa, ma se ne pentì subito:
dall’interno si sprigionò un tanfo nauseabondo di cadavere
putrescente che la costrinse ad allontanarsi senza neppure richiuderla.
Adesso la riconosceva: l’aveva vista in alcune illustrazioni dei libri. Quella era una vergine di ferro.
Al suo interno doveva
ancora esserci il cadavere infilzato dell’ultimo che aveva avuto
la disgrazia d’esserci chiuso dentro.
«Che puzza tremenda...» borbottò la ragazza, affrettandosi a lasciare la stanza, disgustata.
Si promise che sarebbe
tornata laggiù, quantomeno per togliere quel cadavere
marcescente dalla vergine e metterlo dove non avrebbe dato fastidio -
magari avrebbe potuto usarlo come concime per le siepi del labirinto.
Le sembrava ingiusto lasciare un tale fardello dentro quella povera vergine di ferro.
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