Note:
Che dire?
Questa è una raccolta
formata da quattro storie. Flashfic e
drabble non le so scrivere, perciò mi baso sulle one-shot di
media lunghezza.
Queste parlano delle prime donne dei
Beatles (Jane, Cynthia,
Pattie e Maureen) e
del loro ultimo incontro,
o uno degli ultimi incontri (nel caso di questa prima storia, si tratta
di una
telefonata) fra loro ed il Beatle in questione.
Non si basano su fatti realmente
accaduti, tranne quella su
John e Cynthia che è un abbozzo.
Ci saranno molti errori, temo, e
farò finta di prendermi una
quantità inaudita di licenze.
Questa prima storia è la
mia preferita, anche se non ho mai
amato tantissimo Jane Asher (vi confesso che, però, il
renderla più che
sessantenne mi sta divertendo) originariamente doveva essere pubblicata
da
sola, ma poi le cose son venute da sé.
Vi lascio alla lettura, girls (or
boys, ma non so quanti ce
ne siano).
Vi ringrazio tutte, perché
vi sto conoscendo poco a poco e
certe storie che scrivete mi fanno veramente illuminare gli occhi!
Kisses
Cami
All things musst pass
19 novembre 2011
Una tazza di tè.
L’ennesima di quel giorno.
Dopotutto, lei era una vera inglese.
Quando aveva bisogno di
riflettere, bastava una tazza di tè e di solito le si
chiarivano le idee.
Eppure quel pomeriggio di novembre le
idee erano un continuo
ingorgo.
Rigirò il cucchiaino nella
tazza lasciando che il liquido
brunastro si agitasse.
Chiamare Paul dopo anni.
Chissà perché, poi, le era venuta
quell’idea così avventata.
Forse era un rimpianto degli anni
passati, forse aveva solo
voglia di ritornare indietro nel tempo e risentire la sua voce.
Non lo amava più, ne era
certa.
Eppure in tutti quegli anni
l’aveva seguito in silenzio.
Aveva acquistato i suoi album e le
erano piaciuti tanto. Le
era dispiaciuto quand’era morta Linda ed in
quell’occasione gli aveva mandato
le condoglianze per telegramma.
Non se l’era sentita di
chiamarlo, le era sembrato scorretto
e disdicevole.
Si erano parlati una volta nel 1980,
alla morte di Lennon.
Jane era rimasta disorientata e
sgomenta a quella notizia.
John non le era mai piaciuto più di tanto, e tantomeno lui
l’aveva avuta in
simpatia.
Però poco prima di Natale
l’aveva chiamato.
Gli aveva chiesto come andassero le
cose e come si fosse
sentito alla notizia dello sparo a Lennon.
Era stata una telefonata ricca di
pause e silenzi
imbarazzanti, con frasi interrotte a metà
E quando Jane si era congedata,
aveva colto un’evidente nota di sollievo nella
voce di Paul.
Eppure non sapeva perché,
ma in quei giorni le era venuto il
desiderio ingenuo di sentirlo.
Non che volesse riconciliarsi o
chissà che, dopotutto.
Dall’altra parte,
però, si sentiva tremendamente sciocca
all’idea di telefonargli.
All’inizio si era
crogiolata nella scusa del numero di
telefono. Non sarebbe stato facile trovarlo, si era detta.
Eppure aveva chiamato Cynthia. Non
che fossero state mai
molto amiche, né al tempo dei beatles né dopo.
Le aveva telefonato nel corso degli
anni una decina di
volte, forse.
Cyn si era dimostrata disponibile e
persino vagamente
curiosa, quando Jane le aveva chiesto il numero di Paul il che era
strano,
perché l’ex signora Lennon non era mai stata un
tipo indiscreto e nemmeno si
era mai lasciata andare a tanti pettegolezzi.
Jane sospirò.
Prese la pesante rubrica in cui
teneva tutti gli indirizzi
ed i recapiti telefonici e la sfogliò. Era curioso come,
nell’era dei
cellulari, lei usasse ancora un telefono fisso ed annotasse i numeri su
quella
rubrica in carta, che puntualmente era uno strazio portare in borsa.
McCartney, Paul.
L’aveva trovato.
Si ritrovò a pensare che
era ridicola. Aveva più di
sessant’anni e si sentiva in imbarazzo come una ragazzina.
Nemmeno durante i
primi tempi del suo fidanzamento aveva tanta paura di alzare la
cornetta del
telefono.
“Poche storie, Jane. O
chiami o non chiami.”, pensò.
Chiamò. Pregando
mentalmente che non rispondesse Nancy,
digitò il numero.
Sembrava una povera adolescente che
implorava che non fosse
la madre ad alzare il telefono.
Uno squillo, due squilli, tre squilli.
Al quarto squillo Jane
iniziò a chiedersi se riattaccare o
meno.
“sì
pronto?”, domandò una voce.
Era la sua. La voce di Paul, lei,
l’aveva vista maturare da
un disco all’altro, da quando le dedicava “and I
love her” all’ultimo album,
che le strappava sempre un sorriso con “dance
tonight”.
Respirò a fondo.
Era un’attrice, dopotutto.
Assunse il miglior tono
contegnoso e rilassato e disse, torcendosi una ciocca di capelli ancora
rossi:
“Paul, sono
Jane!”, esclamò. Non un
“ciao”, non un “come
stai”, niente.
Seguì la pausa stupita che
lei aveva temuto. Lui non era
bravo a recitare quanto lei e avrebbe capito subito se era in imbarazzo
o meno.
Se lo fosse stato, decise la rossa d’impulso, avrebbe
riattaccato con qualunque
scusa.
Invece Paul le parve
straordinariamente tranquillo:
“Oh, Jane! Quanto
tempo….”, e lasciò la frase a
metà.
“Ho avuto il tuo numero da
Cyn.”, si sentì in dovere di
dire.
“Ah, capisco! Iniziavo a
temere che il mio recapito
telefonico girasse indisturbato per il mondo!”,
scherzò. Jane accennò una
risata. Quel buffo modo di farla ridere non l’aveva mai
perso. Non era la
brutale ironia di John e neanche l’umorismo di Ringo.
Scherzava in maniera
moderata, quasi temesse di apparire grezzo.
“No, no.”,
replicò semplicemente. Doveva continuare la
conversazione, in qualche modo. Eppure parve cominciare lui, dicendo:
“Come stai, Jane? Non ho
più tue notizie da… da
quand’è
morta Linda.”, disse lui dispiaciuto. La donna si chiese a
cosa stesse
pensando, in quel momento, Paul.
Forse non
vedeva
l’ora di troncare quella telefonata assurda.
“Bene, bene. Ho sentito che
andrai presto in tour, e che prossimamente
avremo un tuo album!”, esclamò fingendosi
noncurante. Non se la sentiva di
fargli le congratulazioni per l’ultimo matrimonio.
“Eh, sì. Che ci
vuoi fare, non posso fare a meno del
pubblico. Non devo più dimostrare niente a nessuno. Mi
diverto e basta.”,
confessò tutto d’un fiato. Un barlume di
confidenza era tornato fra loro, in un
modo o nell’altro.
Li aveva visti alla televisione, i
suoi concerti ed ogni
volta che sentiva le canzoni che le aveva dedicato negli anni
’60 le venivano
in mente ricordi sparsi e si chiedeva: “Chissà se
mi pensa quando le suona.”.
Non che rimpiangesse niente, ma ogni tanto si domandava se per lui
quelle
canzoni rappresentassero ancora qualcosa, oppure semplici brani da
eseguire.
Poi lui disse una cosa che la
stupì:
“Potresti venire una volta,
ad un concerto. Potremmo
vederci, cioè… Un caffè, una tazza di
tè, qualunque cosa.”, propose lui. Aveva
un tono esitante.
Poi aggiunse, come per spiegare:
“Solo così come
buoni amici.”
Jane si morse il labbro. Non
desiderava vedere paul.
Sicuramente la stampa, se li avesse scoperti, avrebbe fatto le sue
solite
ipotesi sbagliate.
Per cortesia, gli rispose:
“Oh, volentieri.
Vedrò quel che posso fare.”
Voleva continuare quella telefonata,
nonostante tutto. Voleva
dirgli che lui l’aveva fatta crescere, l’aveva
fatta diventare una donna.
Desiderava parlargli del fatto che,
nonostante lei non
l’amasse più da tempo, lui le aveva cambiato la
vita ed aveva scritto una
pagina importante della sua storia.
Eppure, come mettere insieme quelle
frasi? Come spiegare una
cosa tanto importante senza apparire equivoca?
Ci pensò lui a toglierla
dall’impiccio, come se le avesse
letto nel pensiero.
“Io volevo dirti grazie,
Jane.”, disse.
“Di cosa?”,
chiese lei stupita.
“Del fatto che non hai mai
lasciato dichiarazioni su di noi
ai giornali. Non hai mai parlato di quel che c’è
stato fra noi, anche se ti
avranno offerto di tutto per farlo. Sei stata l’unica persona
che non abbia
voluto incrementare i pettegolezzi che circolavano sui
Beatles…”, disse lui e
parve aver lasciato in sospeso la frase, come se avesse voluto
aggiungere
dell’altro.
Jane si schermì come
poté:
“Oh, ma figurati. Va meglio
così, credimi.”, rispose
semplicemente.
Cercò di visualizzarlo
nella testa, Jane. L’immagine di lui,
con la sua aria imbarazzata dall’altro capo della cornetta,
le era
tremendamente nitida nella testa.
Alla fine la donna prese fiato.
“Paul… Mi hai
fatta crescere, sai?”, sputò in un soffio. Non
lo sapeva, dove l’avrebbero portata quelle parole
né da quale parte recondita
del suo corpo avesse preso il coraggio.
Ci fu una pausa, l’ennesima
di quella telefonata che poteva
essere tranquillamente inserita in un film di serie B.
Poi lui rispose, e nel suo tono
c’era qualcosa di
inspiegabilmente commosso:
“Anche tu, Jane, anche
tu.”, e non riuscì a dire altro.
Le parole erano troppe per entrambi.
Come dire attraverso un
filo che l’uno aveva scritto una pagina di storia
dell’altra e che quel primo
amore non l’avrebbero scordato mai?
“Beh, Paul, io ti saluto!
Magari vengo a trovarti.”, si
congedò lei in fretta.
“Hello, little
girl.”, avrebbe voluto dire l’uomo con gli
occhi verdi. Ma gli mancò il coraggio e la salutò
banalmente, consapevole che
non l’avrebbe mai rivista.
**
note:
non ne sono soddisfatta, proprio no.
Non mi piace
com’è venutafuori e non mi piace la piega che
ha preso.
Li ho descritti così, Paul
e Jane. Intimiditi e con la paura
di risultare ridicoli ed incomprensibili l’uno agli occhi
dell’altra.
È una telefonata
imbarazzata, la loro. Ma un barlume finale
di quello che era un antico amore e che ora si è trasformato
in tanto affetto
reciproco, ho voluto scriverlo.
Io… Spero vi piaccia, ecco.
Quale coppia volete vedere per la
prossima?
John e Cyn, George e Pattie o Ringo e
Mo?
Cercherò di esaudirvi, ma
scrivendo su ispirazione non sono sicura!
Cami
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