Prompt: Ice è
arrabbiato per qualcosa e MrPuffin cerca di consolarlo con i suoi
soliti modi bruschi/mafiosi ma sotto sotto teneri. (suggerito da:
happylight) Mentre andavo avanti mi ci sono discostata enormemente,
me ne scuso.
San Valentino non è
decisamente un buon periodo per Islanda e Mr Puffin lo sa benissimo.
Inizia tutto il
primo Febbraio, quando dalle vetrine di Reykjavìk cominciano a
comparire timidamente i primi cuori di cioccolata, per poi farsi
prepotentemente avanti nei giorni successivi, con un continuo fiorire
di cuori, putti sovrappeso con minuscole ali ed archi e frecce, per
non parlare poi della quantità industriale di cagnolini,
gattini, pesciolini, mucchine (?!) e tutta una serie di cuccioli
dagli occhi enormi come poveri drogati e visi patetici, con la pancia
piena di dolcetti e cioccolatini a forma di cuore.
C'è qualcosa
di peggio di immaginare che sia carino riempire le viscere di un
cucciolo di dolciumi dalle forme improbabili? Se lo facessero con
animali veri scapperebbero, inquieti. Mah, esseri umani.
In ogni caso, mentre
fuori dall'enorme casa dell'Isola nordica esplode la fine del mondo
dei diabetici, all'interno tutto è estremamente calmo. Islanda
si chiude in camera, le finestre chiuse e le luci spente,
accoccolandosi sotto le coperte con una torcia ed un libro
-solitamente di fantascienza, tanto per essere certi che nessuno
possa innamorarsi, salvo rare eccezioni- ed aspettando la fine del
delirio.
Non che dopo non
scoppi il delirio delle pecorelle di zucchero e dei coniglietti di
cioccolata, ma, come il fratello, anche l'islandese ha un debole per
i coniglietti e riceverne di cioccolata o altre forme dolciarie non
gli dispiace neppure un po'.
Tornando a San
Valentino, Mr Puffin capisce la sua disperazione e molto bene. Ogni
anno bussano alla sua porta persone poco raccomandabili con vari
dolciumi e fiori, poesie stucchevoli in un inglese zoppicante
-fortunatamente Hong Kong ha smesso di tradurre poesie stucchevoli
con Google Translate in Islandese, ogni anno Islanda si ritrovava ad
un passo dal ricovero per colpa sua- e proposte di amore eterno, non
comprendendo che sì, il suo padrone ha avuto un momento di
debolezza mettendosi all'asta, ma NON è più in vendita.
Soprattutto perché, poi, quegli sconosciuti con troppo profumo
non capiscono nulla della bellezza di un paese che, tanto a Nord, è
così forte da essere bellissimo anche negli inverni più
rigidi e verde e meraviglioso in primavera.
Ogni anno Mr Puffin
respinge attivamente quei pretendenti, che siano grandi e grossi come
Turchia o piccoli e dal linguaggio bizzarro come Hong Kong. Non li
vuole in casa, niente da fare, non sono adatti al suo padroncino, non
lo capirebbero mai. E lui, che è solo un piccolo volatile, non
può fare altro che beccar loro le mani prima che disturbino
Islanda suonando il campanello e picchiettando sui vetri delle
finestre.
Islanda non si muove
dal letto finché la minaccia non è passata, finché
i fiori non sono appassiti di fronte alla porta e qualcuno non ha
preso i regali più o meno commestibili abbandonati sulla
soglia di casa. Il puffin allora lo tira fuori dal letto con le
maniere forti e la vita ritorna all'incirca normale, il volatile ha
una razione in più di pesce ed è soddisfatto così.
Questa è la
normalità, questo è quello che a Mr Puffin piace fare.
Le beccate e gli insulti creativi, misti a qualche battuta sarcastica
nei confronti del padroncino e i conigli di cioccolata a Pasqua. Ma,
si sa, dopo un po' le abitudini per gli umani si fanno pesanti e
provano l'istinto di cambiare.
Puffin se ne accorge
un mattino di fine Gennaio, quando scopre il padroncino a guardare
fuori dalla finestra, sospirando, il riflesso del sole sulla neve che
gli illumina il viso altrettanto pallido. Si accorge che nessun pacco
di libri è ancora arrivato nella cassetta delle lettere e si
dice che forse, quest'anno, leggerà qualche vecchio libro che
gli è piaciuto particolarmente.
Le finestre restano
aperte, nonostante l'inizio di febbraio. I libri che Islanda sceglie
dalla libreria hanno titoli sempre più strani e di questo si
preoccupa moltissimo. Che sia malato? Ma non sembra affatto
abbattuto, solo immerso in quelle pagine che sembrano moltiplicarsi
giorno dopo giorno.
I giorni passano e
Islanda comincia ad uscire sempre più spesso, sedendosi sul
dondolo davanti a casa, i piedi che calciano la neve sotto di lui,
gli occhi viola che si incantano sulle pagine o sul bianco intorno,
un lieve sorriso sulle labbra.
Puffin continua a
pensare che sia malato e pensa di chiamare il fratello. Ma il
bastardo non ha mai una parola carina per lui, quindi arruffando le
penne si mette sul dondolo anche lui, a tenere d'occhio l'islandese.
Il giorno
quattordici arriva in fretta, in sordina. Nevica ancora e Islanda ora
sorride davvero. è davvero strano vederlo in quel modo. Non è
che non sorrida, di solito, sorride sempre alla prima nevicata, al
primo fiore a primavera, quando vede le luci colorate nel cielo o si
ferma soltanto ad ammirare il paesaggio estivo. Si piace un sacco,
Islanda e Puffin non trova sia una cosa negativa, anche se a volte lo
prende in giro dicendo che un giorno sposerà se stesso. Anche
a lui piace.
Puffin pensa spesso
a quale sarebbe stato il suo destino, se fosse nato in un momento
diverso, in un luogo diverso, se, secoli prima, non fosse stato
trovato, appena uscito dall'uovo, da un bambino minuscolo dalla veste
troppo grande, se il legame costruito tra loro non fosse stato così
forte.
Nascere in un altro
luogo che l'Islanda... non riesce ad immaginarsi quanto breve e
triste sarebbe stata la sua esistenza. Forse sarebbe comunque volato
fino lì, come, ogni tanto, vola ancora dai propri fratelli
sparsi per il Nord del globo, sarebbe rimasto affascinato da quei
paesaggi e rimasto a guardarli fino alla morte.
Ma Puffin tiene
quelle cose dentro di sé perché di carattere è
simile al proprio padroncino -si esprime come vorrebbe fare lui,
anche- e quindi sa che dette ad alta voce quelle sarebbero stronzate
da sognatore. Si accontenta di tenerlo d'occhio per tutto il giorno
di San Valentino e vederlo sorridere.
Il sorriso non dura
molto. Verso le due del pomeriggio è già debole e alle
quattro, quando cala il buio e Islanda si arrende al freddo, tornando
in casa, scompare del tutto.
Lo segue dentro,
pronto a chiedergli cosa aspettasse di tanto importante, ma la porta
si chiude prima che possa entrare, lasciandolo in corridoio, pieno di
domande. Dall'interno della stanza proviene un tonfo, un grido e poi
il rumore distinto della furia di Islanda.
Puffin ha già
assistito ad una di quelle 'crisi'. Islanda è una persona
calma, ma è anche un'isola piena di vulcani, per cui quella
calma altro non è che apparenza. Ricorda le altre volte in cui
ha messo a soqquadro la casa, ricorda quanto tempo hanno messo per
rimettere in sesto i libri strappati e i mobili che avevano perso una
gamba. Ricorda anche che il padroncino era pieno di graffi e lividi e
quel ricordo lo fa scattare verso la porta, cercando di aprirla in
qualche modo. Non vuole che Islanda si faccia male.
Puffin non vuole che
il suo padroncino si faccia male.
"Ehy, scemo,
non lasciarmi fuori!" sbotta, in un tentativo di fargli aprire
la porta. I rumori continuano e l'animale cerca di capire perché,
mentre il suo minuscolo cuore batte all'impazzata, il becco che cerca
di raschiare il legno e crearsi un varco.
Perché?
Sembrava così contento e ora... ora è chiuso lì,
non sorride, non legge neppure sotto alle coperte, sfoga la rabbia
per qualcosa che non capisce, qualcosa che invece per il padroncino è
insopportabile.
Continua a cercare
di entrare, urlandogli di aprire, che è un cretino e che
dovrebbe parlare e non fare come suo padre, quando non sta bene,
cerca di ricordarsi le cose che lo fanno arrabbiare di più,
perché anche farsi aprire per essere preso a calci andrebbe
bene. Qualsiasi cosa andrebbe bene, pur di non sentirlo così
disperato ed essere solo un volatile alto poco più di trenta
centimetri, per cui una porta è un insormontabile.
Passano innumerevoli
minuti prima che il rumore cessi. Innumerevoli minuti in cui l'ansia
sale fino a livelli insopportabili per un cuore così piccolo.
Il silenzio è allo stesso tempo una benedizione ed
un'ulteriore fonte di preoccupazione. Come rischia di trovare la
stanza? E Islanda?
Quando il Puffin si
sveglia, si rende conto di essersi addormentato ed è pervaso
da una sensazione strana. La sensazione che tutto sia diventato più
piccolo, durante il sonno. Non solo, quando cerca di alzarsi, dalla
posizione accoccolata in cui si trovava, gli fanno male le ossa e il
pavimento si allontana, tanto che crede di essersi alzato in volo
senza accorgersene.
Quando crolla in
terra disteso è convinto che la sua fine sia vicina. Ogni
animale sa che la morte è vicina quando non riesce a reggersi
in piedi. Anche Islanda a volte lo dice. Specialmente quando ha
bevuto troppo Brennivín la sera precedente.
Cerca di alzarsi di
nuovo e i suoi piedi urtano qualcosa di appuntito, mandandogli fitte
di dolore lungo la spina dorsale. Volta la testa e per poco non gli
sfugge un grido. Piedi. Piedi con dita. Dita dieci. Gambe. Gambe
rosa. Piume medie e pallide. Ginocchio! E...
Ommioddio, cos'è
quella cosa gigantesca che...?!
Mani! Mani. Dita
dieci, come i piedi. Oh, si muovono! Si muovono tutte per conto loro!
Può toccarsi i piedi e, ah! Quella cosa reagisce, meglio non
toccarla troppo!
Si alza di scatto,
alla ricerca di uno specchio, ma crolla rovinosamente sul pavimento.
Odia le ginocchia. Ci mette quasi quindici minuti per capire come
funzionino e, dopo questo, scatta verso lo specchio del bagno.
Si guarda,
stupefatto, con una mano sulla superficie riflettente, incredulo,
mentre l'umano nudo restituisce la perplessità. È un
umano grande come il padroncino, con i capelli neri ed un buffo
ciuffo a punta. Gli occhi sono scuri, ma, dopo aver trovato
l'interruttore, si accorge che sono grigio scuro, un colore molto
strano per un umano.
Ma che razza di
sogni fa?
Si guarda ancora,
perplesso, dicendosi che sembra un po' troppo magro senza la solita
forma quasi tonda della pancia, poi si ricorda che, anche se è
un sogno, avere le mani vuol dire che può aprire le porte.
Muove le dita, cercando di abbassare ed alzare la maniglia del bagno,
cercando la giusta pressione da applicare e riuscendoci alla terza,
affrettandosi a minuscoli passi rigidi verso la camera del
padroncino, salvo poi sentire freddo e ricordarsi che gli umani non
girano nudi. Quell'idiota di Danimarca a parte.
Sbuffando, si dirige
dove il padroncino tiene i vecchi vestiti ed infila tutto con grande
fatica, rendendosi conto di aver indossato abiti che gli ricordano il
suo piumaggio, una camicia bianca con un coso senza maniche nero e
quelle cose per le gambe che sono, crede, pantaloni. Scrolla ancora
la testa, ritrovandosi il ciuffo sugli occhi e soffiandolo via,
riuscendo finalmente a raggiungere la camera e reprimendo una serie
di insulti alla maniglia quando riesce ad abbassarla al settimo
tentativo.
Che diavoleria si
sono inventati? Come fanno a conviverci ogni giorno?
Si infila dentro la
stanza buia, scorrendo con lo sguardo lungo il pavimento, su cui sono
ammassati libri e pezzi di mobile, sospirando, fino ad individuare la
figura del padroncino sul letto, a pancia in giù, sicuramente
crollato dopo la crisi, troppo stanco per mettersi al caldo.
Gli si siede
accanto, indeciso sul da farsi per un momento, poi prende lenzuola e
coperte e lo copre per bene, scoprendo che le dita sono davvero utili
per togliere i capelli dal viso. La sua pelle e fredda, ma morbida
come non ha mai sentito sotto forma di animale. Sente solo il calore
e il piacere delle dita dell'islandese tra le piume.
Le dita... sono
piacevoli anche per lui?
Gli sfiora la punta
del naso, poi risale verso l'arcata, scoprendo il piacevole tepore
che si prova ad avere una pelle. Pelle su pelle. Una bella
sensazione, se la ricorderà quando si sveglierà dal
sogno.
Islanda si muove un
po' e si sposta sulla schiena, cacciando un lamento sordo ed aprendo
a fatica gli occhi, come se dovesse smaltire una sbornia. Ha... ha
anche bevuto? Di solito non è contrario ad una sana bevuta,
ma... per disperazione e rabbia? Si odia per non essere stato lì
ad impedirglielo, dannate ali e zampe poco utili! Dannate porte!
Il suo corso di
pensieri è interrotto dalla sensazione di qualcosa di freddo
sulla gola. Giusto. Ha la pelle anche lì.
Per un attimo
spalanca gli occhi, spaventato a morte, ricordandosi la scena
ripetuta mille volte della caccia ai propri simili, delle loro grida
mentre sono catturati dai retini, mentre gli umani li tengono per la
gola e... No, è al sicuro, è con il padroncino e lui...
perché tiene un coltello posato sul suo collo?
“Chi. Diavolo.
Sei?” enuncia il ragazzo, minaccioso ed ancora traballante per
la sbornia. Puffin lo guarda, anche se al buio non vede granché
bene e china la testa di lato, confuso. L'islandese ne approfitta per
accendere la luce e guardarlo meglio.
Sospira, perché
sa che così lo riconoscerà, ma l'altro si fa ancora più
corrucciato e non sa cosa rispondergli. Apre la bocca e si ricorda
che non ha mai parlato con quel corpo... ce la farà o sarà
muto come la sirena di cui parla sempre l'uomo dai capelli stupidi?
“Puffin.”
risponde, indicandosi, apprezzando il fatto che la voce gli esca
abbastanza bassa e roca da essere riconoscibile.
Ma la lama preme
ancora sulla sua pelle ed avverte il bruciore del taglio. Spalanca
gli occhi, terrorizzato. "Puffin!" ripete, indicandosi, il
cuore letteralmente in gola, posandosi la mano sul petto come se
potesse impedirgli di fuggire dal petto.
“Non sono
stupido.” ribatte l'islandese. Un po' sì, se non mi
riconosci. “Puffin! Puffin, vieni qui!” esclama,
voltandosi parzialmente verso la porta e notando il disordine totale
della camera, ma non curandosene. “Puffin!” grida e
l'animale lo guarda con gli occhi ancora ben aperti, sorpreso di
vedere tutta quella preoccupazione sul viso del padroncino.
“Cosa gli hai
fatto?” gli chiede, infatti, dopo poco, premendo ancora la
lama. L'altro cerca di allontanarsi per rispondere ed evitare di
farsi uccidere, ma l'altro lo tiene lì, bloccato. “Io
sono Puffin.” risponde, con tutta la calma possibile, anche se
sta morendo di paura. Gli sembra di avere un tamburo nelle orecchie,
mentre allunga le mani, con i palmi verso l'alto, in direzione del
suo padroncino, come a mostrargli che non farà niente.
“Fermo! Se gli
hai fatto del male, giuro che ti ammazzo.” lo minaccia Islanda,
riponendo il coltello ed andando a chiamare l'animale.
Davvero è
così poco riconoscibile? Aaaah! Quanti problemi! Lui voleva
solo fermare il padroncino dal farsi ancora del male, non altro! Le
mani non servono proprio a nulla, se lo fa preoccupare in quel modo!
Mani. Ha le mani...
Se le guarda e gli sembrano troppo fragili, ma fa comunque un
tentativo, andando a raddrizzare la scrivania e sentendosi
immensamente forte, in quel modo. Aaah! Alla fine sono utili, quelle
stupide mani!
Tutto contento per
l'aiuto che può dare, si mette a riordinare, dicendosi che,
per una volta, può lasciare da parte la propria pigrizia per
mostrare ad Islanda che sa fare molto e non è del tutto
inutile! Sa esattamente dove vanno tutti i libri e i suppellettili
che trova in terra e si affretta a rimetterli a posto, contando su
una doppia razione di sardine non appena tornerà il
padroncino.
Guarda la libreria a
terra, muovendo ancora una volta la testa di lato e dicendosi che
potrebbe riuscire ad alzarla prendendola di lato, con tutti i libri
all'interno e che si sente forte abbastanza da farlo. Sollevarla non
è un problema. Quello si pone quando scivola su un libro con
sovraccoperta e, per non cadere, si aggrappa ad uno dei centrini
ricamati -regalo di Svezia, maledetto!- che stanno sotto ai libri,
buttandosene addosso almeno sei e finendo comunque in terra. “Ma
porca puttana!” sbotta, magicamente memore del linguaggio che
usava quando era ancora un animale parlante e continuando con una
tiritera di insulti rivolti un po' al centrino, un po' a Svezia e un
po' al mondo intero, che tanto se li sarà meritati di qui a
mezzogiorno. Non importa se siamo nel pieno della notte.
“Puffin!”
sente, da lontano, tra un bastardo di un arredatore di interni
guercio e un maledetti pezzi di stoffa rincoglioniti e che scivolano.
Si blocca, un libro in mano intento a picchiare sul centrino -come se
servisse a qualcosa- e mette su un'espressione contentissima, non
ancora completamente conscio della gamma possibile in un viso umano.
La sua testa si riempie di padroncino Islanda! e, purtroppo per la
sua fama da duro, anche il suo volto lo grida.
Islanda spunta dalla
porta e lo guarda, seduto sui talloni com'è, il centrino da
una parte e il libro ancora in mano, quell'espressione stranissima
sul viso e il suo sorriso, che era spuntato nell'eventualità
di trovare il Puffin, scompare.
L'altro lo fissa, la
testa di lato, come un animaletto curioso, non riuscendo a capire
cosa possa fare per fargli capire che è lui, il suo Puffin,
senza nessun dubbio o mistero -bé, è umano, ma quello è
uno strano sogno, no?-, restando a guardarlo in quel modo.
“Perché?”
chiede, sorprendendo anche se stesso quando indica il disordine che
ancora c'è intorno a loro. Islanda lo fissa, dubbioso, poi gli
si avvicina come ci si avvicinerebbe ad un orso, con cautela, pronto
a togliere il coltello dal fodero. L'espressione del Puffin ora è
un misto tra l'entusiasmo di prima e la preoccupazione di quei
momenti in cui avrebbe voluto fermarlo. Ma lui non lo sa. Si sente
soltanto tirare tutto il viso.
“Sei... tu?”
domanda l'islandese, allungando una mano verso il viso dell'altro e
posando un dito su di esso. Come un gesto automatico, quello china la
testa verso la mano e vi appoggia la guancia, rimanendo lì a
sfregarsi, emettendo un verso di contentezza che sarebbe anche
carino, se fosse fatto dall'animale, ma da un umano risulta molto
strano.
Nonostante questo,
Islanda conosce abbastanza bene il suo Puffin da riconoscerlo. Resta
con la mano sulla sua guancia, sconvolto, non sapendo cosa fare, per
lunghi minuti, prima di ritrarre la mano, lasciando l'altro
scontento, a guardarlo male ed uscendo dalla stanza.
“Islanda!”
sbotta, cercando di alzarsi e restando, invece, cinque minuti buoni a
sciogliere il nodo delle gambe. E chi lo sapeva che gli umani fossero
così flessibili? Tutta colpa delle fottute ginocchia! “Is...!”
cerca di chiamarlo, ancora, disfacendo il nodo ed alzandosi, ma
ritrovandosi il volto del padroncino a dieci centimetri di distanza.
Centimetri dovuti
alla differenza di altezza.
“Cosa?! No,
cazzo, non esiste che sia più basso di te!” grida,
mentre l'altro ridacchia, divertito e gli passa qualcosa di umido sul
collo, dove prima l'ha ferito. Ah, ricorda questa sensazione. Una
volta, quando erano entrambi molto più piccoli di ora, era
quasi finito tra le grinfie di un predatore e il bambino -perché
l'islandese era ancora piccolo ed avvolto in una veste troppo grande-
l'aveva curato in quel modo, con enormi lacrime agli angoli degli
occhi.
Ora non ci sono
lacrime, solo un piccolo sorriso e poi la sua solita aria
corrucciata. Puffin sa che non è sempre stato così, sa
che c'è stato un tempo in cui sorrideva e faceva quello che
tutti i bambini della sua età apparente facevano -compreso
rotolare giù dai pendii innevati e riempirsi di tagli e lividi
nel tentativo, con grande preoccupazione dell'animale- e,
segretamente, vorrebbe che ancora fosse così, perché i
sorrisi del ragazzo erano belli come i paesaggi innevati.
“Perché
hai smesso di sorridere?” chiede, serio ed attento ad una
risposta che non arriva, perché l'islandese sta in silenzio,
l'aria assorta ed infastidita, a curarlo mettendosi più tempo
possibile. Sospira e lascia stare, tornando però all'argomento
precedente. “Perché oggi...?”
“La vuoi
piantare di farmi il terzo grado? Cosa dovrei dire di te, sei un
umano! Come diavolo è successo?” chiede l'islandese,
stizzito, facendo innervosire Puffin, che si corruccia terribilmente.
“E io cosa
cazzo ne so?! Tu eri chiuso qui e io volevo solo che non ti facessi
del male!” gli grida contro, spingendolo via e spostandosi
verso la finestra, le gambe rigide, sedendosi lì a braccia
incrociate e guardando fuori.
“Eri...
preoccupato per me, Puffin?” chiede Islanda e l'altro non deve
voltarsi per capire che la notizia lo sconvolge. Cosa si sconvolge a
fare?! Non si ricorda chi gli è stato accanto quando era da
solo? Ma cazzo, si aspetta davvero che non gliene importi nulla, dopo
tutti gli anni trascorsi insieme?!
Emette un suono che
ricorda un'automobile su di giri, aggrottando terribilmente le
sopracciglia, arrabbiato. Sbuffa ed appanna il vetro, arrabbiandosi
ancora di più perché non riesce a vedere fuori.
“Non volevo
essere solo. Ho pensato: ogni anno mi chiudo in casa ed ignoro le
persone che vengono a portarmi i regali, ma non sarebbe divertente
uscire, una volta tanto? Accettare cioccolatini e rose e patetici
animali con lo sguardo strano?” sussurra l'islandese, stabile
nel centro della stanza. Che... che cosa vuol dire? Allora aspettava
i cioccolatini, quest'anno?
Appoggia la fronte
sul vetro e si corruccia ulteriormente, posandovi anche la mano. "Sei
uno scemo, quei due sono troppo strani e non ti vogliono veramente.
Me l'hai detto tu." ribatte, non capendo bene perché si
senta così arrabbiato.
“Io sono solo.
Non voglio essere solo. Persino mio fratello mi ha detto che sarebbe
uscito, quest'anno, io... Io volevo... Io volevo solo essere felice
con qualcuno.” mormora l'islandese, in un tono che lo fa
voltare verso di lui, perché è triste e rotto, come se
stesse piangendo. Non lo fa. Ma si sta abbracciando, le mani
saldamente intorno al corpo, che sottolineano quella solitudine.
“Cretino. Non
sei da solo.” ribatte il più piccolo, saltando giù
dal bordo della finestra e dirigendosi a grandi falcate verso
l'altro, che lo guarda come se gli avesse appena detto di avere
quattro ali ed una testa piena di fiamme. Nella propria camminata
trionfale, Puffin inciampa tre volte nei propri piedi, l'ultima
finendo dritto addosso all'islandese.
“Porca
puu...!” sbotta, arretrando tenendosi il naso, sentendo un
dolore terribile, che gli indica che è sicuramente rotto e
morirà tra poco. “Sanguino! Morirò!”
appunto.
“Smettila di
agitarti e fammi vedere.” borbotta l'islandese, non contento
per i soliti motivi non comprensibili al povero Puffin. Ci mette un
po' a fermarsi, gridando qualche insulto casuale nei confronti del
mondo intero, ma poi facendosi bloccare dall'altro ed ispezionare con
cura.
“Non hai
niente, non esce neppure sangue.” lo rassicura, sembrando
sollevato.
Lo guarda fisso,
ancora un po' sconvolto dal dolore che prova, che sembra estendersi
in tutto il corpo. Ed è un corpo grande, maledizione!
“Ahi...”
si lamenta ancora, profondamente scontento, restando a guardare
l'islandese com'è solito fare. Di solito, però, quello
non diventa tanto rosso. Avrà la febbre? Aaaah! Se ha la
febbre non sa cosa fare, di solito gli porta degli asciugamani
bagnati, ma se continua a barcollare in quel modo, chissà
se...!
“Non fissarmi
così.”
Eh?! Ma lui lo fissa
sempre, sempre! Come fa a non fissarlo? Insomma, è lì,
davanti a lui, che cosa deve guardare, il soffitto? Già gli
occhi di Islanda sembrano lontanissimi, poi ci manca anche che si
faccia venire il torcicollo per guardare per aria! Ma insomma!
“Perché?”
chiede, per l'ennesima volta. Comincia a credere che quel sogno sarà
pieno di quelle domande brevi ma poco efficaci. “Ammiro il
paesaggio.” aggiunge, stupidamente, rendendosi conto che
dovrebbe forse fargli presente che ammira sia il paesaggio che la
persona di Islanda. Ah, ma queste cose si possono dire? Gli esseri
umani sono strani, ma lui non è abituato a trattenersi dal
dire quello che pensa!
“Ma cosa
dici?” borbotta il padroncino, puntandogli il dito in mezzo
agli occhi ed allontanandolo, sorridendo per il modo buffo in cui
incrocia gli occhi. Giusto, un'altra cosa strana: occhi frontali, li
può muovere in modi molto strani.
“A me piace
Islanda. Ha dei bei paesaggi, l'aria è pulita, il ghiaccio
colpito dal sole brilla come un gioiello e il verde in estate è
più verde che in ogni paese del mondo!” esclama, tutto
contento -ancora una volta, non si rende proprio conto di quanto il
suo volto sia espressivo- e spostando le labbra tutte da un lato per
pensare. Forse deve spiegarsi meglio?
“Puffin, ci
stai provando?” chiede l'islandese, fissandolo a propria volta,
ma senza arretrare. Che strano, sembra spaventato, ma non se ne va'.
Di solito le persone spaventate arretrano, no? Insomma, lui non l'ha
fatto quando prima... ah, ma perché si fida, ecco! Sa che il
padroncino è scemo, ma ha un cuore buono.
“A fare cosa?”
ribatte, confuso, cercando nei modi di dire quello usato dall'umano.
Quello sospira, come se avesse a che fare con un bambino, cosa che lo
fa corrucciare incredibilmente.
“Non fare
così, ti verranno le rughe.” lo rimprovera, prima di
punzecchiarlo ancora sulla fronte, facendogli incrociare gli occhi e
sbuffare. Non vuole che lo prenda in giro, insomma! Perché lo
prende in giro ora che non è più un vero puffin?
Gli afferra il dito,
ripetendo quel lamento da automobile che va' su di giri e cercando di
morderlo come lo beccava di solito, restando con l'indice tra i denti
e poi optando per tenere la mano prigioniera. Islanda sobbalza e lui
lo fissa, vittorioso, un grosso sorriso sulle labbra.
In quel momento
dalla banca dati centrale, quella con l'etichetta modi di dire
islandesi, arriva la risposta alla sua domanda.
“Eh?! Io non
ci sto provando, scemo, dico solo quello che penso!” sbotta,
sentendosi caldo in volto ed agitando il braccio libero, in un gesto
stizzito ed imbarazzato. Ah, deve imparare a mostrare il medio,
sarebbe perfetto in quelle occasioni!
Islanda si libera e
si affretta ad incrociare le braccia al petto, voltando lo sguardo
verso il letto ed imbronciandosi.
“Meglio,
perché non mi va' proprio di stare con qualcuno che puzza di
pesce!”
Puffin gli cammina
di fronte, furioso, prendendolo per la camicia con aria minacciosa.
“Cosa vorresti dire? Io ci sto bene con te, anche se non sei
più sorridente e carino come un tempo, comunque ti occupi di
me e io sono felice! Mi piace guardarti in ogni cosa che fai, perché
ogni cosa che fai è interessante e comunque di più di
quando la fanno gli altri!” sbotta, ferito. A lui piace stare
con lui, perché non è lo stesso? Non gli ha mai detto
una bastardata simile, quando era un vero puffin! Che sia colpa di
quella forma umana?
“Se ti da'
tanto fastidio che io sia umano, allora vorrei...!” aggiunge,
finendo la frase bofonchiando nella mano dell'islandese, posata sulla
sua bocca per farlo tacere. “Tu... non hai capito in che senso
intendo stare insieme. A me piace stare con te. Mi tieni compagnia da
tantissimi anni e, credimi, non saprei cosa fare... senza. Ma non
intendevo quello.”
Fa un sorriso, che
distende i suoi tratti ed illumina i suoi occhi grigi, esprimendo
tutta la felicità che un puffin può provare in una vita
intera, ma solo un minimo di quella che un umano sente in un momento
solo. Tutto sembra gigantesco, quando si è un volatile di
trenta centimetri. Ma quando si diventa grandi come un umano di
sedici anni, anche le sensazioni crescono e da quelle Puffin si sente
schiacciato, in questo momento.
Si sente felice,
decisamente schifosamente felice, come se avesse mangiato un chilo di
pesce ed un altro chilo di liquirizia -che a lui piace, non la mangia
solo per fare un piacere ad Islanda- e gliene stessero offrendo
ancora, all'infinito.
Ma si blocca, gli
occhi grandi e stupiti, che fissano l'islandese, capendo cosa intende
e chiedendosi come diavolo possa pensare queste cose di lui, che non
è che un minuscolo animale da compagnia, che sarebbe buono
arrosto, ma... stare insieme, così come lo intende Islanda...
perché lo rende felice e triste allo stesso tempo?
Puffin allarga il
sorriso e si libera dalla sua mano, illuminandosi ancora e, a
giudicare dall'espressione dell'islandese, spaventandolo.
Allarga le braccia e
fa qualcosa che ha visto fare nei film soltanto: prende la rincorsa e
si lancia sull'altro, agganciandogli le gambe alla vita... e
facendolo cadere rovinosamente all'indietro, sbilanciato.
“Puffin!”
Scuote la testa,
avvolto com'è su di lui, soffiando via il ciuffo che gli
ricade sugli occhi e sfregando la testa contro la spalla del
padroncino, contento, anche se nei film la caduta non l'ha mai vista.
“Puffin,
cosa...? Non hai capito, io...!” cerca di protestare
l'islandese, porpora in faccia, mentre l'altro si sfrega tutto
felice, emettendo il suono felice che gli ricorda, ancora una volta,
che quello, fino a qualche ora prima, era un animaletto da compagnia
un po' rumoroso, ma sicuramente molto affettuoso.
“Mi ami!”
esclama infatti quello, alzando la testa e ridacchiando, prima di
posare le labbra sulle sue. Islanda fa per protestare, ma si blocca
con quel gesto, deglutendo rumorosamente, immobile come se l'avessero
immerso completamente nel ghiaccio. Puffin ignora tutto questo e si
stacca, per dargli un altro bacio, piccolo ed infantile, seguito da
un altro ed un altro ancora.
“Puffin!
Puffin, queste cose si fanno...!” cerca ancora di dire la sua,
ma non ha capito che l'altro ha ben altre idee. Infatti si solleva
ancora, confuso e felice, perché quei gesti lo rendono
contento, giocherellando con una sua mano. “Con la persona che
ti ama!” ribatte, con un'espressione talmente dolce da
disarmarlo completamente.
L'islandese lo
prende per i polsi, tenendolo lontano. Puffin lo fissa, contrariato
ed ulteriormente confuso. “Cosa c'è? Hai detto che non
volevi essere solo, non sei solo, non ti servono quegli stronzi che
non capiscono niente di te. Hai me. Possiamo stare insieme.”
mormora, mordicchiandosi il labbro inferiore, nervoso. Ha idee molto
vaghe dello stare insieme, a dire il vero... però questo non
significa che non voglia continuare a fare quello che stava facendo
fino a cinque secondi prima.
Le labbra non sono
come un becco, sono morbide e possono fare grandi cose, ne è
assolutamente certo e gli piace sentirle sulle sue. Così come
gli piace la sensazione della pelle e delle dita dell'altro nelle
mani e le stesse. Avere le mani è bello, perché può
stringerlo ed impedirgli di farsi del male, aprendo le porte.
“Puffin,
sei...” un puffin. Se lo dice giura di mandarlo a farsi fottere
fino al giorno del mai. “...sicuro?”
Puffin sorride ed
annuisce, dandogli un altro bacio. Sono divertenti e morbidi, quei
baci e lo fanno sentire al caldo, meglio di un nido con piume ed
erba, mentre fuori fa troppo freddo per uscire, con una riserva di
cibo accanto. Ecco, la vita ideale.
“Parliamone
domani.” cede infine il padroncino, facendolo rotolare di lato
ed andando a recuperare la coperta ai piedi del letto, creando un
nido per entrambi, come gli ha visto fare spesso.
Si avvicina a lui e
sente il suo braccio avvolgerlo e portarselo vicino. Il contatto con
la sua mano gli ricorda che, in fondo, non è cambiato nulla...
anche se lui è cambiato e non è più un minuscolo
puffin su un letto enorme. Ci stanno stretti, lì sopra, ma non
per questo è meno piacevole.
Domani... spera di
svegliarsi ed essere ancora dieci centimetri più basso di
Islanda, capace di ricambiare il gesto e posargli la mano sul cuore.
Note
dell'autrice:
Avrei dovuto
pubblicare a San Valentino, ma tra un esame e l'altro me ne sono
scordata, pensando “bé, tanto è sul blog”.
Eccerto.
Comunque... non
ho mai scritto una cosa tanto lunga, mi chiedo se siate arrivati fino
in fondo... spero di non aver annoiato nessuno, comunque.
Come sempre, per
le inedite, le fanfiction che consiglio e qualche chiacchera,
Attraverso lo schermo
è il mio blog, se vi va', fateci un salto!
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